mercoledì 4 aprile 2012

Bombolette contenenti gas irritanti:Rientrano nella categoria delle armi comuni da sparo

Faccio seguito al precedent post: "Attenzione: Spray RGS-4 / RGS 6" (a cura di Mario Modica, Commissario Aggiunto Responsabile della P.L.  DI MANDELLO DEL LARIO (LC), per segnalare la recentissima sentenza da parte della Cassazione (sotto-riportata):
"nel caso in esame, la riconduzione della condotta all’art. 14 L. 297/1974, rientrando quella tipologia di bombolette per cui è causa nella nozione di arma comune da sparo. Da questa premessa in fatto e giuridica consegue che correttamente è stata contestata la condotta in esame ai sensi degli artt. 10 e 14 l. 497/1974 e che corretta si appalesa la sanzione in inflitta, pari a mesi otto di reclusione, e cioè pari al minimo edittale per le fattispecie di cui al combinato disposto degli artt. 2 e 7 L. 895/1967, come modificati dagli artt. 10 e 14 L. 497/1974".

 Corte di Cassazione – Sentenza n. 11753/2012

Presidente Bardovagni - Relatore Bonito
Ritenuto in fatto e considerato in diritto
1. Con sentenza resa il 12 dicembre 2002 il Tribunale di Rimini, in composizione monocratica, condannava alla pena di mesi otto di reclusione, concesse le attenuanti generiche e quella del fatto di lieve entità, C.G. , giudicato colpevole del reato di cui agli artt. 10, 12 e 14, L. 497/1974, per aver portato in luogo pubblico, in Rimini, il 22.3.1997, due bombolette di gas paralizzante.
A sostegno della decisione il tribunale richiamava la testimonianza degli operatori di polizia che procedettero al sequestro delle due bombolette, trovate nell’autovettura dell’imputato in occasione di un controllo stradale, e quella del perito incaricato dell’esame del reperto.
2. Avverso la sentenza detta proponeva appello l’imputato, contestando che le bombolette sequestrate avessero le caratteristiche asserite dal tribunale, non potendosi ad esse riconoscere la micidialità necessaria per ricomprenderle nella ipotesi contestata di cui agli artt. 10, 12 e 14 L. 497/1974, la cui tipizzazione riguarda esclusivamente armi da guerra, tipo guerra e munizioni da guerra, mentre la stessa perizia di ufficio del giudice di prime cure è pervenuta alla conclusione che il gas contenuto nelle bombolette era di modesta concentrazione ed idoneo a provocare leggere irritazioni cutanee. Di qui la richiesta assolutoria ed, in subordine, l’applicazione alla condotta accertata della contravvenzione di cui all’art. 699 c.p., da dichiararsi ormai estinta per prescrizione.
La Corte di appello di Reggio Calabria, con sentenza del 9 dicembre 2010, confermava la sentenza del tribunale, osservando che le bombolette, come da risultanze peritali, contenevano gas urticante, idoneo a provocare irritazione degli occhi, sia pure reversibile nell’arco di trenta minuti, epperatnto capace di compromettere, anche in via temporanea, l’integrità dell’organismo umano.
Da ciò deduceva la Corte distrettuale la corretta applicazione delle norme incriminatici, tenuto conto della ricomprensione delle bombolette in questione nella nozione di aggressivi chimici di cui agli artt. 1 e 2 L. 895/1967 (come sostituiti dagli artt. 9 e 10 L. 497/1974).
3. Ricorre per cassazione avverso la sentenza di secondo grado l’imputato, assistito dal difensore di fiducia, illustrando tre motivi di impugnazione.
3.1 Col primo motivo di ricorso denuncia la difesa ricorrente violazione delle norme incriminatici contestate, sul rilievo che la fattispecie deve essere penalmente qualificata come contravvenzione all’art. 699 c.p., riqualificazione erroneamente ritenuta improponibile dalla corte distrettuale con l’argomento che essa sarebbe stata esclusa dalla Corte di cassazione in sede di annullamento con rinvio al Tribunale di Rimini della sentenza resa dal GIP della Pretura di Rimini, inizialmente giudice della vicenda. L’erroneità consisterebbe, per la difesa istante, nella circostanza che l’annullamento senza rinvio disposto dal giudice di legittimità era motivato esclusivamente per ragioni di competenza per materia.
3.2 Col secondo motivo di impugnazione denuncia ancora parte istante violazione delle norme incriminatici contestate, sul rilievo che la fattispecie deve essere penalmente qualificata come contravvenzione all’art. 4 L. 110/1975.
Deduce al riguardo il difensore che la materia in esame, dal 1997, ha conosciuto approfondimenti normativi e giurisprudenziali e la commissione consultiva centrale per il controllo delle armi ha ritenuto che le bombolette per cui è causa rientrano nella categoria delle armi comuni da sparo a norma dell’art. 2 L, 110/1975, conclusione confermata da più pronunce di questa istanza di legittimità.
Anche in questa ipotesi il reato risulta estinto per maturata prescrizione.
3.3 Col terzo motivo di ricorso denuncia infine la difesa ricorrente illogicità della motivazione con riferimento alla CTU, là dove sono state considerate potenzialmente lesive bombolette vecchie e di scarsa efficacia, mentre la rilevanza penale di esse e la riconduzione alla nozione di aggressivo chimico può essere riconosciuta soltanto in costanza di reale micidialità e spiccata potenzialità offensiva dello strumento.
4. Il ricorso è infondato.
4.1 Giova ricordare, anche perché richiamate dalla Corte di merito, a conferma della tesi accusatoria, e dalla difesa, a sostegno della propria, le pronunce in materia di questa istanza di legittimità. Secondo Cass., Sez. 1,09/06/2006, n. 21932, costituisce reato il porto in luogo pubblico di una bomboletta spray, contenente gas lacrimogeno, in quanto idonea ad arrecare offesa alla persona e come tale rientrante nella definizione di arma comune da sparo di cui all’art. 2 L. n. 110 del 1975. Nello stesso senso si è pronunciata Cass., Sez. I, 14/11/2007, n. 44994.
Per Cass., Sez. I, 13/01/2009, n. 6106, invece, la bomboletta spray contenente sostanza urticante è compresa tra gli aggressivi chimici, il cui porto illegale costituisce reato ai sensi della legge 2 ottobre 1967 n. 895. Nello stesso senso si è pronunciata, altresì, Cass., Sez. I, 15/06/2005, n. 27435.
Insiste viceversa sulla idoneità all’impiego e sulla efficienza del congegno ad essere utilizzato secondo la sua naturale destinazione ai fini della configurabilità del reato più grave, Cass., Sez. I, 10/11/1993, n. 1300.
4.2 Ciò premesso ritiene il Collegio che la questione di diritto posta dal processo e cioè la corretta qualificazione giuridica della condotta accertata, debba partire dal dato fattuale della natura e delle caratteristiche dei congegni sequestrati all’imputato, i quali, secondo esiti peritali, contenevano gas in grado di irritare la pelle e gli occhi, con regresso totale di tali effetti nel giro di trenta minuti; da tali esiti è stato altresì dedotto che una delle bombolette, dopo l’utilizzo ai fini peritali, ha esaurito il suo carico, e che le bombolette erano di vecchia fattura e di bassa concentrazione di gas “CS”.
Ciò posto ritiene il Collegio applicabile alla fattispecie l’ipotesi accusatoria meno severa, dappoiché non assimilabili ad aggressivi chimici, gas di bassa concentrazione idonei a provocare leggere irritazioni dermiche ed effetti sugli occhi non propriamente urticanti, ma parificagli all’effetto di un gas lacrimogeno. È infatti ragionevole considerare che la disciplina di rigore voluta dal legislatore in relazione alla detenzione ed al porto di aggressivi chimici non possa prescindere da una apprezzabile efficacia lesiva di essi, nella fattispecie insussistente, di guisa che corretta si appalesa, nel caso in esame, la riconduzione della condotta all’art. 14 L. 297/1974, rientrando quella tipologia di bombolette per cui è causa nella nozione di arma comune da sparo. Da questa premessa in fatto e giuridica consegue che correttamente è stata contestata la condotta in esame ai sensi degli artt. 10 e 14 l. 497/1974 e che corretta si appalesa la sanzione in inflitta, pari a mesi otto di reclusione, e cioè pari al minimo edittale per le fattispecie di cui al combinato disposto degli artt. 2 e 7 L. 895/1967, come modificati dagli artt. 10 e 14 L. 497/1974.
5. Conclusivamente il ricorso deve essere rigettato ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali ai sensi dell’art. 616 c.p.p..
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Depositata in Cancelleria il 29.03.2012