Corte costituzionale, 7.2.2011, n. 35
Il ricorrente censura, per violazione dell’art. 117, co. 2, lett. l), cost., l’art. 4, co. 2), lett. c), della citata legge regionale, ove si prevede che gli appartenenti alla polizia locale dei Comuni e delle Province esercitano “funzioni di polizia giudiziaria secondo le disposizioni della vigente legislazione statale, rivestendo, a tal fine, la qualifica di Ufficiale di Polizia Giudiziaria riferita ai Comandanti, Ufficiali e Ispettori di Polizia Locale, a seguito di nomina da parte dell’Amministrazione di appartenenza in riferimento al disposto dell’art. 55 del codice di procedura penale, e di Agente di Polizia Giudiziaria, riferita agli Assistenti-Istruttori e agli Agenti di Polizia Locale”. La Corte costituzionale ha accolto il ricorso, chiarendo che la norma in questione, nell’attribuire al personale della polizia locale la qualifica di ufficiale o agente di polizia giudiziaria, invade la competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di giurisdizione penale. Il Presidente del Consiglio dei ministri ha poi impugnato l’art. 4, co. 2, lett. q), ed il co. 4 del citato articolo, nella parte in cui prevede che possano essere raggiunte intese di collaborazione nell’attività di pubblica sicurezza tra le amministrazioni locali, anche al di fuori dei rispettivi territori di appartenenza, inviandone comunicazione al Prefetto solo nel caso in cui riguardino personale avente la qualità di agente in servizio armato. La Corte ha accolto il ricorso, chiarendo che le norme de quibus contrastano con l’art. 117, co. 2, lett. h) cost. Le materie oggetto delle intese sono infatti da ricondursi alla materia “ordine pubblico e sicurezza”, di competenza legislativa esclusiva statale. Il ricorrente, infine, ha impugnato l’art. 26 della citata l. reg., ove si prevede che la polizia locale “disporrà di un numero telefonico unico (a 3 o 4 cifre) per il pronto intervento”, per violazione dell’art. 117, co. 1 cost. poiché in contrasto con la direttiva 2002/22/CE, recepita con d.lgs. 259/2003 (codice delle comunicazioni elettroniche a livello statale), che ha imposto agli Stati membri di istituire il numero unico di emergenza “112” , al fine di “garantire la certezza per la cittadinanza in ordine al numero o ai numeri di emergenza cui fare riferimento onde evitare il rischio di sovrapposizioni”.
La Corte ha accolto il ricorso, chiarendo che l’intento della direttiva è quello di fornire ai cittadini il medesimo codice di accesso («112») ai servizi di emergenza su tutto il territorio dell’Unione, eliminando le differenze preesistenti relative ai numeri per le chiamate di emergenza.
In argomento, v. precedenti conformi C. cost., sent. 313/2010, 26/2005, 391/2006,
119/2009, 196/2009, 167/2010, 226/2010 e 274/2010 (Red. Antonella Zella).
La Corte ha accolto il ricorso, chiarendo che l’intento della direttiva è quello di fornire ai cittadini il medesimo codice di accesso («112») ai servizi di emergenza su tutto il territorio dell’Unione, eliminando le differenze preesistenti relative ai numeri per le chiamate di emergenza.
In argomento, v. precedenti conformi C. cost., sent. 313/2010, 26/2005, 391/2006,
119/2009, 196/2009, 167/2010, 226/2010 e 274/2010 (Red. Antonella Zella).
Fonte: Gazzettaamministrativa.it
Ecco il link della sentenza
SENTENZA N. 35
ANNO 2011
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: Ugo DE SIERVO; Giudici : Paolo MADDALENA,
Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA,
Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano
SILVESTRI, Sabino CASSESE, Giuseppe
TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe
FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo
GROSSI, Giorgio LATTANZI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt.
4, commi 2, lettere c) e q), e 4; 11, comma 1, lettera d); 19, con
l’allegato A; 20; 21, con l’allegato E; 22, con l’allegato D, e 26 della
legge della Regione Basilicata 29 dicembre 2009, n. 41 (Polizia locale e
politiche di sicurezza urbana), promosso dal Presidente del Consiglio
dei ministri con ricorso notificato il 1°-4 marzo 2010, depositato in
cancelleria il 10 marzo 2010 ed iscritto al n. 41 del registro ricorsi
2010.
Udito nell’udienza pubblica del 14 dicembre 2010 il Giudice relatore Giuseppe Frigo;
udito l’avvocato dello Stato Wally Ferrante per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1. – Con ricorso notificato il 1° marzo 2010, il
Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso
dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso, in riferimento
all’art. 117, primo e secondo comma, lettere h) ed l), della
Costituzione, questioni di legittimità costituzionale in via principale
degli artt. 4, commi 2, lettere c) e q), e 4; 11, comma 1, lettera d);
19, con l’allegato A; 20; 21, con l’allegato E; 22, con l’allegato D, e
26 della legge della Regione Basilicata 29 dicembre 2009, n. 41 (Polizia
locale e politiche di sicurezza urbana).
Il ricorrente premette che la citata legge lucana detta
norme in materia di polizia locale e politiche di sicurezza urbana,
dando attuazione ai principi contenuti nella legge 7 marzo 1986, n. 65
(Legge quadro sull’ordinamento della polizia locale).
Ad avviso del Governo, con le norme denunciate la
Regione avrebbe esorbitato dai limiti delle proprie competenze
legislative, invadendo quelle statali.
La prima censura investe l’art. 4, comma 2, lettera c),
della legge regionale, il quale prevede che gli appartenenti alla
polizia locale dei Comuni e delle Province esercitano «funzioni di
polizia giudiziaria secondo le disposizioni della vigente legislazione
statale, rivestendo, a tal fine, la qualifica di Ufficiale di Polizia
Giudiziaria riferita ai Comandanti, Ufficiali e Ispettori di Polizia
Locale, a seguito di nomina da parte dell’Amministrazione di
appartenenza in riferimento al disposto dell’art. 55 del codice di
procedura penale, e di Agente di Polizia Giudiziaria, riferita agli
Assistenti-Istruttori e agli Agenti di Polizia Locale».
Tale disposizione, sebbene richiami la legislazione
statale vigente, violerebbe la competenza esclusiva dello Stato in tema
di giurisdizione penale, attribuita dall’art. 117, secondo comma,
lettera l), Cost., che riserva alla legge statale la materia
«giurisdizione e norme processuali; ordinamento civile e penale». Come
chiarito, infatti, da questa Corte costituzionale con la sentenza n. 313
del 2003, la polizia giudiziaria – la quale opera, di propria
iniziativa o per disposizione o delega dell’autorità giudiziaria, ai
fini dell’applicazione della legge penale – rientra nell’ambito della
materia dianzi indicata: con la conseguenza che la legge regionale non
sarebbe competente a disporre il riconoscimento della qualifica di
ufficiale o agente di polizia giudiziaria, a prescindere dalla
conformità o dalla difformità alla legge dello Stato, trattandosi di
disciplina demandata esclusivamente a questa legge.
2. – La seconda censura concerne l’art. 4, commi 2,
lettera q), e 4, della legge regionale, nella parte in cui prevede che
possano essere raggiunte intese di collaborazione nell’attività di
pubblica sicurezza tra le amministrazioni locali, anche al di fuori dei
rispettivi territori di appartenenza, inviandone comunicazione al
prefetto solo nel caso in cui riguardino personale avente la qualità di
agente in servizio armato.
Secondo il ricorrente, detta norma violerebbe la
competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di ordine
pubblico e sicurezza, prevista dall’art. 117, secondo comma, lettera h),
Cost., e si porrebbe, altresì, in contrasto con la legge statale n. 65
del 1986, che, all’art. 5, comma 1, lettera c), definisce «ausiliarie»
le funzioni di pubblica sicurezza della polizia locale ai sensi
dell’art. 3 della medesima legge, secondo il quale gli addetti al
servizio di polizia municipale collaborano, «nell’ambito delle proprie
attribuzioni, con le Forze di polizia dello Stato, previa disposizione
del sindaco, quando ne venga fatta, per specifiche operazioni, motivata
richiesta dalle competenti autorità».
Al riguardo, è richiamata la distinzione tra la «polizia
di sicurezza», la cui disciplina legislativa forma oggetto di riserva a
favore dello Stato in base al citato precetto costituzionale, e la
«polizia amministrativa locale», esplicitamente sottratta alla predetta
competenza esclusiva. Alla luce della definizione fornita dal comma 2
dell’art. 159 del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni
e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali,
in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59), la polizia
di sicurezza concerne, in particolare, «le misure preventive e
repressive dirette al mantenimento dell’ordine pubblico, inteso come il
complesso dei beni giuridici fondamentali e degli interessi pubblici
primari sui quali si regge l’ordinata e civile convivenza nella comunità
nazionale, nonché alla sicurezza delle istituzioni, dei cittadini e dei
loro beni».
Per converso, i compiti di polizia amministrativa locale
attengono – come puntualizzato dalla giurisprudenza costituzionale –
alle «attività di prevenzione o di repressione dirette a evitare danni o
pregiudizi che possono essere arrecati alle persone o alle cose nello
svolgimento delle materie sulle quali si esercitano le competenze
regionali […], senza che ne risultino lesi o messi in pericolo i beni o
gli interessi tutelati in nome dell’ordine pubblico». In altri termini,
la rilevanza dei compiti di polizia amministrativa dovrebbe
necessariamente esaurirsi all’interno delle attribuzioni regionali,
senza poter toccare quegli interessi di fondamentale importanza per
l’ordinamento complessivo, che è compito dello Stato curare.
Se i criteri distintivi appena enunciati valgono per la
delimitazione «per attribuzioni» della competenza legislativa regionale,
ad analoga conclusione dovrebbe pervenirsi – a parere del ricorrente –
«anche in relazione alla delimitazione “territoriale” della competenza
legislativa regionale, in quanto la possibilità di raggiungere intese
con altri enti locali, per tutelare la sicurezza pubblica anche al di
fuori del territorio regionale, si tradurrebbe in una indebita invasione
della competenza legislativa statale che, per definizione, riguarda
l’intero territorio nazionale».
3. – Forma, altresì, oggetto di impugnazione l’art. 11,
comma 1, lettera d), della legge della Regione Basilicata n. 41 del
2009, il quale prevede – quale requisito ulteriore, rispetto a quelli
stabiliti dalla vigente legislazione statale, ai fini dell’ammissione ai
concorsi per posti di polizia locale – che il candidato non debba
«essere in possesso dello status di obiettore di coscienza».
Ad avviso del ricorrente, tale previsione si porrebbe in
contrasto con l’art. 1 della legge 23 agosto 2004, n. 226 (Sospensione
anticipata del servizio obbligatorio di leva e disciplina dei volontari
di truppa in ferma prefissata, nonché delega al Governo per il
conseguente coordinamento con la normativa di settore), che sospende, a
decorrere dal 1° gennaio 2005, le chiamate per lo svolgimento del
servizio di leva, ledendo nuovamente, con ciò, la competenza esclusiva
statale in materia di ordine pubblico e sicurezza (art. 117, secondo
comma, lettera h, Cost.).
La disposizione censurata sarebbe, in effetti,
incoerente con la sospensione del servizio di leva, giacché lo «status
di obiettore di coscienza» assumerebbe rilevanza solo in presenza di una
chiamata alle armi obbligatoria.
Osserva, inoltre, l’Avvocatura dello Stato che l’art.
11, comma 1, della legge regionale introduce il censurato requisito
negativo per l’ammissione ai concorsi per posti di polizia locale
insieme ad «altri specifici requisiti», i quali non sarebbero, in
realtà, affatto «specifici», corrispondendo a quelli, di ordine
generale, previsti dall’art. 5, comma 2, della legge n. 65 del 1986;
laddove, al contrario, il solo requisito di cui alla lettera d) esula
totalmente dalle previsioni della legge statale.
4. – Parimenti lesivi dell’art. 117, secondo comma,
lettera h), Cost. risulterebbero gli artt. 19, con l’allegato A, 20, 21,
con l’allegato E, e 22, con l’allegato D, della legge regionale
censurata.
Nel definire le caratteristiche delle uniformi degli
addetti alla polizia locale, le richiamate disposizioni prevedrebbero,
infatti, colori, forme, mostreggiature e gradi somiglianti a quelli
delle uniformi in uso alla polizia di Stato: ciò, in contrasto con
quanto stabilito dall’art. 6 della legge n. 65 del 1986, secondo cui le
divise della polizia municipale devono essere tali da escludere la
«stretta somiglianza» con quelle delle Forze di polizia e delle Forze
armate dello Stato.
5. – Infine, secondo la Presidenza del Consiglio dei
ministri, l’art. 26 della legge regionale violerebbe l’art. 117, primo
comma, Cost., che impone alle Regioni l’osservanza dei vincoli derivanti
dall’ordinamento comunitario.
La norma impugnata, infatti, prevedendo l’istituzione di
un numero telefonico unico regionale (a tre o quattro cifre) per la
polizia locale, si porrebbe in contrasto con la direttiva 2002/22/CE,
relativa al servizio universale e ai diritti degli utenti in materia di
reti e di servizi di comunicazione elettronica (direttiva servizio
universale), che ha imposto agli Stati membri di istituire il numero
unico di emergenza «112», al fine di garantire ai cittadini adeguata
risposta alle chiamate di emergenza attraverso un sistema di gestione
unificato delle telefonate.
Nel recepire la direttiva, il d.lgs. 1° agosto 2003, n.
259 (Codice delle comunicazioni elettroniche a livello statale) ha
stabilito, all’art. 76, che il Ministero provvede affinché, oltre ad
altri eventuali numeri di emergenza nazionali, indicati nel piano
nazionale di numerazione, gli utenti finali di servizi telefonici
accessibili al pubblico possano chiamare gratuitamente i servizi di
soccorso, digitando, per l’appunto, il numero di emergenza unico europeo
«112». Ai sensi del medesimo art. 76, inoltre, i numeri di emergenza
nazionali sono, innanzitutto, stabiliti con decreto del Presidente del
Consiglio dei ministri, sentita, in merito alla disponibilità dei
numeri, l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni – quale «autorità
nazionale di regolamentazione» cui si riferisce la direttiva
comunitaria – e sono, quindi, recepiti dall’Autorità nel piano nazionale
di numerazione.
Tutto ciò, allo scopo di garantire la certezza circa il
numero o i numeri di emergenza cui fare riferimento ed evitare il
rischio di sovrapposizioni.
6. – Il 23 novembre 2010, l’Avvocatura generale dello
Stato ha depositato, nell’interesse del Presidente del Consiglio dei
ministri, una memoria illustrativa, insistendo per la dichiarazione di
illegittimità costituzionale delle disposizioni censurate.
In particolare, ha richiamato la sentenza n. 167 del
2010, intervenuta nelle more del giudizio, con cui è stata dichiarata
l’illegittimità costituzionale di alcune disposizioni della legge della
Regione Friuli Venezia Giulia 29 aprile 2009, n. 9 (Disposizioni in
materia di politiche di sicurezza e ordinamento della polizia locale):
il cui contenuto risulterebbe – secondo il ricorrente – in larga misura
sovrapponibile a quello delle norme oggetto dell’odierno scrutinio.
Il rilievo varrebbe, in specie, per l’art. 15, comma 1,
della citata legge friulana, il quale – in modo analogo all’art. 4,
comma 2, lettera c), della legge reg. Basilicata n. 41 del 2009 –
attribuisce agli addetti alla polizia locale la qualifica di agenti e
ufficiali di polizia giudiziaria. Nel dichiarare l’incostituzionalità
della norma in riferimento al medesimo parametro oggi invocato (l’art.
117, secondo comma, lettera l, Cost.), la citata sentenza n. 167 del
2010 ha affermato che tale attribuzione deve ritenersi invasiva della
sfera di competenza esclusiva statale in materia di giurisdizione
penale, senza che rilevi, in senso contrario, l’esistenza di norme
statali (quale, in particolare, l’art. 5 della legge n. 65 del 1986) che
già riconoscono la qualifica di ufficiale o agente di polizia
giudiziaria al personale della polizia locale.
La medesima sentenza ha dichiarato, inoltre,
l’incostituzionalità – per violazione dell’art. 117, secondo comma,
lettera h), Cost. – dell’art. 8, comma 6, della legge friulana, recante
una previsione assai simile, secondo l’Avvocatura dello Stato, a quella
dell’impugnato art. 4, comma 2, lettera q), della legge reg. Basilicata
n. 41 del 2009 («nell’esercizio delle funzioni di pubblica sicurezza
previste dalla normativa statale, la polizia locale assume il presidio
del territorio tra i suoi compiti primari, al fine di garantire, in
concorso con le forze di polizia dello Stato, la sicurezza urbana negli
ambiti territoriali di riferimento»).
Nell’occasione, la Corte – dopo avere ribadito i propri
orientamenti in ordine alle nozione di ordine pubblico e sicurezza – ha
rilevato che, «quanto alla necessità di una collaborazione fra forze di
polizia municipale e forze di polizia di Stato, l’art. 118, terzo comma,
Cost. ha provveduto espressamente a demandare alla legge statale il
compito di disciplinare eventuali forme di coordinamento nella materia
dell’ordine pubblico e della sicurezza»; concludendo, quindi, che la
norma regionale in questione, «disciplinando non solo modalità di
esercizio delle funzioni di pubblica sicurezza da parte della polizia
locale, ma anche le forme della collaborazione con le forze della
polizia dello Stato», violava la competenza legislativa esclusiva dello
Stato prevista dall’art. 117, secondo comma, lettera h), Cost.
Ad avviso del ricorrente, tale iter argomentativo
sarebbe estensibile anche alla questione avente ad oggetto la norma
della Regione Basilicata che qui interessa, concernente le intese di
collaborazione nelle attività di pubblica sicurezza tra reparti di
polizia locale di diversi comuni. Ciò troverebbe, del resto, conferma,
«a contrario», in quanto affermato, nell’ambito della medesima citata
sentenza, in relazione allo «sviluppo di politiche di sicurezza
transfrontaliere», essendo stato al riguardo ulteriormente ribadito che
solo «nelle materie di sua competenza la Regione può concludere accordi
con Stati e intese con enti territoriali interni ad altro Stato, nei
casi e nelle forme disciplinati da leggi dello Stato (sentenza n. 238
del 2004)».
Nel caso di specie, sarebbe quindi evidente che l’art.
4, comma 2, lettera q), della legge regionale in esame, stabilendo che
le amministrazioni locali possono raggiungere intese di collaborazione
nell’attività di pubblica sicurezza, anche al di fuori dei rispettivi
territori di appartenenza, esorbiti dal limite delle competenze
regionali fissato dal parametro costituzionale invocato.
Considerato in diritto
1. – Il Presidente del Consiglio dei ministri ha
sollevato questioni di legittimità costituzionale in via principale di
plurime disposizioni della legge della Regione Basilicata 29 dicembre
2009, n. 41 (Polizia locale e politiche di sicurezza urbana) – recante
norme in materia di polizia locale e politiche di sicurezza urbana «in
armonia con i principi stabiliti dalla legge 7 marzo 1986, n. 65» (Legge
quadro sull’ordinamento della polizia locale) – deducendo la violazione
dell’art. 117, primo e secondo comma, lettere h) ed l), della
Costituzione.
2. – Il ricorrente censura, in primo luogo, l’art. 4,
comma 2, lettera c), della citata legge lucana, ove si prevede che gli
appartenenti alla polizia locale dei Comuni e delle Province esercitano
«funzioni di polizia giudiziaria secondo le disposizioni della vigente
legislazione statale, rivestendo, a tal fine, la qualifica di Ufficiale
di Polizia Giudiziaria riferita ai Comandanti, Ufficiali e Ispettori di
Polizia Locale, a seguito di nomina da parte dell’Amministrazione di
appartenenza in riferimento al disposto dell’art. 55 del codice di
procedura penale, e di Agente di Polizia Giudiziaria, riferita agli
Assistenti-Istruttori e agli Agenti di Polizia Locale».
Ad avviso del Presidente del Consiglio dei ministri, la
norma esorbiterebbe dall’ambito delle competenze legislative regionali,
disponendo nella materia «giurisdizione penale», demandata alla
competenza legislativa esclusiva statale dall’art. 117, secondo comma,
lettera l), Cost.
La questione è fondata.
Questa Corte ha già affermato in più occasioni che,
«quanto alla polizia giudiziaria che, a norma dell’art. 55 del codice di
procedura penale, opera, di propria iniziativa e per disposizione o
delega dell’Autorità giudiziaria, ai fini dell’applicazione della legge
penale, l’esclusione della competenza regionale risulta dalla competenza
esclusiva dello Stato in materia di giurisdizione penale disposta dalla
lettera l) del secondo comma dell’art. 117 della Costituzione»
(sentenza n. 313 del 2003; nello stesso senso, sentenza n. 167 del
2010).
D’altro canto, il vigente codice di procedura penale ha
configurato la polizia giudiziaria come soggetto ausiliario di uno dei
soggetti del rapporto triadico in cui si esprime la funzione
giurisdizionale (il pubblico ministero).
Ne consegue che va ritenuta costituzionalmente
illegittima una norma regionale che – al pari di quella oggi impugnata –
provveda ad attribuire al personale della polizia locale la qualifica
di ufficiale o agente di polizia giudiziaria, trattandosi di compito
riservato in via esclusiva alla legislazione statale (sentenze n. 167
del 2010 e n. 313 del 2003 cit.).
Né il richiamo, contenuto nella legge regionale, alla
legge statale (e, comunque, la conformità della prima alla seconda) vale
ad emendare il vizio denunciato. Il problema qui in discussione,
infatti, «non è di stabilire se la legislazione regionale sia o non sia
conforme a quella statale, ma, ancor prima, se sia competente o meno a
disporre il riconoscimento» delle qualifiche di cui si tratta,
«indipendentemente dalla conformità o dalla difformità rispetto alla
legge dello Stato» (sentenza n. 313 del 2003; in senso analogo, sentenza
n. 167 del 2010). La giurisprudenza di questa Corte è, del resto,
costante nell’affermare che «la novazione della fonte con intrusione
negli ambiti di competenza esclusiva statale costituisce causa di
illegittimità della norma» regionale (ex plurimis, sentenze n. 167 del
2010 e n. 26 del 2005).
3. – Il ricorrente impugna, in secondo luogo, l’art. 4,
commi 2, lettera q), e 4, della legge della Regione Basilicata n. 41 del
2009, nella parte in cui prevede che possano essere raggiunte intese di
collaborazione nell’attività di pubblica sicurezza tra le
amministrazioni locali, anche al di fuori dei rispettivi territori di
appartenenza, inviandone comunicazione al prefetto solo nel caso in cui
riguardino personale avente la qualità di agente in servizio armato.
La previsione normativa censurata violerebbe la
competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di ordine
pubblico e sicurezza, prevista dall’art. 117, secondo comma, lettera h),
Cost., ponendosi, altresì, in contrasto con la legge statale n. 65 del
1986: legge che – dopo aver stabilito che gli addetti al servizio di
polizia municipale collaborano, «nell’ambito delle proprie attribuzioni,
con le Forze di polizia dello Stato, previa disposizione del sindaco,
quando ne venga fatta, per specifiche operazioni, motivata richiesta
dalle competenti autorità» (art. 3) – qualifica come «ausiliarie» le
funzioni di pubblica sicurezza esercitate dal suddetto personale (art.
5, comma 1, lettera c).
Anche tale questione è fondata.
L’art. 4, comma 1, lettera q), della legge regionale,
nella parte oggetto di censura, consente agli appartenenti alla polizia
locale dei Comuni e delle Province di esercitare «attività di concorso
alla tutela della sicurezza pubblica», anche al di fuori del «rispettivo
territorio di competenza», sulla base di intese tra le amministrazioni
interessate; con la precisazione che le «intese di collaborazione tra
reparti di diversi Comuni» possono essere raggiunte «solamente previo
parere favorevole del Comandante del Corpo o Servizio, inviando
comunicazione al Prefetto allorquando riguardino personale avente
qualità di agente di pubblica sicurezza in servizio armato».
La descrizione dell’attività oggetto delle intese è
fornita dal successivo comma 4 del medesimo art. 4 – cui la citata
lettera q) del comma 2 rinvia – ai sensi del quale la polizia locale è
chiamata a esercitare, «nei limiti previsti dalle deliberazioni dei
comitati provinciali per l’ordine pubblico e la sicurezza pubblica,
funzioni di tutela della sicurezza urbana, intesa come necessario
presupposto dello sviluppo economico e sociale e della salvaguardia
della vita delle persone residenti nel territorio, perseguita attraverso
la coniugazione delle attività di prevenzione, mediazione dei
conflitti, controllo e repressione».
In questa prospettiva – come attestano, da un lato, la
stessa qualificazione dell’attività come di «concorso alla tutela della
sicurezza pubblica» e, dall’altro, i riferimenti alla «salvaguardia
della vita delle persone» tramite interventi di prevenzione e
repressione – la regolamentazione delle «intese di collaborazione»
oggetto di censura viene a collocarsi nell’ambito della materia «ordine
pubblico e sicurezza», di competenza legislativa esclusiva statale:
materia che, per consolidata giurisprudenza di questa Corte, attiene
«alla prevenzione dei reati e al mantenimento dell’ordine pubblico»,
inteso quest’ultimo quale «complesso dei beni giuridici fondamentali e
degli interessi pubblici primari sui quali si regge l’ordinata e civile
convivenza nella comunità nazionale» (ex plurimis, sentenza n. 129 del
2009 e – in rapporto a fattispecie nelle quali veniva specificamente in
rilievo il concetto di «sicurezza urbana» – sentenze n. 274 e n. 226 del
2010, n. 196 del 2009). Donde la sussistenza della violazione
denunciata.
Va, quindi, dichiarata l’illegittimità costituzionale
dell’art. 4, commi 2, lettera q), e 4, della legge della Regione
Basilicata n. 41 del 2009, nella parte in cui prevede che possano essere
raggiunte intese di collaborazione nell’attività di pubblica sicurezza
tra le amministrazioni locali, anche al di fuori dei rispettivi
territori di appartenenza, inviandone comunicazione al prefetto solo nel
caso in cui riguardino personale avente la qualità di agente in
servizio armato.
4. – Secondo il ricorrente, anche l’art. 11, comma 1,
lettera d), della legge regionale censurata invaderebbe l’ambito della
potestà legislativa statale esclusiva in materia di ordine pubblico e
sicurezza, definito dall’art. 117, secondo comma, lettera h), Cost.
Nel prevedere – quale requisito ulteriore, rispetto a
quelli stabiliti dalla vigente legislazione statale, ai fini
dell’ammissione ai concorsi per posti di polizia locale – che il
candidato non debba «essere in possesso dello status di obiettore di
coscienza», la menzionata disposizione si porrebbe, difatti, in
contrasto con l’art. 1 della legge 23 agosto 2004, n. 226 (Sospensione
anticipata del servizio obbligatorio di leva e disciplina dei volontari
di truppa in ferma prefissata, nonché delega al Governo per il
conseguente coordinamento con la normativa di settore), che sospende le
chiamate per lo svolgimento del servizio di leva a decorrere dal 1°
gennaio 2005. Ciò, in quanto lo «status» di obiettore di coscienza
potrebbe assumere rilevanza solo in presenza di una chiamata alle armi
obbligatoria.
La questione è inammissibile.
Il Presidente del Consiglio dei ministri, infatti, pur
deducendo la violazione di una competenza legislativa statale esclusiva –
e, dunque, l’inesistenza di qualsiasi competenza regionale nella
materia considerata – ravvisa contraddittoriamente la violazione della
riserva statale solo nell’asserita incompatibilità della norma
denunciata con la disciplina dettata dalla legge n. 226 del 2004 (ciò, a
differenza di quanto avviene in rapporto alla questione precedentemente
esaminata, rispetto alla quale la normativa statale risulta evocata,
nella sostanza, solo al fine di dare conto del modo in cui la
rivendicata potestà esclusiva è stata esercitata). Ne discende
l’inammissibilità della questione, «non potendo coesistere – se non in
un rapporto di subordinazione, non dedotto nel ricorso – una censura
attinente sia all’an, sia al quomodo dell’esercizio della potestà
regionale» (sentenza n. 391 del 2006).
A ciò va aggiunto che il parametro evocato è palesemente
inconferente, giacché il requisito dell’assenza dello «status» di
obiettore di coscienza, considerato nel contesto della disciplina in
esame, incide sull’accesso a un pubblico concorso volto al reclutamento
di personale che svolge funzioni di polizia amministrativa locale:
dunque, su un ambito certamente estraneo alla materia «ordine pubblico e
sicurezza», quale intesa dalla giurisprudenza costituzionale dianzi
richiamata.
5. – Una ulteriore censura investe gli artt. 19, con
l’allegato A, 20, 21, con l’allegato E, e 22, con l’allegato D, della
legge regionale.
Ad avviso del ricorrente, le norme impugnate – nel
definire le caratteristiche delle uniformi degli addetti alla polizia
locale – avrebbero adottato colori, forme, mostreggiature e gradi
somiglianti a quelli in uso alla polizia di Stato: ciò, in contrasto con
quanto stabilito dall’art. 6 della legge statale n. 65 del 1986, ai
sensi del quale le uniformi della polizia locale devono essere tali da
escludere la «stretta somiglianza» con quelle delle Forze di polizia e
delle Forze armate dello Stato. Per questo verso, le disposizioni
regionali tornerebbero a invadere la sfera della potestà legislativa
esclusiva statale prevista dall’art. 117, secondo comma, lettera h),
Cost.
Anche tale questione è inammissibile, per la contraddittorietà della sua prospettazione.
Il ricorrente abbina, difatti, nuovamente l’allegazione
dell’inesistenza della potestà legislativa regionale – insita nella
denunciata violazione di un titolo di competenza statale esclusiva – con
una censura che attiene, per converso, unicamente alle modalità con le
quali detta potestà è stata concretamente esercitata, tali da porre le
disposizioni impugnate in asserito contrasto con un precetto posto dalla
legge statale.
6. – Da ultimo, la Presidenza del Consiglio dei ministri
impugna l’art. 26 della legge regionale, il quale prevede che la
polizia locale «disporrà di un numero telefonico unico (a 3 o 4 cifre)
per il pronto intervento».
Secondo il ricorrente, la norma violerebbe l’art. 117,
primo comma, Cost., ponendosi in contrasto con la direttiva 2002/22/CE,
recepita con d.lgs. 1° agosto 2003, n. 259 (Codice delle comunicazioni
elettroniche a livello statale), che ha imposto agli Stati membri di
istituire il numero unico di emergenza «112». La disposizione regionale
vanificherebbe, difatti, la finalità della direttiva comunitaria e,
conseguentemente, della normativa statale di recepimento: finalità che
consisterebbe nel «garantire la certezza per la cittadinanza in ordine
al numero o ai numeri di emergenza cui fare riferimento onde evitare il
rischio di sovrapposizioni».
La questione è infondata.
L’intento della richiamata direttiva è quello di fornire
ai cittadini il medesimo codice di accesso («112») ai servizi di
emergenza su tutto il territorio dell’Unione, eliminando le differenze
preesistenti relative ai numeri per le chiamate di emergenza. Detta
uniformità non implica, tuttavia, l’esclusione di ulteriori numeri di
emergenza nazionali o anche locali. Al contrario – analogamente a quanto
già stabilito dalla decisione 91/396/CEE del Consiglio, la quale aveva
introdotto il numero unico europeo «parallelamente a ogni altro numero
nazionale esistente per tali chiamate» (art. 1) – la citata direttiva
2002/22/CE consente espressamente agli Stati membri di prevedere
ulteriori numeri di emergenza nazionali (art. 26).
A conferma di ciò, nel recepire la direttiva, il d.lgs.
n. 259 del 2003, all’art. 76, ha ribadito la possibilità che siano
previsti numeri di emergenza nazionali e ha stabilito le modalità per la
loro determinazione.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 4,
comma 2, lettera c), della legge della Regione Basilicata 29 dicembre
2009, n. 41 (Polizia locale e politiche di sicurezza urbana);
2) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 4,
commi 2, lettera q), e 4, della legge della Regione Basilicata n. 41
del 2009, nella parte in cui prevede che possano essere raggiunte intese
di collaborazione nell’attività di pubblica sicurezza tra le
amministrazioni locali, anche al di fuori dei rispettivi territori di
appartenenza, inviandone comunicazione al prefetto solo nel caso in cui
riguardino personale avente la qualità di agente in servizio armato;
3) dichiara inammissibili le questioni di legittimità
costituzionale degli artt. 11, comma 1, lettera d), 19, con l’allegato
A, 20, 21, con l’allegato E, e 22, con l’allegato D, della legge della
Regione Basilicata n. 41 del 2009, sollevate dal Presidente del
Consiglio dei ministri, in riferimento all’art. 117, secondo comma,
lettera h), della Costituzione, con il ricorso indicato in epigrafe;
4) dichiara non fondata la questione di legittimità
costituzionale dell’art. 26 della legge della Regione Basilicata n. 41
del 2009, sollevata dal Presidente del Consiglio dei ministri, in
riferimento all’art. 117, primo comma, della Costituzione, con il
ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 febbraio 2011.
F.to:
Ugo DE SIERVO, Presidente
Giuseppe FRIGO, Redattore
Maria Rosaria FRUSCELLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 9 febbraio 2011.
Il Cancelliere
F.to: FRUSCELLA