" L’Amministrazione ha constatato - a seguito di un sopralluogo della Polizia municipale - che l’impatto che ne derivava sul transito di mezzi di soccorso ingombranti e sull’assetto dei luoghi nel centro storico della città era di lunga maggiore di quanto poteva prevedersi al momento del rilascio del titolo, sulla base della sommaria piantina allegata alla domanda. Per tale motivo ha revocato l’autorizzazione, adottando una determinazione non lesiva dell’affidamento del privato in quanto tempestiva ed evidentemente sollecita dell’interesse pubblico".
N. 01137/2012REG.PROV.COLL.
N. 05335/2005 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5335 del 2005, proposto da:
Immobiliare Carraia di Gori Fiora Anna Maria&C.Sas, rappresentato e difeso dall'avv. Mauro Giovannelli, con domicilio eletto presso Gian Marco Grez in Roma, corso Vittorio Emanuele II, 18;
Immobiliare Carraia di Gori Fiora Anna Maria&C.Sas, rappresentato e difeso dall'avv. Mauro Giovannelli, con domicilio eletto presso Gian Marco Grez in Roma, corso Vittorio Emanuele II, 18;
contro Comune
di Prato, rappresentato e difeso dagli avv. Giuseppe Stancanelli,
Alessandro Cecchi, con domicilio eletto presso Gian Marco Grez in Roma,
corso Vittorio Emanuele II, 18;
per la riforma della
sentenza del T.A.R. TOSCANA - FIRENZE: SEZIONE III n. 02285/2004, resa
tra le parti, concernente REVOCA AUTORIZZAZIONE ALL'OCCUPAZIONE DI UN
SUOLO PUBBLICO-RIS. DANNO
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore
nell'udienza pubblica del giorno 31 gennaio 2012 il Cons. Giuseppe
Castiglia e uditi per le parti gli avvocati Giuseppe Fimiani in
sostituzione di Mauro Giovannelli e Piero Narese in sostituzione di
Alessandro Cecchi;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con
sentenza 22 giugno 2004, n. 2285, il T.A.R. per la Toscana, Sez. III,
respingeva il ricorso presentato dalla Società Immobiliare Carraia
s.a.s. per ottenere l’annullamento del provvedimento con cui
l’Amministrazione del Comune di Prato aveva revocato l’autorizzazione
all’occupazione di suolo pubblico per l’installazione di un cantiere
edile, funzionale all’esecuzione di lavori di manutenzione straordinaria
e consolidamento statico di un edificio di proprietà della ricorrente,
nonché la condanna del Comune al risarcimento del danno asseritamente
sofferto, comprensivo del danno emergente e del lucro cessante.
La
Società proponeva appello deducendo, con unico complesso motivo, la
violazione di legge (in relazione agli artt. 112 e 115 c.p.c.; all’art.
27, quinto comma, del codice della strada; all’art. 20 del regolamento
comunale per le occupazioni di spazi e aree pubbliche; ai principi
generali della revoca degli atti amministrativi); l’omessa o errata
valutazione dei documenti prodotti agli atti di causa come pure l’omessa
valutazione delle motivazioni poste a fondamento del provvedimento
impugnato; la lesione del legittimo affidamento. In particolare
l’appellante sosteneva che, diversamente da quanto ritiene la sentenza
di primo grado, l’Amministrazione comunale avrebbe potuto accertare la
consistenza e l’impatto sulla visibilità del cantiere prima della
completa installazione; cedendo alle proteste e alle pressioni di alcuni
commercianti l’Amministrazione - senza comparare adeguatamente gli
interessi in gioco né valutare con l’appellante, prima della revoca, la
possibilità di soluzione alternative, e inoltre operando in contrasto
con i comportamenti tenuti, sia precedentemente che successivamente, in
relazione ad analoghe richieste provenienti dallo stesso e da altri
soggetti - avrebbe disposto la revoca impugnata pur nella insussistenza
di effettive ragioni di pubblico interesse in tal senso. L’appellante
insisteva anche sulla domanda di risarcimento del danno, rappresentato
dalla lievitazione dei costi e dal ritardo nella ultimazione dei lavori
di ristrutturazione.
Il Comune di Prato si
costituiva in giudizio per resistere all’appello. Oltre a contrastarne
le ragioni nel merito, formulava una eccezione di inammissibilità.
Contestava infine l’effettiva sussistenza in capo all’appellante di un
danno, del quale comunque mancherebbe del tutto la prova.
Seguivano
note di replica delle parti. Oltre a ribadire gli argomenti già
proposti, la società appellante si doleva della mancata previsione di un
indennizzo contestuale al provvedimento impugnato (memoria del 22
dicembre 2011) e della mancata comunicazione dell’avvio del procedimento
di revoca (memoria del 5 gennaio 2012). La difesa del Comune riteneva
tali censure inammissibili, in quanto non dedotte in primo grado.
All’udienza pubblica del 31 dicembre 2012 l’appello veniva chiamato e trattenuto in decisione.
DIRITTO
1. L’appello è infondato e va perciò respinto.
2. Occorre darsi carico, in via pregiudiziale, della eccezione di inammissibilità formulata dal Comune di Prato.
In
quanto l’autorizzazione all’occupazione di suolo pubblico e la
successiva revoca sono stata disposte nei confronti della I.C.R.E.
s.r.l. (impresa esecutrice dei lavori per conto della Immobiliare
Carraia) e dunque di un soggetto diverso dalla Società appellante,
quest’ultima, nella fattispecie, sarebbe titolare di un interesse di
puro fatto. Ciò la legittimerebbe semmai a intervenire nell’eventuale
giudizio promosso dalla stessa I.C.R.E. e non a proporre autonomamente
il ricorso, che sarebbe inammissibile perché proveniente da un soggetto
privo della relativa legittimazione attiva.
In
questi termini l’eccezione è essa stessa inammissibile, perché avanzata
per la prima volta in questo grado di appello. In disparte la questione
se l’art. 104 c.p.a. sia applicabile, in quanto tale, anche agli appelli
proposti anteriormente all’entrata in vigore del nuovo codice di rito, è
insuperabile la considerazione che tale disposizione non fa altro che
esplicitare il principio generale del divieto di nuove domande ed
eccezioni in appello; principio che, anche in forza dell’art. 345
c.p.c., doveva ritenersi valere nel processo amministrativo
indipendentemente dal sopravvenire dello specifico codice di rito.
Peraltro,
nella misura in cui l’eccezione si risolve nella questione del se,
nella concreta vicenda, sussista in capo alla Società appellante un
interesse meritevole di tutela, essa si converte in una questione di
merito, alla quale sono dedicate le note che seguono.
3.
Nel merito, la disposizione legislativa cui si deve fare riferimento è
quella dell’art. 27, comma 5, del codice della strada (decreto
legislativo 30 aprile 1992, n. 285), secondo cui l’autorità competente
può revocare o modificare in qualunque momento i provvedimenti di
autorizzazione o concessione relativi alle strade e alle aree pubbliche
per sopravvenuti motivi di pubblico interesse o di sicurezza stradale.
Dal canto suo, l’art. 20 del regolamento del Comune di Prato, vigente
all’epoca dei fatti, disponeva che “la concessione o l’autorizzazione di
occupazione di suolo pubblico è sempre revocabile per comprovati motivi
di pubblico interesse”. Il provvedimento amministrativo impugnato in
primo grado ne prevedeva la revocabilità della concessione “su semplice
notifica per esigenze di pubblico interesse”.
Il
quesito preliminare che allora si pone è se - in relazione al quadro
normativo allora in vigore - la revoca di un provvedimento di
autorizzazione o concessione del suolo pubblico fosse legittima solo a
fronte di un mutamento nell’interesse pubblico o anche a seguito di una
diversa valutazione dell’interesse pubblico esistente al momento del
rilascio.
La correttezza della seconda opzione
deriva dalla natura stessa della discrezionalità amministrativa, intesa
come ponderazione ragionevole del complesso degli interessi complessivi -
pubblici e privati - compresenti in una determinata situazione (Cons.
Stato, V Sez., 11 luglio 2001, n. 3853 – citato anche dalla sentenza
appellata – richiama opportunamente il principio costituzionale del buon
andamento della P.A.).
Davvero non sarebbe
comprensibile – e apparirebbe anzi contrario alla esigenza di cura
dell’interesse pubblico – ritenere che l’Amministrazione, una volta
concesso o autorizzato un determinato uso del suolo pubblico, rimanga
rigidamente vincolata al proprio provvedimento senza poter poi procedere
ad una nuova valutazione degli interessi in gioco, tale da convincerla a
modificare o revocare il provvedimento già adottato (salva la
possibilità di una eventuale compensazione per il destinatario degli
atti). Sotto tale profilo l’art. 21 quinquies della legge 7 agosto 1990,
n. 241 – di per sé non applicabile alla vicenda, in quanto introdotto
nel 2005 – nella misura in cui consente la revoca anche a seguito di una
nuova valutazione dell’interesse pubblico originario, non innova la
disciplina precedente, ma si limita a esplicitare una regola che doveva
supporsi già esistente sulla scorta di una interpretazione razionale
della normativa in vigore.
4. E’ ovvio, peraltro,
che la legittimità della revoca in ragione di un diverso apprezzamento
dell’interesse pubblico preesistente è condizionata alla congruenza
della motivazione addotta dall’Amministrazione a base del nuovo
provvedimento. E a ben vedere proprio nei riguardi della motivazione –
del provvedimento di revoca prima, e della sentenza di primo grado poi –
si rivolgono particolarmente le censure della parte privata.
Riassunta
in questi termini, la questione è piuttosto semplice. Una volta avviata
l’installazione del cantiere, l’Amministrazione ha constatato - a
seguito di un sopralluogo della Polizia municipale - che l’impatto che
ne derivava sul transito di mezzi di soccorso ingombranti e sull’assetto
dei luoghi nel centro storico della città era di lunga maggiore di
quanto poteva prevedersi al momento del rilascio del titolo, sulla base
della sommaria piantina allegata alla domanda. Per tale motivo ha
revocato l’autorizzazione, adottando una determinazione non lesiva
dell’affidamento del privato in quanto tempestiva (l’autorizzazione è
del 22 giugno 1999; la revoca del 9 luglio successivo) ed evidentemente
sollecita dell’interesse pubblico.
Sotto il profilo
della legittimità, non ha rilievo l’esistenza nella medesima via di
altri cantieri - su cui insiste la Società appellante - perché non è
dimostrato che essi avessero il medesimo impatto sui luoghi di quello
di cui è causa. La circostanza poi che alcune delle relative
autorizzazioni fossero state accordate proprio in favore della stessa
Immobiliare Carraia, lungi dal rappresentare un elemento significativo
per le ragioni dell’impugnazione, dimostra semmai solo l’inesistenza, in
capo all’Amministrazione comunale, di qualunque discriminazione
preconcetta ai danni della medesima Società.
Del
pari è irrilevante che la revoca sia stata adottata anche sulla scorta
della segnalazione dei commercianti della zona perché, pure a
prescindere dal fatto che esiste un interesse pubblico al normale
svolgimento del commercio, la circostanza segnalata non è di per sé
indice di un uso sviato del potere pubblico da parte del Comune; il
quale peraltro si è adoperato, seppure con modalità le cui scansioni
temporali sono controverse, per trovare con la parte privata un
accomodamento soddisfacente.
6. La censura di
omessa comunicazione dell’avvio del procedimento, ex art. 7 della legge 7
agosto 1990, n. 241, è inammissibile in quanto tardiva. Nel merito,
peraltro, il provvedimento impugnato in primo grado motiva correttamente
in relazione alla esigenza di procedere quanto prima alla rimozione
della struttura.
7. Egualmente è inammissibile in
questa sede la richiesta di un indennizzo a favore della Società
appellante. In linea generale, la possibilità di un indennizzo a seguito
di revoca, in vicende come quelle di cui è causa, è esclusa dall’art.
27 del codice della strada, riconosciuta dell’art. 21 quinquies della
citata legge n. 241 del 1990, peraltro sopravvenuta. E’ in ogni caso
assorbente la considerazione che la domanda relativa non è stata
proposta in primo grado ed è dunque nuova. Né può valere in contrario la
considerazione che la Società appellante aveva avanzato in origine
domanda di risarcimento del danno: risarcimento del danno e indennizzo
sono infatti istituti giuridici diversi, essendo correlato l’uno a un
fatto illecito (la sussistenza del quale qui si deve escludere, attesa
la legittimità del comportamento dell’Amministrazione), l’altro a un
c.d. fatto lecito dannoso. E’ dunque escluso che la domanda di
risarcimento implichi in sé quella di indennizzo; ne segue che la
domanda di indennizzo, formulata per la prima volta in appello, è
inammissibile.
8. Dalle considerazioni che precedono discende che l’appello non è fondato e che la sentenza impugnata merita conferma.
Sussistono peraltro giustificate ragioni per compensare tra le parti le spese di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
definitivamente
pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e,
per l'effetto, conferma l’impugnata sentenza.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 31 gennaio 2012 con l'intervento dei magistrati:
Giorgio Giaccardi, Presidente
Sergio De Felice, Consigliere
Raffaele Potenza, Consigliere
Andrea Migliozzi, Consigliere
Giuseppe Castiglia, Consigliere, Estensore
L'ESTENSORE | IL PRESIDENTE | |
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 28/02/2012
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)