CORTE COSTITUZIONALE
SENTENZA N. 58
ANNO 2012
SENTENZA N. 58
ANNO 2012
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Presidente: Alfonso QUARANTA; Giudici : Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Sergio MATTARELLA, Mario Rosario MORELLI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo 335 del codice penale, promosso dal Tribunale di Nola in composizione monocratica nel procedimento penale a carico di S.I., con ordinanza del 1° giugno 2011, iscritta al n. 212 del registro ordinanze 2011 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 44, prima serie speciale, dell’anno 2011.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 15 febbraio 2012 il Giudice relatore Giorgio Lattanzi.
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Presidente: Alfonso QUARANTA; Giudici : Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Sergio MATTARELLA, Mario Rosario MORELLI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo 335 del codice penale, promosso dal Tribunale di Nola in composizione monocratica nel procedimento penale a carico di S.I., con ordinanza del 1° giugno 2011, iscritta al n. 212 del registro ordinanze 2011 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 44, prima serie speciale, dell’anno 2011.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 15 febbraio 2012 il Giudice relatore Giorgio Lattanzi.
Ritenuto in fatto
1.– Il Tribunale di Nola in composizione monocratica, con ordinanza emessa il 1° giugno 2011 (r.o. n. 212 del 2011), ha sollevato, in riferimento all’articolo 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’articolo 335 del codice penale «limitatamente ai casi in cui punisce penalmente la colposa agevolazione della sottrazione da parte di un custode che, se avesse compiuto dolosamente e direttamente la medesima sottrazione, non sarebbe andato incontro ad alcuna sanzione penale per avvenuta depenalizzazione della relativa condotta».
Il giudice a quo premette di essere investito del procedimento penale a carico di una persona imputata del delitto di cui all’art. 335 cod. pen. perché non avrebbe esercitato la dovuta diligenza per evitare la sottrazione di un’autovettura di cui, in seguito a un sequestro amministrativo, era stata nominata custode. Gli agenti della Polizia di Stato – prosegue il rimettente – avevano notato l’autovettura che ostruiva una strada e, dai controlli effettuati, era emerso che la stessa risultava sottoposta a sequestro amministrativo, con affidamento in custodia all’imputato. Poco dopo, si era presentata presso l’ufficio di polizia la sorella, che aveva riferito di avere dovuto utilizzare l’autovettura di proprietà del fratello per gravi motivi familiari.
Il tribunale rimettente ricostruisce i diversi orientamenti della giurisprudenza della Corte di cassazione delineatisi fino alla sentenza delle sezioni unite del 28 ottobre 2010 (depositata il 21 gennaio 2011), n. 1963, secondo cui la condotta di chi circola abusivamente con il veicolo
sottoposto a sequestro amministrativo, ai sensi dell’art. 213 del nuovo codice della strada (decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, come modificato dall’art. 19 del decreto legislativo 30 dicembre 1999, n. 507), integra esclusivamente l’illecito amministrativo previsto dal quarto comma dello stesso articolo e non anche il delitto di sottrazione di cose sottoposte a sequestro previsto dall’art. 334 cod. pen., in quanto la prima norma ha carattere di specialità rispetto alla seconda, ai sensi dell’art. 9 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale).
La pronuncia delle sezioni unite della Corte di cassazione non vale, secondo il giudice a quo, a far ritenere depenalizzata anche la condotta punita dall’art. 335 cod. pen., perché, nel caso di circolazione di un veicolo oggetto di un sequestro amministrativo, l’esclusione dell’applicabilità dell’art. 334 cod. pen. deriva solo dal «concorso prevalente di una norma speciale che, sanzionando amministrativamente l’identica condotta della “circolazione-sottrazione”, sterilizza l’efficacia applicativa della norma incriminatrice», laddove analoga norma non esiste per l’ipotesi di agevolazione colposa della sottrazione. Inoltre, osserva ancora il rimettente, l’art. 335 cod. pen. delinea «una figura di reato non concorsuale, ma speciale ed autonoma, che, per la sua struttura (…) è capace di assoggettare a sanzione penale anche il custode che agevoli una sottrazione non rilevante ex art. 334 cod. pen.». Gli artt. 334 e 335 cod. pen., insomma, «viaggiano su due binari (talvolta) distinti. E se spesso l’art. 335 cod. pen. finisce per punire il concorso colposo (del custode) in un fatto doloso (del proprietario), suscettibile quest’ultimo di essere ricondotto all’art. 334 cod. pen., nulla toglie che l’incriminazione possa prescindere da una specifica rilevanza penale del fatto agevolato, per incentrare il disvalore sanzionato sulla sola omessa diligenza imputabile al custode».
Secondo il giudice a quo, quindi, «l’aver depenalizzato una condotta di sottrazione (circolazione di auto) astrattamente riconducibile all’art. 334 cod. pen. non ha prodotto affatto una corrispondente ed automatica elisione dell’art. 335 cod. pen., atteso che quest’ultima fattispecie, per l’ambito applicativo che le è proprio, è suscettibile di trovare operatività anche in assenza di punibilità ex art. 334 cod. pen. della sottrazione agevolata».
Nel caso di specie l’imputato avrebbe agevolato la sottrazione dell’autovettura affidatagli in custodia, che era poi stata rinvenuta nella disponibilità della sorella, in un Comune diverso da quello nel quale avrebbe dovuto essere conservata: tale condotta sarebbe riconducibile al paradigma normativo dell’art. 335 cod. pen.
La questione non sarebbe manifestamente infondata perché l’assetto normativo venutosi a creare all’esito della pronuncia delle sezioni unite della Corte di cassazione, risulterebbe in contrasto con l’art. 3 Cost. Infatti, in applicazione del combinato disposto degli artt. 334 cod. pen. e 213, comma 4, del d.lgs. n. 285 del 1992 (indicato dal rimettente quale tertium comparationis), il custode che circoli con un veicolo sottoposto a sequestro amministrativo o concorra dolosamente nella circolazione operata da altri (mediante affidamento volontario e consapevole del veicolo stesso) è soggetto alla sola sanzione amministrativa, laddove «il custode che per mera negligenza consenta ad altri di circolare con un veicolo sotto sequestro realizza (ancora oggi) il più grave illecito penale di cui all’art. 335 cod. pen., essendo esposto addirittura alla pena detentiva, per quanto in alternativa alla pecuniaria». Ad avviso del giudice a quo, il diverso trattamento punitivo «non appare sorretto da valori rispondenti ad un principio di ragionevolezza legislativa, essendo immanente nel nostro sistema il criterio generale per cui la condotta colposa esprime un disvalore nettamente meno grave della condotta dolosa».
Un così diverso trattamento, inoltre, non sarebbe ragionevole anche per l’identità del bene giuridico tutelato dalle due fattispecie previste dagli artt. 334 e 335 cod. pen.
Tali argomentazioni, infine, sarebbero ulteriormente rafforzate dall’intervenuta depenalizzazione della fattispecie prevista dall’art. 350 cod. pen., posto che, per il custode, l’agevolazione colposa di una violazione di sigilli penalmente rilevante costituisce illecito amministrativo, mentre l’agevolazione colposa di una sottrazione di cosa non penalmente rilevante (circolazione di un veicolo) è assoggettata a sanzione penale, a norma dell’art. 335 cod. pen.
Osserva ancora il giudice rimettente di non essere in grado di individuare «una strada ermeneuticamente sostenibile» che consenta di non applicare l’art. 335 cod. pen., dato che questa norma punisce l’agevolazione colposa di «qualsiasi sottrazione», anche di quelle ormai sanzionate solo in via amministrativa.
2.– È intervenuto nel giudizio di costituzionalità il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha chiesto la declaratoria di infondatezza della questione, osservando che le argomentazioni del rimettente «si fondano esclusivamente su una interpretazione giurisprudenziale (…) della norma, che allo stato permane vigente ed anche suscettibile in futuro di una diversa interpretazione alla luce dei precedenti orientamenti molto oscillanti e dibattuti». In tale contesto, ad avviso dell’Avvocatura dello Stato, compete al legislatore nella sua ampia discrezionalità – e non già alla Corte costituzionale – intervenire in modo razionale ed organico con scelte di depenalizzazione (già compiute, ad esempio, con riferimento all’art. 350 cod. pen.), idonee a garantire una ragionevole risposta sanzionatoria coerente con il bene giuridico tutelato.
1.– Il Tribunale di Nola in composizione monocratica, con ordinanza emessa il 1° giugno 2011 (r.o. n. 212 del 2011), ha sollevato, in riferimento all’articolo 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’articolo 335 del codice penale «limitatamente ai casi in cui punisce penalmente la colposa agevolazione della sottrazione da parte di un custode che, se avesse compiuto dolosamente e direttamente la medesima sottrazione, non sarebbe andato incontro ad alcuna sanzione penale per avvenuta depenalizzazione della relativa condotta».
Il giudice a quo premette di essere investito del procedimento penale a carico di una persona imputata del delitto di cui all’art. 335 cod. pen. perché non avrebbe esercitato la dovuta diligenza per evitare la sottrazione di un’autovettura di cui, in seguito a un sequestro amministrativo, era stata nominata custode. Gli agenti della Polizia di Stato – prosegue il rimettente – avevano notato l’autovettura che ostruiva una strada e, dai controlli effettuati, era emerso che la stessa risultava sottoposta a sequestro amministrativo, con affidamento in custodia all’imputato. Poco dopo, si era presentata presso l’ufficio di polizia la sorella, che aveva riferito di avere dovuto utilizzare l’autovettura di proprietà del fratello per gravi motivi familiari.
Il tribunale rimettente ricostruisce i diversi orientamenti della giurisprudenza della Corte di cassazione delineatisi fino alla sentenza delle sezioni unite del 28 ottobre 2010 (depositata il 21 gennaio 2011), n. 1963, secondo cui la condotta di chi circola abusivamente con il veicolo
sottoposto a sequestro amministrativo, ai sensi dell’art. 213 del nuovo codice della strada (decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, come modificato dall’art. 19 del decreto legislativo 30 dicembre 1999, n. 507), integra esclusivamente l’illecito amministrativo previsto dal quarto comma dello stesso articolo e non anche il delitto di sottrazione di cose sottoposte a sequestro previsto dall’art. 334 cod. pen., in quanto la prima norma ha carattere di specialità rispetto alla seconda, ai sensi dell’art. 9 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale).
La pronuncia delle sezioni unite della Corte di cassazione non vale, secondo il giudice a quo, a far ritenere depenalizzata anche la condotta punita dall’art. 335 cod. pen., perché, nel caso di circolazione di un veicolo oggetto di un sequestro amministrativo, l’esclusione dell’applicabilità dell’art. 334 cod. pen. deriva solo dal «concorso prevalente di una norma speciale che, sanzionando amministrativamente l’identica condotta della “circolazione-sottrazione”, sterilizza l’efficacia applicativa della norma incriminatrice», laddove analoga norma non esiste per l’ipotesi di agevolazione colposa della sottrazione. Inoltre, osserva ancora il rimettente, l’art. 335 cod. pen. delinea «una figura di reato non concorsuale, ma speciale ed autonoma, che, per la sua struttura (…) è capace di assoggettare a sanzione penale anche il custode che agevoli una sottrazione non rilevante ex art. 334 cod. pen.». Gli artt. 334 e 335 cod. pen., insomma, «viaggiano su due binari (talvolta) distinti. E se spesso l’art. 335 cod. pen. finisce per punire il concorso colposo (del custode) in un fatto doloso (del proprietario), suscettibile quest’ultimo di essere ricondotto all’art. 334 cod. pen., nulla toglie che l’incriminazione possa prescindere da una specifica rilevanza penale del fatto agevolato, per incentrare il disvalore sanzionato sulla sola omessa diligenza imputabile al custode».
Secondo il giudice a quo, quindi, «l’aver depenalizzato una condotta di sottrazione (circolazione di auto) astrattamente riconducibile all’art. 334 cod. pen. non ha prodotto affatto una corrispondente ed automatica elisione dell’art. 335 cod. pen., atteso che quest’ultima fattispecie, per l’ambito applicativo che le è proprio, è suscettibile di trovare operatività anche in assenza di punibilità ex art. 334 cod. pen. della sottrazione agevolata».
Nel caso di specie l’imputato avrebbe agevolato la sottrazione dell’autovettura affidatagli in custodia, che era poi stata rinvenuta nella disponibilità della sorella, in un Comune diverso da quello nel quale avrebbe dovuto essere conservata: tale condotta sarebbe riconducibile al paradigma normativo dell’art. 335 cod. pen.
La questione non sarebbe manifestamente infondata perché l’assetto normativo venutosi a creare all’esito della pronuncia delle sezioni unite della Corte di cassazione, risulterebbe in contrasto con l’art. 3 Cost. Infatti, in applicazione del combinato disposto degli artt. 334 cod. pen. e 213, comma 4, del d.lgs. n. 285 del 1992 (indicato dal rimettente quale tertium comparationis), il custode che circoli con un veicolo sottoposto a sequestro amministrativo o concorra dolosamente nella circolazione operata da altri (mediante affidamento volontario e consapevole del veicolo stesso) è soggetto alla sola sanzione amministrativa, laddove «il custode che per mera negligenza consenta ad altri di circolare con un veicolo sotto sequestro realizza (ancora oggi) il più grave illecito penale di cui all’art. 335 cod. pen., essendo esposto addirittura alla pena detentiva, per quanto in alternativa alla pecuniaria». Ad avviso del giudice a quo, il diverso trattamento punitivo «non appare sorretto da valori rispondenti ad un principio di ragionevolezza legislativa, essendo immanente nel nostro sistema il criterio generale per cui la condotta colposa esprime un disvalore nettamente meno grave della condotta dolosa».
Un così diverso trattamento, inoltre, non sarebbe ragionevole anche per l’identità del bene giuridico tutelato dalle due fattispecie previste dagli artt. 334 e 335 cod. pen.
Tali argomentazioni, infine, sarebbero ulteriormente rafforzate dall’intervenuta depenalizzazione della fattispecie prevista dall’art. 350 cod. pen., posto che, per il custode, l’agevolazione colposa di una violazione di sigilli penalmente rilevante costituisce illecito amministrativo, mentre l’agevolazione colposa di una sottrazione di cosa non penalmente rilevante (circolazione di un veicolo) è assoggettata a sanzione penale, a norma dell’art. 335 cod. pen.
Osserva ancora il giudice rimettente di non essere in grado di individuare «una strada ermeneuticamente sostenibile» che consenta di non applicare l’art. 335 cod. pen., dato che questa norma punisce l’agevolazione colposa di «qualsiasi sottrazione», anche di quelle ormai sanzionate solo in via amministrativa.
2.– È intervenuto nel giudizio di costituzionalità il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha chiesto la declaratoria di infondatezza della questione, osservando che le argomentazioni del rimettente «si fondano esclusivamente su una interpretazione giurisprudenziale (…) della norma, che allo stato permane vigente ed anche suscettibile in futuro di una diversa interpretazione alla luce dei precedenti orientamenti molto oscillanti e dibattuti». In tale contesto, ad avviso dell’Avvocatura dello Stato, compete al legislatore nella sua ampia discrezionalità – e non già alla Corte costituzionale – intervenire in modo razionale ed organico con scelte di depenalizzazione (già compiute, ad esempio, con riferimento all’art. 350 cod. pen.), idonee a garantire una ragionevole risposta sanzionatoria coerente con il bene giuridico tutelato.
Considerato in diritto
1.– Il Tribunale di Nola in composizione monocratica dubita, in riferimento all’articolo 3 della Costituzione, della legittimità costituzionale dell’articolo 335 del codice penale, nella parte in cui punisce la colposa agevolazione della sottrazione di un’autovettura sequestrata da parte di un custode che, se avesse compiuto dolosamente e direttamente la medesima sottrazione, non sarebbe andato incontro ad alcuna sanzione penale, per l’avvenuta depenalizzazione della relativa condotta.
Ad avviso del rimettente, la disposizione censurata violerebbe l’art. 3 Cost., in quanto, alla luce della sentenza delle sezioni unite della Corte di cassazione del 28 ottobre 2010, n. 1963/2011, il custode che circoli abusivamente con un veicolo sottoposto a sequestro amministrativo, o concorra dolosamente nella circolazione operata da altri (mediante affidamento volontario e consapevole del veicolo stesso), risponde esclusivamente, ai sensi dell’art. 213 del nuovo codice della strada (decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, come modificato dall’art. 19 del decreto legislativo 30 dicembre 1999, n. 507), dell’illecito amministrativo previsto dal quarto comma dello stesso articolo e non anche del delitto di sottrazione di cose sottoposte a sequestro previsto dall’art. 334 cod. pen., perché, ai sensi dell’art. 9 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), la prima norma ha carattere di specialità rispetto alla seconda. Per contro, «il custode che per mera negligenza consenta ad altri di circolare con un veicolo sotto sequestro realizza (ancora oggi) il più grave illecito penale di cui all’art. 335 cod. pen.».
L’assetto normativo così delineatosi sarebbe viziato da irragionevolezza, «essendo immanente nel nostro sistema il criterio generale per cui la condotta colposa esprime un disvalore nettamente meno grave della condotta dolosa», mentre nel caso di specie «un medesimo soggetto (il custode) [sarebbe punito] secondo criteri di gravità invertita, in termini più tenui in presenza di dolo (art. 213 del d.lgs. n. 285 del 1992) ed in termini più gravi in presenza di colpa (335 cod. pen.)».
2.– La questione è inammissibile, perché il giudice rimettente non ha preso in considerazione la possibilità di dare alla disposizione censurata un’interpretazione idonea a superare i prospettati dubbi di costituzionalità.
L’ordinanza di rimessione parte dalla premessa interpretativa secondo cui, nonostante l’esclusione della rilevanza penale della “fattispecie base” – costituita dalla volontaria e consapevole sottrazione del veicolo sottoposto a sequestro amministrativo da parte del custode, allo scopo di favorire il proprietario o quando ne sia egli stesso proprietario – l’agevolazione colposa del custode che, per negligenza, consenta o comunque faciliti tale circolazione continua a integrare un illecito penale, ai sensi dell’art. 335 cod. pen. Questo reato, infatti, costituendo un’autonoma fattispecie delittuosa, sarebbe configurabile anche rispetto ad ipotesi in cui la “fattispecie base”, della quale il custode abbia colposamente agevolato la commissione, integri un mero illecito
amministrativo e non potrebbe ritenersi in rapporto di specialità con l’art. 213, comma 4, del d.lgs. n. 285 del 1992.
Il giudice rimettente, però, ha omesso di verificare se il custode che abbia colposamente agevolato la circolazione abusiva di un veicolo sottoposto a sequestro amministrativo possa rispondere, ai sensi del combinato disposto degli artt. 5 della legge n. 689 del 1981 e 213, comma 4, del d.lgs. n. 285 del 1992, di concorso colposo nell’illecito amministrativo altrui, invece che dell’autonomo reato di violazione colposa dei doveri inerenti alla custodia di cose sottoposte a sequestro, previsto dall’art. 335 cod. pen.
Va considerato, infatti, da un lato, che ai sensi dell’art. 5 della legge n. 689 del 1981 «quando più persone concorrono in una violazione amministrativa, ciascuna di esse soggiace alla sanzione per questa disposta, salvo che sia diversamente stabilito dalla legge» e, dall’altro, che rispetto all’illecito amministrativo è configurabile un concorso sia doloso sia colposo, essendo normale – in forza dell’art. 3 della legge n. 689 del 1981 – la punibilità per colpa. A rendere punibile la partecipazione colposa, quindi, è l’art. 5 citato, che parla genericamente di concorso nelle violazioni amministrative, differenziando, sotto questo aspetto, espressamente l’illecito amministrativo dal reato, e in particolare dal delitto doloso, rispetto al quale il concorso colposo risulta problematico.
Pertanto, oltre al concorso doloso o colposo nell’illecito amministrativo rispettivamente doloso o colposo e al concorso doloso nell’illecito colposo, è perseguibile anche il concorso colposo nell’illecito doloso, non sussistendo alcun impedimento legislativo come quello che suole desumersi per i delitti dall’art. 113 cod. pen. Peraltro, l’art. 213, comma 4, del d.lgs. n. 285 del 1992 non delinea un illecito necessariamente doloso, ben potendo la relativa fattispecie essere realizzata anche a titolo di colpa, ancorché la negligenza o imprudenza possa attenere in genere al presupposto della condotta sanzionata (l’avvenuto sequestro dell’autovettura o la sua perdurante efficacia), più che all’attuazione della stessa. Si tratta, dunque, di un illecito amministrativo che può essere commesso sia con dolo, sia con colpa, non essendo richiesto dalla norma sanzionatoria amministrativa un determinato titolo soggettivo.
Il tribunale rimettente avrebbe, dunque, dovuto verificare se il custode di un veicolo sottoposto a sequestro amministrativo che, per colpa, ne agevoli la circolazione abusiva da parte di un terzo, possa essere chiamato a rispondere – ai sensi del combinato disposto degli artt. 5 della legge n. 689 del 1981 e 213, comma 4, del d.lgs. n. 285 del 1992 – a titolo di concorso colposo nell’illecito amministrativo commesso dal terzo; il che farebbe escludere, nel caso di specie, la configurabilità dell’autonomo reato di violazione colposa dei doveri inerenti alla custodia di cose sottoposte a sequestro di cui all’art. 335 cod. pen (Corte di cassazione, sezione sesta penale, 17 gennaio – 16 febbraio 2012, n. 6221).
Con tale interpretazione, rispetto al custode di un veicolo sottoposto a sequestro amministrativo l’assetto normativo venutosi a delineare a seguito della sentenza delle sezioni unite della Corte di cassazione del 28 ottobre 2010, n. 1963/2011, si sottrarrebbe alla censura di violazione dell’art. 3 Cost., non risultando affetto da irragionevolezza, e potrebbe invece essere ricondotto ai principi generali in materia di concorso di persone nell’illecito amministrativo dettati dalla legge n. 689 del 1981.
In conclusione, secondo la costante giurisprudenza costituzionale, la questione va dichiarata inammissibile per omessa ricerca, da parte del giudice rimettente, di un’interpretazione costituzionalmente conforme (ex multis, sentenza n. 291 del 2010; ordinanze n. 212 del 2011, n. 5 e n. 6 del 2010).
1.– Il Tribunale di Nola in composizione monocratica dubita, in riferimento all’articolo 3 della Costituzione, della legittimità costituzionale dell’articolo 335 del codice penale, nella parte in cui punisce la colposa agevolazione della sottrazione di un’autovettura sequestrata da parte di un custode che, se avesse compiuto dolosamente e direttamente la medesima sottrazione, non sarebbe andato incontro ad alcuna sanzione penale, per l’avvenuta depenalizzazione della relativa condotta.
Ad avviso del rimettente, la disposizione censurata violerebbe l’art. 3 Cost., in quanto, alla luce della sentenza delle sezioni unite della Corte di cassazione del 28 ottobre 2010, n. 1963/2011, il custode che circoli abusivamente con un veicolo sottoposto a sequestro amministrativo, o concorra dolosamente nella circolazione operata da altri (mediante affidamento volontario e consapevole del veicolo stesso), risponde esclusivamente, ai sensi dell’art. 213 del nuovo codice della strada (decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, come modificato dall’art. 19 del decreto legislativo 30 dicembre 1999, n. 507), dell’illecito amministrativo previsto dal quarto comma dello stesso articolo e non anche del delitto di sottrazione di cose sottoposte a sequestro previsto dall’art. 334 cod. pen., perché, ai sensi dell’art. 9 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), la prima norma ha carattere di specialità rispetto alla seconda. Per contro, «il custode che per mera negligenza consenta ad altri di circolare con un veicolo sotto sequestro realizza (ancora oggi) il più grave illecito penale di cui all’art. 335 cod. pen.».
L’assetto normativo così delineatosi sarebbe viziato da irragionevolezza, «essendo immanente nel nostro sistema il criterio generale per cui la condotta colposa esprime un disvalore nettamente meno grave della condotta dolosa», mentre nel caso di specie «un medesimo soggetto (il custode) [sarebbe punito] secondo criteri di gravità invertita, in termini più tenui in presenza di dolo (art. 213 del d.lgs. n. 285 del 1992) ed in termini più gravi in presenza di colpa (335 cod. pen.)».
2.– La questione è inammissibile, perché il giudice rimettente non ha preso in considerazione la possibilità di dare alla disposizione censurata un’interpretazione idonea a superare i prospettati dubbi di costituzionalità.
L’ordinanza di rimessione parte dalla premessa interpretativa secondo cui, nonostante l’esclusione della rilevanza penale della “fattispecie base” – costituita dalla volontaria e consapevole sottrazione del veicolo sottoposto a sequestro amministrativo da parte del custode, allo scopo di favorire il proprietario o quando ne sia egli stesso proprietario – l’agevolazione colposa del custode che, per negligenza, consenta o comunque faciliti tale circolazione continua a integrare un illecito penale, ai sensi dell’art. 335 cod. pen. Questo reato, infatti, costituendo un’autonoma fattispecie delittuosa, sarebbe configurabile anche rispetto ad ipotesi in cui la “fattispecie base”, della quale il custode abbia colposamente agevolato la commissione, integri un mero illecito
amministrativo e non potrebbe ritenersi in rapporto di specialità con l’art. 213, comma 4, del d.lgs. n. 285 del 1992.
Il giudice rimettente, però, ha omesso di verificare se il custode che abbia colposamente agevolato la circolazione abusiva di un veicolo sottoposto a sequestro amministrativo possa rispondere, ai sensi del combinato disposto degli artt. 5 della legge n. 689 del 1981 e 213, comma 4, del d.lgs. n. 285 del 1992, di concorso colposo nell’illecito amministrativo altrui, invece che dell’autonomo reato di violazione colposa dei doveri inerenti alla custodia di cose sottoposte a sequestro, previsto dall’art. 335 cod. pen.
Va considerato, infatti, da un lato, che ai sensi dell’art. 5 della legge n. 689 del 1981 «quando più persone concorrono in una violazione amministrativa, ciascuna di esse soggiace alla sanzione per questa disposta, salvo che sia diversamente stabilito dalla legge» e, dall’altro, che rispetto all’illecito amministrativo è configurabile un concorso sia doloso sia colposo, essendo normale – in forza dell’art. 3 della legge n. 689 del 1981 – la punibilità per colpa. A rendere punibile la partecipazione colposa, quindi, è l’art. 5 citato, che parla genericamente di concorso nelle violazioni amministrative, differenziando, sotto questo aspetto, espressamente l’illecito amministrativo dal reato, e in particolare dal delitto doloso, rispetto al quale il concorso colposo risulta problematico.
Pertanto, oltre al concorso doloso o colposo nell’illecito amministrativo rispettivamente doloso o colposo e al concorso doloso nell’illecito colposo, è perseguibile anche il concorso colposo nell’illecito doloso, non sussistendo alcun impedimento legislativo come quello che suole desumersi per i delitti dall’art. 113 cod. pen. Peraltro, l’art. 213, comma 4, del d.lgs. n. 285 del 1992 non delinea un illecito necessariamente doloso, ben potendo la relativa fattispecie essere realizzata anche a titolo di colpa, ancorché la negligenza o imprudenza possa attenere in genere al presupposto della condotta sanzionata (l’avvenuto sequestro dell’autovettura o la sua perdurante efficacia), più che all’attuazione della stessa. Si tratta, dunque, di un illecito amministrativo che può essere commesso sia con dolo, sia con colpa, non essendo richiesto dalla norma sanzionatoria amministrativa un determinato titolo soggettivo.
Il tribunale rimettente avrebbe, dunque, dovuto verificare se il custode di un veicolo sottoposto a sequestro amministrativo che, per colpa, ne agevoli la circolazione abusiva da parte di un terzo, possa essere chiamato a rispondere – ai sensi del combinato disposto degli artt. 5 della legge n. 689 del 1981 e 213, comma 4, del d.lgs. n. 285 del 1992 – a titolo di concorso colposo nell’illecito amministrativo commesso dal terzo; il che farebbe escludere, nel caso di specie, la configurabilità dell’autonomo reato di violazione colposa dei doveri inerenti alla custodia di cose sottoposte a sequestro di cui all’art. 335 cod. pen (Corte di cassazione, sezione sesta penale, 17 gennaio – 16 febbraio 2012, n. 6221).
Con tale interpretazione, rispetto al custode di un veicolo sottoposto a sequestro amministrativo l’assetto normativo venutosi a delineare a seguito della sentenza delle sezioni unite della Corte di cassazione del 28 ottobre 2010, n. 1963/2011, si sottrarrebbe alla censura di violazione dell’art. 3 Cost., non risultando affetto da irragionevolezza, e potrebbe invece essere ricondotto ai principi generali in materia di concorso di persone nell’illecito amministrativo dettati dalla legge n. 689 del 1981.
In conclusione, secondo la costante giurisprudenza costituzionale, la questione va dichiarata inammissibile per omessa ricerca, da parte del giudice rimettente, di un’interpretazione costituzionalmente conforme (ex multis, sentenza n. 291 del 2010; ordinanze n. 212 del 2011, n. 5 e n. 6 del 2010).
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 335 del codice penale, sollevata, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dal Tribunale di Nola in composizione monocratica, con l’ordinanza in epigrafe.
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 335 del codice penale, sollevata, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dal Tribunale di Nola in composizione monocratica, con l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 marzo 2012.
F.to:
Alfonso QUARANTA, Presidente
Giorgio LATTANZI, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 19 marzo 2012.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: MELATTI
F.to:
Alfonso QUARANTA, Presidente
Giorgio LATTANZI, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 19 marzo 2012.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: MELATTI