SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE III CIVILE
Sentenza 29 novembre 2011, n. 25218
SEZIONE III CIVILE
Sentenza 29 novembre 2011, n. 25218
Svolgimento del processo
Con atto di citazione ritualmente
notificato, G.F. e M.G., quali esercenti la potestà sul figlio minore
G.M., esponevano che in data (omissis) il loro figliuolo era trasportato
sul ciclomotore condotto da F.R., anch’egli minore, quando il
ciclomotore veniva investito dall’autovettura condotta dal proprietario
R.R., ed assicurata con la RAS assicurazioni spa, proveniente
dall’opposto senso di marcia, che aveva improvvisamente operato una
svolta a sinistra. Aggiungevano che il minore aveva subito in
conseguenza del sinistro gravi lesioni personali con postumi permanenti.
Ciò premesso, convenivano in giudizio il R. e la Ras Spa per ottenere
il risarcimento dei danni subiti. Al giudizio, introdotto dal G. e dalla
M., veniva riunito altro giudizio introdotto da F.F. e L.V., esercenti
la potestà sul figlio minore F.R., per ottenere il risarcimento dei
danni subiti dal loro figlio. In esito, il Tribunale di Forlì riteneva
la concorrente responsabilità dei due conducenti, nella misura del 75% a
carico del R., e del 25% a carico del F.; condannava le parti convenute
R. e Ras a pagare a G.M. la somma di Euro 30.615,11 oltre interessi e
svalutazione ed a F.R. la somma di Euro 6.606, 14 a titolo di danno
biologico e morale nonché la somma di Euro 1.301,54 a titolo di
rifusione spese mediche e danno al ciclomotore, oltre interessi e
svalutazione; in accoglimento della domanda di manleva proposta da RAS
Spa, condannava F.F. e L.V. a tenere indenne la RAS del 25% della somma
corrisposta a G.M. Avverso tale decisione proponevano appello F.F., L.V.
e F.R. ed in esito al giudizio la Corte di Appello di Bologna con
sentenza depositata in data 28 maggio 2008 respingeva l’impugnazione.
Avverso la detta sentenza i F. e la L. hanno quindi proposto ricorso per
cassazione articolato in sette motivi, illustrato da memoria. Resiste
con controricorso la Allianz Spa, la quale ha depositato a sua volta
memoria ex art. 378 c.p.c.
Motivi della decisione
Con le prime tre doglianze, intimamente
connesse tra loro, i ricorrenti hanno lamentato la violazione e/o falsa
applicazione dell’art.342 cpc (con i primi due motivi) nonché il vizio
di motivazione contraddittoria (con il terzo) deducendo che la Corte di
merito avrebbe sbagliato nel dichiarare inammissibile il terzo motivo di
appello per difetto di specificità e sarebbe incorsa nel vizio
motivazionale sopra indicato omettendo di prendere in considerazione la
parte descrittiva dell’atto di impugnazione.
Ed invero, i giudici di secondo grado
avrebbero dovuto considerare che gli appellanti, facendo riferimento
nella parte narrativa dell’appello ad una serie di danni richiesti in
prime cure, avevano inteso in tal modo contrapporre alla liquidazione
dei danni operata dal giudice di prime cure una loro più corretta
determinazione. Del resto, a pag.12 dell’atto di citazione d’appello,
ultima riga, avevano formulato la doglianza nei seguenti termini “il
danno è stato liquidato in prime cure in misura assai inferiore a quanto
è stato richiesto e, perciò, si insta per l’implementazione secondo le
voci indicate in narrativa che appaiono suscettibili di accoglimento
perché maggiormente meritevoli di accoglimento rispetto all’operata
liquidazione” (cfr pag.15 del ricorso).
Le censure sono manifestamente infondate.
A riguardo, giova premettere che, al fine di soddisfare il requisito di
specificità richiesto dall’art. 342 c.p.c., occorre che alle
argomentazioni svolte nella sentenza impugnata risultino contrapposte
quelle dell’appellante, volte ad incrinare il fondamento
logico-giuridico delle prime. Se è vero infatti che l’esposizione delle
ragioni di fatto e di diritto, invocate a sostegno dell’appello, possono
sostanziarsi anche nella prospettazione delle medesime ragioni addotte
nel giudizio di primo grado, è necessario però che ciò determini una
critica adeguata e specifica della decisione impugnata e consenta al
giudice del gravame di percepire con certezza il contenuto delle
censure, in riferimento alle statuizioni adottate dal primo giudice,
(cfr Sez. Un. n. 28057/08).
In particolare, nel formulare un motivo
di appello riguardante la pretesa erroneità della liquidazione dei
danni, effettuata dal primo giudice, l’appellante non può esaurire la
sua ragione di doglianza nella reiterazione delle sue richieste e
nell’affermazione che esse devono essere accolte perché “maggiormente
meritevoli di accoglimento rispetto all’operata liquidazione” ma ha
l’onere di indicare specificamente, per ciascuna delle voci censurate,
gli errori di fatto e di diritto attribuibili alla sentenza in modo da
contrapporre con sufficiente grado di specificità le proprie ragioni di
censura alle ragioni poste dal giudice a base delle sue valutazioni. In
difetto, ove l’appellante solleciti una più congrua quantificazione del
risarcimento senza chiarire gli errori, rispetto all’equo ed al giusto,
in cui sarebbero incorsi i primi giudici, la censura deve essere
dichiarata inammissibile. Ne deriva l’infondatezza delle doglianze in
esame.
Con la quarta doglianza, per violazione o
falsa applicazione dell’art. 171 /1-3 del codice della strada, i
ricorrenti hanno censurato la sentenza impugnata per avere i giudici di
appello fondato la propria decisione su una circostanza di fatto
assolutamente inesistente, vale a dire quella secondo cui il
ciclomotorista circolava di notte senza tenere le luci accese, avendo i
verbalizzanti contestato al F. l’infrazione di cui all’art.171/3 co.
C.d.s. In tal modo, la Corte di appello aveva erroneamente applicato la
norma citata perché essa, in realtà, non riguarda assolutamente la
circolazione senza fari in ora notturna bensì l’inosservanza
dell’obbligo del casco protettivo. Con la conseguenza che la
contestazione della relativa infrazione da parte dei verbalizzanti non
autorizzava “minimamente il giudice a ritenere sussistente, nel caso
concreto, il mancato uso dei fari da parte del motociclo in ora
notturna” (così, nel quesito conclusivo).
La censura è inammissibile. Come si
desume dallo stesso contenuto della doglianza, riportata nella sua
essenzialità, i ricorrenti lamentano che la decisione della Corte di
merito si fonda su una falsa percezione della situazione di fatto
(circolazione senza fari in ora notturna), in realtà insussistente. E
ciò per effetto di un errore dei giudici circa l’infrazione
effettivamente contestata dai verbalizzanti, errore che però risulta
obiettivamente ed immediatamente rilevabile in quanto l’art.171 sopra
citato concerne un’infrazione assolutamente diversa. Ma qualora il
giudice del merito fondi la sua decisione supponendo l’esistenza di un
fatto decisivo incontestabilmente escluso dagli atti e documenti, la
sentenza non è viziata da un errore logico-giuridico bensì da un errore
di fatto, essendo il giudice incorso nel c.d. travisamento dei fatti,
consistente nell’inesatta percezione di circostanze presupposte come
base del suo ragionamento, in contrasto con quanto risulta dagli atti
del processo. Ed è appena il caso di osservare come il travisamento dei
fatti non possa costituire motivo di ricorso per cassazione, non
consistendo in vizi logici o giuridici, ma costituisce un errore
denunciabile con il mezzo della revocazione ex art. 395, n. 4, c.p.c.
Passando al quinto motivo, per violazione
e/o falsa applicazione dell’art.115 cpc, deve rilevarsi che, ad avviso
dei ricorrenti, la Corte territoriale avrebbe sbagliato quando ha
qualificato come notorio il fatto che la presenza di un passeggero a
bordo di un ciclomotore, determinando un carico eccessivo, riduce non
solo la stabilità del mezzo ma anche la sua capacità di frenata.
La doglianza è infondata. A riguardo,
occorre premettere che, secondo l’orientamento di questa Corte, ove il
giudice del merito abbia posto alla base della decisione un fatto
qualificandolo come notorio, tale fatto e la sua qualificazione sono
denunciabili in sede di legittimità sotto il profilo della violazione
dell’art. 115, secondo comma, cod. proc. civ. e la Corte di cassazione
eserciterà il proprio controllo ripercorrendo il medesimo processo
cognitivo dello stato di conoscenza collettiva operato dal giudice del
merito. (Cass. n. 22880/08).
Ciò premesso, torna utile sottolineare
che delle nozioni di comune esperienza, intese come proposizioni di
ordine generale tratte dalla reiterata osservazione dei fatti, il
giudice è certamente facultato ad avvalersi come regola di giudizio
destinata a governare sia la valutazione delle prove che
l’argomentazione di tipo presuntivo. Ed è quanto avvenuto nel caso di
specie in cui i giudici di merito, premesso che il minore F. al momento
del sinistro stava trasportando M.G. nonostante il ciclomotore fosse
omologato per il trasporto del solo conducente, sulla base di nozioni
tecniche di patrimonio comune, hanno tratto la conseguenza logica che
tale fatto avesse certamente influito sulla determinazione del sinistro
in termini di manovrabilità del mezzo e di possibilità d’arresto. E non è
dubitabile che costituisca massima d’esperienza comune la circostanza
che l’impianto frenante di un ciclomotore, progettato per una sola
persona, abbia un’efficacia, ben minore, quando il mezzo sia appesantito
per effetto del maggior peso determinato dalla presenza di un
passeggero a bordo.
Restano da esaminare le ultime due censure, rispettivamente per violazione dell’art.2048 cc e nullità della sentenza per error in iudicando
ex art.360 n.4 cpc in relazione al medesimo art. 2048 cc, con cui i
ricorrenti hanno dedotto l’erroneità della decisione per aver il giudice
attribuito ai genitori una responsabilità per fatti di un figlio
diciassettenne, comportatosi sempre come uno studente modello (sesto
motivo), e per non aver esplicitato le ragioni della loro condanna, se
avvenuta “per mancata educazione o per omesso controllo” (settimo
motivo).
Entrambe le censure sono inammissibili.
La prima delle due (la sesta secondo l’ordine del ricorso) è
inammissibile per il difetto di correlazione del quesito (vero che viola
l’art.2048 cc il giudice che accolla ai genitori la responsabilità per
fatti di un figlio diciassettenne che è sempre stato uno studente
modello) con le ragioni della sentenza, fondata invece sulla mancata
dimostrazione di adeguata vigilanza dei genitori sulla condotta del
minore in ordine alle modalità di utilizzo del ciclomotore. L’ultima
doglianza è inammissibile perche il motivo di impugnazione lamenta
espressamente la nullità della sentenza per error in iudicando ex
art.360 co. 1 n.4 del C.P.C. Ora, quest’ultima norma si riferisce a
vizi di attività, derivanti cioè dalla violazione di norme processuali,
sia quelle che riguardano la sentenza come atto (artt. 132, 161) e la
costituzione del giudice (art.158), sia quelle che attengono al
procedimento in senso stretto che per derivazione si estendono alla
sentenza stessa, e non concernono invece le eventuali omissioni e
carenze motivazionali, che correttamente devono essere dedotte sotto il
profilo dell’art.360 co. 1 n. 5 cpc. Considerato che la sentenza
impugnata appare esente dalle doglianze dedotte il ricorso per
cassazione in esame, siccome infondato, deve essere rigettato. Al
rigetto del ricorso segue la condanna dei ricorrenti in solido alla
rifusione delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate come
in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti in solido
alla rifusione delle spese processuali che liquida in Euro 3.000,00 di
cui Euro 200,00 per esborsi oltre accessori di legge.