mercoledì 15 febbraio 2012

Annullate dal TAR Lazio le Ordinanze del Sindaco di Roma che vietava cortei e le manifestazioni nel centro storico

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 9697 del 2011, proposto da:
Cgil Confederazione Generale Italiana del Lavoro di Roma e del Lazio, rappresentata e difesa dagli avv.ti Vittorio Angiolini, Marco Cuniberti e Sergio Vacirca, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Sergio Vacirca in Roma, via Flaminia, 195
contro
Comune di Roma Capitale, rappresentato e difeso dall’avv. Rosalda Rocchi, domiciliata presso l’Avvocatura Capitolina in Roma, via Tempio di Giove, 21;
Sindaco di Roma quale Commissario delegato ex OPCM 3543/2006, Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero dell’Interno, U.T.G. – Prefettura di Roma, Questura di Roma, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliati per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per l’annullamento
dell’ordinanza n. 401 del 17.10.2011 del Sindaco di Roma – Commissario Delegato ai sensi dell’OPCM n. 3543 del 28.9.2006, con la quale si dispone che “nel territorio ricadente nel I Municipio della Città di Roma sia da considerare compatibile solo lo svolgimento di manifestazioni pubbliche senza formazione di corteo (cd. Manifestazioni statiche)” da tenersi solamente in determinate aree;
dell’ordinanza del 18.11.2011 (data di pubblicazione sul sito internet del Comune) del Sindaco di Roma – Commissario delegato ai sensi dell’OPCM n. 3543 del 28.9.2006, sempre concernente la disciplina delle riunioni in luogo pubblico;
di ogni atto presupposto, conseguente o comunque connesso.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Avvocatura Generale dello Stato e del Comune di Roma Capitale;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 11 gennaio 2012 il dott. Roberto Caponigro e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
FATTO
Con ordinanza del 17 ottobre 2011, avente validità di trenta giorni, il Sindaco di Roma – Commissario delegato ai sensi dell’OPCM n. 3543 del 26 settembre 2006, per le esigenze indicate nelle premesse dell’atto, ha disposto che nel territorio ricadente nel I Municipio della Città di Roma sia da considerare compatibile solo lo svolgimento di manifestazioni pubbliche senza formazione di corteo (cd. manifestazioni statiche) da tenersi nelle seguenti aree:
Piazza Bocca della Verità – Piazza Santi Apostoli – Piazza della Repubblica – Circo Massimo – Piazza Farnese – Piazza S. Giovanni – Piazza del Popolo – Sedi istituzionali, secondo le prescrizioni della Questura di Roma.
Con successiva ordinanza del 18 novembre 2011, avente validità sino al 31 dicembre 2011, il Sindaco di Roma – Commissario delegato ai sensi dell’OPCM n. 3543 del 26 settembre 2006 ha disposto che, per esigenze di traffico e viabilità, nel territorio ricadente nel I Municipio della Città di Roma, sono da considerare compatibili le seguenti manifestazioni pubbliche: a) manifestazioni statiche da tenersi nelle seguenti aree: Piazza Bocca della Verità – Piazza Santi Apostoli – Piazza della Repubblica – Circo Massimo – Piazza Farnese – Piazza S. Giovanni – Piazza del Popolo – Sedi istituzionali, secondo le prescrizioni della Questura di Roma; b) grandi manifestazioni con formazione di corteo, limitatamente ad alcune modalità concorrenti, quali lo svolgimento nella giornata del sabato e lungo uno dei cinque itinerari predeterminati anch’essi stabiliti nella detta ordinanza.
Di talché, la Confederazione ricorrente ha proposto il presente ricorso, articolato nei seguenti motivi:
Violazione e falsa applicazione dell’art. 17 Cost. e dei “principi generali dell’ordinamento giuridico”, in relazione all’art. 18 r.d. 773/1931, anche in relazione alla direttiva del Ministro dell’Interno per le manifestazioni nei centri urbani e nelle aree sensibili del 26 gennaio 2009. Eccesso di potere ed incompetenza.
L’amministrazione, anche nell’esercizio di poteri di ordinanza contingibili ed urgenti, dovrebbe osservare regole e principi costituzionali, oltre che i principi generali dell’ordinamento giuridico, mentre gli atti impugnati violerebbero regole e principi iscritti, quanto al diritto di riunirsi dei cittadini, nell’art. 17 Cost.
In particolare, le riunioni in luogo pubblico non sarebbero soggette ad autorizzazione ma solo a “preavviso” ed a quest’ultimo potrebbe seguire il divieto o la limitazione della riunione in luogo pubblico solo per motivi di sicurezza ed incolumità pubblica “comprovati”, e cioè attestati da fatti e comportamenti inequivoci e verificabili.
In tale logica sarebbe stato inteso anche l’art. 18 del Tulps e, con l’atto prefettizio di autoregolamentazione del 10 marzo 2009 nel “protocollo per la disciplina delle manifestazioni di piazza”, stipulato tra gli altri dalle maggiori associazioni sindacali, si sarebbe dato solo un orientamento per meglio conciliare il diritto di riunirsi con le esigenze pubblicistiche, senza pregiudicare l’esito dei poteri da esercitarsi dalla competente autorità per ogni singola riunione a seguito di “preavviso”.
Con le ordinanze impugnate, il Sindaco di Roma avrebbe posto prescrizioni astratte, travolgendo l’intesa per l’autoregolamentazione del 10 marzo 2009.
Con il potere di ordinanza, il Sindaco vorrebbe ribaltare il principio fissato dall’art. 17 Cost. nel suo esatto contrario, vale a dire nel principio per cui la riunione può esserci solo se, quando e dove l’Autorità la autorizza.
Violazione o falsa applicazione dell’art. 5 l. 225/1992, anche in relazione all’obbligo di motivazione della l. 241/1990. Incompetenza, eccesso e sviamento di potere, manifesta illogicità e irragionevolezza.
Le ordinanze impugnate, adottate dal Commissario delegato ai sensi dell’art. 5 l. 225/1992, non menzionerebbero le norme che intendono derogare, laddove l’indicazione delle norme di legge che si intendono derogare è prevista dal quinto comma dell’art. 5 al fine di garantire il controllo di uno stretto nesso di strumentalità fra il potere di deroga conferito e l’attuazione degli interventi.
D’altra parte, tra le norme da derogare avrebbero dovuto essere menzionate anzitutto quelle di cui all’art. 17 Cost. e all’art. 18 r.d. 773/1931, per cui sarebbe risultato di ancora più eclatante evidenza l’esercizio abnorme ed illegittimo dei poteri conferiti al Commissario delegato, contro la Costituzione ed i principi generali dell’ordinamento giuridico.
Violazione o falsa applicazione dell’art. 5 l. 225/1992, degli artt. 18, 19, 20, 21, 22, 23 e 24 TULPS, dell’art. 16 Cost. Difetto di competenza. Eccesso di potere. Contraddizione con altro provvedimento dell’amministrazione, anche con riferimento alla direttiva del Ministro dell’Interno del 26 gennaio 2009, al protocollo di intesa della Prefettura di Roma del 10 marzo 2009 e alla OPCM n. 3543 del 2006. Incompetenza, eccesso e sviamento di potere.
La dichiarazione dello stato di emergenza per la città di Roma, di cui al DPCM 4 agosto 2006, e l’ordinanza della Presidenza del Consiglio n. 3543 del 2006, con cui è stato nominato il Commissario per l’emergenza del traffico e della mobilità, non attribuirebbero al Sindaco di Roma alcun potere di limitare o vietare le manifestazioni.
La facoltà di deroga a norme di legge connessa ai conferiti poteri straordinari del Commissario non comprenderebbe la regolamentazione delle manifestazioni pubbliche, per cui le ordinanze impugnate, che vietano la formazione di cortei e “manifestazioni statiche” fuori dagli spazi e modi prescritti, per determinate zone cittadine di primaria importanza, esorbiterebbero dalle competenze del Sindaco quale organo delegato per l’emergenza.
In linea generale, apparterrebbero al Questore, e comunque alla Prefettura e al Ministero dell’Interno, e non al Sindaco, le eccezionali facoltà di limitazione del diritto dei cittadini di riunirsi nei luoghi pubblici e, in ossequio a tale previsione normativa, il Ministero dell’Interno avrebbe adottato la direttiva del 26 gennaio 2009 indirizzata a Prefetti e Questori. In contrasto con il protocollo prefettizio e con modalità totalmente differenti e restrittive rispetto allo stesso, le ordinanze impugnate disporrebbero il divieto generalizzato per tutte le manifestazioni nelle aree indicate del I Municipio per mesi e mesi; solo in via di eccezione e per taluni luoghi tassativamente indicati si ammetterebbero manifestazioni statiche alle quali, con l’ordinanza del 18 novembre 2011, si sarebbe aggiunta l’ammissibilità delle sole grandi manifestazioni con corteo, solo per la giornata del sabato e solo per itinerari predeterminati.
Violazione o falsa applicazione dell’art. 5 l. 225/1992, Carenza di presupposti. Eccesso di potere; sviamento dalla causa tipica, motivazione carente ed irragionevole. Travisamento dei fatti e difetto di istruttoria. Contraddizione con il Protocollo della Prefettura del 10 marzo 2009.
La discrasia fra gli obiettivi ed i poteri conferiti dalla OPCM n. 3543 del 2006 al Commissario delegato ed i risultati pratici perseguiti ed ottenuti con l’ordinanza impugnata travalicherebbero notevolmente i limiti assegnati dalla delega, comportando un evidente vizio dell’atto per sviamento di potere.
Le ordinanze sarebbero anche carenti di una adeguata motivazione e non sarebbero comprensibili i criteri che hanno determinato l’identificazione delle zone dalle quali è stato bandito il divieto di manifestare con corteo e sono state relegate in appositi luoghi le “manifestazioni statiche”.
Violazione o falsa applicazione dell’art. 5 l. 225/1992 in relazione agli artt. 16, 17 e 21 Cost. Eccesso di potere per carenza di motivazione.
La mera considerazione della gravità dei fatti avvenuti alcuni giorni prima non autorizzerebbe a ritenere che sussista la certezza o anche solo la probabilità che episodi analoghi si ripetano in occasione di ogni tipo di manifestazione ed in modo reiterato nel tempo.
L’Avvocatura Generale dello Stato ha chiesto che sia valutata la legittimazione ad agire della Confederazione ricorrente
Il Comune di Roma Capitale ha eccepito la propria carenza di legittimazione passiva in quanto legittimato a stare in giudizio sarebbe solo il Sindaco, nella qualità di Commissario delegato ex lege 225/1992, sicché il ricorso sarebbe dovuto essere notificato solo a quest’ultimo presso l’Avvocatura Generale dello Stato. Ha altresì eccepito l’inammissibilità del ricorso per carenza di interesse con riferimento all’ordinanza commissariale del 17 ottobre 2011, la quale avrebbe già cessato i suoi effetti al momento della notificazione del ricorso.
Nel merito, le parti resistenti hanno contestato la fondatezza delle censure dedotte concludendo per il rigetto del ricorso.
All’udienza pubblica dell’11 gennaio 2012, la causa è stata trattenuta per la decisione.
DIRITTO
1 Il Collegio rileva in via preliminare che sussiste la legittimazione ad agire della Confederazione ricorrente.
La CGIL è notoriamente una delle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative a livello nazionale, così come la CGIL di Roma e del Lazio ha certamente una significativa rappresentatività a livello regionale e comunale.
L’organizzazione sindacale può qualificarsi come ente esponenziale di un interesse collettivo, e cioè dell’interesse dei lavoratori ad essa iscritti e dalla stessa rappresentati.
Di talché, quando l’organizzazione sindacale svolge la sua funzione, anche attraverso la promozione e l’organizzazione di scioperi, non manifesta una finalità personale, ma esprime e rappresenta l’interesse collettivo comune alla generalità dei lavoratori di cui è ente esponenziale.
Né può assumere rilievo quanto dedotto dall’Avvocatura Generale dello Stato in ordine all’individuazione, contenuta negli artt. 16 e 17 Cost., del singolo cittadino come unico titolare del diritto di riunione e del diritto di circolazione e ciò in quanto, già dall’entrata in vigore dello statuto dei lavoratori, si è diffusa la consapevolezza che la violazione dei diritti del singolo lavoratore integra anche violazione degli interessi della intera categoria, con la conseguente lesione di quegli interessi collettivi dei quali il Sindacato è ente esponenziale avendone fatto una delle proprie finalità primarie.
Per tali ragioni, l’organizzazione sindacale è senz’altro legittimata ad impugnare in sede giurisdizionale gli atti che incidono sulle modalità del diritto di riunione e di articolazione dello sciopero in modo ritenuto illegittimamente pregiudizievole.
2. L’eccezione di carenza di legittimazione passiva del Comune di Roma Capitale – in quanto legittimato a stare in giudizio sarebbe solo il Sindaco di Roma quale Commissario delegato con conseguente onere di notifica solo a quest’ultimo presso l’Avvocatura Generale dello Stato – è infondata e va respinta.
La giurisprudenza (cfr. Cons. St., VI, 12 novembre 2003, n. 7266), in proposito, ha evidenziato che il ricorso giurisdizionale avverso un provvedimento contingibile ed urgente, emesso dal Sindaco quale ufficiale di governo, va notificato al Comune (presso la sede municipale) e non nei confronti della struttura statale cui sono riferibili gli interessi coinvolti e, quindi, presso l’Avvocatura dello Stato, poiché:
l’art.1 del r.d. 30 ottobre 1933, n.1611 (modificato dall’art.1 della legge 25 marzo 1958, n.260, e reso espressamente applicabile ai giudizi amministrativi dall’art. 10, terzo comma, della l. 3 aprile 1979, n.103) attribuisce all’Avvocatura dello Stato la rappresentanza, il patrocinio e l’assistenza in giudizio delle “Amministrazioni dello Stato, anche se organizzate ad ordinamento autonomo”, e si riferisce alle Amministrazioni dello Stato nel senso proprio dell’espressione, ossia agli uffici o complessi di uffici facenti parte della struttura organica delle Amministrazioni statali;
quando il Sindaco, nell’adempimento delle sue funzioni, agisce quale ufficiale di governo, l’ordinamento disciplina un fenomeno di imputazione giuridica allo Stato degli effetti dell’atto dell’organo del Comune, nel senso che il Sindaco non diventa un “organo” di un’Amministrazione dello Stato, ma resta incardinato nel complesso organizzativo dell’ente locale, senza che il suo status sia modificato (Cons. St., IV, 28 marzo 1994, n. 291; Cons. St.,V, 27 novembre 1987, n.736; Cons. St.,V, 27 ottobre 1986, n.568; cfr. Trib. Sup. acque pubbliche, 19 maggio 2000, n.56);
l’esigenza che la notifica del ricorso giurisdizionale abbia luogo nei confronti del Sindaco presso la sede comunale è coerente con le caratteristiche del procedimento amministrativo che si conclude con l’atto sindacale, che è istruito, redatto ed emesso dagli uffici dell’Amministrazione comunale, alla quale compete anche di valutare, secondo le normali regole, il comportamento da tenere nel caso di impugnazione dell’atto in sede giurisdizionale (Cons. St., IV, 28 marzo 1994, n.291; Cons. ST., V, 27 ottobre 1986, n.568).
La legittimazione passiva del Comune di Roma Capitale, quindi, sussiste e, comunque, il ricorso è stato notificato al Sindaco di Roma quale Commissario delegato sia presso la sede municipale sia presso l’Avvocatura Generale dello Stato.
3. L’eccezione di inammissibilità del ricorso per carenza di interesse con riferimento all’impugnazione dell’ordinanza commissariale del 17 ottobre 2011 non può essere accolta.
Il ricorso è stato notificato dopo che il provvedimento ha esaurito i suoi effetti, ma, ad avviso del Collegio, ciò non determina l’inammissibilità del gravame.
Sulla base di un analogo ragionamento, infatti, occorrerebbe altresì dichiarare l’improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse con riferimento all’impugnata ordinanza del 18 novembre 2011, il cui dies ad quem è ormai spirato, essendo stato fissato al 31 dicembre 2011.
L’interesse al ricorso consiste in un vantaggio pratico e concreto, anche soltanto eventuale o morale, che può derivare al ricorrente dall’accoglimento dell’impugnativa.
Nel caso di specie, al di là dell’annullamento dei singoli atti impugnati, l’interesse sostanziale dedotto in giudizio dalla ricorrente è costituito, trattandosi di atti il cui contenuto precettivo è reiterabile, dall’evitare che atti di analogo contenuto siano posti in essere in futuro, sicché lo specifico interesse è connesso alla c.d. efficacia conformativa della sentenza, efficacia che, in caso di declaratoria di inammissibilità o improcedibilità del ricorso e, quindi, di sentenza in rito, non potrebbe mai venire in essere.
In altri termini, in ragione del fatto che il giudizio amministrativo, anche ove molto rapido, ha una sua fisiologica durata, la continua reiterazione di atti aventi un medesimo contenuto e volti a disciplinare lo stesso assetto di interessi, ognuno per un periodo limitato, se il relativo gravame fosse via via dichiarato inammissibile o improcedibile senza essere deciso nel merito, renderebbe impossibile esercitare il sindacato giurisdizionale sull’azione amministrativa con conseguente ed ingiustificabile vuoto di tutela nell’ordinamento.
In definitiva, l’ammissibilità, per quanto concerne l’impugnazione dell’ordinanza del 17 ottobre 2011, e la procedibilità, per quanto concerne l’impugnazione dell’ordinanza del 18 novembre 2011, dell’azione discendono dalla considerazione che l’utilità che la ricorrente intende ottenere dall’eventuale accoglimento del ricorso non è tanto o, comunque, non è solo l’annullamento degli atti impugnati, quanto l’efficacia conformativa del successivo esercizio del potere pubblico e, sotto tale profilo, non sussiste dubbio che la sentenza resa in ordine alla presente controversia possa essere idonea ad attribuire alla ricorrente tale utilità.
La funzione primaria ed essenziale del giudizio, infatti, è quella di attribuire alla parte che risulti vittoriosa l’utilità che le compete in base all’ordinamento sostanziale (Cons. St., VI, 10 maggio 2011, n. 2755).
Non a caso, l’effettività della tutela giurisdizionale dell’interesse legittimo deve essere qualificata come la capacità del processo di conseguire risultati nella sfera sostanziale, vale a dire di garantire la soddisfazione dell’interesse sostanziale dedotto in giudizio dal ricorrente la cui pretesa si sia rivelata fondata.
4. Nel merito, il ricorso è fondato e va di conseguenza accolto.
L’art. 5 l. 225/1992 dispone che, al verificarsi di calamità naturali, catastrofi o altri eventi che, per intensità ed estensione, debbano essere fronteggiati con mezzi e poteri straordinari, il Consiglio dei Ministri, su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri, ovvero, per sua delega, del Ministro per il coordinamento della protezione civile, delibera lo stato di emergenza, determinandone durata ed estensione territoriale in stretto riferimento alla qualità ed alla natura degli eventi. Per l’attuazione degli interventi di emergenza conseguenti alla dichiarazione dello stato di emergenza, si provvede anche a mezzo di ordinanze in deroga ad ogni disposizione vigente, e nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento giuridico. Il Presidente del Consiglio dei Ministri ovvero, per sua delega, il Ministro per il coordinamento della protezione civile, per l’attuazione degli interventi de quibus, può avvalersi di commissari delegati ed il relativo provvedimento di delega deve indicare il contenuto della delega dell’incarico, i tempi e le modalità del suo esercizio. Le ordinanze emanate in deroga alle leggi vigenti, inoltre, devono contenere l’indicazione delle principali norme a cui si intende derogare e devono essere motivate.
Il complesso normativo di cui alla l. 225/1992 si fonda essenzialmente su un criterio oggettivo, rappresentato dall’esistenza di una situazione che necessiti di interventi straordinari, indipendentemente dalla causa che l’abbia determinata e dall’eventualità che si tratti di una situazione già consolidatasi, quand’anche a carattere endemico, essendo ormai acquisito che il potere di ordinanza extra ordinem può essere legittimamente esercitato anche in presenza di una situazione di fatto da tempo insorta.
In sostanza, il fondamento dell’esercitabilità del potere extra ordinem è individuabile nell’oggettiva ricorrenza di una situazione di pericolo non fronteggiabile adeguatamente e tempestivamente con misure ordinarie.
La congestione della mobilità di una metropoli, ad esempio, può legittimamente assurgere a presupposto per la dichiarazione dello stato di emergenza e la nomina di commissario straordinario in quanto l’art. 2, lett. c), l. 225/1992 prevede, quali presupposti, anche “altri eventi”, oltre le calamità naturali, che per intensità ed estensione non possono essere fronteggiati con mezzi ordinari.
Il Presidente del Consiglio dei Ministri, ai sensi e per gli effetti dell’art. 5, co. 1, l. 225/1992, e sulla base delle motivazioni richiamate nella premessa, ha dichiarato, fino al 31 dicembre 2008, lo stato di emergenza per la situazione determinatasi nel settore del traffico e della mobilità nella città di Roma (lo stato di emergenza è stato prorogato fino al 31 dicembre 2011 con DPCM del 17 dicembre 2010).
La determinazione è stata assunta:
considerato che la situazione emergenziale in atto nella città di Roma, relativa al traffico ed alla mobilità, presenta peculiarità tali da condizionare negativamente la qualità della vita, le relazioni sociali ed economiche dei cittadini per i suoi riflessi indotti;
considerato, altresì, che il tessuto urbano della città di Roma, rappresentato da una estensione territoriale particolarmente ampia, e caratterizzato da una stratificazione di beni archeologici e dalla presenza di beni storico-architettonici, ha impedito la modernizzazione della rete stradale e dei sistemi di trasporto pubblico;
considerato, inoltre, che il livello di rischio per l’incolumità dei cittadini durante gli spostamenti giornalieri nella città di Roma, in particolare, ove maggiore e’ la concentrazione di edifici destinati allo svolgimento di attività istituzionali, ha raggiunto valori preoccupanti data l’elevata frequenza di incidenti stradali, e che la congestione del traffico veicolare causa ai cittadini gravi disturbi alla salute psico-fisica;
ritenuta la necessità di porre in essere iniziative urgenti per perseguire l’obiettivo di uno scorrimento veicolare veloce, indispensabile per consentire, tra l’altro, l’effettuazione delle attività di soccorso in ambito cittadino;
ritenuta, altresì, la inidoneità della rete di trasporto metropolitano ed il conseguente rischio incendi in caso di afflusso elevato di viaggiatori nelle stazioni metropolitane;
ritenuto che tale situazione emergenziale risulta essere maggiormente aggravata in concomitanza di «eventi» di rilevanza nazionale e mondiale in programma nella città di Roma e connessi al ruolo di capitale della Repubblica, di centro della Chiesa cattolica e di sede di importanti istituzioni internazionali;
ritenuto che, secondo la giurisprudenza del Consiglio di Stato – sez. IV, decisione n. 2361/2000, l’esistenza di una grave situazione di pericolo può realizzare quello stato di emergenza tale da richiedere la deliberazione del Consiglio dei Ministri, ai sensi dell’art. 5, co. 1, l. 225/1992;
considerato che le misure e gli interventi a tutt’oggi attuati, in via ordinaria, non hanno consentito il superamento delle problematiche emergenziali afferenti a specifici «fattori di rischio», connessi alla situazione del traffico cittadino, e che risulta necessario ed urgente predisporre e realizzare un programma di interventi di emergenza, che consenta un miglioramento significativo e rapido della situazione in atto e favorire il ripristino delle normali condizioni di vita.
Con successiva ordinanza n. 3543 del 26 settembre 2006, il Presidente del Consiglio dei Ministri, in relazione alla situazione di grave crisi derivante dalle complesse problematiche del traffico e della mobilità suscettibili di compromettere la qualità della vita della collettività interessata, ha nominato il Sindaco di Roma, fino al 31 dicembre 2008, commissario delegato per l’attuazione degli interventi volti a fronteggiare l’emergenza dichiarata nel territorio della Capitale (a seguito della proroga dello stato di emergenza sono stati prorogati anche i poteri conferiti al Commissario delegato).
In particolare, ha previsto che il commissario delegato, anche avvalendosi di uno o più soggetti attuatori, cui affidare specifici settori di intervento per materia o progetti determinati, sulla base di direttive di volta in volta impartite dal medesimo Commissario, provvede:
a) all’individuazione di misure efficaci per la disciplina del traffico, della viabilita’, del controllo della sosta e per il miglioramento della circolazione stradale, in particolare disponendo:
a1) per la realizzazione di parcheggi, aree pedonali, piste ciclo-pedonali, strade e corsie riservate al trasporto pubblico e zone a traffico limitato;
a2) per l’installazione di nuove tecnologie per il controllo della sosta e della mobilità, anche al di fuori delle zone a traffico limitato, finalizzate all’identificazione dei veicoli per l’irrogazione delle sanzioni amministrative, in deroga all’art. 1 del decreto del Presidente della Repubblica 22 giugno 1999, n. 250;
a3) per il potenziamento dell’efficacia operativa del Corpo di polizia municipale, stabilendo le misure organizzative ed impartendo le necessarie direttive operative indispensabili ad assicurarne l’ottimale utilizzazione ai fini della regolazione del traffico e della mobilità, anche in deroga agli articoli 4 e 7 della legge 7 marzo 1986, n. 65, agli articoli 42 e 48 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, all’art. 13 della legge regionale 14 gennaio 2005, n. 1 e attivando contratti di lavoro subordinato a tempo determinato in deroga agli articoli 35 e 36 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e limitatamente al personale del Corpo di polizia municipale all’art. 1, comma 198 della legge 23 dicembre 2005, n. 266, ricorrendo anche all’utilizzo delle graduatorie di concorso oltre i limiti di vigenza temporale per esse previsti, nel limite massimo di mille unità fermo restando, con riferimento al restante personale comunale non del corpo di polizia municipale, il rispetto dell’obbiettivo di economia di spesa fissato nell’art. 1, comma 198, della legge n. 266/2005;
a4) per il compimento delle attività conseguenti alla rimozione dei veicoli, di cui all’art. 159 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, secondo le procedure dettate dall’art. 103 dello stesso decreto legislativo e le disposizioni del decreto del Ministro dell’interno 22 ottobre 1999, n. 460, i cui termini sono comunque ridotti alla metà;
b) alla predisposizione di un apposito piano parcheggi recante la definizione urgente delle progettazioni e la successiva realizzazione di parcheggi pertinenziali, a rotazione, sostitutivi e di scambio, ovvero l’ampliamento e la riqualificazione di parcheggi già esistenti, consentendone l’acquisizione in diritto di superficie o comunque la disponibilità, anche a privati, se del caso in deroga al vincolo di pertinenzialità previsto dall’art. 9 della legge 24 marzo 1989, n. 122. A tal fine il commissario delegato acquisisce il parere dei municipi territorialmente competenti, da esprimersi entro 15 giorni, trascorsi i quali il parere si intende favorevolmente acquisito;
c) all’approvazione di un piano di interventi di riqualificazione delle infrastrutture viarie ed alla conseguente urgente realizzazione dei lavori, relativi, specificamente:
c1) alla rete viaria radiale e circolare della Capitale, anche in coerenza con gli interventi programmati sul trasporto collettivo, anche al fine di realizzare i «corridoi per la mobilità collettiva» previsti nel piano regolatore generale adottato dal consiglio comunale di Roma;
c2) ai nodi di interscambio facilmente accessibili dalle reti viarie in corrispondenza dei terminali delle linee di trasporto pubblico;
d) al potenziamento del trasporto pubblico locale, mediante l’esecuzione, in termini di somma urgenza, di opere integrative o complementari alle linee del trasporto rapido di massa già attive o in corso di realizzazione, delle opere suddette alle imprese gia’ operanti sulle stesse linee;
e) alla predisposizione, d’intesa con il Dipartimento della protezione civile della Presidenza del Consiglio dei Ministri e con il Dipartimento dei vigili del fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile del Ministero dell’interno, di uno studio di progettazione ed alla successiva realizzazione di un’elisuperfice al fine di fornire un adeguato supporto logistico ai mezzi impegnati nelle attività di soccorso.
Al fine di apprezzare la fondatezza delle censure dedotte dalla Confederazione ricorrente, il Collegio rileva in primo luogo che, ai sensi dell’art. 17 Cost., i cittadini hanno diritto di riunirsi pacificamente e senz’armi e che per le riunioni, anche in luogo aperto al pubblico, non è richiesto preavviso.
L’art. 17, co. 3, dispone poi che delle riunioni in luogo pubblico deve essere dato preavviso alle autorità, che possono vietarle soltanto per comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica.
La libertà di riunione costituisce un diritto della persona avente portata ed efficacia fondamentali e, al pari di ogni altro diritto di libertà, implica la possibilità di limiti e condizioni che lo disciplinano onde evitare che il suo esercizio possa avvenire in modo socialmente dannoso e pericoloso.
Ne consegue che limiti e condizioni a tale diritto di libertà possono essere dettati sono per tutelare valori aventi pari rango costituzionale, laddove se ne presenti concretamente ed effettivamente l’esigenza, da valutare caso per caso.
In ragione delle richiamate norme costituzionali, solo quando le riunioni si svolgono in un luogo pubblico i promotori devono darne preavviso, almeno tre giorni prima, all’autorità di pubblica sicurezza (il questore, ai sensi dell’art. 18 TULPS).
Pertanto, non occorre alcuna autorizzazione preventiva, mentre la ratio del preavviso va rinvenuta nel fatto che, svolgendosi la riunione in luogo pubblico, è necessario tutelare la sicurezza e l’incolumità pubbliche, sicché l’autorità di pubblica sicurezza può predisporre un servizio d’ordine ed intervenire, sciogliendo la riunione in corso, quando questa non si svolga più pacificamente, condizione alla quale, come detto, è subordinato l’esercizio del diritto di riunione.
L’autorità di pubblica sicurezza, inoltre, può vietare che una riunione in luogo pubblico si svolga quando esistono fondati e comprovati motivi per ritenere che, qualora si svolgesse, ne verrebbe nocumento alla sicurezza o all’incolumità pubblica.
Nella libertà di riunione deve essere fatta rientrare anche la libertà di corteo, atteso che il corteo può considerarsi una “riunione in movimento”.
Di talché, per la libertà di corteo vale la stessa disciplina dettata per la libertà di riunione dall’art. 17 Cost.
4.1 Così delineato il quadro normativo di riferimento, il Collegio ritiene in primo luogo che, attraverso le ordinanza impugnate, il Commissario delegato abbia travalicato i limiti assegnati dalla delega, per cui le stesse sono state emesse in carenza del relativo potere.
Lo stato di emergenza, infatti, è stato dichiarato “per la situazione determinatasi nel settore del traffico e della mobilità nella città di Roma” e, con ordinanza n. 3543 del 26 settembre 2006, il Presidente del Consiglio dei Ministri, “in relazione alla situazione di grave crisi derivante dalle complesse problematiche del traffico e della mobilità suscettibili di compromettere la qualità della vita della collettività interessata”, ha nominato il Sindaco di Roma commissario delegato per l’attuazione degli interventi volti a fronteggiare l’emergenza dichiarata nel territorio della Capitale.
In particolare, come già esposto, l’ordinanza presidenziale ha previsto che il commissario delegato, anche avvalendosi di uno o più soggetti attuatori, cui affidare specifici settori di intervento per materia o progetti determinati, sulla base di direttive di volta in volta impartite dal medesimo Commissario, provvede:
a) all’individuazione di misure efficaci per la disciplina del traffico, della viabilita’, del controllo della sosta e per il miglioramento della circolazione stradale;
b) alla predisposizione di un apposito piano parcheggi recante la definizione urgente delle progettazioni e la successiva realizzazione di parcheggi pertinenziali, a rotazione, sostitutivi e di scambio, ovvero l’ampliamento e la riqualificazione di parcheggi già esistenti, consentendone l’acquisizione in diritto di superficie o comunque la disponibilità, anche a privati, se del caso in deroga al vincolo di pertinenzialità previsto dall’art. 9 della legge 24 marzo 1989, n. 122;
c) all’approvazione di un piano di interventi di riqualificazione delle infrastrutture viarie ed alla conseguente urgente realizzazione dei lavori, relativi specificamente alla rete viaria radiale e circolare della Capitale ed ai nodi di interscambio facilmente accessibili dalle reti viarie in corrispondenza dei terminali delle linee di trasporto pubblico;
d) al potenziamento del trasporto pubblico locale, mediante l’esecuzione, in termini di somma urgenza, di opere integrative o complementari alle linee del trasporto rapido di massa già attive o in corso di realizzazione, delle opere suddette alle imprese già operanti sulle stesse linee;
e) alla predisposizione, d’intesa con il Dipartimento della protezione civile della Presidenza del Consiglio dei Ministri e con il Dipartimento dei vigili del fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile del Ministero dell’interno, di uno studio di progettazione ed alla successiva realizzazione di un’elisuperfice al fine di fornire un adeguato supporto logistico ai mezzi impegnati nelle attività di soccorso.
Va da sé che il contenuto delle ordinanze impugnate, di compressione della possibilità di svolgimento di manifestazioni pubbliche con formazione di corteo nel territorio ricadente nel I municipio della Città, si presenta eterogeneo rispetto alle finalità per le quali lo stato di emergenza è stato dichiarato e per le quali i poteri straordinari sono stati attribuiti.
Infatti, le funzioni attribuiti al Commissario delegato sono state analiticamente indicate nell’OPCM 3543/2006 e tra queste non può certo ricomprendersi l’attribuzione di poteri volti a regolamentare ed a limitare le modalità di svolgimento delle riunioni in un luogo pubblico, attraverso un contingentamento dei cortei e l’obbligo di tenere manifestazioni in forme statiche, e, d’altra parte, un limite alla libertà di corteo, costituzionalmente garantita, potrebbe essere introdotto solo a salvaguardia, volta per volta, di un interesse di pari rilievo costituzionale.
4.2 Le ordinanze impugnate, in ogni caso, violano il dettato di cui all’art. 17, co. 3, Cost. il quale, come evidenziato, dispone che delle riunioni in luogo pubblico deve essere dato preavviso alle autorità, che possono vietarle soltanto per comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica.
Pertanto, occorre innanzitutto ribadire che l’esercizio della libertà di riunione, nel cui perimetro rientra la libertà di corteo, non richiede alcuna preventiva autorizzazione dell’autorità di pubblica sicurezza, ma il solo preavviso, per cui un provvedimento amministrativo che intenda disciplinare ex ante le modalità di svolgimento delle riunioni in luogo pubblico, comprimendo incisivamente la libertà di formazione dei cortei, si presenta già di per sé illegittimo in quanto violativo della citata norma costituzionale.
In altri termini, una regola dettata in via generale ed astratta che incide drasticamente sulla libertà di riunione garantita dall’art. 17 Cost. è evidentemente violativa di tale norma costituzionale in quanto tende a sostituire al regime costituzionale di tendenziale libertà un regime amministrativo in cui alla valutazione da compiere “a valle”, circa la eventuale sussistenza di comprovati motivi che giustificano il divieto, subentra una valutazione compiuta “a monte” di incompatibilità tout court di determinante modalità di svolgimento delle riunioni in luogo pubblico.
Le riunioni in luogo pubblico, inoltre, possono essere vietate solo per comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica, o di ordine pubblico, di moralità o sanità pubblica, argomentando dal combinato disposto dell’art. 17, co. 3, Cost. e dell’art. 18, co. 4, TU leggi sulla pubblica sicurezza, e nell’esercizio del potere di veto, attribuito al Questore dall’art. 18 TULPS, è necessario indicare i “comprovati motivi”, vale a dire che occorre fornire una indicazione particolarmente rigorosa e coerente dei presupposti a base della determinazione adottata, proprio perché essa determina la compressione o addirittura il sacrificio di un diritto costituzionalmente garantito.
Va da sé, allora, che un provvedimento amministrativo, adottato peraltro al di fuori dei poteri straordinari attribuiti al Commissario, non può mai legittimamente imporre una volta e per tutte, vale a dire con valutazione ex ante che prescinde totalmente dalle indicazioni delle eventuali ragioni ostative relative alla singola manifestazione una volta ricevuto il preavviso della stessa, limitazioni o sacrifici al diritto di riunione in luogo pubblico ed alla libertà di corteo.
4.3 Infine, bisogna altresì rilevare che tali poteri sono attribuiti alle autorità di pubblica sicurezza, ed in particolare al Questore ai sensi dell’art. 18 TULPS, mentre il Commissario delegato ha inteso esercitarli nel caso di specie anche al di fuori di una espressa previsione di deroga a tali norme attributive della competenza.
In proposito, è necessario osservare su un piano generale che l’art. 5 l. 225/1992, nell’attribuire il potere di ordinanza in deroga alle leggi vigenti, determina un ribaltamento nella gerarchia delle fonti normative presenti nel nostro ordinamento, investendo l’autorità amministrativa del potere di derogare alla norma ordinaria, sia pure nel rispetto dei principi generali.
Ne consegue che l’art. 5 l. 225/1992 deve qualificarsi come norma eccezionale, che necessita di strettissima interpretazione, ed il potere di deroga della normativa primaria conferito alla autorità amministrativa è ammissibile subordinatamente non solo al carattere eccezionale e temporaneo della situazione, ma anche all’esigenza che i poteri degli organi amministrativi siano ben definiti nel contenuto, nei tempi e nelle modalità di esercizio.
Le norme che il Commissario delegato è stato autorizzato a derogare, quindi, sono solo e soltanto quelle espressamente indicate nell’OPCM n. 3543/2006 e – rilevato ancora in linea di principio che l’esercizio dei poteri derogatori di cui all’art. 5 l. 225/1992 necessita in ogni caso di congrua motivazione, da parte del Commissario delegato, con puntuale riferimento alle norme alle quali si intende derogare ed alle ragioni della deroga, non essendo sufficiente un mero richiamo ob relationem alle ordinanze presidenziali che hanno previsto la derogabilità di norme di legge – occorre sottolineare, da un lato, che l’art. 4 dell’OPCM n. 3543/2006 non ha autorizzato il Commissario delegato a derogare all’art. 18 TULPS (rd 773/1931) né ad altre norme attributive della competenza nella materia in discorso e, dall’altro, che il Commissario delegato non ha affatto indicato quali sono le norme alle quali ha inteso derogare..
5. La fondatezza delle censure esaminate, assorbite ulteriori doglianze, evidenzia che l’azione amministrativa sottoposta al presente scrutinio giurisdizionale è connotata da più profili di illegittimità, per cui il ricorso va accolto con conseguente annullamento degli atti impugnati.
6. Le spese seguono la soccombenza e, liquidate complessivamente in € 3.000,00 (tremila/00), sono poste a favore della ricorrente ed a carico, in parti uguali, del Comune di Roma Capitale e della Presidenza del Consiglio dei Ministri.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima) accoglie il ricorso in epigrafe e, per l’effetto, annulla gli atti impugnati.
Condanna, ciascuna per € 1.500,00, il Comune di Roma Capitale e la Presidenza del Consiglio dei Ministri al pagamento delle spese del giudizio, liquidate complessivamente in € 3.000,00, in favore della ricorrente.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 11 gennaio 2012 con l’intervento dei magistrati:
Giorgio Giovannini, Presidente
Roberto Politi, Consigliere
Roberto Caponigro, Consigliere, Estensore
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 13/02/2012
IL SEGRETARIO