REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 9697 del 2011, proposto da:
Cgil Confederazione Generale Italiana del
Lavoro di Roma e del Lazio, rappresentata e difesa dagli avv.ti
Vittorio Angiolini, Marco Cuniberti e Sergio Vacirca, con domicilio
eletto presso lo studio dell’avv. Sergio Vacirca in Roma, via Flaminia,
195
contro
Comune di Roma Capitale, rappresentato e
difeso dall’avv. Rosalda Rocchi, domiciliata presso l’Avvocatura
Capitolina in Roma, via Tempio di Giove, 21;
Sindaco di Roma quale Commissario
delegato ex OPCM 3543/2006, Presidenza del Consiglio dei Ministri,
Ministero dell’Interno, U.T.G. – Prefettura di Roma, Questura di Roma,
rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliati
per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per l’annullamento
dell’ordinanza n. 401 del 17.10.2011 del
Sindaco di Roma – Commissario Delegato ai sensi dell’OPCM n. 3543 del
28.9.2006, con la quale si dispone che “nel territorio ricadente nel I
Municipio della Città di Roma sia da considerare compatibile solo lo
svolgimento di manifestazioni pubbliche senza formazione di corteo (cd.
Manifestazioni statiche)” da tenersi solamente in determinate aree;
dell’ordinanza del 18.11.2011 (data di
pubblicazione sul sito internet del Comune) del Sindaco di Roma –
Commissario delegato ai sensi dell’OPCM n. 3543 del 28.9.2006, sempre
concernente la disciplina delle riunioni in luogo pubblico;
di ogni atto presupposto, conseguente o comunque connesso.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Avvocatura Generale dello Stato e del Comune di Roma Capitale;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno
11 gennaio 2012 il dott. Roberto Caponigro e uditi per le parti i
difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
FATTO
Con ordinanza del 17 ottobre 2011,
avente validità di trenta giorni, il Sindaco di Roma – Commissario
delegato ai sensi dell’OPCM n. 3543 del 26 settembre 2006, per le
esigenze indicate nelle premesse dell’atto, ha disposto che nel
territorio ricadente nel I Municipio della Città di Roma sia da
considerare compatibile solo lo svolgimento di manifestazioni pubbliche
senza formazione di corteo (cd. manifestazioni statiche) da tenersi
nelle seguenti aree:
Piazza Bocca della Verità – Piazza Santi
Apostoli – Piazza della Repubblica – Circo Massimo – Piazza Farnese –
Piazza S. Giovanni – Piazza del Popolo – Sedi istituzionali, secondo le
prescrizioni della Questura di Roma.
Con successiva ordinanza del 18 novembre
2011, avente validità sino al 31 dicembre 2011, il Sindaco di Roma –
Commissario delegato ai sensi dell’OPCM n. 3543 del 26 settembre 2006 ha
disposto che, per esigenze di traffico e viabilità, nel territorio
ricadente nel I Municipio della Città di Roma, sono da considerare
compatibili le seguenti manifestazioni pubbliche: a) manifestazioni
statiche da tenersi nelle seguenti aree: Piazza Bocca della Verità –
Piazza Santi Apostoli – Piazza della Repubblica – Circo Massimo – Piazza
Farnese – Piazza S. Giovanni – Piazza del Popolo – Sedi istituzionali,
secondo le prescrizioni della Questura di Roma; b) grandi manifestazioni
con formazione di corteo, limitatamente ad alcune modalità concorrenti,
quali lo svolgimento nella giornata del sabato e lungo uno dei cinque
itinerari predeterminati anch’essi stabiliti nella detta ordinanza.
Di talché, la Confederazione ricorrente ha proposto il presente ricorso, articolato nei seguenti motivi:
Violazione e falsa applicazione
dell’art. 17 Cost. e dei “principi generali dell’ordinamento giuridico”,
in relazione all’art. 18 r.d. 773/1931, anche in relazione alla
direttiva del Ministro dell’Interno per le manifestazioni nei centri
urbani e nelle aree sensibili del 26 gennaio 2009. Eccesso di potere ed
incompetenza.
L’amministrazione, anche nell’esercizio
di poteri di ordinanza contingibili ed urgenti, dovrebbe osservare
regole e principi costituzionali, oltre che i principi generali
dell’ordinamento giuridico, mentre gli atti impugnati violerebbero
regole e principi iscritti, quanto al diritto di riunirsi dei cittadini,
nell’art. 17 Cost.
In particolare, le riunioni in luogo
pubblico non sarebbero soggette ad autorizzazione ma solo a “preavviso”
ed a quest’ultimo potrebbe seguire il divieto o la limitazione della
riunione in luogo pubblico solo per motivi di sicurezza ed incolumità
pubblica “comprovati”, e cioè attestati da fatti e comportamenti
inequivoci e verificabili.
In tale logica sarebbe stato inteso
anche l’art. 18 del Tulps e, con l’atto prefettizio di
autoregolamentazione del 10 marzo 2009 nel “protocollo per la disciplina
delle manifestazioni di piazza”, stipulato tra gli altri dalle maggiori
associazioni sindacali, si sarebbe dato solo un orientamento per meglio
conciliare il diritto di riunirsi con le esigenze pubblicistiche, senza
pregiudicare l’esito dei poteri da esercitarsi dalla competente
autorità per ogni singola riunione a seguito di “preavviso”.
Con le ordinanze impugnate, il Sindaco
di Roma avrebbe posto prescrizioni astratte, travolgendo l’intesa per
l’autoregolamentazione del 10 marzo 2009.
Con il potere di ordinanza, il Sindaco
vorrebbe ribaltare il principio fissato dall’art. 17 Cost. nel suo
esatto contrario, vale a dire nel principio per cui la riunione può
esserci solo se, quando e dove l’Autorità la autorizza.
Violazione o falsa applicazione
dell’art. 5 l. 225/1992, anche in relazione all’obbligo di motivazione
della l. 241/1990. Incompetenza, eccesso e sviamento di potere,
manifesta illogicità e irragionevolezza.
Le ordinanze impugnate, adottate dal
Commissario delegato ai sensi dell’art. 5 l. 225/1992, non
menzionerebbero le norme che intendono derogare, laddove l’indicazione
delle norme di legge che si intendono derogare è prevista dal quinto
comma dell’art. 5 al fine di garantire il controllo di uno stretto nesso
di strumentalità fra il potere di deroga conferito e l’attuazione degli
interventi.
D’altra parte, tra le norme da derogare
avrebbero dovuto essere menzionate anzitutto quelle di cui all’art. 17
Cost. e all’art. 18 r.d. 773/1931, per cui sarebbe risultato di ancora
più eclatante evidenza l’esercizio abnorme ed illegittimo dei poteri
conferiti al Commissario delegato, contro la Costituzione ed i principi
generali dell’ordinamento giuridico.
Violazione o falsa applicazione
dell’art. 5 l. 225/1992, degli artt. 18, 19, 20, 21, 22, 23 e 24 TULPS,
dell’art. 16 Cost. Difetto di competenza. Eccesso di potere.
Contraddizione con altro provvedimento dell’amministrazione, anche con
riferimento alla direttiva del Ministro dell’Interno del 26 gennaio
2009, al protocollo di intesa della Prefettura di Roma del 10 marzo 2009
e alla OPCM n. 3543 del 2006. Incompetenza, eccesso e sviamento di
potere.
La dichiarazione dello stato di
emergenza per la città di Roma, di cui al DPCM 4 agosto 2006, e
l’ordinanza della Presidenza del Consiglio n. 3543 del 2006, con cui è
stato nominato il Commissario per l’emergenza del traffico e della
mobilità, non attribuirebbero al Sindaco di Roma alcun potere di
limitare o vietare le manifestazioni.
La facoltà di deroga a norme di legge
connessa ai conferiti poteri straordinari del Commissario non
comprenderebbe la regolamentazione delle manifestazioni pubbliche, per
cui le ordinanze impugnate, che vietano la formazione di cortei e
“manifestazioni statiche” fuori dagli spazi e modi prescritti, per
determinate zone cittadine di primaria importanza, esorbiterebbero dalle
competenze del Sindaco quale organo delegato per l’emergenza.
In linea generale, apparterrebbero al
Questore, e comunque alla Prefettura e al Ministero dell’Interno, e non
al Sindaco, le eccezionali facoltà di limitazione del diritto dei
cittadini di riunirsi nei luoghi pubblici e, in ossequio a tale
previsione normativa, il Ministero dell’Interno avrebbe adottato la
direttiva del 26 gennaio 2009 indirizzata a Prefetti e Questori. In
contrasto con il protocollo prefettizio e con modalità totalmente
differenti e restrittive rispetto allo stesso, le ordinanze impugnate
disporrebbero il divieto generalizzato per tutte le manifestazioni nelle
aree indicate del I Municipio per mesi e mesi; solo in via di eccezione
e per taluni luoghi tassativamente indicati si ammetterebbero
manifestazioni statiche alle quali, con l’ordinanza del 18 novembre
2011, si sarebbe aggiunta l’ammissibilità delle sole grandi
manifestazioni con corteo, solo per la giornata del sabato e solo per
itinerari predeterminati.
Violazione o falsa applicazione
dell’art. 5 l. 225/1992, Carenza di presupposti. Eccesso di potere;
sviamento dalla causa tipica, motivazione carente ed irragionevole.
Travisamento dei fatti e difetto di istruttoria. Contraddizione con il
Protocollo della Prefettura del 10 marzo 2009.
La discrasia fra gli obiettivi ed i
poteri conferiti dalla OPCM n. 3543 del 2006 al Commissario delegato ed i
risultati pratici perseguiti ed ottenuti con l’ordinanza impugnata
travalicherebbero notevolmente i limiti assegnati dalla delega,
comportando un evidente vizio dell’atto per sviamento di potere.
Le ordinanze sarebbero anche carenti di
una adeguata motivazione e non sarebbero comprensibili i criteri che
hanno determinato l’identificazione delle zone dalle quali è stato
bandito il divieto di manifestare con corteo e sono state relegate in
appositi luoghi le “manifestazioni statiche”.
Violazione o falsa applicazione
dell’art. 5 l. 225/1992 in relazione agli artt. 16, 17 e 21 Cost.
Eccesso di potere per carenza di motivazione.
La mera considerazione della gravità dei
fatti avvenuti alcuni giorni prima non autorizzerebbe a ritenere che
sussista la certezza o anche solo la probabilità che episodi analoghi si
ripetano in occasione di ogni tipo di manifestazione ed in modo
reiterato nel tempo.
L’Avvocatura Generale dello Stato ha chiesto che sia valutata la legittimazione ad agire della Confederazione ricorrente
Il Comune di Roma Capitale ha eccepito
la propria carenza di legittimazione passiva in quanto legittimato a
stare in giudizio sarebbe solo il Sindaco, nella qualità di Commissario
delegato ex lege 225/1992, sicché il ricorso sarebbe dovuto essere
notificato solo a quest’ultimo presso l’Avvocatura Generale dello Stato.
Ha altresì eccepito l’inammissibilità del ricorso per carenza di
interesse con riferimento all’ordinanza commissariale del 17 ottobre
2011, la quale avrebbe già cessato i suoi effetti al momento della
notificazione del ricorso.
Nel merito, le parti resistenti hanno contestato la fondatezza delle censure dedotte concludendo per il rigetto del ricorso.
All’udienza pubblica dell’11 gennaio 2012, la causa è stata trattenuta per la decisione.
DIRITTO
1 Il Collegio rileva in via preliminare che sussiste la legittimazione ad agire della Confederazione ricorrente.
La CGIL è notoriamente una delle
organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative a livello
nazionale, così come la CGIL di Roma e del Lazio ha certamente una
significativa rappresentatività a livello regionale e comunale.
L’organizzazione sindacale può
qualificarsi come ente esponenziale di un interesse collettivo, e cioè
dell’interesse dei lavoratori ad essa iscritti e dalla stessa
rappresentati.
Di talché, quando l’organizzazione
sindacale svolge la sua funzione, anche attraverso la promozione e
l’organizzazione di scioperi, non manifesta una finalità personale, ma
esprime e rappresenta l’interesse collettivo comune alla generalità dei
lavoratori di cui è ente esponenziale.
Né può assumere rilievo quanto dedotto
dall’Avvocatura Generale dello Stato in ordine all’individuazione,
contenuta negli artt. 16 e 17 Cost., del singolo cittadino come unico
titolare del diritto di riunione e del diritto di circolazione e ciò in
quanto, già dall’entrata in vigore dello statuto dei lavoratori, si è
diffusa la consapevolezza che la violazione dei diritti del singolo
lavoratore integra anche violazione degli interessi della intera
categoria, con la conseguente lesione di quegli interessi collettivi dei
quali il Sindacato è ente esponenziale avendone fatto una delle proprie
finalità primarie.
Per tali ragioni, l’organizzazione
sindacale è senz’altro legittimata ad impugnare in sede giurisdizionale
gli atti che incidono sulle modalità del diritto di riunione e di
articolazione dello sciopero in modo ritenuto illegittimamente
pregiudizievole.
2. L’eccezione di carenza di
legittimazione passiva del Comune di Roma Capitale – in quanto
legittimato a stare in giudizio sarebbe solo il Sindaco di Roma quale
Commissario delegato con conseguente onere di notifica solo a
quest’ultimo presso l’Avvocatura Generale dello Stato – è infondata e va
respinta.
La giurisprudenza (cfr. Cons. St., VI,
12 novembre 2003, n. 7266), in proposito, ha evidenziato che il ricorso
giurisdizionale avverso un provvedimento contingibile ed urgente, emesso
dal Sindaco quale ufficiale di governo, va notificato al Comune (presso
la sede municipale) e non nei confronti della struttura statale cui
sono riferibili gli interessi coinvolti e, quindi, presso l’Avvocatura
dello Stato, poiché:
l’art.1 del r.d. 30 ottobre 1933, n.1611
(modificato dall’art.1 della legge 25 marzo 1958, n.260, e reso
espressamente applicabile ai giudizi amministrativi dall’art. 10, terzo
comma, della l. 3 aprile 1979, n.103) attribuisce all’Avvocatura dello
Stato la rappresentanza, il patrocinio e l’assistenza in giudizio delle
“Amministrazioni dello Stato, anche se organizzate ad ordinamento
autonomo”, e si riferisce alle Amministrazioni dello Stato nel senso
proprio dell’espressione, ossia agli uffici o complessi di uffici
facenti parte della struttura organica delle Amministrazioni statali;
quando il Sindaco, nell’adempimento
delle sue funzioni, agisce quale ufficiale di governo, l’ordinamento
disciplina un fenomeno di imputazione giuridica allo Stato degli effetti
dell’atto dell’organo del Comune, nel senso che il Sindaco non diventa
un “organo” di un’Amministrazione dello Stato, ma resta incardinato nel
complesso organizzativo dell’ente locale, senza che il suo status sia
modificato (Cons. St., IV, 28 marzo 1994, n. 291; Cons. St.,V, 27
novembre 1987, n.736; Cons. St.,V, 27 ottobre 1986, n.568; cfr. Trib.
Sup. acque pubbliche, 19 maggio 2000, n.56);
l’esigenza che la notifica del ricorso
giurisdizionale abbia luogo nei confronti del Sindaco presso la sede
comunale è coerente con le caratteristiche del procedimento
amministrativo che si conclude con l’atto sindacale, che è istruito,
redatto ed emesso dagli uffici dell’Amministrazione comunale, alla quale
compete anche di valutare, secondo le normali regole, il comportamento
da tenere nel caso di impugnazione dell’atto in sede giurisdizionale
(Cons. St., IV, 28 marzo 1994, n.291; Cons. ST., V, 27 ottobre 1986,
n.568).
La legittimazione passiva del Comune di
Roma Capitale, quindi, sussiste e, comunque, il ricorso è stato
notificato al Sindaco di Roma quale Commissario delegato sia presso la
sede municipale sia presso l’Avvocatura Generale dello Stato.
3. L’eccezione di inammissibilità del
ricorso per carenza di interesse con riferimento all’impugnazione
dell’ordinanza commissariale del 17 ottobre 2011 non può essere accolta.
Il ricorso è stato notificato dopo che
il provvedimento ha esaurito i suoi effetti, ma, ad avviso del Collegio,
ciò non determina l’inammissibilità del gravame.
Sulla base di un analogo ragionamento,
infatti, occorrerebbe altresì dichiarare l’improcedibilità del ricorso
per sopravvenuta carenza di interesse con riferimento all’impugnata
ordinanza del 18 novembre 2011, il cui dies ad quem è ormai spirato,
essendo stato fissato al 31 dicembre 2011.
L’interesse al ricorso consiste in un
vantaggio pratico e concreto, anche soltanto eventuale o morale, che può
derivare al ricorrente dall’accoglimento dell’impugnativa.
Nel caso di specie, al di là
dell’annullamento dei singoli atti impugnati, l’interesse sostanziale
dedotto in giudizio dalla ricorrente è costituito, trattandosi di atti
il cui contenuto precettivo è reiterabile, dall’evitare che atti di
analogo contenuto siano posti in essere in futuro, sicché lo specifico
interesse è connesso alla c.d. efficacia conformativa della sentenza,
efficacia che, in caso di declaratoria di inammissibilità o
improcedibilità del ricorso e, quindi, di sentenza in rito, non potrebbe
mai venire in essere.
In altri termini, in ragione del fatto
che il giudizio amministrativo, anche ove molto rapido, ha una sua
fisiologica durata, la continua reiterazione di atti aventi un medesimo
contenuto e volti a disciplinare lo stesso assetto di interessi, ognuno
per un periodo limitato, se il relativo gravame fosse via via dichiarato
inammissibile o improcedibile senza essere deciso nel merito,
renderebbe impossibile esercitare il sindacato giurisdizionale
sull’azione amministrativa con conseguente ed ingiustificabile vuoto di
tutela nell’ordinamento.
In definitiva, l’ammissibilità, per
quanto concerne l’impugnazione dell’ordinanza del 17 ottobre 2011, e la
procedibilità, per quanto concerne l’impugnazione dell’ordinanza del 18
novembre 2011, dell’azione discendono dalla considerazione che l’utilità
che la ricorrente intende ottenere dall’eventuale accoglimento del
ricorso non è tanto o, comunque, non è solo l’annullamento degli atti
impugnati, quanto l’efficacia conformativa del successivo esercizio del
potere pubblico e, sotto tale profilo, non sussiste dubbio che la
sentenza resa in ordine alla presente controversia possa essere idonea
ad attribuire alla ricorrente tale utilità.
La funzione primaria ed essenziale del
giudizio, infatti, è quella di attribuire alla parte che risulti
vittoriosa l’utilità che le compete in base all’ordinamento sostanziale
(Cons. St., VI, 10 maggio 2011, n. 2755).
Non a caso, l’effettività della tutela
giurisdizionale dell’interesse legittimo deve essere qualificata come la
capacità del processo di conseguire risultati nella sfera sostanziale,
vale a dire di garantire la soddisfazione dell’interesse sostanziale
dedotto in giudizio dal ricorrente la cui pretesa si sia rivelata
fondata.
4. Nel merito, il ricorso è fondato e va di conseguenza accolto.
L’art. 5 l. 225/1992 dispone che, al
verificarsi di calamità naturali, catastrofi o altri eventi che, per
intensità ed estensione, debbano essere fronteggiati con mezzi e poteri
straordinari, il Consiglio dei Ministri, su proposta del Presidente del
Consiglio dei Ministri, ovvero, per sua delega, del Ministro per il
coordinamento della protezione civile, delibera lo stato di emergenza,
determinandone durata ed estensione territoriale in stretto riferimento
alla qualità ed alla natura degli eventi. Per l’attuazione degli
interventi di emergenza conseguenti alla dichiarazione dello stato di
emergenza, si provvede anche a mezzo di ordinanze in deroga ad ogni
disposizione vigente, e nel rispetto dei principi generali
dell’ordinamento giuridico. Il Presidente del Consiglio dei Ministri
ovvero, per sua delega, il Ministro per il coordinamento della
protezione civile, per l’attuazione degli interventi de quibus, può
avvalersi di commissari delegati ed il relativo provvedimento di delega
deve indicare il contenuto della delega dell’incarico, i tempi e le
modalità del suo esercizio. Le ordinanze emanate in deroga alle leggi
vigenti, inoltre, devono contenere l’indicazione delle principali norme a
cui si intende derogare e devono essere motivate.
Il complesso normativo di cui alla l.
225/1992 si fonda essenzialmente su un criterio oggettivo, rappresentato
dall’esistenza di una situazione che necessiti di interventi
straordinari, indipendentemente dalla causa che l’abbia determinata e
dall’eventualità che si tratti di una situazione già consolidatasi,
quand’anche a carattere endemico, essendo ormai acquisito che il potere
di ordinanza extra ordinem può essere legittimamente esercitato anche in
presenza di una situazione di fatto da tempo insorta.
In sostanza, il fondamento
dell’esercitabilità del potere extra ordinem è individuabile
nell’oggettiva ricorrenza di una situazione di pericolo non
fronteggiabile adeguatamente e tempestivamente con misure ordinarie.
La congestione della mobilità di una
metropoli, ad esempio, può legittimamente assurgere a presupposto per la
dichiarazione dello stato di emergenza e la nomina di commissario
straordinario in quanto l’art. 2, lett. c), l. 225/1992 prevede, quali
presupposti, anche “altri eventi”, oltre le calamità naturali, che per
intensità ed estensione non possono essere fronteggiati con mezzi
ordinari.
Il Presidente del Consiglio dei
Ministri, ai sensi e per gli effetti dell’art. 5, co. 1, l. 225/1992, e
sulla base delle motivazioni richiamate nella premessa, ha dichiarato,
fino al 31 dicembre 2008, lo stato di emergenza per la situazione
determinatasi nel settore del traffico e della mobilità nella città di
Roma (lo stato di emergenza è stato prorogato fino al 31 dicembre 2011
con DPCM del 17 dicembre 2010).
La determinazione è stata assunta:
considerato che la situazione
emergenziale in atto nella città di Roma, relativa al traffico ed alla
mobilità, presenta peculiarità tali da condizionare negativamente la
qualità della vita, le relazioni sociali ed economiche dei cittadini per
i suoi riflessi indotti;
considerato, altresì, che il tessuto
urbano della città di Roma, rappresentato da una estensione territoriale
particolarmente ampia, e caratterizzato da una stratificazione di beni
archeologici e dalla presenza di beni storico-architettonici, ha
impedito la modernizzazione della rete stradale e dei sistemi di
trasporto pubblico;
considerato, inoltre, che il livello di
rischio per l’incolumità dei cittadini durante gli spostamenti
giornalieri nella città di Roma, in particolare, ove maggiore e’ la
concentrazione di edifici destinati allo svolgimento di attività
istituzionali, ha raggiunto valori preoccupanti data l’elevata frequenza
di incidenti stradali, e che la congestione del traffico veicolare
causa ai cittadini gravi disturbi alla salute psico-fisica;
ritenuta la necessità di porre in essere
iniziative urgenti per perseguire l’obiettivo di uno scorrimento
veicolare veloce, indispensabile per consentire, tra l’altro,
l’effettuazione delle attività di soccorso in ambito cittadino;
ritenuta, altresì, la inidoneità della
rete di trasporto metropolitano ed il conseguente rischio incendi in
caso di afflusso elevato di viaggiatori nelle stazioni metropolitane;
ritenuto che tale situazione
emergenziale risulta essere maggiormente aggravata in concomitanza di
«eventi» di rilevanza nazionale e mondiale in programma nella città di
Roma e connessi al ruolo di capitale della Repubblica, di centro della
Chiesa cattolica e di sede di importanti istituzioni internazionali;
ritenuto che, secondo la giurisprudenza
del Consiglio di Stato – sez. IV, decisione n. 2361/2000, l’esistenza di
una grave situazione di pericolo può realizzare quello stato di
emergenza tale da richiedere la deliberazione del Consiglio dei
Ministri, ai sensi dell’art. 5, co. 1, l. 225/1992;
considerato che le misure e gli
interventi a tutt’oggi attuati, in via ordinaria, non hanno consentito
il superamento delle problematiche emergenziali afferenti a specifici
«fattori di rischio», connessi alla situazione del traffico cittadino, e
che risulta necessario ed urgente predisporre e realizzare un programma
di interventi di emergenza, che consenta un miglioramento significativo
e rapido della situazione in atto e favorire il ripristino delle
normali condizioni di vita.
Con successiva ordinanza n. 3543 del 26
settembre 2006, il Presidente del Consiglio dei Ministri, in relazione
alla situazione di grave crisi derivante dalle complesse problematiche
del traffico e della mobilità suscettibili di compromettere la qualità
della vita della collettività interessata, ha nominato il Sindaco di
Roma, fino al 31 dicembre 2008, commissario delegato per l’attuazione
degli interventi volti a fronteggiare l’emergenza dichiarata nel
territorio della Capitale (a seguito della proroga dello stato di
emergenza sono stati prorogati anche i poteri conferiti al Commissario
delegato).
In particolare, ha previsto che il
commissario delegato, anche avvalendosi di uno o più soggetti attuatori,
cui affidare specifici settori di intervento per materia o progetti
determinati, sulla base di direttive di volta in volta impartite dal
medesimo Commissario, provvede:
a) all’individuazione di misure efficaci
per la disciplina del traffico, della viabilita’, del controllo della
sosta e per il miglioramento della circolazione stradale, in particolare
disponendo:
a1) per la realizzazione di parcheggi,
aree pedonali, piste ciclo-pedonali, strade e corsie riservate al
trasporto pubblico e zone a traffico limitato;
a2) per l’installazione di nuove
tecnologie per il controllo della sosta e della mobilità, anche al di
fuori delle zone a traffico limitato, finalizzate all’identificazione
dei veicoli per l’irrogazione delle sanzioni amministrative, in deroga
all’art. 1 del decreto del Presidente della Repubblica 22 giugno 1999,
n. 250;
a3) per il potenziamento dell’efficacia
operativa del Corpo di polizia municipale, stabilendo le misure
organizzative ed impartendo le necessarie direttive operative
indispensabili ad assicurarne l’ottimale utilizzazione ai fini della
regolazione del traffico e della mobilità, anche in deroga agli articoli
4 e 7 della legge 7 marzo 1986, n. 65, agli articoli 42 e 48 del
decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, all’art. 13 della legge
regionale 14 gennaio 2005, n. 1 e attivando contratti di lavoro
subordinato a tempo determinato in deroga agli articoli 35 e 36 del
decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e limitatamente al personale
del Corpo di polizia municipale all’art. 1, comma 198 della legge 23
dicembre 2005, n. 266, ricorrendo anche all’utilizzo delle graduatorie
di concorso oltre i limiti di vigenza temporale per esse previsti, nel
limite massimo di mille unità fermo restando, con riferimento al
restante personale comunale non del corpo di polizia municipale, il
rispetto dell’obbiettivo di economia di spesa fissato nell’art. 1, comma
198, della legge n. 266/2005;
a4) per il compimento delle attività
conseguenti alla rimozione dei veicoli, di cui all’art. 159 del decreto
legislativo 30 aprile 1992, n. 285, secondo le procedure dettate
dall’art. 103 dello stesso decreto legislativo e le disposizioni del
decreto del Ministro dell’interno 22 ottobre 1999, n. 460, i cui termini
sono comunque ridotti alla metà;
b) alla predisposizione di un apposito
piano parcheggi recante la definizione urgente delle progettazioni e la
successiva realizzazione di parcheggi pertinenziali, a rotazione,
sostitutivi e di scambio, ovvero l’ampliamento e la riqualificazione di
parcheggi già esistenti, consentendone l’acquisizione in diritto di
superficie o comunque la disponibilità, anche a privati, se del caso in
deroga al vincolo di pertinenzialità previsto dall’art. 9 della legge 24
marzo 1989, n. 122. A tal fine il commissario delegato acquisisce il
parere dei municipi territorialmente competenti, da esprimersi entro 15
giorni, trascorsi i quali il parere si intende favorevolmente acquisito;
c) all’approvazione di un piano di
interventi di riqualificazione delle infrastrutture viarie ed alla
conseguente urgente realizzazione dei lavori, relativi, specificamente:
c1) alla rete viaria radiale e circolare
della Capitale, anche in coerenza con gli interventi programmati sul
trasporto collettivo, anche al fine di realizzare i «corridoi per la
mobilità collettiva» previsti nel piano regolatore generale adottato dal
consiglio comunale di Roma;
c2) ai nodi di interscambio facilmente
accessibili dalle reti viarie in corrispondenza dei terminali delle
linee di trasporto pubblico;
d) al potenziamento del trasporto
pubblico locale, mediante l’esecuzione, in termini di somma urgenza, di
opere integrative o complementari alle linee del trasporto rapido di
massa già attive o in corso di realizzazione, delle opere suddette alle
imprese gia’ operanti sulle stesse linee;
e) alla predisposizione, d’intesa con il
Dipartimento della protezione civile della Presidenza del Consiglio dei
Ministri e con il Dipartimento dei vigili del fuoco, del soccorso
pubblico e della difesa civile del Ministero dell’interno, di uno studio
di progettazione ed alla successiva realizzazione di un’elisuperfice al
fine di fornire un adeguato supporto logistico ai mezzi impegnati nelle
attività di soccorso.
Al fine di apprezzare la fondatezza
delle censure dedotte dalla Confederazione ricorrente, il Collegio
rileva in primo luogo che, ai sensi dell’art. 17 Cost., i cittadini
hanno diritto di riunirsi pacificamente e senz’armi e che per le
riunioni, anche in luogo aperto al pubblico, non è richiesto preavviso.
L’art. 17, co. 3, dispone poi che delle
riunioni in luogo pubblico deve essere dato preavviso alle autorità, che
possono vietarle soltanto per comprovati motivi di sicurezza o di
incolumità pubblica.
La libertà di riunione costituisce un
diritto della persona avente portata ed efficacia fondamentali e, al
pari di ogni altro diritto di libertà, implica la possibilità di limiti e
condizioni che lo disciplinano onde evitare che il suo esercizio possa
avvenire in modo socialmente dannoso e pericoloso.
Ne consegue che limiti e condizioni a
tale diritto di libertà possono essere dettati sono per tutelare valori
aventi pari rango costituzionale, laddove se ne presenti concretamente
ed effettivamente l’esigenza, da valutare caso per caso.
In ragione delle richiamate norme
costituzionali, solo quando le riunioni si svolgono in un luogo pubblico
i promotori devono darne preavviso, almeno tre giorni prima,
all’autorità di pubblica sicurezza (il questore, ai sensi dell’art. 18
TULPS).
Pertanto, non occorre alcuna
autorizzazione preventiva, mentre la ratio del preavviso va rinvenuta
nel fatto che, svolgendosi la riunione in luogo pubblico, è necessario
tutelare la sicurezza e l’incolumità pubbliche, sicché l’autorità di
pubblica sicurezza può predisporre un servizio d’ordine ed intervenire,
sciogliendo la riunione in corso, quando questa non si svolga più
pacificamente, condizione alla quale, come detto, è subordinato
l’esercizio del diritto di riunione.
L’autorità di pubblica sicurezza,
inoltre, può vietare che una riunione in luogo pubblico si svolga quando
esistono fondati e comprovati motivi per ritenere che, qualora si
svolgesse, ne verrebbe nocumento alla sicurezza o all’incolumità
pubblica.
Nella libertà di riunione deve essere
fatta rientrare anche la libertà di corteo, atteso che il corteo può
considerarsi una “riunione in movimento”.
Di talché, per la libertà di corteo vale la stessa disciplina dettata per la libertà di riunione dall’art. 17 Cost.
4.1 Così delineato il quadro normativo
di riferimento, il Collegio ritiene in primo luogo che, attraverso le
ordinanza impugnate, il Commissario delegato abbia travalicato i limiti
assegnati dalla delega, per cui le stesse sono state emesse in carenza
del relativo potere.
Lo stato di emergenza, infatti, è stato
dichiarato “per la situazione determinatasi nel settore del traffico e
della mobilità nella città di Roma” e, con ordinanza n. 3543 del 26
settembre 2006, il Presidente del Consiglio dei Ministri, “in relazione
alla situazione di grave crisi derivante dalle complesse problematiche
del traffico e della mobilità suscettibili di compromettere la qualità
della vita della collettività interessata”, ha nominato il Sindaco di
Roma commissario delegato per l’attuazione degli interventi volti a
fronteggiare l’emergenza dichiarata nel territorio della Capitale.
In particolare, come già esposto,
l’ordinanza presidenziale ha previsto che il commissario delegato, anche
avvalendosi di uno o più soggetti attuatori, cui affidare specifici
settori di intervento per materia o progetti determinati, sulla base di
direttive di volta in volta impartite dal medesimo Commissario,
provvede:
a) all’individuazione di misure efficaci
per la disciplina del traffico, della viabilita’, del controllo della
sosta e per il miglioramento della circolazione stradale;
b) alla predisposizione di un apposito
piano parcheggi recante la definizione urgente delle progettazioni e la
successiva realizzazione di parcheggi pertinenziali, a rotazione,
sostitutivi e di scambio, ovvero l’ampliamento e la riqualificazione di
parcheggi già esistenti, consentendone l’acquisizione in diritto di
superficie o comunque la disponibilità, anche a privati, se del caso in
deroga al vincolo di pertinenzialità previsto dall’art. 9 della legge 24
marzo 1989, n. 122;
c) all’approvazione di un piano di
interventi di riqualificazione delle infrastrutture viarie ed alla
conseguente urgente realizzazione dei lavori, relativi specificamente
alla rete viaria radiale e circolare della Capitale ed ai nodi di
interscambio facilmente accessibili dalle reti viarie in corrispondenza
dei terminali delle linee di trasporto pubblico;
d) al potenziamento del trasporto
pubblico locale, mediante l’esecuzione, in termini di somma urgenza, di
opere integrative o complementari alle linee del trasporto rapido di
massa già attive o in corso di realizzazione, delle opere suddette alle
imprese già operanti sulle stesse linee;
e) alla predisposizione, d’intesa con il
Dipartimento della protezione civile della Presidenza del Consiglio dei
Ministri e con il Dipartimento dei vigili del fuoco, del soccorso
pubblico e della difesa civile del Ministero dell’interno, di uno studio
di progettazione ed alla successiva realizzazione di un’elisuperfice al
fine di fornire un adeguato supporto logistico ai mezzi impegnati nelle
attività di soccorso.
Va da sé che il contenuto delle
ordinanze impugnate, di compressione della possibilità di svolgimento di
manifestazioni pubbliche con formazione di corteo nel territorio
ricadente nel I municipio della Città, si presenta eterogeneo rispetto
alle finalità per le quali lo stato di emergenza è stato dichiarato e
per le quali i poteri straordinari sono stati attribuiti.
Infatti, le funzioni attribuiti al
Commissario delegato sono state analiticamente indicate nell’OPCM
3543/2006 e tra queste non può certo ricomprendersi l’attribuzione di
poteri volti a regolamentare ed a limitare le modalità di svolgimento
delle riunioni in un luogo pubblico, attraverso un contingentamento dei
cortei e l’obbligo di tenere manifestazioni in forme statiche, e,
d’altra parte, un limite alla libertà di corteo, costituzionalmente
garantita, potrebbe essere introdotto solo a salvaguardia, volta per
volta, di un interesse di pari rilievo costituzionale.
4.2 Le ordinanze impugnate, in ogni
caso, violano il dettato di cui all’art. 17, co. 3, Cost. il quale, come
evidenziato, dispone che delle riunioni in luogo pubblico deve essere
dato preavviso alle autorità, che possono vietarle soltanto per
comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica.
Pertanto, occorre innanzitutto ribadire
che l’esercizio della libertà di riunione, nel cui perimetro rientra la
libertà di corteo, non richiede alcuna preventiva autorizzazione
dell’autorità di pubblica sicurezza, ma il solo preavviso, per cui un
provvedimento amministrativo che intenda disciplinare ex ante le
modalità di svolgimento delle riunioni in luogo pubblico, comprimendo
incisivamente la libertà di formazione dei cortei, si presenta già di
per sé illegittimo in quanto violativo della citata norma
costituzionale.
In altri termini, una regola dettata in
via generale ed astratta che incide drasticamente sulla libertà di
riunione garantita dall’art. 17 Cost. è evidentemente violativa di tale
norma costituzionale in quanto tende a sostituire al regime
costituzionale di tendenziale libertà un regime amministrativo in cui
alla valutazione da compiere “a valle”, circa la eventuale sussistenza
di comprovati motivi che giustificano il divieto, subentra una
valutazione compiuta “a monte” di incompatibilità tout court di
determinante modalità di svolgimento delle riunioni in luogo pubblico.
Le riunioni in luogo pubblico, inoltre,
possono essere vietate solo per comprovati motivi di sicurezza o di
incolumità pubblica, o di ordine pubblico, di moralità o sanità
pubblica, argomentando dal combinato disposto dell’art. 17, co. 3, Cost.
e dell’art. 18, co. 4, TU leggi sulla pubblica sicurezza, e
nell’esercizio del potere di veto, attribuito al Questore dall’art. 18
TULPS, è necessario indicare i “comprovati motivi”, vale a dire che
occorre fornire una indicazione particolarmente rigorosa e coerente dei
presupposti a base della determinazione adottata, proprio perché essa
determina la compressione o addirittura il sacrificio di un diritto
costituzionalmente garantito.
Va da sé, allora, che un provvedimento
amministrativo, adottato peraltro al di fuori dei poteri straordinari
attribuiti al Commissario, non può mai legittimamente imporre una volta e
per tutte, vale a dire con valutazione ex ante che prescinde totalmente
dalle indicazioni delle eventuali ragioni ostative relative alla
singola manifestazione una volta ricevuto il preavviso della stessa,
limitazioni o sacrifici al diritto di riunione in luogo pubblico ed alla
libertà di corteo.
4.3 Infine, bisogna altresì rilevare che
tali poteri sono attribuiti alle autorità di pubblica sicurezza, ed in
particolare al Questore ai sensi dell’art. 18 TULPS, mentre il
Commissario delegato ha inteso esercitarli nel caso di specie anche al
di fuori di una espressa previsione di deroga a tali norme attributive
della competenza.
In proposito, è necessario osservare su
un piano generale che l’art. 5 l. 225/1992, nell’attribuire il potere di
ordinanza in deroga alle leggi vigenti, determina un ribaltamento nella
gerarchia delle fonti normative presenti nel nostro ordinamento,
investendo l’autorità amministrativa del potere di derogare alla norma
ordinaria, sia pure nel rispetto dei principi generali.
Ne consegue che l’art. 5 l. 225/1992
deve qualificarsi come norma eccezionale, che necessita di strettissima
interpretazione, ed il potere di deroga della normativa primaria
conferito alla autorità amministrativa è ammissibile subordinatamente
non solo al carattere eccezionale e temporaneo della situazione, ma
anche all’esigenza che i poteri degli organi amministrativi siano ben
definiti nel contenuto, nei tempi e nelle modalità di esercizio.
Le norme che il Commissario delegato è
stato autorizzato a derogare, quindi, sono solo e soltanto quelle
espressamente indicate nell’OPCM n. 3543/2006 e – rilevato ancora in
linea di principio che l’esercizio dei poteri derogatori di cui all’art.
5 l. 225/1992 necessita in ogni caso di congrua motivazione, da parte
del Commissario delegato, con puntuale riferimento alle norme alle quali
si intende derogare ed alle ragioni della deroga, non essendo
sufficiente un mero richiamo ob relationem alle ordinanze presidenziali
che hanno previsto la derogabilità di norme di legge – occorre
sottolineare, da un lato, che l’art. 4 dell’OPCM n. 3543/2006 non ha
autorizzato il Commissario delegato a derogare all’art. 18 TULPS (rd
773/1931) né ad altre norme attributive della competenza nella materia
in discorso e, dall’altro, che il Commissario delegato non ha affatto
indicato quali sono le norme alle quali ha inteso derogare..
5. La fondatezza delle censure
esaminate, assorbite ulteriori doglianze, evidenzia che l’azione
amministrativa sottoposta al presente scrutinio giurisdizionale è
connotata da più profili di illegittimità, per cui il ricorso va accolto
con conseguente annullamento degli atti impugnati.
6. Le spese seguono la soccombenza e,
liquidate complessivamente in € 3.000,00 (tremila/00), sono poste a
favore della ricorrente ed a carico, in parti uguali, del Comune di Roma
Capitale e della Presidenza del Consiglio dei Ministri.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima) accoglie il ricorso in epigrafe e, per l’effetto, annulla gli atti impugnati.
Condanna, ciascuna per € 1.500,00, il
Comune di Roma Capitale e la Presidenza del Consiglio dei Ministri al
pagamento delle spese del giudizio, liquidate complessivamente in €
3.000,00, in favore della ricorrente.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 11 gennaio 2012 con l’intervento dei magistrati:
Giorgio Giovannini, Presidente
Roberto Politi, Consigliere
Roberto Caponigro, Consigliere, Estensore
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 13/02/2012
IL SEGRETARIO