Corte Costituzionale - Sent. del 07.02.2012, n. 18
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Presidente: Alfonso QUARANTA; Giudici : Franco
GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Giuseppe
TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO,
Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Sergio
MATTARELLA, Mario Rosario MORELLI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo 3 della legge Regione Sardegna n.6/2011,
recante «Modifiche all’articolo 2 della legge regionale 21 maggio 2002,
n. 9 (Agevolazioni contributive alle imprese nel comparto del
commercio), interpretazione autentica dell’articolo 15, comma 12 della
legge regionale 18 maggio 2006, n. 5 (Disciplina generale delle attività
commerciali), e norme sul trasferimento dell’attività», nella parte in
cui inserisce l’art. 15-bis, comma 4, nella legge regionale n. 5 del
2006, promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso
notificato il 18 aprile 2011, depositato in cancelleria il 21 aprile
2011 ed iscritto al n. 35 del registro ricorsi 2011.
Visto l’atto di costituzione della Regione autonoma Sardegna;
udito nell’udienza pubblica del 10 gennaio 2012 il Giudice relatore Sabino Cassese;
uditi l’avvocato dello Stato Alessandro De Stefano per il Presidente
del Consiglio dei ministri e l’avvocato Massimo Luciani per la Regione
autonoma Sardegna.
Ritenuto in fatto
1.- Con ricorso notificato il 18 aprile 2011 e depositato presso la
cancelleria di questa Corte il 21 aprile 2011 (reg. ric. n. 35 del
2011), il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso
dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questione di
legittimità costituzionale dell’articolo 3 della legge della Regione
autonoma Sardegna 7 febbraio 2011, n. 6, recante «Modifiche all’articolo
2 della legge regionale 21 maggio 2002, n. 9 (Agevolazioni contributive
alle imprese nel comparto del commercio), interpretazione autentica
dell’articolo 15, comma 12 della legge regionale 18 maggio 2006, n. 5
(Disciplina generale delle attività commerciali), e norme sul
trasferimento dell’attività», nella parte in cui inserisce l’art.
15-bis, comma 4, nella legge regionale n. 5 del 2006, per violazione
degli artt. 41 e 117, commi primo e secondo, lettera e), della
Costituzione, nonché dell’art. 3 della legge costituzionale 26 febbraio
1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna).
L’art. 3 della legge della Regione autonoma Sardegna n. 6 del 2011 ha
introdotto l’art. 15-bis, rubricato «Trasferimento dell’attività
commerciale», nella legge regionale n. 5 del 2006. Tale articolo - in
cui è inclusa, al comma 4, la norma censurata - disciplina le modalità
di trasferimento delle attività commerciali, prevedendo quanto segue:
«1. Il trasferimento dell’attività comporta a favore dell’avente causa
il trasferimento del titolo abilitativo all’esercizio dell’attività fino
alla scadenza originaria dello stesso. 2. L’avente causa, salvo quanto
stabilito dal comma 5, deve possedere tutti i requisiti ai quali è
subordinato l’accesso e l’esercizio dell’attività. 3. Il titolo
abilitativo assegnato in base a una riserva a favore di particolari
categorie, salvo quanto stabilito dal comma 5, può essere trasferito
esclusivamente in capo ad un soggetto appartenente alla medesima
categoria. 4. La cessione dell’attività per atto tra vivi è comunicata
dal cessionario al comune territorialmente competente entro sessanta
giorni e non può essere effettuata, ad eccezione dei casi di cui al
comma 5, prima che siano decorsi tre anni dalla data del rilascio del
titolo abilitativo all’esercizio dell’attività stessa. 5. La successione
nell’attività per causa di morte è comunicata, entro tre mesi, al
comune territorialmente competente dal successore il quale, anche se
privo dei requisiti di cui all’articolo 2 della presente legge o di
quelli ulteriori eventualmente richiesti per l’accesso e l’esercizio
dell’attività, può proseguire in via provvisoria l’esercizio
dell’attività per non più di un anno dalla data dell’acquisto. Decorso
l’anno, il mancato possesso dei requisiti richiesti determina la
decadenza dell’autorizzazione e delle concessioni sui posteggi.».
2.- Il Presidente del Consiglio dei ministri censura l’art. 15-bis
della legge della Regione autonoma Sardegna n. 5 del 2006, nella parte
in cui, al comma 4, stabilisce che la cessione di un’attività
commerciale per atto tra vivi non possa essere effettuata prima che
siano trascorsi tre anni dalla data del rilascio del titolo abilitativo
necessario per l’esercizio dell’attività. Tale disposizione violerebbe
gli artt. 41 e 117, commi primo e secondo, lettera e), Cost., in materia
di tutela della concorrenza, nonché l’art. 3 dello Statuto speciale per
la Sardegna.
Innanzi tutto, la norma impugnata si porrebbe in contrasto con il
principio - sancito dall’art. 16 della direttiva CE 12 dicembre 2006, n.
123 (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa ai
servizi nel mercato interno), recepita nell’ordinamento italiano con decreto legislativo n. 59/2010,
(Attuazione della direttiva 2006/123/CE, relativa ai servizi nel
mercato interno) - secondo il quale le limitazioni al libero esercizio
dell’attività di servizi possono essere giustificate esclusivamente per
ragioni di ordine pubblico, di pubblica sicurezza, di sanità pubblica o
di tutela dell’ambiente. Ne deriverebbe la violazione sia dell’art. 3,
primo comma, dello Statuto speciale per la Sardegna, «che non
conferirebbe alla Regione le potestà legislative concretamente
esercitate nel caso di specie», sia dell’art. 117, primo comma, Cost.,
che obbliga il legislatore regionale al rispetto dei vincoli derivanti
dall’ordinamento comunitario.
Inoltre, la disposizione impugnata, nel prevedere una limitazione
temporale alla cessione dell’attività, determinerebbe - ad avviso del
ricorrente - «un ostacolo alla libera esplicazione delle forze
economiche sul mercato». Pertanto, la norma violerebbe l’art. 117,
secondo comma, lettera e), Cost., in quanto interferirebbe con la
potestà legislativa esclusiva dello Stato in materia di concorrenza e
sarebbe contraria al disposto degli artt. 1 e 2 del decreto legislativo
31 marzo 1998, n. 114 (Riforma della disciplina relativa al settore del
commercio, a norma dell’articolo 4, comma 4, della legge 15 marzo 1997,
n. 59), che individuano il fondamento dell’attività commerciale nel
principio della libertà di iniziativa economica privata e stabiliscono
che il suo esercizio debba avvenire nel rispetto dei principi contenuti
nella legge 10 ottobre 1990, n. 287 (Norme per la tutela della
concorrenza e del mercato).
Infine, la disposizione impugnata violerebbe il principio della
libertà di iniziativa economica privata sancito dall’art. 41 Cost., in
quanto «la prevista restrizione della potestà di cessione dell’attività
d’impresa si traduce in una discriminazione nell’eguale garanzia della
libertà economica e della libertà di circolazione di persone e servizi
nel Paese, per effetto di un vincolo temporale privo di un ragionevole
fondamento».
3.- Con atto depositato presso la cancelleria di questa Corte il 30
maggio 2011, si è costituita in giudizio la Regione autonoma Sardegna,
chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile e, comunque, nel
merito non fondato.
In via preliminare, la difesa regionale eccepisce l’inammissibilità
di tutte le censure sollevate dalla difesa statale, in quanto esse
sarebbero formulate senza «consider[are] la sfera di competenza
legislativa espressamente riconosciuta alla Regione dallo Statuto
d’autonomia». In particolare, il ricorrente, nel formulare le censure,
si sarebbe limitato a «un riferimento meramente formale alle
disposizioni dello Statuto di autonomia, senza dispiegare alcun accenno
di motivazione».
Nel merito, la difesa regionale sostiene, innanzi tutto, la
conformità della disciplina regionale impugnata alla normativa europea e
nazionale in materia di libera circolazione dei servizi. Ad avviso
della difesa regionale, infatti, la direttiva 2006/123/CE e il d.lgs. n.
59 del 2010 di recepimento ammetterebbero limitazioni all’accesso e
all’esercizio delle attività di servizi, a condizione che esse siano
giustificate e non discriminatorie e, in particolare, che non
corrispondano alle ipotesi di divieto elencate dall’art. 14 della
direttiva 2006/123/CE e dall’art. 11 del d.lgs. n. 59 del 2010. Dal
momento che «la norma impugnata non integra alcuna delle ipotesi
vietate», la censura prospettata in riferimento all’art. 117, primo
comma, Cost. non sarebbe fondata.
La Regione autonoma Sardegna deduce, altresì, l’infondatezza della
censura prospettata dal ricorrente in relazione all’art. 117, secondo
comma, lettera e), Cost. In particolare, secondo la difesa regionale, la
competenza esclusiva del legislatore statale in materia di tutela della
concorrenza «non può essere considerata titolo abilitativo a resecare
interi ambiti materiali di sicura competenza regionale, sostanzialmente
vanificando il riparto costituzionale delle competenze, che opera per
materia e non certo per funzioni». Tale competenza esclusiva dello Stato
verrebbe in rilievo «soltanto quando la Regione ha inteso incidere
direttamente sui meccanismi concorrenziali». Nel caso in esame, la norma
impugnata non introdurrebbe alcuna limitazione all’accesso al mercato,
ma si limiterebbe a disciplinare le modalità di esercizio delle attività
commerciali, dettando limiti che rispondono a fini di utilità sociale.
Inoltre, la portata dell’art. 15-bis, comma 4, dovrebbe essere
interpretata in stretta correlazione con il dettato dell’art. 15-bis,
comma 1, ai sensi del quale «Il trasferimento dell’attività comporta a
favore dell’avente causa il trasferimento del titolo abilitativo
all’esercizio dell’attività fino alla scadenza originaria dello stesso».
Secondo la difesa regionale, il limite triennale alla cessione
dell’attività disposto dalla norma impugnata, tutelando l’utilità
sociale, costituirebbe «la logica conseguenza (perfettamente rispettosa
del principio di proporzionalità e non eccessività) dell’apertura
determinata dall’art. 15-bis, comma 1».
La Regione rileva, infine, che non sussisterebbe alcuna violazione
dell’art. 41 Cost., in quanto il limite triennale alla cessione
dell’attività commerciale sarebbe diretto a salvaguardare finalità
sociali di rilievo costituzionale.
4.- Con memoria depositata presso la cancelleria di questa Corte il
20 dicembre 2011, il Presidente del Consiglio dei ministri ribadisce le
ragioni poste a fondamento del ricorso introduttivo e replica alle
deduzioni svolte dalla Regione resistente. Con riguardo all’asserita
violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., la difesa dello Stato
sostiene che la direttiva 2006/123/CE vieterebbe non solo le condotte e
le previsioni indicate dall’art. 14, ma anche tutte le misure che
restringono in modo ingiustificato e non proporzionato la libera
prestazione di servizi. Tra tali misure rientrerebbe quella che limita
la facoltà di un operatore stabilito in uno Stato membro «non solo di
insediarsi in un altro territorio in concorrenza con un altro già
operante in esso, ma anche di rilevare in ogni momento un’attività già
esistente sul luogo».
5.- Con memoria depositata il 20 dicembre 2011, la Regione autonoma
Sardegna ribadisce la legittimità costituzionale della norma impugnata,
in quanto essa riguarderebbe l’attività commerciale su aree pubbliche,
la cui disciplina è espressamente affidata alla competenza regionale
dall’art. 28, comma 12, del d.lgs. n. 114 del 1998, come modificato
dall’art. 70 del d.lgs. n. 59 del 2010, di attuazione della direttiva
2006/123/CE. Sarebbe, dunque, la stessa disciplina statale di
recepimento della direttiva comunitaria ad aver previsto la competenza
regionale a regolare la materia, con conseguente esclusione della
violazione dell’art. 117, primo comma, Cost.
Considerato in diritto
1.- Con ricorso notificato il 18 aprile 2011 e depositato presso la
cancelleria di questa Corte il 21 aprile 2011 (reg. ric. n. 35 del
2011), il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso
dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questione di
legittimità costituzionale dell’articolo 3 della legge della Regione
autonoma Sardegna 7 febbraio 2011, n. 6, recante «Modifiche all’articolo
2 della legge regionale 21 maggio 2002, n. 9 (Agevolazioni contributive
alle imprese nel comparto del commercio), interpretazione autentica
dell’articolo 15, comma 12 della legge regionale 18 maggio 2006, n. 5
(Disciplina generale delle attività commerciali), e norme sul
trasferimento dell’attività», nella parte in cui inserisce l’art.
15-bis, comma 4, nella legge regionale n. 5 del 2006, limitando nel
tempo la facoltà di cessione dell’attività commerciale per atto tra
vivi.
Nel disciplinare il trasferimento dell’attività commerciale su aree
pubbliche, l’art. 15-bis, comma 4, stabilisce che «La cessione
dell’attività per atto tra vivi non può essere effettuata, ad eccezione
dei casi di cui al comma 5, prima che siano decorsi tre anni dalla data
del rilascio del titolo abilitativo all’esercizio dell’attività stessa».
Tale previsione interferirebbe con la materia «tutela della
concorrenza», che l’art. 117, comma secondo, lettera e), Cost. assegna
alla competenza esclusiva del legislatore statale; si porrebbe, inoltre,
in contrasto con le norme dell’Unione europea in materia di libera
circolazione dei servizi, che vincolano la potestà legislativa delle
Regioni ai sensi dell’art. 117, primo comma, Cost.; lederebbe, infine,
il principio della libertà di iniziativa economica privata, sancito
dall’art. 41 Cost., nonché l’art. 3 della legge costituzionale 26
febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna).
2.- In via preliminare, va respinta l’eccezione sollevata dalla
Regione autonoma Sardegna, secondo la quale le censure prospettate dal
ricorrente non sarebbero adeguatamente motivate e non terrebbero conto
della sfera di competenza legislativa espressamente riconosciuta alla
Regione dallo statuto speciale.
Ai fini del giudizio sulla ammissibilità dei ricorsi proposti nei
confronti di una Regione ad autonomia speciale, assume rilievo il
riferimento alle competenze stabilite dallo statuto (da ultimo, sentenza
n. 90 del 2011) ed è necessario specificare, con riguardo all’art. 117
Cost., «quale tra le diverse sfere di competenza statale sarebbe stata
in concreto invasa» (sentenza n. 258 del 2004).
Nel caso in esame, il ricorrente riconosce che il commercio è materia
di competenza regionale e fa riferimento alle materie riservate dallo
statuto alla potestà legislativa della Regione, deducendo, tra l’altro,
la violazione dell’art. 3. Le censure così prospettate non sono
generiche o non sufficientemente motivate. Le violazioni lamentate e i
parametri invocati sono chiaramente individuati (ex plurimis, sentenza
n. 68 del 2011).
3.- Nel merito, la questione è fondata.
3.1.- L’art. 15-bis, comma 4, della legge della Regione autonoma
Sardegna n. 5 del 2006 stabilisce che la cessione dell’attività
commerciale su suolo pubblico non può essere effettuata «prima che siano
decorsi tre anni dalla data del rilascio del titolo abilitativo
all’esercizio dell’attività stessa». Tale norma, imponendo una
limitazione temporale alla cessione di attività commerciali, restringe
la possibilità di accesso di nuovi operatori, con conseguente violazione
dell’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost. («tutela della
concorrenza»).
La circostanza che la restrizione riguardi il commercio «su aree
pubbliche» non modifica questa conclusione. L’esercizio dell’attività è,
in ogni caso, consentito solo in base a un titolo abilitativo, il cui
rilascio dipende dalla disponibilità di aree specificamente adibite.
L’art. 15, comma 1, della legge regionale n. 5 del 2006 prevede,
infatti, che il commercio può essere svolto «su posteggi dati in
concessione» oppure «su qualsiasi area, negli spazi appositamente
definiti da ogni singolo comune, purché in forma itinerante e sui
posteggi liberi». Anche in un contesto nel quale il numero complessivo
delle autorizzazioni all’esercizio del commercio è condizionato dalla
disponibilità di «spazi appositamente definiti», una limitazione
temporale alla cessione dell’attività si traduce inevitabilmente in una
barriera all’entrata di nuovi operatori.
3.2.- L’art. 16 della direttiva CE 12 dicembre 2006, n. 123
(Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa ai servizi
nel mercato interno), recepita nell’ordinamento italiano con decreto
legislativo 26 marzo 2010, n. 59 (Attuazione della direttiva
2006/123/CE, relativa ai servizi nel mercato interno), stabilisce che
una deroga al principio della libera circolazione dei servizi può
ritenersi necessaria - e dunque ammissibile - solo quando sia
giustificata «da ragioni di ordine pubblico, di pubblica sicurezza, di
sanità pubblica o di tutela dell’ambiente». Nessuna di tali ragioni può
essere addotta a fondamento della norma impugnata.
Come rilevato dalla difesa regionale, l’art. 15-bis, comma 4, della
legge regionale n. 5 del 2006 persegue fini di utilità sociale (quali la
garanzia della «serietà» dell’esercizio del commercio, la qualità dei
servizi resi, la produttività della rete distributiva e la solidità
dell’intera filiera produttiva), in quanto mira «ad evitare la spinta
all’acquisizione dei titoli abilitativi e all’apertura dell’attività
commerciale al solo fine di ricavarne, immediatamente, un profitto
attraverso l’alienazione, con l’evidente conseguenza del possibile
svuotamento dell’ordinario procedimento amministrativo che deve essere
seguito al fine dell’apertura di un’impresa commerciale (procedimento
che prevede la richiesta dell’interessato e la verifica dei suoi
requisiti)». Tali fini di utilità sociale - già adeguatamente tutelati,
in caso di trasferimento dell’attività, mediante l’accertamento del
possesso dei requisiti soggettivi effettuato dall’amministrazione ex
art. 15-bis, comma 2, della medesima legge regionale n. 5 del 2006 - non
rientrano tra le ragioni di pubblico interesse che, secondo l’art. 16
della direttiva 2006/123/CE, possono giustificare l’imposizione di una
restrizione al principio della libera circolazione dei servizi.
3.3.- Inoltre, l’attinenza della norma impugnata alla materia del
commercio, riservata alla potestà legislativa residuale delle Regioni,
non è di per sé sufficiente ad escludere eventuali profili di
illegittimità costituzionale. Infatti, «è illegittima una disciplina
che, se pure in astratto riconducibile alla materia commercio di
competenza legislativa delle Regioni, produca, in concreto, effetti che
ostacolino la concorrenza, introducendo nuovi o ulteriori limiti o
barriere all’accesso al mercato e alla libera esplicazione della
capacità imprenditoriale» (sentenza n. 150 del 2011). L’art. 15-bis,
comma 4, della legge regionale della Regione autonoma Sardegna n. 5 del
2006, subordinando la cessione di attività commerciali su aree pubbliche
al decorso di un triennio dalla data del rilascio del titolo
abilitativo, ostacola l’accesso a quelle attività e condiziona,
restringendolo, il libero esplicarsi dell’attività imprenditoriale, con
conseguente violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost.
4.- Restano assorbiti gli ulteriori profili di censura.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 15-bis, comma 4,
della legge della Regione autonoma Sardegna 18 maggio 2006, n. 5
(Disciplina generale delle attività commerciali), introdotto dall’art. 3
della legge della Regione autonoma Sardegna 7 febbraio 2011, n. 6
recante «Modifiche all’articolo 2 della legge regionale 21 maggio 2002,
n. 9 (Agevolazioni contributive alle imprese nel comparto del
commercio), interpretazione autentica dell’articolo 15, comma 12 della
legge regionale 18 maggio 2006, n. 5 (Disciplina generale delle attività
commerciali) e norme sul trasferimento dell’attività», nella parte in
cui prevede che la cessione dell’attività «non può essere effettuata, ad
eccezione dei casi di cui al comma 5, prima che siano decorsi tre anni
dalla data del rilascio del titolo abilitativo all’esercizio
dell’attività stessa».Depositata in Cancelleria il 07.02.2012