Smaltimento rifiuti di plastica provenienti da utenze domestiche
Tar Catania, sez. I, 12 giugno 2018, n. 1253 - Pres. Savasta, Est. Sidoti
Rifiuti – Plastica – Smaltimento – Operatore privato che non gestisce il servizio pubblico dei rifiuti – Autorizzazione – Diniego – Legittimità.
E’ legittimo il provvedimento con il quale un Comune nega la possibilità ad un operatore privato, che non sia gestore del servizio pubblico dei rifiuti, di raccogliere presso esercizi commerciali, che hanno messo a disposizione proprie aree private, i rifiuti di plastica provenienti da utenze domestiche (verso corrispettivo premiale) da avviare al recupero attraverso la cessione alle aziende specializzate (1).
(1) Ha chiarito il Tribunale che alla luce del quadro regolatorio vigente in materia, la plastica consegnata dal cittadino agli eco-conferitori non trasformata e non ancora recuperata costituisce rifiuto di imballaggio ai sensi dell’art. 218, comma 1, lett. f), d.lgs. n. 152 del 2006. Si tratta, in particolare, di rifiuti che derivano da imballaggi primari ovvero quelli concepiti in modo da costituire, nel punto di vendita, un’unità di vendita per l’utente finale o per il consumatore (art. 218, lett. b, d.lgs. n. 152 del 2006); essi costituiscono, pertanto, rifiuti domestici ai sensi dell’art. 184, comma 2, lett. a), d.lgs. n. 152 del 2006 in quanto provenienti da locali e luoghi adibiti ad uso di civile abitazione ed in particolare rifiuti domestici destinati al recupero;
Ha aggiunto il Tar che ai sensi dell’art.198, comma 1, d.lgs. n. 152 del 2006, i Comuni continuano la gestione dei rifiuti in regime di privativa relativamente a due categorie di rifiuti ossia i rifiuti urbani e i rifiuti assimilati agli urbani avviati allo smaltimento; non è condivisibile la tesi del Comune, secondo cui la dicitura di cui all’art. 198, d.lgs. n. 152 del 2006 “avviati allo smaltimento” si riferirebbe non ai “rifiuti urbani” ma solo ai “rifiuti assimilati”, sicché il regime di privativa sarebbe escluso solo per questi ultimi ove non avviati allo smaltimento ma al recupero; ergo tale regime sarebbe riferibile “a due categorie di rifiuti: a) i rifiuti urbani ( tutti i rifiuti urbani ); b) rifiuti assimilati (agli urbani ) avviati allo smaltimento”.
In realtà, oltre alla formulazione letterale dell’art. 198, è l’intenzione del legislatore quale già espressa nell’art.21, d.lgs. n. 22 del 1997 e poi nell’art. 23, l. n. 179 del 2002, a indurre a ritenere che la dicitura avviati allo smaltimento faccia riferimento sia al rifiuto che agli assimilati.
La norma in questione, quindi, costituisce conferma di una volontà che il legislatore ha già esplicitato (da ultimo) nell’art. 23, comma 1, lett. e), l. n. 179 del 2002, secondo cui “La privativa comunale non si applica alle attività di recupero dei rifiuti urbani e assimilati a far data dal 1° gennaio 2003”, ponendosi l’art. 198 in questione in linea con tale ultima norma.
Conseguentemente, l’attività disimpegnata dalla società ricorrente, volta al recupero e non allo smaltimento, non rientra nella privativa comunale nella gestione dei rifiuti. La liberalizzazione dell’attività di recupero e nello specifico dell’attività svolta dalla ricorrente – qualificabile come attività di pubblico interesse ai sensi dell’art. 177, comma 1, d.lgs. n. 152 del 2006 – non comporta che la stessa possa svolgersi al di fuori di qualsivoglia programmazione con l’ente pubblico e al di fuori di un convenzionamento con il Comune (artt. 199 e segg., d.lgs. n. 152 del 2006).
In caso contrario, in presenza di attività private autonoma, ancorchè autorizzate, l’attività di monitoraggio della raccolta potrebbe subire menomazioni, potenzialmente determinando una alterazione della percentuale di raccolta rilevata rispetto a quella effettiva ed esponendo di contro il Comune al rischio di penali qualora la percentuale rilevata sia inferiore all’obiettivo minimo sancito dalla legge. In particolare, per quel che rileva, l’attività di raccolta della plastica svolta da soggetti privati, al di fuori di convenzioni con i Comuni, sfuggirebbe quindi al controllo della P.A., con pregiudizio per l’attività di gestione dei rifiuti. Ai detti fini non può considerarsi sufficiente né il possesso dell’autorizzazione in capo alla società (prevista all’art. 212, comma 5, d.lgs. n. 152 del 2006) né la mera disponibilità della stessa a fornire al Comune tutti i dati relativi alla raccolta.
In assenza di un preciso accordo giuridicamente vincolante che regolamenti i rapporti tra impresa privata e comune l’attività di raccolta di rifiuti di plastica tramite ecoconferitori svolta dalla ricorrente, deve quindi considerarsi illegittima in quanto al di fuori del sistema integrato, come previsto dal d.lgs. n. 152 del 2006.
https://www.giustizia-amministrativa.it
Rifiuti – Plastica – Smaltimento – Operatore privato che non gestisce il servizio pubblico dei rifiuti – Autorizzazione – Diniego – Legittimità.
E’ legittimo il provvedimento con il quale un Comune nega la possibilità ad un operatore privato, che non sia gestore del servizio pubblico dei rifiuti, di raccogliere presso esercizi commerciali, che hanno messo a disposizione proprie aree private, i rifiuti di plastica provenienti da utenze domestiche (verso corrispettivo premiale) da avviare al recupero attraverso la cessione alle aziende specializzate (1).
(1) Ha chiarito il Tribunale che alla luce del quadro regolatorio vigente in materia, la plastica consegnata dal cittadino agli eco-conferitori non trasformata e non ancora recuperata costituisce rifiuto di imballaggio ai sensi dell’art. 218, comma 1, lett. f), d.lgs. n. 152 del 2006. Si tratta, in particolare, di rifiuti che derivano da imballaggi primari ovvero quelli concepiti in modo da costituire, nel punto di vendita, un’unità di vendita per l’utente finale o per il consumatore (art. 218, lett. b, d.lgs. n. 152 del 2006); essi costituiscono, pertanto, rifiuti domestici ai sensi dell’art. 184, comma 2, lett. a), d.lgs. n. 152 del 2006 in quanto provenienti da locali e luoghi adibiti ad uso di civile abitazione ed in particolare rifiuti domestici destinati al recupero;
Ha aggiunto il Tar che ai sensi dell’art.198, comma 1, d.lgs. n. 152 del 2006, i Comuni continuano la gestione dei rifiuti in regime di privativa relativamente a due categorie di rifiuti ossia i rifiuti urbani e i rifiuti assimilati agli urbani avviati allo smaltimento; non è condivisibile la tesi del Comune, secondo cui la dicitura di cui all’art. 198, d.lgs. n. 152 del 2006 “avviati allo smaltimento” si riferirebbe non ai “rifiuti urbani” ma solo ai “rifiuti assimilati”, sicché il regime di privativa sarebbe escluso solo per questi ultimi ove non avviati allo smaltimento ma al recupero; ergo tale regime sarebbe riferibile “a due categorie di rifiuti: a) i rifiuti urbani ( tutti i rifiuti urbani ); b) rifiuti assimilati (agli urbani ) avviati allo smaltimento”.
In realtà, oltre alla formulazione letterale dell’art. 198, è l’intenzione del legislatore quale già espressa nell’art.21, d.lgs. n. 22 del 1997 e poi nell’art. 23, l. n. 179 del 2002, a indurre a ritenere che la dicitura avviati allo smaltimento faccia riferimento sia al rifiuto che agli assimilati.
La norma in questione, quindi, costituisce conferma di una volontà che il legislatore ha già esplicitato (da ultimo) nell’art. 23, comma 1, lett. e), l. n. 179 del 2002, secondo cui “La privativa comunale non si applica alle attività di recupero dei rifiuti urbani e assimilati a far data dal 1° gennaio 2003”, ponendosi l’art. 198 in questione in linea con tale ultima norma.
Conseguentemente, l’attività disimpegnata dalla società ricorrente, volta al recupero e non allo smaltimento, non rientra nella privativa comunale nella gestione dei rifiuti. La liberalizzazione dell’attività di recupero e nello specifico dell’attività svolta dalla ricorrente – qualificabile come attività di pubblico interesse ai sensi dell’art. 177, comma 1, d.lgs. n. 152 del 2006 – non comporta che la stessa possa svolgersi al di fuori di qualsivoglia programmazione con l’ente pubblico e al di fuori di un convenzionamento con il Comune (artt. 199 e segg., d.lgs. n. 152 del 2006).
In caso contrario, in presenza di attività private autonoma, ancorchè autorizzate, l’attività di monitoraggio della raccolta potrebbe subire menomazioni, potenzialmente determinando una alterazione della percentuale di raccolta rilevata rispetto a quella effettiva ed esponendo di contro il Comune al rischio di penali qualora la percentuale rilevata sia inferiore all’obiettivo minimo sancito dalla legge. In particolare, per quel che rileva, l’attività di raccolta della plastica svolta da soggetti privati, al di fuori di convenzioni con i Comuni, sfuggirebbe quindi al controllo della P.A., con pregiudizio per l’attività di gestione dei rifiuti. Ai detti fini non può considerarsi sufficiente né il possesso dell’autorizzazione in capo alla società (prevista all’art. 212, comma 5, d.lgs. n. 152 del 2006) né la mera disponibilità della stessa a fornire al Comune tutti i dati relativi alla raccolta.
In assenza di un preciso accordo giuridicamente vincolante che regolamenti i rapporti tra impresa privata e comune l’attività di raccolta di rifiuti di plastica tramite ecoconferitori svolta dalla ricorrente, deve quindi considerarsi illegittima in quanto al di fuori del sistema integrato, come previsto dal d.lgs. n. 152 del 2006.
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