domenica 11 febbraio 2018

E' incostituzionale il comma 2 dell'rt. 120 C.d.S.

La Corte dichiara l'incostituzionalità della norma nella parte in cui dispone che il prefetto provvede alla revoca automatica della patente di guida, in caso di sopravvenuta condanna del suo titolare, per reati in materia di stupefacenti, anche se di lieve entità.

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S. 22/2018 del 24/01/2018
Udienza Pubblica del 23/01/2018, Presidente: LATTANZI, Redattore: MORELLI

Norme impugnate: Art. 120, c. 1° e 2°, del decreto legislativo 30/04/1992, n. 285 (Nuovo Codice della strada), come sostituito dall'art. 3, c. 52°, lett. a), della legge 15/07/2009, n. 94.

Oggetto: Circolazione stradale - Patente di guida - Divieto di conseguimento o revoca per delinquenti abituali, professionali o per tendenza e per coloro che sono, o sono stati, sottoposti a misure di sicurezza personali o a misure di prevenzione o per i condannati per determinati reati. - Applicazione anche in riferimento a reati commessi prima dell'entrata in vigore della legge n. 94 del 2009 [nella specie, reati di cui agli artt. 73 e 74 del Testo unico in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope]. - Condanna per i reati di cui agli artt. 73 e 74 del medesimo Testo unico. Condizione soggettiva che ne comporta la revoca da parte del Prefetto Circolazione stradale - Patente di guida - Prevista revoca automatica per i condannati per reati in materia di stupefacenti, anche se di lieve entità.

Dispositivo: illegittimità costituzionale parziale - non fondatezza - manifesta inammissibilità
Atti decisi: ord. 20, 210/2016, 97/2017 


SENTENZA N. 22
ANNO 2018

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Presidente: Giorgio LATTANZI; Giudici : Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO,

ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 120, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), come sostituito dall’art. 3, comma 52, lettera a), della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica), promossi dal Tribunale amministrativo regionale per il Friuli-Venezia Giulia con ordinanza del 17 dicembre 2015 e dal Tribunale ordinario di Genova con ordinanze del 16 giugno 2016 e del 30 marzo 2017, iscritte, rispettivamente, ai nn. 20 e 210 del registro ordinanze 2016 e al n. 97 del registro ordinanze 2017 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 6 e 43, prima serie speciale, dell’anno 2016 e n. 28, prima serie speciale, dell’anno 2017.
Visti gli atti di costituzione di G. C. e di D. B., nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 23 gennaio 2018 e nella camera di consiglio del 24 gennaio 2018 il Giudice relatore Mario Rosario Morelli;
uditi gli avvocati Federico Carnelutti e Giovanni Giavedoni per G. C., Raniero Raggi per D. B. e l’avvocato dello Stato Massimo Giannuzzi per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto
1.− Nel corso di un giudizio civile cautelare – avente ad oggetto istanza di sospensione dell’efficacia del provvedimento prefettizio di revoca della patente di guida, adottato nei confronti della ricorrente, in quanto non più in possesso dei «requisiti morali» previsti dall’art. 120 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), come sostituito dall’art. 3, comma 52, lettera a), della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica) – il Tribunale ordinario di Genova, in composizione collegiale, adito in sede di reclamo dei competenti ministeri avverso il provvedimento di sospensione, adottato in prima istanza, ha ritenuto rilevante, al fine del decidere, e non manifestamente infondata – ed ha per ciò sollevato con l’ordinanza in epigrafe (r.o. n. 210 del 2016) – duplice questione di legittimità costituzionale del combinato disposto dei commi 1 e 2 del predetto art. 120 del codice della strada, in riferimento agli artt. 11 e 117, primo comma, della Costituzione, in relazione all’art. 7 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, nonché agli artt. 3, 16, 25 e 111 Cost.
Con la prima questione, il Tribunale rimettente chiede a questa Corte di accertare se il novellato art. 120 cod. strada – nel prevedere l’applicabilità della revoca della patente di guida nei confronti di soggetti condannati, per reati previsti dagli artt. 73 e 74 del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza), ancorché commessi (come nel caso della ricorrente del giudizio a quo) in data anteriore a quella (8 agosto) di entrata in vigore della novella del 2009 – non leda il principio di irretroattività delle sanzioni penali, riferibile anche alle sanzioni, come quella prevista dalla norma denunciata, da ritenere «sostanzialmente» tali, poiché seriamente afflittive, in applicazione della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo. Dal che, appunto, la sospettata violazione degli artt. 11 e 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 7 della CEDU.
La seconda questione investe l’“automatismo” della revoca prefettizia, che la normativa censurata ricollega alla condanna per reati, in materia di stupefacenti, con riguardo ai quali la disciplina speciale (art. 85 dello stesso d.P.R. n. 309 del 1990) prevede, invece, che sia il giudice penale a decidere se applicare o meno (e per quale durata) la pena accessoria del «ritiro della patente».
Il che evidenzierebbe, secondo il giudice a quo, «profili di irragionevolezza e di […] disparità di trattamento», rilevanti, «oltre che per l’incidenza sulla libertà personale e sulla libertà di circolazione […], anche dal punto di vista della sottrazione del soggetto al giudice naturale e ad un giusto processo», con conseguente violazione degli artt. 3, 16, 25 e 111 Cost.
1.1.− Nel giudizio innanzi a questa Corte si è costituita la parte privata, per chiedere «che sia accolta la questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale di Genova», con riferimento sia all’uno che all’altro profilo di censura, ribadendo e argomentando con successiva memoria tale conclusione.
1.2.− È intervenuto, altresì, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha viceversa escluso la fondatezza di entrambe le questioni in esame. Nel sollevarle, il rimettente non avrebbe, infatti, considerato che «il decreto di revoca della patente non costituisce […] una conseguenza accessoria della violazione di una disposizione del Codice della strada, bensì consegue alla accertata inesistenza originaria o sopravvenuta dei requisiti morali prescritti per il conseguimento della patente»: requisiti «necessari ad ottenere [e mantenere] il permesso di guida, stante la preminente necessità di privare della patente di guida oggetti coinvolti nel traffico di sostanze stupefacenti».
2.− Il Tribunale amministrativo regionale per il Friuli-Venezia Giulia – nel corso di altro giudizio avente ad oggetto istanza di annullamento di un provvedimento prefettizio di revoca della patente a seguito di condanna del titolare per reati in materia di stupefacenti – ha sollevato, a sua volta (r.o. n. 20 del 2016), questione di legittimità costituzionale del novellato art. 120 cod. strada, in relazione al (solo) profilo dell’ “automatismo” della revoca ed in riferimento all’art. 27, oltre che all’art. 3, Cost.
2.1.– Anche in questo giudizio si è costituito il ricorrente nel processo a quo, il quale ha concluso per l’accoglimento della questione sollevata dal Tribunale rimettente e, con successiva memoria, ha ribadito e ulteriormente argomentato tale conclusione.
2.2.− È, altresì, intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, per il tramite dell’Avvocatura generale dello Stato, che ha preliminarmente eccepito l’inammissibilità della sollevata questione e, nel merito, ne ha contestato la fondatezza.
3.− Il Tribunale ordinario di Genova, in composizione monocratica – adito, «dopo declinatoria di giurisdizione da parte del TAR Liguria», con ricorso ai sensi dell’art. 700 del codice di procedura civile, avverso altro provvedimento prefettizio di revoca della patente – ha nuovamente sollevato, con successiva ordinanza (r.o. n. 97 del 2017), questione di legittimità costituzionale del predetto art. 120 cod. strada «nella parte in cui: 1) [n]on consente una valutazione discrezionale della durata dell’inibitoria o revoca del titolo abilitativo alla guida, commisurata alla gravità dei fatti per cui è stata inflitta condanna e delle pene in concreto comminate; 2) [p]revede l’applicazione delle limitazioni al rilascio o uso del titolo abilitativo alla guida anche nei confronti dei condannati per l’art. 73 TU 309/90 a cui sia stata applicata la sospensione condizionale della pena, determinando ingiustificata disparità di trattamento rispetto ad ogni altra categoria di condannati con pena sospesa; 3) [p]revede diversa decorrenza e durata del divieto di conseguimento della patente, o della durata della revoca, tra condannati per fatti di stupefacenti che richiedano l’ammissione all’esame abilitativo e condannati già titolari di patente di guida; 4) [p]revede diversa decorrenza e durata del divieto di conseguimento della patente, o della durata della revoca, tra condannati per fatti di stupefacenti (con pena sospesa) che richiedano l’ammissione all’esame abilitativo, e condannati (con pena sospesa) già titolari di patente di guida».
In motivazione della suddetta ordinanza (che si conclude con il trascritto dispositivo, che non indica i parametri costituzionali in tesi violati), il giudice a quo premette di “far propri” tutti i profili di incostituzionalità dell’art. 120 cod. strada evidenziati nelle (da lui richiamate) precedenti ordinanze del Tribunale di Genova (in composizione collegiale) e del TAR Friuli-Venezia Giulia. Precisa, quindi, che «intende solo aggiungere a tali dubbi già palesati – e prospettare alla Corte – ulteriori corollari sui profili di incompatibilità dell’art. 120 in questione con i principi costituzionali messi in luce nei due richiamati provvedimenti dei Tribunali rimettenti» (artt. 3, 16, 25, 27 e 111 Cost.).
E, a tal fine, argomenta che il carattere sostanzialmente penale delle limitazioni previste dalla disposizione denunciata troverebbe conferma dal rilievo che, ai fini dell’ottenimento della patente di guida, essa attribuisce alla riabilitazione, e cioè all’istituto che fa venir meno «gli effetti penali» della condanna; sostiene poi che del tutto irragionevole sarebbe il trattamento “più gravoso”, che l’art. 120 riserva ai soggetti condannati che non abbiano ancora conseguito la patente di guida rispetto a quello riguardante coloro cui la patente di guida sia stata revocata; aggiunge ancora che la revoca o l’inibitoria all’esame di guida, senza modulazione di durata e senza sospensione, costituirebbe un «macigno difficilmente valicabile» sul percorso riabilitativo dei condannati per reati connessi agli stupefacenti che abbiano usufruito della sospensione condizionale della pena.
3.1.− L’Avvocatura generale dello Stato – per il Presidente del Consiglio dei ministri, anche in questo giudizio intervenuto – ha eccepito l’inammissibilità per irrilevanza, ovvero per difetto di motivazione sulla rilevanza, delle questioni sollevate e, in subordine, ne ha contestato la fondatezza, per erroneità del correlativo presupposto ermeneutico.

Considerato in diritto
1.– L’art. 120 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), come sostituito dall’art. 3, comma 52, lettera a), della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica), sotto la rubrica «Requisiti morali per ottenere il rilascio dei titoli abilitativi di cui all’art. 116», nei suoi commi 1, 2 e 3, così testualmente dispone:

«1. Non possono conseguire la patente di guida i delinquenti abituali, professionali o per tendenza e coloro che sono o sono stati sottoposti a misure di sicurezza personali […], le persone condannate per i reati [in materia di stupefacenti] di cui agli artt. 73 e 74 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, fatti salvi gli effetti di provvedimenti riabilitativi […]»;
«2. […] se le condizioni soggettive indicate al primo periodo del comma 1 del presente articolo intervengono in data successiva al rilascio, il prefetto provvede alla revoca della patente di guida. La revoca non può essere disposta se sono trascorsi più di tre anni dalla data […] del passaggio in giudicato della sentenza di condanna per i reati indicati al primo periodo del medesimo comma 1»;
«3. [l]a persona destinataria del provvedimento di revoca di cui al comma 2 non può conseguire una nuova patente di guida prima che siano trascorsi almeno tre anni».
2.− Le tre ordinanze, di cui si è in narrativa detto, convergono nel denunciare, per contrasto con i parametri costituzionali in esse rispettivamente evocati, la disposizione di cui al comma 2, in correlazione al precedente comma 1, dell’art. 120 del codice della strada, con specifico ed esclusivo riguardo alla revoca della patente di guida che consegua a condanna per reati in materia di stupefacenti. E, per tale comunanza di oggetto, possono riunirsi, per essere decise con unica sentenza.
3.− Preliminarmente, va però dichiarata la manifesta inammissibilità della questione sollevata dal Tribunale amministrativo regionale per il Friuli-Venezia Giulia (r.o. n. 20 del 2016). Ciò in quanto detto giudice difetta ictu oculi di giurisdizione.
Per risalente e consolidata giurisprudenza della Corte di cassazione, giudice regolatore della giurisdizione, i provvedimenti adottati ai sensi dell’art. 120 cod. strada (incidenti su diritti soggettivi non degradabili ad interessi legittimi per effetto della loro adozione, né inerenti a materia riconducibile alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo) sono riservati, infatti, alla cognizione del giudice ordinario (ex multis, sezioni unite, sentenze 14 maggio 2014, n. 10406; 6 febbraio 2006, n. 2446; e, analogamente in tema di sospensione della patente, 27 aprile 2005, n. 8693; 11 febbraio 2003, n. 1993; 8 luglio 1996, n. 6232).
E rispetto a tale univoco orientamento, il rimettente non spende alcuna – sia pur solo “non implausibile” – motivazione, per prospettarne la superabilità, a sostegno della sua (pertanto manifestamente non sussistente) legittimazione a sollevare, come giudice a quo, la questione suddetta.
4.− Anche le questioni sollevate dal giudice monocratico del Tribunale ordinario di Genova (r.o. n. 97 del 2017), sono manifestamente inammissibili.
Prive di rilevanza – nel giudizio a quo avente, come detto, ad oggetto un provvedimento di revoca della patente di guida – sono, infatti, le questioni relative ad asseriti (non pertinenti) profili di deteriore trattamento dei soggetti che intendano conseguire, per la prima volta, il titolo abilitativo. Sono poi carenti della descrizione della fattispecie concreta, ai fini della motivazione sulla rilevanza, le questioni che il rimettente dichiara di far proprie, mutuandole dalle precedenti ordinanze di altri giudici, cui all’uopo rinvia. E, comunque, tutte le (non sempre chiaramente) adombrate questioni risultano aggregate in dispositivo, ma senza indicazione alcuna dei parametri di rispettivo riferimento.
5.− La sola ordinanza (r.o. n. 210 del 2016) del Tribunale ordinario di Genova, in composizione collegiale, supera, dunque, il vaglio di ammissibilità delle questioni sollevate.
Il thema decidendum segnato da detta ordinanza ha, come detto, un duplice oggetto.
5.1.− Per un verso il rimettente denuncia, infatti, il combinato disposto dei commi 1 e 2 del novellato art. 120 cod. strada, nella parte in cui ne conseguirebbe la revocabilità della patente di guida, anche in via retroattiva, in correlazione a condanne bensì successive all’entrata in vigore della novella del 2009, ma concernenti reati (in materia di stupefacenti) commessi (come nella specie) anteriormente a tale data; e ne prospetta il contrasto con gli artt. 11 e 117, primo comma, della Costituzione, in relazione all’art. 7 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, per lesione del principio di irretroattività delle sanzioni sostanzialmente penali sancito dalla evocata norma convenzionale, come interpretata dalla Corte di Strasburgo.
5.2.− Sotto altro e più generale profilo, dubita poi lo stesso giudice che l’“automatismo” della revoca del titolo di guida, che la normativa censurata direttamente ricollega ad intervenuta condanna per i reati in questione, violi gli artt. 3, 16, 25 e 111 Cost., per essere connotato da «profili di irragionevolezza e di conseguente disparità di trattamento», rilevanti «oltre che per l’incidenza sulla libertà personale e sulla libertà di circolazione […] anche dal punto di vista della sottrazione del soggetto al giudice naturale e ad un giusto processo».
E, in relazione a tale secondo profilo, il Tribunale ordinario di Genova sottolinea le rilevanti «conseguenze negative» che – per la ricorrente (la quale, da sola, «deve accompagnare presso istituti dislocati in luoghi diversi le tre figlie minori, una delle quali con problemi di salute che comportano un periodico monitoraggio ospedaliero») – avrebbe la revoca della patente, disposta a ben otto anni di distanza dalla commissione del reato di cui all’art. 73, comma 5, del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza), fatto lieve, in relazione al quale il giudice penale aveva ritenuto di non disporre il ritiro del titolo di guida ex art. 85 del medesimo d.P.R. n. 309 del 1990.
6.− Nell’incipit del percorso argomentativo relativo alla prima delle due così sollevate questioni, il Tribunale ordinario di Genova muove dalla considerazione che la «sanzione della revoca», di cui al censurato art. 120 cod. strada, non abbia «carattere penale» nell’ordinamento interno (e non chiami per ciò in gioco i principi di cui all’art. 25, secondo comma, Cost.); ma si pone poi il quesito – cui dà risposta affermativa – «se la revoca sia una vera e propria sanzione in senso sostanziale» alla stregua dei cosiddetti «Engel criteria», enucleabili dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo. Dal che l’evocazione del parametro interposto di cui all’art. 7 della CEDU, ai fini della denunciata violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., e dell’art. 11 Cost., quest’ultimo impropriamente però richiamato (sentenze n. 210 del 2013 e n. 80 del 2011).
6.1.− La natura di «sanzione» della revoca della patente, qui in esame, è però erroneamente presupposta dal rimettente.
Come più volte ribadito dalla Corte di legittimità (per tutte, sezioni unite civili, sentenza 14 maggio 2014, n. 10406; sezione seconda civile, ordinanza 4 novembre 2010, n. 22491), la revoca della patente, nei casi previsti dall’art. 120 in esame, non ha natura sanzionatoria, né costituisce conseguenza accessoria della violazione di una disposizione in tema di circolazione stradale, ma rappresenta la constatazione dell’insussistenza (sopravvenuta) dei «requisiti morali» prescritti per il conseguimento di quel titolo di abilitazione.
Vale a dire che, diversamente dal “ritiro” della patente disposto dal giudice penale ai sensi dell’art. 85 del d.P.R. n. 309 del 1990, la “revoca” del titolo in via amministrativa, di cui alla disposizione censurata, non risponde ad una funzione punitiva, retributiva o dissuasiva dalla commissione di illeciti e trova, viceversa, la sua ratio nell’individuazione di un perimetro di affidabilità morale del soggetto, cui è rilasciata la patente di guida, e nella selezione di ipotesi in presenza delle quali tale affidabilità viene meno. Per cui quelli che vengono, nel nostro caso, in rilievo sono, appunto, solo effetti riflessi della condanna penale, in settori ordinamentali diversi da quello cui è affidata la funzione repressiva degli illeciti con le misure afflittive al riguardo previste.
Esclusa così, in radice, la natura sanzionatoria della revoca in via amministrativa della patente, risulta non pertinente l’evocazione della giurisprudenza della Corte europea sui criteri per l’attribuibilità di natura sostanzialmente penale a “sanzioni” non formalmente tali. Mentre − nella logica (appunto non punitiva ma individuativa delle condizioni soggettive ostative al conseguimento o al mantenimento del permesso di guida) che ispira la novella del 2009 − la revoca della patente anche per reati, in materia di stupefacenti, commessi anteriormente alla entrata in vigore della disposizione impugnata, per i quali la condanna sia però comunque intervenuta dopo tale data, attiene al piano degli effetti riconducibili all’applicazione ratione temporis della norma stessa.
Dal che la non fondatezza della questione sin qui esaminata.
7.− La seconda questione – relativa all’automatismo della revoca della patente, da parte dell’autorità amministrativa, in caso di sopravvenuta condanna del suo titolare, per reati in materia di stupefacenti – è, invece, fondata per violazione dei principi di eguaglianza, proporzionalità e ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost.
La disposizione denunciata – sul presupposto di una indifferenziata valutazione di sopravvenienza di una condizione ostativa al mantenimento del titolo di abilitazione alla guida – ricollega, infatti, in via automatica, il medesimo effetto, la revoca di quel titolo, ad una varietà di fattispecie, non sussumibili in termini di omogeneità, atteso che la condanna, cui la norma fa riferimento, può riguardare reati di diversa, se non addirittura di lieve, entità. Reati che, per di più, possono (come nella specie) essere assai risalenti nel tempo, rispetto alla data di definizione del giudizio. Il che dovrebbe escluderne l’attitudine a fondare, nei confronti del condannato, dopo un tale intervallo temporale, un giudizio, di assenza dei requisiti soggettivi per il mantenimento del titolo di abilitazione alla guida, riferito, in via automatica, all’attualità.
Ulteriore profilo di irragionevolezza della disposizione in esame è, poi, ravvisabile nell’automatismo della “revoca” amministrativa rispetto alla discrezionalità della parallela misura del “ritiro” della patente che, ai sensi dell’art. 85 del d.P.R. n. 309 del 1990, il giudice che pronuncia la condanna per i reati in questione «può disporre», motivandola, «per un periodo non superiore a tre anni».
È pur vero che tali due misure – come già evidenziato – operano su piani diversi e rispondono a diverse finalità.
Ma la contraddizione non sta nel fatto che la condanna per reati in materia di stupefacenti possa rilevare come condizione soggettiva ostativa al mantenimento del titolo di abilitazione alla guida, agli effetti della sua revocabilità da parte dell’autorità amministrativa, anche quando il giudice penale (non ritenendo che detto titolo sia strumentale al reato commesso o che possa agevolare la commissione di nuovi reati) decida di non disporre (ovvero disponga per un più breve periodo) la sanzione accessoria del ritiro della patente.
La contraddizione sta, invece, in ciò che – agli effetti dell’adozione delle misure di loro rispettiva competenza (che pur si ricollegano al medesimo fatto-reato e, sul piano pratico, incidono in senso identicamente negativo sulla titolarità della patente) – mentre il giudice penale ha la “facoltà” di disporre, ove lo ritenga opportuno, il ritiro della patente, il prefetto ha invece il “dovere” di disporne la revoca.
Per tali profili di contrasto con l’art. 3 Cost. (nei quali restano assorbite le altre formulate censure) va, pertanto, dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’esaminato comma 2 dell’art. 120 cod. strada, nella parte in cui dispone che il prefetto «provvede» − invece che «può provvedere» − alla revoca della patente di guida, in caso di sopravvenuta condanna del suo titolare per reati di cui agli artt. 73 e 74 del d.P.R. n. 309 del 1990.

per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 120, comma 2, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), come sostituito dall’art. 3, comma 52, lettera a), della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica), nella parte in cui – con riguardo all’ipotesi di condanna per reati di cui agli artt. 73 e 74 del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza), che intervenga in data successiva a quella di rilascio della patente di guida – dispone che il prefetto «provvede» – invece che «può provvedere» – alla revoca della patente;
2) dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 120, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 285 del 1992, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 27 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale per il Friuli-Venezia Giulia, con l’ordinanza in epigrafe;
3) dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 120, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 285 del 1992, sollevate, in riferimento agli artt. 3, 16, 25, 27 e 111 Cost., dal Tribunale ordinario di Genova, in composizione monocratica, con l’ordinanza in epigrafe;
4) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 120, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 285 del 1992, sollevata, in riferimento agli artt. 11 e 117, primo comma Cost., in relazione all’art. 7 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, dal Tribunale ordinario di Genova, in composizione collegiale, con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 gennaio 2018.
F.to:
Giorgio LATTANZI, Presidente
Mario Rosario MORELLI, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 9 febbraio 2018.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Roberto MILANA