In tema di tutela penale dell’onore, la valenza offensiva di una determinata espressione, per essere esclusa o comunque scriminata con il riconoscimento di una causa di non punibilità, deve essere riferita al contesto nel qual é stata pronunciata. Al fine di accertare se l’espressione utilizzata leda il bene protetto dalla fattispecie incriminatrice di cui all’articolo 594 c.p., occorre fare riferimento a un criterio di media convenzionale in rapporto alle personalità dell’offeso e dell’offensore nonché al contesto nel quale detta espressione sia stata pronunciata e alla coscienza sociale. Infatti, il significato delle parole dipende dall’uso che se ne fa e dal contesto comunicativo le stesse sono inserite: se é vero infatti che, in linea di principio, l’uso abituale di espressioni volgari non può togliere alle stesse l’obiettiva capacità di ledere l’altrui prestigio, ce ne sono alcune di uso talmente diffuso, anche quali intercalari, che in relazione proprio al contesto comunicativo perdono la loro potenzialità lesiva. L’evoluzione del costume e la progressiva decadenza del lessico adoperato dai consociati nei rapporti interpersonali, unitamente a una sempre maggiore valorizzazione delle espressioni scurrili come forme di realismo nelle arti contemporanee (si pensi soprattutto al cinema) e tradizionali (quali ad esempio la letteratura o il teatro) ha reso alcune parolacce di uso sempre più frequente, soprattutto negli strati sociali a più bassa scolarizzazione, attenuandone fortemente la portata offensiva, con riferimento alla sensibilità dell’uomo medio. Corte di Cassazione Sez. V Penale Sentenza n. 15710 dell’ 8 aprile 2014