N. 06044/2012REG.PROV.COLL.
N. 01369/2007 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul
ricorso numero di registro generale 1369 del 2007, proposto dalla
società Supermercati Cadoro S.p.A., in persona del legale rappresentante
pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Andrea Manzi e
Francesco Laruffa, con domicilio eletto presso il primo in Roma, via
Federico Confalonieri, 5;
contro
la società Autovie Venete S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore,
rappresentata e difesa dagli avvocati Mario Sanino e Maurizio Consoli,
con domicilio eletto presso il primo in Roma, viale Parioli, 180;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. FRIULI-VENEZIA-GIULIA - TRIESTE n. 1027/2005, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore
nell'udienza pubblica del giorno 12 ottobre 2012 il Cons. Claudio
Boccia e uditi per le parti l’avvocato Manzi, l’avvocato Laruffa e
l’avvocato Sanino;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1.
La società Supermercati Cadoro installava presso la propria sede
situata in Quarto d’Altino (VE), in prossimità dell’autostrada
Venezia-Trieste, un’insegna d’esercizio, chiedendone l’autorizzazione in
sanatoria alla società concessionaria Autovie Venete .
Con
provvedimento del 30 settembre 1999, la concessionaria comunicava il
proprio diniego alla predetta istanza motivandolo con il fatto che
l’insegna rivestiva una “connotazione prettamente pubblicitaria” e, come
tale, in contrasto con le previsioni di cui ai commi 1 e 7 dell’art. 23
del d.Lgs. n. 285 del 1992 (Codice della Strada), in quanto recava
disturbo visivo agli utenti dell’autostrada e ne distraeva l’attenzione,
con conseguente pericolo per la sicurezza della circolazione.
2.
Con il ricorso n. 703 del 1999, proposto innanzi al Tribunale
amministrativo regionale del Friuli Venezia Giulia, la società
Supermercati Cadoro chiedeva l’annullamento del provvedimento di diniego
di autorizzazione all’installazione della insegna e del conseguente
ordine di rimozione, emesso dal Direttore progettazione e lavori della
società Autovie Venete, in data 30 settembre 1999.
3.
Con la sentenza n. 1027 del 2005, il Tribunale adito respingeva il
ricorso, rilevando, in particolare, che non poteva essere
“legittimamente sostenuto che vi sia una sorta d’indiscriminato diritto
ad ottenere l’autorizzazione ad installare un’insegna di esercizio in
prossimità di un’autostrada”; che “il cosiddetto diritto all’insegna,
quale ne sia l’estensione e quale la pertinenza al caso concreto, è
condizionato al potere autoritativo dell’Amministrazione”; e che,
infine, le valutazioni di merito addotte dall’Amministrazione a base del
provvedimento di diniego potevano essere censurate soltanto per
manifesta illogicità e per difetto di motivazione, resistendo, pertanto,
alla censure dedotte in giudizio dalla ricorrente società “Supermercati
Cadoro”.
4. Avverso detta sentenza, la società ricorrente in primo grado ha proposto appello (ricorso n. 1369 del 2007), deducendo:
4.1.
Violazione dell’art. 3, comma 4, della legge 7 agosto 1990, n. 241, non
essendo stati indicati nel provvedimento di diniego del 30 settembre
1999 né il termine né l’autorità cui ricorrere;
4.2.
Violazione dell’art. 3, comma 1, della legge 7 agosto 1990, n. 241;
violazione dell’art. 47, comma 1, del D.P.R. 16 dicembre 1992, n. 495
(Regolamento al Codice della Strada); violazione e falsa applicazione di
legge; contraddittorietà ed eccesso di potere; carenza di motivazione.
Ad
avviso dell’appellante, la società Autovie Venete, nel provvedimento di
diniego, avrebbe erroneamente qualificato l’insegna, in base alla
circolare dell’ANAS n. 41 del 1998, come mezzo avente “connotazione
prettamente pubblicitaria” ed in quanto tale vietato dall’art. 23, commi
1 e 7, del d.Lgs. n. 285 del 1992, mentre avrebbe dovuto qualificarla
come insegna d’esercizio in base a quanto previsto dall’art. 47 del
D.P.R. n. 495 del 1995.
E ciò nella considerazione
che le motivazioni addotte dalla società Autovie Venete non sono
sufficienti a qualificare l’insegna come pubblicitaria e,
conseguentemente, per ritenere il diniego non adeguatamente motivato.
L’insegna
d’esercizio, infatti, rappresenta il segno distintivo dell’azienda e
dei locali dell’impresa, svolgendo una funzione di “collettore della
clientela soprattutto per quegli imprenditori che, come nel caso di
specie, ospitano gli utenti nei locali dell’impresa”.
Proprio
in relazione alla particolarità del mezzo e della sua indispensabile
funzione d’identificazione della sede dell’impresa - che peraltro
consente di affermare “l’esistenza di un diritto giuridicamente tutelato
all’uso della propria insegna ai sensi del combinato disposto degli
articoli 2564 e 2568 del Cod. Civ.” - il Codice della Strada ed il
relativo Regolamento di attuazione prevedono per l’insegna d’esercizio
norme che derogano al regime previsto per gli altri mezzi pubblicitari.
Legittimamente,
pertanto, quest’ultima avrebbe potuto essere installata, ai sensi
dell’art. 47 del Regolamento al Codice della strada, nella sede “delle
attività cui si riferisce o nelle pertinenze accessorie alla stessa” e,
quindi, anche in prossimità di un’autostrada.
In
conclusione, avrebbe errato il giudice di primo grado nel ritenere che
l’appello fosse rivolto ad affermare “una sorta di indiscriminato
diritto ad ottenere l’autorizzazione ad installare un’insegna
d’esercizio”, essendo, viceversa, finalizzato a dimostrare che l’insegna
d’esercizio, “caratterizzata da una funzione specifica e diversa da
quella degli altri mezzi pubblicitari,” è assoggettata a norme
specifiche che, derogando alle disposizioni che il Codice stesso prevede
per gli altri mezzi pubblicitari, ne “consentono l’istallazione anche
in prossimità di una autostrada”.
4.3. Violazione
dell’art. 3, comma 1, della legge 7 agosto 1990, n. 241; violazione
dell’art. 23, comma 7, del d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285: violazione e
falsa applicazione di legge; contraddittorietà ed eccesso di potere;
carenza di motivazione, disparità di trattamento, ingiustizia manifesta.
Ad
avviso dell’appellante, la sentenza del Tar del Friuli Venezia Giulia
sarebbe anche erronea nella parte in cui non contesta l’interpretazione
che la società concessionaria ha dato del disposto dell’art. 23, comma
7, del Codice della strada - che non vieta l’istallazione delle insegne
di servizio ma vieta qualsiasi forma pubblicitaria lungo le autostrade -
ritenendo che l’insegna de qua rivestiva carattere prettamente
pubblicitario e come tale la sua installazione doveva ritenersi vietata
dall’art. 23, commi 1 e 7, del d.Lgs. n. 285 del 1992.
Il
giudice di primo grado ha ritenuto che tale determinazione presentava
le caratteristiche di una valutazione di merito e, quindi, non
sindacabile se non per manifesta illogicità o difetto di motivazione,
vizi che non sussisterebbero nel caso di specie.
L’appellante
ha dedotto che, contrariamente a quanto affermato dal giudice di prime
cure, la suddetta valutazione dovrebbe considerarsi erronea, poiché il
divieto contenuto nell’art. 23, comma 7, sarebbe stato applicato ad una
ipotesi da esso esclusa, essendovi per l’insegna d’esercizio una
disciplina differente da quella stabilita per le ordinarie forme di
pubblicità, in considerazione del fatto che essa costituisce lo
strumento di cui si serve l’imprenditore per facilitare l’individuazione
territoriale della propria attività economica.
Per
motivare il diniego di autorizzazione in sanatoria, la società Autovie
Venete ha interpretato restrittivamente la circolare dell’Anas n. 41 del
1998, che, tuttavia, non avrebbe avuto decisivo rilievo nella
giurisprudenza formatasi in materia (il parere n. 1093 del 2001 del
Consiglio di Stato si è espresso in senso favorevole all’annullamento di
un diniego di autorizzazione, impugnato con ricorso straordinario al
Capo dello Stato, che aveva ad oggetto un’insegna in vista
dell’autostrada, ubicata all’interno della sede della società, non
all’entrata dello stabilimento bensì su una parete esterna).
5.
Si è costituita in giudizio la società Autovie Venete che, con memoria
depositata in data 26 marzo 2007, ha contestato gli assunti avversari,
chiedendo la reiezione dell’appello, con rifusione delle spese di lite.
Con
memoria integrativa, depositata in data 24 luglio 2012, la società
Supermercati Caldoro ha insistito nelle giù formulate conclusioni.
Con
memoria integrativa, depositata in data 27 settembre 2012, la società
Autovie Venete ha formulato alcune osservazioni integrative alla sua
memoria di costituzione del 26 marzo 2007.
6. All’udienza del 12 ottobre 2012 la causa è stata trattenuta per la decisione.
7.
Quanto al primo motivo d’appello, il Collegio osserva che la mancata
indicazione del termine e dell’autorità cui ricorrere, per la pacifica
giurisprudenza, non comporta l’illegittimità, bensì la mera irregolarità
dell’atto impugnato.
Tale mancanza potrebbe
giustificare un’impugnazione tardiva dell’atto medesimo, ipotesi questa
che nella specie non rileva, non essendo contestata la tempestività del
ricorso di primo grado.
8. Quanto al secondo ed al
terzo motivo di appello, che possono essere esaminati congiuntamente in
quanto fra loro connessi, il Collegio osserva che, come correttamente
rilevato dal giudice di primo grado, se è vero che l’iniziativa
economica privata è libera, in base a quanto enunciato in linea di
principio dall’art. 41 della Costituzione, è altrettanto vero che “essa
non può svolgersi in modo da recare danno alla sicurezza” e che la
stessa norma di rango costituzionale demanda alla legge di “definire i
programmi e i controlli per coordinarla a fini sociali”.
A
tale finalità risponde l’art. 23 del Codice della Strada, che da un
lato vieta la collocazione, “lungo le strade o in vista di esse”, di
insegne e di ogni impianto pubblicitario che possa distrarre
l’attenzione di chi le percorre, “con conseguente pericolo per la
sicurezza della circolazione” e dall’altro ne sottopone l’installazione
ad un provvedimento autorizzatorio, emesso dal competente ente gestore.
La
formulazione dell'art. 23, in altri termini, indica chiaramente
l'intento perseguito dal legislatore, che è quello di prevenire la
collocazione sugli spazi destinati alla circolazione veicolare, così
come sugli spazi a questi adiacenti, di fonti di captazione o disturbo
dell'attenzione dei conducenti e di consequenziale sviamento della
stessa dall'unica ed essenziale funzione al momento commessale, che è
quella della guida del veicolo (cfr. Corte di Cassazione Civile, Sezione
II, sentenza n.4683 del 2009).
In tale quadro
normativo e nel conseguente regime autorizzatorio rientra anche
l’installazione delle insegne d’esercizio, che sono elencate fra i mezzi
pubblicitari dagli artt. 47 e 53 del regolamento di esecuzione del
codice della strada.
Di conseguenza non vi può
essere dubbio alcuno che l’installazione di tali insegne sia soggetta a
procedimento autorizzatorio e che l’autorizzazione possa essere negata
quando, come nel caso de quo, a giudizio dell’ente gestore della
strada (titolare dei relativi poteri pubblicistici) l’insegna rivesta
carattere prettamente pubblicitario e, comunque, arrechi disturbo visivo
agli utenti dell’autostrada, distraendone l’attenzione con conseguente
pericolo per la circolazione.
Poco importa che
l’insegna sia effettivamente tale sotto i vari profili rilevanti per il
diritto commerciale: la legge consente all’ente gestore della strada di
vietare la realizzazione a qualsiasi distanza (bastando che siano ‘a
vista’) di manufatti di qualsiasi tipo che incidano sulla sicurezza
della circolazione (e, corrispondentemente, consente di denegare il
rilascio di autorizzazioni in sanatoria e di ordinare la rimozione degli
impianti).
Neppure rileva che l’insegna rispetti i
limi dimensionali massimi previsti dall’art. 48 del regolamento di
esecuzione e di attuazione del nuovo Codice della strada (che ha fissato
per le insegne d’esercizio ed ogni altro mezzo pubblicitario limiti
dimensionali, 6 metri quadrati se installati fuori dai centri abitati e
20 metri quadrati se posti parallelamente al senso di marcia dei veicoli
o in aderenza ai fabbricati).
In ogni caso,
ovunque si trovi e qualunque siano le sue dimensioni, l’ente gestore
della strada può constatare la pericolosità e vietare la realizzazione o
il mantenimento del manufatto, con una valutazione basata su un potere
di natura tecnico-discrezionale, sindacabile dunque solo per manifesta
illogicità o per difetto di motivazione.
Nella
specie, il diniego impugnato non è affetto da alcuno dei vizi dedotti
dall’appellante ed è coerente con la normativa di settore
Per
quanto riguarda il posizionamento dell’insegna rispetto alla ubicazione
dell’esercizio commerciale, l’appellante ha dedotto che essa si
troverebbe al lato dell’ingresso principale dell’edificio e di fronte
all’area di parcheggio.
Al riguardo, rileva in
punto di fatto il Collegio che la medesima insegna è indubbiamente
visibile dall’autostrada: tale circostanza - in considerazione
dell’effettivo stato dei luoghi - è stata valutata dall’ente nel senso
della pericolosità dell’impianto ed è sufficiente per giustificare le
conclusioni cui è giunto l’ente.
Per di più,
l’insegna realizzata dall’appellante supera anche il limite massimo
normativo astrattamente consentito dall’art. 48 del richiamato
regolamento, raggiungendo una dimensione di 27,373 metri quadrati, e non
è posta in aderenza al fabbricato.
Ne consegue
che il provvedimento di diniego risulta pienamente giustificato dalle
circostanze e che ben poteva essere seguito dall’ordine di rimozione.
9. L’appello, dunque, è da ritenersi infondato e va, pertanto, respinto.’
Le
spese del secondo grado di giudizio seguono il principio della
soccombenza e sono liquidate nella misura indicata nel dispositivo.
P.Q.M.
Il
Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta),
definitivamente pronunciando sull’appello (ricorso n1369/2007), come in
epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna la parte
appellante al pagamento delle spese, dei diritti e degli onorari del
secondo grado di lite, che quantifica in euro 5000,00, oltre gli
accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 12 ottobre 2012 con l'intervento dei magistrati:
Luigi Maruotti, Presidente
Rosanna De Nictolis, Consigliere
Maurizio Meschino, Consigliere
Claudio Contessa, Consigliere
Claudio Boccia, Consigliere, Estensore
L'ESTENSORE | IL PRESIDENTE | |
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 29/11/2012
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)