Multe pesanti alle "lucciole" che, più volte, vengono sorprese - durante i controlli delle forze dell'ordine - a stazionare sui marciapiedi abbigliate «in abiti succinti in modo tale da far vedere le parti intime del corpo». La Cassazione, infatti, ha respinto il ricorso di una giovane proveniente dai paesi dell'est, Mariana P., che era solita passeggiare su un viale bolognese con il seno e il fondoschiena in bellavista, contro l'ammenda di 600 euro che le aveva inflitto il Giudice di pace del capoluogo emiliano, l' 8 marzo del 2011, per il suo vestiario contrario alla pubblica decenza.
Ad avviso della Suprema Corte, questo tipo di atteggiamento non può essere considerato «un fatto lieve» e non ha alcuna importanza se i passanti si siano, o meno, accorti della circostanza che la ragazza «era in mutande che lasciavano scoperti i glutei». Ai fini della sussistenza del reato di atti contrari alla pubblica decenza, non ha alcuna importanza - spiega la Cassazione nella sentenza 47868 - «che detti atti siano percepiti da terzi, essendo sufficiente la mera possibilità della percezione di essi, in quanto il codice penale tutela i criteri di convivenza e decoro, che, se non osservati e rispettati, provocano disgusto e disapprovazione, come nel caso in questione».
Infine, i supremi giudici hanno dato il loro `placet´ anche all'entità della sanzione «vista la gravità della condotta, l'insensibilità di Mariana P. all'offesa arrecata alla collettività, comprovante il completo disinteresse alle interferenze che il suo comportamento avrebbe potuto determinare al comune vivere civile, nonchè considerati i precedenti penali specifici a carico dell'imputata».
Ad avviso della Suprema Corte, questo tipo di atteggiamento non può essere considerato «un fatto lieve» e non ha alcuna importanza se i passanti si siano, o meno, accorti della circostanza che la ragazza «era in mutande che lasciavano scoperti i glutei». Ai fini della sussistenza del reato di atti contrari alla pubblica decenza, non ha alcuna importanza - spiega la Cassazione nella sentenza 47868 - «che detti atti siano percepiti da terzi, essendo sufficiente la mera possibilità della percezione di essi, in quanto il codice penale tutela i criteri di convivenza e decoro, che, se non osservati e rispettati, provocano disgusto e disapprovazione, come nel caso in questione».
Infine, i supremi giudici hanno dato il loro `placet´ anche all'entità della sanzione «vista la gravità della condotta, l'insensibilità di Mariana P. all'offesa arrecata alla collettività, comprovante il completo disinteresse alle interferenze che il suo comportamento avrebbe potuto determinare al comune vivere civile, nonchè considerati i precedenti penali specifici a carico dell'imputata».