sabato 4 agosto 2012

IL DANNO DA NON CIRCOLAZIONE DI VEICOLI

IL DANNO DA NON CIRCOLAZIONE DI VEICOLI
Di Di Giorgio RISPOLI
1. La tematica.
I paradossi sono smagliature di assurdità nel tessuto della nostra conoscenza: dapprima ci fanno dubitare delle nostre convinzioni, ma poi ci spingono a ridefinire le nozioni acquisite. Orbene può sembrare un evidente paradosso l’applicazione – frequente nella teoria e nella pratica – degli istituti relativi alla responsabilità da circolazione dei veicoli (art. 2054 c.c. e disciplina della cd. r.c. auto) a fattispecie lesive che invece esulano dalla nozione di circolazione[1] nell’accezione di tale termine propria del linguaggio comune. Si pensi al sinistro in parte cagionato da un’automobile in sosta vietata idonea ad occultare la visuale della sede stradale, ai danni a terzi provocati dall’incendio causato dal guasto al sistema elettrico di un veicolo parcheggiato, alle conseguenze lesive del rogo di un’autocisterna ferma contenente liquido infiammabile. Il presente contributo si propone di analizzare le principali ricostruzioni giurisprudenziali e dottrinali sul punto, evidenziarne le criticità e proporre soluzioni volte ad un diverso inquadramento classificatorio di siffatte circostanze, cui consegue una differente impostazione disciplinare della fattispecie.
2. L’evoluzione giurisprudenziale.
Alcune recenti decisioni della Cassazione consolidano l’orientamento che considera circolante l’auto in sosta ai fini dell’applicazione della disciplina della r.c. auto[2]. Secondo la Suprema Corte la sosta di un veicolo a motore su area pubblica o ad essa equiparata integrerebbe – ai sensi e per gli effetti dell’art. 2054 c.c. e della L. n. 990/1969 – gli estremi della fattispecie circolazione del veicolo. Di conseguenza anche l’assicuratore risponderebbe dei danni derivati a terzi dall’incendio del predetto veicolo. Ciò indipendentemente dal lasso di tempo intercorso fra l’inizio della sosta e l’insorgere dell’incendio[3]. In particolare la giurisprudenza precisa che l’ultimo comma dell’art. 2054 c.c. non consentirebbe al proprietario – ed agli altri soggetti indicati nei commi precedenti fra cui il conducente – di sottrarsi alla responsabilità per i danni derivati dalla circolazione (intesa nell’accezione unitaria di movimento e sosta) da vizi di manutenzione o difetti di costruzione. Questo perché in assenza di tali vizi non sarebbe ipotizzabile che un veicolo a motore prenda spontaneamente fuoco dopo essere stato arrestato. Sicchè anche la responsabilità per danni da vizio di costruzione o difetto di manutenzione del veicolo costituirebbe oggetto dell’assicurazione obbligatoria ai sensi dell’art. 122 del D. lgs. 209/2005 ove relativa ad eventi dannosi verificatisi durante la circolazione – ivi compresa la sosta – sulle pubbliche vie o aree equiparate[4]. Il proprietario di un veicolo a motore non risponderebbe – in virtù dell’art. 2051 c.c. – dei danni causati dal propagarsi dell’incendio del proprio autoveicolo solamente in presenza di caso fortuito, sussistente ad esempio allorché una vettura risulti data dolosamente alle fiamme da un terzo durante la sosta[5]. Ciò in quanto la condotta del terzo di doloso appiccamento del fuoco ad automobile regolarmente parcheggiata sarebbe infatti imprevedibile ed inevitabile in base ad una condotta normalmente diligente che prescinda dal ricorso all’impiego di mezzi straordinari[6], integrando un rischio generico della vita di relazione, idoneo ad interrompere il nesso di causalità[7]. Tali decisioni si inscrivono in quel più ampio filone volto a considerare il fenomeno circolatorio in senso ampio, comprensivo anche del veicolo che si sia messo spontaneamente in moto per una qualsiasi causa[8] (ad es. la tenuta difettosa dei freni). Corollario di siffatta visione è poi la presunzione di colpa del veicolo in sosta vietata, idoneo a cagionare danni a terzi anche in assenza di collisione[9]. Occorre rilevare come anche la Corte Costituzionale ha riconosciuto che la disciplina della circolazione deve naturalmente riguardare non soltanto il movimento dei veicoli ma anche la loro fermata o sosta[10]. Questo perché anche il veicolo fermo è idoneo ad alterare o ostacolare il movimento degli altri utenti della strada.
3. L’applicazione dell’art. 2054 c.c. nello spazio.
L’analisi della menzionata giurisprudenza non può peraltro prescindere dalla specificazione della nozione di area equiparata a quella pubblica atteso che la giurisprudenza pone l’elemento spaziale fra i presupposti per l’applicazione delle regole di responsabilità da circolazione di veicoli. Occorre peraltro rilevare che manca nell’art. 2054 c.c. un’indicazione relativa al luogo in cui si svolge la circolazione stradale. Il dato testuale dell’art. 2054 c.c. parrebbe tuttavia riprodurre il contenuto dell’art. 120 del previgente codice della strada (R.D. 1740/1933). Tale norma, sebbene destinata a disciplinare la circolazione sulle aree pubbliche aveva comunque riguardo al carattere pubblico della circolazione medesima e non già al luogo di svolgimento della stessa. A tal proposito fin dai primi anni trenta la Cassazione ha precisato come non vi fosse motivo di distinguere fra aree pubbliche e private in considerazione del pubblico interesse alla tutela dell’incolumità dei pedoni e dei veicoli[11]. Inoltre la definizione del concetto di luogo in cui si svolge la circolazione è contenuta nella disciplina relativa all’assicurazione obbligatoria per la cd. r.c. auto. Ed infatti l’art. 1, comma primo, della L.990/1969 prevede che «i veicoli a motore senza guida di rotaie, compresi i filoveicoli e i rimorchi, non possono essere posti in circolazione su strade di uso pubblico o su aree a queste equiparate se non sono coperti, secondo le disposizioni della presente legge, dall’assicurazione per la responsabilità civile verso i terzi prevista dall’art. 2054 c.c.». Il regolamento di esecuzione della medesima legge (d.p.r. 24 novembre 1970 n. 973) precisa altresì, all’art. 2, comma secondo, «sono equiparate alle strade di uso pubblico tutte le aree, di proprietà pubblica o privata, aperte alla circolazione del pubblico». La Suprema Corte ha poi sottolineato che detta definizione sarebbe pienamente applicabile sia alla disciplina della responsabilità civile sia a quella del vigente codice della strada[12]. In particolare la Cassazione[13] ha stabilito – in riferimento alla sanzione prevista dall’art. 193 C. d. S. (circolazione di veicolo privo della copertura assicurativa) – che le ivi menzionate aree equiparate a quelle pubbliche coinciderebbero con quelle indicate nell’art. 2 del regolamento di esecuzione della L. 990/1969. La dottrina ha a tal proposito osservato che il dato letterale dell’art. 2054 c.c. non esprime alcuna limitazione – in ordine al suo ambito applicativo – in relazione al luogo di verificazione del danno[14]. Pertanto ai fini della configurabilità della circolazione ai sensi dell’art. 2054 c.c. sarebbe sufficiente un traffico veicolare o pedonale, anche in un area privata. Si pensi al cortile di uno stabilimento industriale ove avvengono continue operazioni di carico e scarico merci oppure al parcheggio di un grande centro commerciale, entrambe aree private in cui però si verifica una situazione di pericolosità paragonabile a quella inerente il traffico su strada pubblica o aperta al pubblico. La giurisprudenza della Cassazione parrebbe propendere per questo filone ermeneutico allorchè esclude l’applicabilità della regola di responsabilità prevista dall’art. 2054 c.c. solo qualora un danno sia stato prodotto in un’area privata in cui non esista nè traffico nè circolazione di veicoli[15]. Di conseguenza ai fini dell’applicazione della disciplina tracciata dall’art. 2054 c.c. è essenziale che sull’area in considerazione possa svolgersi la circolazione di veicoli o di pedoni. Dovrebbe peraltro determinarsi – nell’ipotesi di movimento su aree private non aperte al pubblico – una situazione paragonabile – quanto a pericolosità – a quella del traffico su strade aperte al pubblico[16]. Sicchè esulerebbero[17] dall’ambito applicativo dell’art. 2054 c.c. soltanto quei luoghi chiusi in cui non avverrebbe una vera e propria circolazione bensì un mero spostamento di veicoli (ad es. aree cortilizie condominiali, autorimesse, fondi agricoli). La giurisprudenza qualifica peraltro “aree chiuse” anche le zone militari[18]. Si discute peraltro quale sia la disciplina applicabile ai danni che si verificano in tali luoghi chiusi. Secondo una tesi[19] tale fattispecie rientrerebbe nel paradigma della generale responsabilità aquiliana regolata dall’art. 2043 c.c. Ulteriore prospettazione ricondurrebbe invece l’ipotesi in esame alla previsione dell’art. 2051 c.c., volta a regolare la responsabilità derivante da cosa in custodia[20]. Ciò sul rilievo sopra citato che nei predetti luoghi non si svolgerebbe un traffico veicolare ma soltanto un’attività di spostamento dei veicoli[21]. Corollario di siffatta impostazione sarebbe inoltre l’inapplicabilità della disciplina della r.c. auto alle fattispecie lesive avvenute in tali luoghi. Tale assunto è rifiutato da quella parte della dottrina[22] che considera comunque lo spostamento alla stregua di una species del genus circolazione. Occorre peraltro domandarsi se tale disciplina possa essere ulteriormente integrata (ed in caso di risposta affermativa individuare i criteri suppletivi cui attenersi) nell’ ipotesi in cui il movimento foriero dell’evento lesivo abbia luogo in aree private chiuse che – ad avviso di parte della dottrina – esulerebbero dall’ambito applicativo dell’art. 2054 c.c. nonché della disciplina della cd. r.c. auto (ad es. cortili condominiali, garages, parcheggi sotterranei di centri commerciali o circoli sportivi). In tal caso sarebbe forse ravvisabile in capo al danneggiante una responsabilità di natura contrattuale e non già meramente extracontrattuale. Ciò a fortiori allorché il danneggiante ed il danneggiato siano entrambi legati alla struttura privata chiusa ove si verifica l’incidente dal medesimo vincolo contrattuale di volta in volta concretamente individuabile (contratto atipico di parcheggio, contratto associativo del circolo sportivo o ricreativo, contitolarità nascente dal condominio negli edifici). Questo perché la condotta lesiva posta in essere dal danneggiante ben potrebbe sostanziarsi nell’inosservanza di quel generico dovere di correttezza nell’adempimento delle obbligazioni cui – ai sensi dell’art. 1175 c.c. – deve attenersi il titolare di una posizione contrattuale. Ciò beninteso allorché questi non fornisca la prova liberatoria ex art. 1218 c.c. che l’evento si sia verificato per causa a lui non imputabile[23]. È peraltro d’uopo precisare che la responsabilità extracontrattuale si differenzia da quella contrattuale principalmente sotto il profilo dell’allocazione dell’onere della prova e del termine di prescrizione (5 anni dal verificarsi dell’evento lesivo per la responsabilità extracontrattuale, 10 dal verificarsi dell’inadempimento per quella contrattuale). Orbene mentre sotto il profilo dell’onere probatorio in tema di danno da circolazione di veicoli vi sarebbe comunque piena congruenza fra la regola generale di cui all’art. 1218 c.c. ed il disposto dell’art. 2054 c.c. che deroga alla disciplina dell’art. 2043 c.c. ponendo in capo al danneggiante – e non già al danneggiato – l’onere della prova, dal punto di vista del termine prescrizionale invece la qualificazione della responsabilità del conducente come contrattuale avrebbe notevole rilievo pratico. Ed infatti il danneggiato – nelle circoscritte ipotesi sopra citate – potrebbe avvalersi del termine decennale di prescrizione raddoppiando così il tempo a disposizione per la proposizione delle proprie istanze.
4. I profili critici e ricostruttivi: dal danno da circolazione al danno da non circolazione.
Al fine di ricondurre il fenomeno a sistema sembrerebbe opportuno distinguere fra danno da circolazione e danno da non circolazione di veicoli. La prima denominazione indicherebbe i danni prodotti dai veicoli come conseguenza della circolazione e sarebbe soggetto alla disciplina delineata all’art. 2054 c.c. nonché alle peculiari regole settoriali proprie della r.c. auto. La seconda si riferirebbe invece a quelle fattispecie lesive cagionate da veicoli ancorchè prive di un nesso eziologicamente rilevante con il fenomeno circolatorio. Pertanto in tali ipotesi si applicherebbero le regole di responsabilità inerenti la fattispecie di volta in volta rilevante (ad es. la generale responsabilità aquiliana ex art. 2043 c.c., la responsabilità per l’esercizio di attività pericolose prevista dall’art. 2050 c.c., quella da cose in custodia ai sensi dell’art. 2051 c.c., etc.). La linea di discrimine fra le sopra citate regole di responsabilità risiederebbe dunque nell’esatta individuazione della nozione di circolazione. A tal proposito parrebbe adeguato seguire la definizione del fenomeno circolatorio offerta dall’interpretazione della Corte Costituzionale. Ad avviso del Giudice delle Leggi[24], infatti, la disciplina della circolazione dovrebbe in re ipsa riguardare non soltanto il movimento dei veicoli, ma anche la loro fermata o sosta. Questo perché anche il veicolo fermo – ingombrando la carreggiata – sarebbe idoneo ad interferire nel movimento degli altri veicoli, alterandolo oppure ostacolandolo. Sul punto la dottrina[25] ha precisato come la circolazione stradale si sostanzierebbe in un concetto complesso idoneo ad includere nel proprio novero anche la fermata e l’arresto dei veicoli. Sicchè accanto ad una circolazione «dinamica», coincidente con il movimento veicolare in senso proprio, sarebbe enucleabile una circolazione «statica», inerente la fermata e la sosta dei veicoli[26]. La sosta o fermata dei veicoli rientrebbe dunque in un fenomeno di cd. circolazione statica, ove però possa esplicare effetti riflessi in relazione al moto circolatorio di altri veicoli. In tale ottica sembrerebbe appropriata la sussunzione entro il paradigma normativo dell’art. 2054 c.c. (e la contestuale applicazione della disciplina della r.c. auto) del sinistro in parte cagionato da un’automobile in sosta vietata idonea ad occultare la visuale della sede stradale. Detta fattispecie riguarderebbe infatti un danno cagionato dalla circolazione – ancorché statica – di un veicolo. La differenza fra danno da circolazione e danno da non circolazione emergerebbe invece con maggior nitore in ipotesi d’incendio di un veicolo in sosta. A tal proposito, infatti, occorrerebbe valutare se sussista o meno una specifica connessione causale fra il predetto incendio ed il fatto della circolazione del veicolo. Paradigmatica esemplificazione è costituita dall’incendio dell’auto determinato dall’imprudenza del conducente che abbia lasciato scaldare troppo il motore. In questo caso si applicherebbe dunque l’art. 2054 c.c. nonché la copertura assicurativa obbligatoria perché il predetto incendio presenterebbe una connessione diretta con il moto circolatorio del veicolo. La medesima disciplina opererebbe in ipotesi di corto circuito dovuto a difetto di costruzione o di manutenzione del veicolo[27], stante il disposto del quarto comma dell’art. 2054 c.c. Tale norma rappresenta peraltro uno dei due casi espressamente previsti di responsabilità oggettiva cd. pura in materia d’illecito civile di natura extracontrattuale[28] (l’altro è contemplato dall’art. 2049 c.c. in tema di responsabilità dei padroni e dei committenti[29]). Ciò in quanto la responsabilità civile è nella fattispecie attribuita sulla base della mera sussistenza del nesso di causalità, ossia prescindendo da qualsiasi valutazione inerente l’elemento soggettivo (dolo o colpa) del soggetto danneggiante. Dall’ambito applicativo di siffatta previsione normativa parrebbe invece esulare il corto circuito dovuto a mera vetustà del veicolo, ove il conducente si sia rigidamente attenuto alle regole di manutenzione programmata proprie dello stesso. Questo perché in tal caso l’accadimento non sarebbe ascrivibile né a difetto di manutenzione né a vizio di costruzione e dunque non si applicherebbe l’art. 2054 c.c. (e la disciplina inerente a copertura assicurativa obbligatoria). Sembrerebbe pertanto da condividersi quell’orientamento maggiormente rigoroso ad avviso del quale l'incendio propagatosi a veicoli o a cose sarebbe riconducibile alla circolazione solo in quanto derivante dal suo normale utilizzo, risultando quindi necessario un particolare e specifico nesso di causalità con un determinato evento attinente alla circolazione[30] (surriscaldamento eccessivo del motore, con insorgenza di incendio poco dopo lo spegnimento dello stesso, «ritorno di fiamma », etc.). Differente analisi ricostruttiva ritiene invece che non debba essere ritenuto pertinente alla circolazione soltanto l’incendio doloso[31]. Ulteriori fattispecie di danno da non circolazione di veicoli sarebbero quelle d’incendio derivante da operazioni di carico e scarico del carburante da autocisterna[32], oppure quelle poste in essere mediante il veicolo ma con modalità diverse dalla circolazione e non prevedibili né controllabili dal proprietario o conducente. Si pensi ai danni causati dalla caduta di un motoveicolo regolarmente parcheggiato urtato da un passante[33] oppure a quelli derivanti dall’ incauta e repentina apertura di uno sportello posta in essere da un passeggero adulto e pienamente capace d’intendere e volere[34]. All’area del danno da non circolazione di veicoli parrebbe ascrivibile anche la fruizione degli stessi in maniera non corrispondente alla loro naturale destinazione[35]. È il caso dell’uso dell’automobile come arma impropria (si pensi all’eventualità del cd. ariete, in cui una vettura viene utilizzata al fine di sfondare la vetrina di un negozio in occasione di una rapina oppure delle famigerate autobombe che riportano alla mente episodi di cronaca tristemente noti). Questo perché in tale ipotesi la modalità di fruizione del veicolo non sarebbe in alcun modo eziologicamente connessa all’ usuale moto circolatorio proprio del traffico stradale. In pratica il danno deriverebbe da un uso strumentale del veicolo per finalità differenti rispetto a quelle per cui normalmente è adibito. La categoria concettuale del danno da non circolazione di veicoli rappresenterebbe così una sorta di «contenitore neutro» in cui confluirebbero tutte le fattispecie lesive poste in essere mediante un veicolo, ma con modalità differenti dalla sua naturale funzione circolatoria. In siffatto novero potrebbero altresì rientrare gli eventi lesivi fra veicoli che si verificano in aree chiuse al traffico. Ed infatti – come in precedenza evidenziato – parte della giurisprudenza esclude l’applicabilità della regola di responsabilità prevista dall’art. 2054 c.c. allorchè un danno sia stato prodotto in un’area privata in cui non esista nè traffico nè circolazione di veicoli. La categoria concettuale della danno da non circolazione di veicoli si connoterebbe infatti proprio per l’inapplicabilità ad essa della disciplina relativa alla r.c. auto, il cui ambito oggettivo parrebbe invece circoscritto al danno da circolazione di veicoli. La «neutralità» dello schema emergerebbe invece in relazione alla regola di responsabilità concretamente applicabile in tema di danno da non circolazione di veicoli. Questa non sarebbe infatti unitaria ma coinciderebbe con la disciplina propria della fattispecie di volta in volta rilevante (ad es. generale responsabilità aquiliana ex art. 2043 c.c., responsabilità per l’esercizio di attività pericolose ai sensi dell’art. 2050 c.c., responsabilità da cose in custodia ex art. 2051 c.c.).
5. Considerazioni conclusive.
L’evoluzione giurisprudenziale in materia di danno da circolazione di veicoli muove nel senso di un’estensione della tutela del danneggiato che esula dall’interpretazione letterale del dato testuale. Ciò in ossequio alla funzione sociale propria del sistema assicurativo nel suo complesso[36]. Siffatta evoluzione si inscrive nel più ampio filone – fatto proprio dai formanti sociali nell’attuale momento storico – mirante alla traslazione del rischio per lo svolgimento di un’attività in capo al soggetto economicamente più forte e pertanto maggiormente solvibile[37]. In particolare si conferma il trend di oggettivazione e socializzazione del rapporto assicurativo – secondo cui la responsabilità risarcitoria sorgerebbe in virtù del mero «contatto» fra il veicolo ed i terzi[38] - finalizzato ad una più penetrante tutela dei danneggiati da attività altamente produttive di danno[39]. Tuttavia tale tendenza risulta condivisibile nelle finalità, meno nei mezzi. Una simile interpretazione estensiva ben potrebbe infatti determinare – nel medio periodo – una situazione di crisi del settore assicurativo analoga a quella verificatasi negli Stati Uniti all’inizio degli anni ottanta del secolo scorso, allorché le compagnie non riuscivano a far adeguatamente fronte all’incremento delle pretese risarcitorie dei soggetti assicurati[40]. Del resto – come asserito da Hayek – non è aumentando le strade che il traffico diminuisce. Ed infatti la funzione indennitaria e risarcitoria propria del sistema assicurativo dovrebbe esplicarsi nei confronti delle fattispecie che ineriscano la circolazione dei veicoli – finanche alla massima estensione di tale nozione – ma non a quelle che siano da questa avulse. La menzionata distinzione fra danno da circolazione e danno da non circolazione di veicoli acquisirebbe pertanto rilievo quale linea di discrimine nell’applicazione pratica della disciplina della cd. r.c. auto. Alla luce di quanto prospettato si evince dunque come la disciplina del danno da circolazione di veicoli sarebbe più opportuno fosse contenuta entro i binari della logica, prima ancora che della lettera.

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