martedì 17 luglio 2012

Non si può imporre al personale appartenente alla polizia municipale la trasformazione del contratto di lavoro dal tempo parziale a quello a tempo indeterminato

È quanto emerge dalla sentenza della Corte Costituzionale 6 giugno 2012 n. 141 che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'articolo 26, comma 8, della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia n. 9 del 29 aprile 2009, relativa a "Disposizioni in materia di politiche di sicurezza e ordinamento della polizia locale".
 
Sentenza 141/2012
Giudizio GIUDIZIO DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE IN VIA INCIDENTALE

Presidente QUARANTA - Redattore MATTARELLA

Camera di Consiglio del 21/03/2012 Decisione del 23/05/2012
Deposito del 06/06/2012 Pubblicazione in G. U. 13/06/2012
Norme impugnate: Artt. 10, c. 7°, e 26, c. 8°, della legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia 29/04/2009, n. 9.
Massime: 36370 36371 36372 36373
Atti decisi: ord. 235/2011


SENTENZA N. 141
ANNO 2012


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Alfonso QUARANTA; Giudici : Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Sergio MATTARELLA, Mario Rosario MORELLI,


ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli articoli 10, comma 7, e 26, comma 8, della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 29 aprile 2009, n. 9 (Disposizioni in materia di politiche di sicurezza e ordinamento della polizia locale), promosso dal Tribunale ordinario di Trieste, nel procedimento vertente tra R.Z. ed altri e il Comune di Trieste, con ordinanza del 31 agosto 2011, iscritta al n. 235 del registro ordinanze 2011 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 48, prima serie speciale, dell’anno 2011.

Visto l’atto di intervento della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia;

udito nella camera di consiglio del 21 marzo 2012 il Giudice relatore Sergio Mattarella.

Ritenuto in fatto

1.— Nel corso di un giudizio promosso da alcuni dipendenti del Comune di Trieste, inquadrati nel corpo di polizia municipale, nei confronti del Comune stesso, il Tribunale ordinario di Trieste, in funzione di giudice del lavoro, ha sollevato, in riferimento all’art. 117, primo e secondo comma, lettera l), della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’articolo 10, comma 7, e dell’articolo 26, comma 8, della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 29 aprile 2009, n. 9 (Disposizioni in materia di politiche di sicurezza e ordinamento della polizia locale).

Osserva il giudice remittente che i ricorrenti hanno impugnato davanti al giudice del lavoro, chiedendone la sospensione dell’efficacia, i provvedimenti con i quali il Comune di Trieste – sulla base del regolamento comunale emesso in attuazione delle norme della legge citata – aveva disposto la loro esclusione dal rapporto di lavoro a tempo parziale. Nel ricorso, fra l’altro, i dipendenti hanno ricordato che alcune disposizioni della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 9 del 2009 sono state già scrutinate da questa Corte con la sentenza n. 167 del 2010 la quale, accogliendo alcune questioni, ha respinto quelle relative all’art. 10, sollevate peraltro in riferimento ad aspetti diversi da quelli odierni.

Ciò premesso, il Tribunale riporta il testo delle due disposizioni impugnate: l’art. 10, comma 7, stabilisce che «al fine di garantire l’efficace svolgimento delle funzioni di polizia locale e migliorare le condizioni di sicurezza urbana, l’articolo 1, comma 57, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), concernente l’esclusione del rapporto a tempo parziale per il personale militare, per quello delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, si applica anche al personale di polizia locale, salvo che sia diversamente stabilito nei regolamenti di polizia locale per esigenze di carattere stagionale»; l’art. 26, comma 8, stabilisce che i rapporti di lavoro a tempo parziale esistenti alla data di entrata in vigore della legge siano trasformati in rapporti a tempo pieno entro due anni dall’entrata in vigore della stessa. In ottemperanza alle citate disposizioni, il Comune di Trieste ha emanato un regolamento che vieta, per il personale della polizia municipale, la trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto a tempo parziale ed impone la conversione di quelli a tempo parziale in contratti a tempo pieno entro un certo termine.

Il giudice a quo, dopo aver ricordato che la citata sentenza n. 167 del 2010 riconduce alla potestà normativa residuale delle Regioni la materia della polizia amministrativa locale, rileva che il personale di polizia locale non può essere equiparato al personale militare, alle forze di polizia e al corpo dei vigili del fuoco, poiché lo status di questi ultimi non è regolato da contratto collettivo. Ne consegue che l’assimilazione compiuta dal censurato art. 10, comma 7, contravviene a quanto stabilito dall’art. 1, comma 58, della legge n. 662 del 1996, che costituisce espressione di principi fondamentali vincolanti anche per le Regioni a statuto speciale sulla base della giurisprudenza costituzionale. Ma, soprattutto, le disposizioni censurate intervengono nella materia dell’ordinamento civile, perché l’orario di lavoro ed il trattamento economico «sono aspetti privatistici del contratto di lavoro», tanto più che i ricorrenti, tutti agenti di polizia municipale, sono comunque dipendenti comunali e rientrano nel comparto unico di contrattazione collettiva regioni-enti locali.

Non è sostenibile, pertanto, secondo il Tribunale di Trieste, che il divieto di part-time per il personale di polizia municipale rientri nella materia dell’organizzazione degli uffici regionali, che l’art. 117, quarto comma, Cost. attribuisce alla competenza residuale delle Regioni.

Osserva, infine, il giudice a quo che le norme impugnate sono lesive anche delle prerogative attribuite ai sindacati dal meccanismo della contrattazione collettiva di cui all’art. 40 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), perché il contratto collettivo applicabile ai ricorrenti non vieta loro in alcun modo il rapporto di lavoro a tempo parziale; semmai – alla luce delle modifiche di cui all’art. 73 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133 – è solo in base alla valutazione delle esigenze di servizio che si deve decidere se ammettere o meno il dipendente pubblico al lavoro a tempo parziale, secondo un criterio rispondente anche alle regole generali di cui all’art. 97 della Costituzione.

2.— È intervenuta in giudizio la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o infondata.

In una successiva memoria depositata in vista della discussione, la Regione specifica che l’istituto del lavoro a tempo parziale – regolato dall’art. 1, commi 57 e seguenti, della legge n. 662 del 1996 – è modellato dal legislatore nazionale in termini di facoltà delle pubbliche amministrazioni, le quali possono ammetterlo in vista del conseguimento di finalità di risparmio di spesa. D’altra parte, l’art. 39, comma 27, della legge 27 dicembre 1997, n. 449 (Misure per la stabilizzazione della finanza pubblica), ha chiarito che i commi 58 e 59 dell’art. 1 della legge n. 662 del 1996 si applicano al personale degli enti locali «finché non diversamente stabilito da ciascun ente con proprio atto normativo»; per cui è la stessa legge statale a prevedere una potestà normativa delle Regioni in tale materia.

Quanto al merito delle censure, la Regione rileva che quella riguardante l’art. 117, primo comma, Cost., deve essere dichiarata inammissibile per genericità.

La presunta lesione della competenza esclusiva statale in tema di ordinamento civile, invece, è da un lato contraddittoria e dall’altro infondata. Contraddittoria, perché l’ordinanza lamenta la violazione di un titolo di competenza esclusiva e, contemporaneamente, fa riferimento al contrasto con i principi fondamentali posti dalla legislazione statale, il che presupporrebbe l’esistenza di un titolo di competenza concorrente. Infondata, perché la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia è dotata di competenza esclusiva statutaria in tema di ordinamento degli enti locali e di potestà residuale in materia di polizia amministrativa locale, come risulta dall’art. 117, secondo comma, lettera h), della Costituzione. Non c’è, del resto, alcuna lesione della competenza statale in materia di ordinamento civile, perché nel caso in esame la Regione «non disciplina affatto il rapporto di lavoro, ma semplicemente sceglie, come qualunque soggetto può fare, di quale tipo di rapporto di lavoro – tra quelli che l’ordinamento civile mette a sua disposizione – ha bisogno»; si tratta, evidentemente, di una scelta che attiene ai profili organizzativi dell’ordinamento degli enti locali, sui quali la Regione ha una propria indiscussa potestà normativa.

Considerato in diritto

1.— Il Tribunale ordinario di Trieste, in funzione di giudice del lavoro, ha sollevato, in riferimento all’art. 117, primo e secondo comma, lettera l), della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’articolo 10, comma 7, e dell’articolo 26, comma 8, della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 29 aprile 2009, n. 9 (Disposizioni in materia di politiche di sicurezza e ordinamento della polizia locale).

Ritiene il giudice remittente che le censurate disposizioni – le quali vietano al personale appartenente alla polizia municipale la possibilità di accedere al contratto di lavoro a tempo parziale (art. 10, comma 7), nel contempo stabilendo che i rapporti a tempo parziale in corso siano convertiti in contratti a tempo pieno entro la data del 31 dicembre 2012 (art. 26, comma 8) – siano in contrasto con i menzionati parametri costituzionali, poiché l’orario di lavoro e il trattamento economico costituiscono aspetti privatistici del contratto di lavoro, rispetto ai quali la potestà normativa esclusiva spetta allo Stato (ordinamento civile).

2.— Occorre preliminarmente osservare che una delle due disposizioni impugnate, ossia l’art. 26, comma 8, della legge regionale n. 9 del 2009, è stata oggetto di modifica da parte dell’art. 10, comma 87, della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 11 agosto 2011, n. 11 (Assestamento del bilancio 2011 e del bilancio pluriennale per gli anni 2011-2013 ai sensi dell’articolo 34 della legge regionale n. 21/2007), pubblicata nel Bollettino Ufficiale della Regione in data 24 agosto 2011. Di tale modifica, benché avvenuta in un momento precedente rispetto al deposito dell’ordinanza di rimessione a questa Corte, il giudice a quo non mostra di avere cognizione. Tale incompletezza – peraltro comprensibile, in considerazione del brevissimo lasso di tempo intercorso fra la pubblicazione della citata modificazione normativa e il deposito dell’ordinanza che solleva la presente questione (31 agosto 2011) – non ridonda in ragione di inammissibilità dell’odierna questione, perché la modifica non altera in modo significativo il quadro normativo, limitandosi a spostare al 31 dicembre 2012 la data entro la quale i rapporti di lavoro a tempo parziale esistenti devono essere trasformati in rapporti a tempo pieno. D’altra parte, già l’art. 10, comma 57, della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 29 dicembre 2010, n. 22 (Disposizioni per la formazione del bilancio pluriennale ed annuale della Regione – legge finanziaria 2011), considerato nell’ordinanza di rinvio, aveva modificato il testo del censurato art. 26 nel senso che gli enti locali fossero tenuti ad adeguarsi alle disposizioni di cui all’art. 10 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 9 del 2009 entro il 31 dicembre 2012.

Ne consegue che la Corte deve procedere all’esame del merito estendendo il proprio scrutinio al testo della norma come modificata dalla citata legge regionale n. 11 del 2011.

3.— Ancora in via preliminare va rilevato che la lamentata lesione dell’art. 117, primo comma, Cost., benché prospettata nel dispositivo dell’ordinanza di rimessione, non trova alcun supporto di motivazione nel corpo dell’ordinanza stessa, sicché la sollevata questione deve essere dichiarata inammissibile in riferimento a tale parametro; la medesima, invece, va esaminata nel merito in riferimento all’unico parametro realmente motivato, ossia quello dell’art. 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione.

4.— Giova premettere, ai fini di un corretto inquadramento del problema in esame, che la normativa in tema di contratto di lavoro a tempo parziale alle dipendenze della pubblica amministrazione ha conosciuto negli ultimi anni uno sviluppo non sempre lineare.

In precedenza, infatti, vigeva la regola, contenuta nell’art. 60 del decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3 (Testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato), secondo cui il rapporto di impiego pubblico era caratterizzato dal fondamentale connotato della esclusività. Con l’art. 7 della legge 29 dicembre 1988, n. 554 (Disposizioni in materia di pubblico impiego), è stata riconosciuta la possibilità, per le amministrazioni dello Stato e degli enti pubblici istituzionali e territoriali, di costituire rapporti di lavoro a tempo parziale. Il successivo art. 1, commi 56-65, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, ha introdotto la previsione per cui i pubblici dipendenti con prestazione di lavoro non superiore al 50 per cento di quella a tempo pieno possono anche iscriversi agli albi professionali. Tale normativa ha superato con successo lo scrutinio di questa Corte, cui erano state sottoposte varie questioni di legittimità costituzionale nell’ambito di giudizi in via principale promossi da diverse Regioni (sentenza n. 171 del 1999); in quella pronuncia – peraltro emessa nel vigore del precedente quadro costituzionale, anteriore alla riforma di cui alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione) – si è già posto in luce che l’estensione del contratto a tempo parziale anche ai pubblici dipendenti si collocava «nell’ottica del contenimento della spesa pubblica e dell’aumento dell’efficienza della pubblica amministrazione».

Successivamente, l’art. 73, comma 1, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, ha introdotto significative novità nel corpo dell’art. 1, comma 58, della legge n. 662 del 1996. Nella versione attualmente vigente, la disposizione menzionata prevede che la trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale non costituisce più una scelta esclusiva del dipendente; l’Amministrazione, infatti, può negare la trasformazione, fra l’altro, nel caso in cui comporti, «in relazione alle mansioni e alla posizione organizzativa ricoperta dal dipendente, pregiudizio alla finalità dell’amministrazione stessa».

La valenza innovativa di tale modifica è confermata dall’art. 16 della legge 4 novembre 2010, n. 183 (Deleghe al Governo in materia di lavori usuranti, di riorganizzazione di enti, di congedi, aspettative e permessi, di ammortizzatori sociali, di servizi per l’impiego, di incentivi all’occupazione, di apprendistato, di occupazione femminile, nonché misure contro il lavoro sommerso e disposizioni in tema di lavoro pubblico e di controversie di lavoro), con cui si è prevista la facoltà per le amministrazioni pubbliche, in sede di prima applicazione del menzionato art. 73, di «sottoporre a nuova valutazione i provvedimenti di concessione della trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale già adottati prima dell’entrata in vigore» del d.l. n. 112 del 2008.

Ne consegue che la possibilità di svolgere il rapporto di lavoro a tempo parziale è, nel regime attualmente vigente, strettamente connessa con gli assetti organizzativi della pubblica amministrazione di appartenenza.

5.— La questione che è posta al giudizio della Corte va letta anche nel contesto normativo che ora è stato rapidamente tratteggiato.

Il Tribunale ordinario di Trieste ipotizza che le due censurate norme della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 9 del 2009 siano in contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., invadendo la competenza esclusiva dello Stato in materia di ordinamento civile. In realtà, le due disposizioni oggi in esame hanno diversi contenuti: l’art. 10, comma 7, stabilisce – evidentemente per il futuro – un generale divieto di contratto di lavoro a tempo parziale per il personale della polizia locale, applicando a quest’ultimo il divieto già fissato dall’art. 1, comma 57, della legge n. 662 del 1996 per il personale militare, delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco; l’art. 26, comma 8, invece, detta una norma transitoria, imponendo che i rapporti di lavoro a tempo parziale già stipulati alla data di entrata in vigore della legge siano convertiti ope legis in rapporti a tempo pieno entro una certa data (originariamente entro due anni e, dopo le successive modifiche normative, entro il 31 dicembre 2012). La questione sollevata, pertanto, va esaminata distintamente in riferimento alle due diverse disposizioni.

6.— La questione riguardante l’art. 10, comma 7, della legge regionale n. 9 del 2009 non è fondata.

Innanzitutto si rileva che lo statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia, approvato con legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1, già prevedeva, all’art. 4, numero 1), una potestà legislativa primaria della Regione in materia di «ordinamento degli Uffici e degli Enti dipendenti dalla Regione e stato giuridico ed economico del personale ad essi addetto». Successivamente alla riforma costituzionale del titolo V della parte seconda della Costituzione, intervenuta con legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, questa Corte ha, in più occasioni, ribadito che «la regolamentazione delle modalità di accesso al lavoro pubblico regionale è riconducibile alla materia dell’organizzazione amministrativa delle Regioni e degli enti pubblici regionali e rientra nella competenza residuale delle Regioni di cui all’art. 117, quarto comma, della Costituzione» (così la sentenza n. 95 del 2008; ma in tal senso sono anche le successive pronunce n. 159 del 2008, n. 100 e n. 235 del 2010). Inoltre questa Corte, con la recente sentenza n. 167 del 2010 – emessa in un giudizio che aveva ad oggetto norme della medesima legge regionale oggi censurata – ha confermato che, con la modifica del titolo V della parte seconda della Costituzione, è stata riservata allo Stato la competenza in tema di ordine pubblico e pubblica sicurezza, mentre la materia della polizia amministrativa locale è oggetto di competenza residuale delle Regioni, ai sensi dell’art. 117, quarto comma, Cost., competenza che si estende anche alle Regioni a statuto speciale in forza dell’art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001.

La disposizione impugnata, emanata sulla base degli ambiti di competenza ricordati, non interviene direttamente sulla disciplina del contratto di lavoro a tempo parziale ma si limita a stabilire, per il futuro, che il personale addetto a funzioni di polizia locale non potrà usufruire di tale modalità di prestazione del rapporto di lavoro: questa previsione non altera il contenuto di un contratto regolato dalla legge statale, ma sceglie quale tipo di contratto dovrà essere applicato ad una determinata categoria di dipendenti. Anche alla luce dell’evoluzione della sopra ricordata normativa statale in materia, la possibilità (o il divieto) di prestazione di lavoro con contratto a tempo parziale si inserisce in un ambito di scelte di organizzazione amministrativa; ambito che si colloca in un momento antecedente a quello del sorgere del rapporto di lavoro. La norma, quindi, «spiega la sua efficacia nella fase anteriore all’instaurazione del contratto di lavoro e incide in modo diretto sul comportamento delle amministrazioni nell’organizzazione delle proprie risorse umane e solo in via riflessa ed eventualmente sulle posizioni soggettive» (sentenza n. 235 del 2010).

La disposizione impugnata non incide sulla struttura della disciplina del rapporto di lavoro ma regola l’uso di quell’istituto da parte delle amministrazioni locali, su cui la legge regionale ha competenza. In particolare, non disciplina il part-time con modalità diverse da quelle stabilite dalla legge statale, ma regola la sua applicabilità, con riferimento ad una categoria di dipendenti con caratteri e funzioni particolari, attinenti alla sicurezza, come emerge dalla stessa motivazione contenuta nella norma, la quale richiama il «fine di garantire l’efficace svolgimento delle funzioni di polizia locale e migliorare le condizioni di sicurezza urbana».

Pertanto, la disposizione dell’art. 10, comma 7, della legge regionale in esame è da ricondurre alla competenza residuale della Regione.

7.— A diversa conclusione deve pervenirsi, invece, per quanto riguarda l’altra disposizione censurata, ossia quella dell’art. 26, comma 8, della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 9 del 2009.

Questa norma, infatti, stabilisce l’obbligatoria conversione dei contratti di lavoro a tempo parziale, in precedenza stipulati, in contratti a tempo pieno entro la data del 31 dicembre 2012. In tal modo, però, la norma regionale incide direttamente sulla disciplina di contratti che già esistono. La natura transitoria della disposizione in esame manifesta la sua illegittimità costituzionale, perché essa non regola, per il futuro, la possibilità o il diniego di utilizzazione di una determinata forma contrattuale, ma altera il contenuto di contratti a tempo parziale conclusi in precedenza e già in corso, in tal modo intervenendo nella materia dell’ordinamento civile, riservata alla competenza esclusiva dello Stato.

La questione avente ad oggetto l’art. 26, comma 8, della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 9 del 2009, nel testo modificato dall’art. 10, comma 87, della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 11 del 2011, sollevata dal Tribunale ordinario di Trieste in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., è, pertanto, fondata, sicché di tale norma deve essere dichiarata l’illegittimità costituzionale.


per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 26, comma 8, della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 29 aprile 2009, n. 9 (Disposizioni in materia di politiche di sicurezza e ordinamento della polizia locale), nel testo modificato dall’art. 10, comma 87, della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 11 agosto 2011, n. 11;

2) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 10, comma 7, della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia n. 9 del 2009 sollevata, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Trieste con l’ordinanza di cui in epigrafe;

3) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 10, comma 7, della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia n. 9 del 2009 sollevata, in riferimento all’art. 117, primo comma, della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Trieste con l’ordinanza di cui in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 maggio 2012.

F.to:

Alfonso QUARANTA, Presidente

Sergio MATTARELLA, Redattore

Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 6 giugno 2012.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: Gabriella MELATTI