Nel caso di specie si controverte della mancata risposta
dell’amministrazione ad una diffida di un privato a reprimere abusi
edilizi. In particolare il ricorrente dopo molti anni, accede al
progetto in base al quale il vicino aveva edificato, così apprendendo
che era stato aperto un portone di ingresso in asserita violazione del
progetto così come assentito e delle distanze tra pareti finestrate.
Sicchè, dopo circa quarant’anni dalla realizzazione dell’abuso, diffida
il comune a reprimere l’abuso. Il Comune resta inerte di guisa che viene
instaurata precipua controversia innanzi al TAR, al fine d’ottenere
l’accertamento dell’obbligo di provvedere in capo al Comune e la
repressione degli abusi denunciati.
Il giudice di prime cure rigettava la domanda sulla base del principio
secondo il quale la risalenza dell’abuso edilizio non determina un
obbligo assoluto di intervento repressivo del Comune, ma impegna la P.A.
ad accertare l’attuale sussistenza di un interesse pubblico specifico,
diverso dal mero ripristino della legalità, tale da giustificare
l’intervento stesso. La questione giunge ora all'esame del Consiglio di
Stato secondo il quale non v’è dubbio che la tutelabilità
dell’affidamento ingeneratosi in capo al privato circa la legittimità
dell’azione amministrativa della quale egli è destinatario sia principio
che ha ormai trovato, sulla spinta della giurisprudenza comunitaria,
piena cittadinanza pur a fronte di un’attività autoritativa e
discrezionale. Fonda le sue ragioni sull’imputabilità
all’amministrazione, del comportamento illegittimo che ha prodotto o
concorso a produrre un ampliamento della sfera giuridica
dell’incolpevole destinatario, giungendo a riconoscere protezione o
comunque rilievo alla ragionevole aspettativa nella bontà e stabilità
degli effetti che ne derivano in suo favore. Ciò può predicarsi per i
casi di titoli abilitativi in materia edilizia, poi annullati in
autotutela dalla stessa amministrazione ed a ben vedere non mancano
espresse e specifiche previsioni normative che positivizzano il
principio (v. art. 38 dPR 380/2001). Nel caso dell’abuso edilizio,
tuttavia, la situazione è affatto diversa. V’è un soggetto che pone in
essere un comportamento contrastante con le prescrizioni
dell’ordinamento, che confida nell’omissione dei controlli o comunque
nella persistente inerzia dell’amministrazione nell’esercizio del potere
di vigilanza. Il fattore tempo non agisce qui in sinergia con
l’apparente legittimità dell’azione amministrativa favorevole, a tutela
di un’aspettativa conforme alle statuizioni amministrative pregresse, ma
opera in antagonismo con l’azione amministrativa sanzionatoria, secondo
una logica che al passare del tempo riduce o limita, sino ad annullare,
il potere dell’amministrazione di reagire all’illecito, molto simile a
quella che presidia i meccanismi decadenziali o quelli prescrizionali
nel diritto penale. Una logica siffatta non può trovare fondamento nei
principi generali dell’affidamento né in quelli di efficacia e buon
andamento dell’amministrazione, necessitando invece di un’apposita
previsione normativa che, agendo sulla patologia dell’inerzia, la
sanzioni con l’estinzione o con il mutamento del potere amministrativo
esercitabile. In assenza, vale il principio dell’inesauribilità del
potere amministrativo di vigilanza e controllo e della sanzionabilità
del comportamento illecito dei privati, qualunque sia l’entità
dell’infrazione e il lasso temporale trascorso, salve le ipotesi di
dolosa preordinazione o di abuso. E’ quanto costantemente affermato
dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato che ha sempre posto
l’accento sulla non configurabilità di un affidamento alla conservazione
di una situazione di fatto abusiva, in forza di una legittimazione
fondata sul tempo (Cfr. da ultimo, Consiglio Stato, sez. IV, 31/08/2010,
n. 3955; sez. V, 27/04/2011, n. 2497; sez. VI, 11/05/2011, n. 2781;
sez. I, 30/06/2011, n. 4160). Giova altresì evidenziare, in linea con
quanto dedotto dall’appellante, che anche a prescindere dalla
condivisione dell’impostazione di cui sopra, l’amministrazione in
ipotesi di segnalazioni sottoscritte, circostanziate e documentate, ha
comunque l’obbligo di attivare un procedimento di controllo e verifica
dell’abuso della cui conclusione deve restare traccia, sia essa nel
senso dell’esercizio dei poteri sanzionatori, che in quella della
motivata archiviazione, e ciò in forza dei principi di cui all’art. 2
della legge sul procedimento, dovendosi in particolare escludere che la
ritenuta mancanza dei presupposti per l’esercizio dei poteri
sanzionatori possa giustificare un comportamento meramente silente. Con
riferimento al caso di specie, non risultano infine condivisibili le
considerazioni dell’amministrazione circa gli effetti del fattore tempo
sui rapporti interprivatistici, poiché dalla pacifica ricostruzione dei
fatti emerge che non sono in discussione i (soli) rapporti di vicinato,
ma il rispetto delle previsioni progettuali assentite, rispetto alle
quale l’eventuale usucapio servitutis non rileva.