giovedì 10 maggio 2012

Abusi edilizi: l’amministrazione in ipotesi di segnalazioni sottoscritte, circostanziate e documentate inoltrate da privati ha l’obbligo di attivare un procedimento di controllo e verifica e ciò anche prescindendo dal principio dell’inesauribilità del potere amministrativo di vigilanza e controllo e della sanzionabilità del comportamento illecito dei privati, qualunque sia l’entità dell’infrazione e il lasso temporale trascorso

Nel caso di specie si controverte della mancata risposta dell’amministrazione ad una diffida di un privato a reprimere abusi edilizi. In particolare il ricorrente dopo molti anni, accede al progetto in base al quale il vicino aveva edificato, così apprendendo che era stato aperto un portone di ingresso in asserita violazione del progetto così come assentito e delle distanze tra pareti finestrate. Sicchè, dopo circa quarant’anni dalla realizzazione dell’abuso, diffida il comune a reprimere l’abuso. Il Comune resta inerte di guisa che viene instaurata precipua controversia innanzi al TAR, al fine d’ottenere l’accertamento dell’obbligo di provvedere in capo al Comune e la repressione degli abusi denunciati. Il giudice di prime cure rigettava la domanda sulla base del principio secondo il quale la risalenza dell’abuso edilizio non determina un obbligo assoluto di intervento repressivo del Comune, ma impegna la P.A. ad accertare l’attuale sussistenza di un interesse pubblico specifico, diverso dal mero ripristino della legalità, tale da giustificare l’intervento stesso. La questione giunge ora all'esame del Consiglio di Stato secondo il quale non v’è dubbio che la tutelabilità dell’affidamento ingeneratosi in capo al privato circa la legittimità dell’azione amministrativa della quale egli è destinatario sia principio che ha ormai trovato, sulla spinta della giurisprudenza comunitaria, piena cittadinanza pur a fronte di un’attività autoritativa e discrezionale. Fonda le sue ragioni sull’imputabilità all’amministrazione, del comportamento illegittimo che ha prodotto o concorso a produrre un ampliamento della sfera giuridica dell’incolpevole destinatario, giungendo a riconoscere protezione o comunque rilievo alla ragionevole aspettativa nella bontà e stabilità degli effetti che ne derivano in suo favore. Ciò può predicarsi per i casi di titoli abilitativi in materia edilizia, poi annullati in autotutela dalla stessa amministrazione ed a ben vedere non mancano espresse e specifiche previsioni normative che positivizzano il principio (v. art. 38 dPR 380/2001). Nel caso dell’abuso edilizio, tuttavia, la situazione è affatto diversa. V’è un soggetto che pone in essere un comportamento contrastante con le prescrizioni dell’ordinamento, che confida nell’omissione dei controlli o comunque nella persistente inerzia dell’amministrazione nell’esercizio del potere di vigilanza. Il fattore tempo non agisce qui in sinergia con l’apparente legittimità dell’azione amministrativa favorevole, a tutela di un’aspettativa conforme alle statuizioni amministrative pregresse, ma opera in antagonismo con l’azione amministrativa sanzionatoria, secondo una logica che al passare del tempo riduce o limita, sino ad annullare, il potere dell’amministrazione di reagire all’illecito, molto simile a quella che presidia i meccanismi decadenziali o quelli prescrizionali nel diritto penale. Una logica siffatta non può trovare fondamento nei principi generali dell’affidamento né in quelli di efficacia e buon andamento dell’amministrazione, necessitando invece di un’apposita previsione normativa che, agendo sulla patologia dell’inerzia, la sanzioni con l’estinzione o con il mutamento del potere amministrativo esercitabile. In assenza, vale il principio dell’inesauribilità del potere amministrativo di vigilanza e controllo e della sanzionabilità del comportamento illecito dei privati, qualunque sia l’entità dell’infrazione e il lasso temporale trascorso, salve le ipotesi di dolosa preordinazione o di abuso. E’ quanto costantemente affermato dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato che ha sempre posto l’accento sulla non configurabilità di un affidamento alla conservazione di una situazione di fatto abusiva, in forza di una legittimazione fondata sul tempo (Cfr. da ultimo, Consiglio Stato, sez. IV, 31/08/2010, n. 3955; sez. V, 27/04/2011, n. 2497; sez. VI, 11/05/2011, n. 2781; sez. I, 30/06/2011, n. 4160). Giova altresì evidenziare, in linea con quanto dedotto dall’appellante, che anche a prescindere dalla condivisione dell’impostazione di cui sopra, l’amministrazione in ipotesi di segnalazioni sottoscritte, circostanziate e documentate, ha comunque l’obbligo di attivare un procedimento di controllo e verifica dell’abuso della cui conclusione deve restare traccia, sia essa nel senso dell’esercizio dei poteri sanzionatori, che in quella della motivata archiviazione, e ciò in forza dei principi di cui all’art. 2 della legge sul procedimento, dovendosi in particolare escludere che la ritenuta mancanza dei presupposti per l’esercizio dei poteri sanzionatori possa giustificare un comportamento meramente silente. Con riferimento al caso di specie, non risultano infine condivisibili le considerazioni dell’amministrazione circa gli effetti del fattore tempo sui rapporti interprivatistici, poiché dalla pacifica ricostruzione dei fatti emerge che non sono in discussione i (soli) rapporti di vicinato, ma il rispetto delle previsioni progettuali assentite, rispetto alle quale l’eventuale usucapio servitutis non rileva.