N. 01416/2012 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul
ricorso numero di registro generale 1416 del 2012, proposto dal signor
Maurizio Innocenzi, rappresentato e difeso dall'avvocato Giuseppe
Fornaro, presso il cui studio è elettivamente domiciliato in Roma,
piazza Trinità dei Monti, 16;
contro
il Comune di Ardea, in persona del Sindaco pro tempore,
rappresentato e difeso dall'avvocato Peppino Mariano, presso il cui
studio è elettivamente domiciliato in Roma, via G. Pierluigi Da
Palestrina, 55;
il Ministero per i beni e le attività culturali - Soprintendenza per i beni ambientali e architettonici del Lazio, in persona del Ministro legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura, Generale dello Stato, domiciliataria per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12;
la Regione Lazio, non costituita nel presente grado del giudizio;
il Ministero per i beni e le attività culturali - Soprintendenza per i beni ambientali e architettonici del Lazio, in persona del Ministro legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura, Generale dello Stato, domiciliataria per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12;
la Regione Lazio, non costituita nel presente grado del giudizio;
per la riforma
delle sentenze del T.A.R. LAZIO - ROMA: SEZIONE II BIS n. 1244 del 2012 e n. 1261del 2012, rese tra le parti;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti
gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Ardea e del
Ministero per i beni e le attività culturali - Soprintendenza per beni
ambientali ed architettonici del Lazio;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Visti gli articoli 38 e 60 del codice del processo amministrativo;
Relatore
nella camera di consiglio del giorno 20 marzo 2012 il consigliere di
Stato Maurizio Meschino e uditi per le parti gli avvocati Fornaro e
Mariano;
Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 del codice del processo amministrativo;
1.
Il sign. Maurizio Innocenzi, con i ricorsi n. 5108 e n. 6854 del 2011
proposti al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, ha chiesto
l’annullamento, rispettivamente: a) del provvedimento assunto con
determinazione dirigenziale del 22 marzo 2011, prot. n. 13707, di
perfezionamento del diniego definitivo di sanatoria edilizia, richiesta
con istanza ai sensi della legge n. 47 del 1985 riguardo ad un immobile
sito in Lungomare degli Ardeatini, n. 211, nel Comune di Ardea; b)
dell’ordinanza n. 40 del 3 maggio 2011, con la quale il Comune ha
ingiunto la demolizione del detto immobile, con avviso di acquisizione
di diritto al patrimonio dell’Amministrazione in caso di inottemperanza.
2.
Il TAR, con le sentenze n. 1244 del 2012 e n. 1261 del 2012 ha
respinto, rispettivamente, il ricorso n. 5108 del 2011 e il ricorso n.
6854 del 2011, con compensazione tra le parti delle spese dei giudizi.
3.
Con l’appello in epigrafe è chiesta la riforma di entrambe le citate
sentenze di primo grado, in quanto di contenuto analogo, con domanda
cautelare di sospensione dell’esecutività.
4.
All’atto dell’esame delle domande cautelari nella camera di consiglio
del 20 marzo 2012 il Collegio, riscontrati i presupposti e informate le
parti costituite, ha ritenuto di definire il giudizio con sentenza in
forma semplificata.
5. Nell’appello, in sintesi, si deduce:
-
a) i provvedimenti impugnati sono viziati per incompetenza poiché
adottati dal dirigente dell’Ufficio condono – area urbanistica ed
edilizia del Comune mentre metà dell’immobile di cui si tratta ricade su
area demaniale marittima (come accertato nel giudizio di primo grado)
non essendo legittima l’ingiunzione di demolizione per tale parte,
poiché soggetta al regime demaniale e non a quello edilizio –
urbanistico di competenza comunale;
- b) si
ripropongono comunque, sempre per il profilo della incompetenza dei
provvedimenti impugnati, i vizi di conflitto di interessi, di
contraddittorietà dei provvedimenti e del comportamento inerte e non
paritario del Comune rispetto ad atti precedenti, nonché di omissione
del parere della Commissione edilizia;
c) i
vincoli sopravvenuti all’intervento edilizio non precludono la
possibilità del condono; è comunque mancata la verifica di compatibilità
paesistica dell’intervento; nella specie è altresì decorso il termine
di 24 mesi, di cui all’art. 35, comma 19, della legge n. 47 del 1985,
con formazione del silenzio assenso, e, non essendovi all’epoca della
iniziale costruzione alcun vincolo e dovendosi comunque ritenere
acquisito il parere favorevole dell’Autorità preposta al vincolo per la
mancata risposta entro 180 giorni, il condono doveva essere considerato
accolto;
d) è scorretta la valutazione
dell’Amministrazione, cui ha aderito il primo giudice, per cui la
sanatoria non avrebbe potuto essere rilasciata essendo l’area su cui
insiste l’immobile sottoposta a vincolo ai sensi dell’art. 32 della
legge n. 47 del 1985, in quanto con ciò si trascura che il provvedimento
sull’istanza di condono è stato adottato dopo 25 anni, mancando
l’Amministrazione all’obbligo di conclusione del procedimento di cui
all’art. 2 della legge n. 241 del 1990 ed inducendo affidamento nel
privato sul suo esito favorevole;
e) in primo grado
sono state eluse le istanze istruttorie presentata dal ricorrente
(prova per testi, verificazione e CTU) nonché gli adempimenti istruttori
disposti dal primo giudice, con particolare riguardo al contenuto dei
vincoli gravanti sull’area;
f) Il Piano
territoriale paesistico regionale (PTPR) citato nei provvedimenti
impugnati consente (articoli 33 e 60) il recupero delle costruzioni
esistenti, ciò che il Comune di Ardea non ha ritenuto di fare, in
assenza di adeguata motivazione, a differenza del Comune di Pomezia (cui
prima appartenevano le aree in questione).
6. Il
Comune di Ardea, con la memoria depositata in giudizio il 17 marzo 2012,
ha eccepito l’inammissibilità dell’atto di appello in esame, in quanto
cumulativo avverso due distinte sentenze di primo grado, salva comunque
l’infondatezza dell’appello nel merito alla luce di quanto dedotto nella
stessa memoria avverso le censure con esso proposte.
Il Collegio ritiene di prescindere dall’eccezione essendo l’appello infondato nel merito.
7. Le censure con esso proposte sono infatti manifestamente infondate, per i motivi che seguono.
7.1.
La censura di cui sopra sub. 5.a), in disparte dalla sua
inammissibilità in quanto non dedotta in primo grado, è comunque
infondata.
Questo Consiglio di Stato ha infatti chiarito che l'intervento edificatorio sine titulo
avvenuto su area demaniale in nessun caso può formare oggetto di
trasformazione da parte del privato e non è perciò condonabile (Sez. VI,
26 novembre 2008, n. 5839) nonché che “gli interventi di modifica
del territorio che interessano aree appartenenti al demanio dello Stato
non si sottraggono al controllo comunale di conformità ai vigenti
strumenti di pianificazione ed, in particolare, all’esercizio della
potestà repressiva del comune medesimo in presenza di accertati abusi”
(Sez. VI, 31 agosto 2004, n. 5723), spettando al Comune la vigilanza
sul rispetto della disciplina urbanistica ed edilizia nel proprio
territorio.
7.2. Le censure come sopra riproposte
sub. 5. b), in disparte dalla loro inammissibilità in quanto non recanti
alcuna specifica censura della sentenza impugnata, sono comunque
infondate nel merito; non sussiste infatti il dedotto conflitto di
interessi riguardo ai provvedimenti impugnati, asserito in particolare
per essere stati firmati i diversi atti del procedimento in questione
dallo stesso dirigente comunale, poiché questi risulta essere il
dirigente competente in materia (Dirigente dell’area urbanistica e
dell’ufficio condono), e perciò titolato alla emanazione degli atti; non
è censurabile la mancanza del parere della commissione edilizia
comunale poiché, secondo giurisprudenza consolidata (fra tante, Cons.
Stato, Sez. V, 4 ottobre 2007, n. 5153) tale parere nel procedimento per
la concessione in sanatoria non è obbligatorio (essendo al più
facoltativo), tenuto conto dell’assenza di una specifica previsione al
riguardo e della specialità del procedimento in questione rispetto a
quello ordinario di rilascio della concessione edilizia; non sussistono
la illogicità e contraddittorietà della motivazione del provvedimento di
diniego del condono, asserite per avere imputato al solo immobile del
ricorrente l’effetto di compromissione del paesaggio mentre,
contestualmente, si citano altri abusi, poiché, come riconosciuto con
giurisprudenza costante in materia di tutela delle bellezze panoramiche,
l’esistenza di una anteriore lesione arrecata alla zona non
rappresenta, da sola, un motivo sufficiente a dispensare dalla verifica
riguardante la realizzabilità o la sanabilità di un’opera; anzi,
l’eventuale danno pregresso produce la necessità di una indagine ancora
più accurata, per scongiurare un maggiore, più grave e definitivo
turbamento dei valori tipici dei luoghi (cfr. per tutte, Cons. Stato,
Sez. VI, 27 settembre 2002, n. 4971): la situazione di compromissione
della bellezza naturale da parte di preesistenti realizzazioni, anziché
impedire, maggiormente richiede, quindi, che ulteriori costruzioni non
deturpino irreversibilmente l’ambiente protetto.
7.3.
La costruzione dell’immobile di cui si tratta è stata ultimata nel
1974 (data rilevante ai fini del procedimento di sanatoria) come
indicato nella stessa domanda di sanatoria, e quindi dopo che l’area
sulla quale esso insiste era stata vincolata ai fini paesaggistici con
decreto ministeriale del 22 ottobre 1954 istituito a tutela della fascia
costiera della provincia romana, in applicazione della legge n. 1497
del 1939. Tale area, inoltre, è compresa nelle zone tutelate dal piano
territoriale paesaggistico approvato con la legge regionale n. 24 del
1998 e con il piano territoriale paesaggistico regionale del 21 dicembre
2007.
L’art. 32 legge n. 47 del 1985,
nell’introdurre la possibilità di condonare opere abusive realizzate
prima del 1° ottobre 1983 su aree sottoposte al vincolo, subordina il
rilascio della concessione edilizia al parere dell’Amministrazione
preposta alla tutela del vincolo stesso, che ha natura giuridica di
condizione ostativa e di presupposto indefettibile per la concessione
edilizia in sanatoria e comporta la verifica della compatibilità
dell’intervento con gli interessi paesaggistici e ambientali dell’area
sottoposta a tutela.
Nella specie il Comune di
Ardea, quale ente subdelegato per l’esercizio di funzioni amministrative
in materia di tutela paesaggistica, ha espresso parere negativo con
atto n. 44138 del 17 settembre 2010 in relazione al “nulla osta
paesaggistico ai sensi dell’art. 32 della legge 47/85”.
In particolare il Comune di Ardea ha valutato che l’edificio in esame “fa
parte di una serie dì costruzioni, realizzate tra la spiaggia e il
lungomare, le quali compromettono sia l’accessibilità che la fruizione
del panorama marino”. Esso ha inoltre rilevato che tali edifici costituiscono un “grave
danno paesaggistico in quanto alterano le caratteristiche morfologiche e
naturali del luogo, facendogli perdere la propria identità fisica.
L’impatto della realizzazione edilizia, nel contesto disturbante di
diffusa fabbricazione, ha carattere invasivo tanto da determinare la
compromissione non solo della percezione paesaggistica da parte della
collettività, ma anche lo stravolgimento dell’armonia e naturale
bellezza del paesaggio e dell’ambiante circostante”.
L’ente
locale ha quindi valutato le caratteristiche morfologiche e
paesaggistiche dell’area tutelata ed ha considerato che l’edificio in
questione contribuisce ad alterare proprio quelle caratteristiche
meritevoli di salvaguardia, essendo perciò intervenuto un adeguato
riscontro della compatibilità paesistica dell’intervento edilizio.
7.4.
Quanto al rapporto tra istanza di sanatoria e data di apposizione del
vincolo, secondo giurisprudenza consolidata, a prescindere dal momento
di introduzione del vincolo stesso, ai fini del parere di cui all’art.
32 della legge 47 del 1985 rileva comunque la data di valutazione della
domanda di sanatoria, e non quella di costruzione dell’immobile (per
tutte, Cons. Stato, Ad. plen., 7 giugno 1999, n. 20, C.G.A.R.S., 4
novembre 2010, n. 1353, Sez. VI, 11 dicembre 2001, n. 6210).
7.5.
Rispetto a quanto dedotto sull’asserita formazione del silenzio
assenso, anche in relazione al richiamato decorso dei 180 giorni per
l’emissione del parere dell’Autorità competente (oggetto, comunque, di
possibile impugnazione per silenzio – rifiuto, ai sensi del comma 1
dell’art. 32 della legge n. 45 del 1987, nella specie non proposta), il
Collegio condivide la assorbente valutazione del primo giudice, secondo
la quale tale formazione è esclusa quando si tratti di aree sottoposte a
vincolo paesaggistico se manchi il parere favorevole dell’Autorità
competente, come peraltro indicato dalla giurisprudenza in materia, per
cui in tale caso la formazione del silenzio assenso “postula
indefettibilmente la previa acquisizione del parere favorevole
dell’autorità preposta alla tutela del vincolo (in questo caso:
necessariamente esplicito) sulla compatibilità ambientale della
costruzione realizzata senza titolo (cfr. ex multis Cons. St., sez. VI,
26 gennaio 2001, n.249), deve rilevarsi che, nella fattispecie
controversa, manca la predetta, indispensabile condizione” (Cons.
Stato, 30 giugno 2005, n. 3542; vedi anche Cons. Stato, 31 marzo 2009,
n. 2024). Ciò in base alla normativa di cui alla legge n. 47 del 1085,
per cui non sono suscettibili di sanatoria tacita gli immobili siti in
aree sottoposte a tutela paesaggistico-ambientale per effetto di vincolo
antecedente l’esecuzione delle opere che, in quanto tale, chiede per
ogni intervento il parere espresso dell’Autorità competente (articoli
32, comma 1, 33 e 35, comma 17), risultando ciò applicabile al caso di
specie in cui il vincolo è stato apposto con d.m. del 1954, il parere
non era stato reso ed è poi intervenuto in senso sfavorevole.
7.6.
Riguardo al lungo periodo trascorso dalla realizzazione dell’immobile,
ed all’asserito conseguente consolidamento dell’interesse e
dell’affidamento dei privati proprietari, va considerato che:
-
i provvedimenti sanzionatori in materia edilizia sono atti vincolati
che non richiedono una specifica valutazione delle ragioni di interesse
pubblico che si intendono tutelare, né una comparazione di quest'ultimo
con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, non potendosi
ammettere l'esistenza di alcun affidamento tutelabile alla conservazione
di una situazione di fatto abusiva, che il tempo non può legittimare e
della cui illegittimità vi è piena consapevolezza da parte
dell’interessato in quanto richiedente il relativo condono (per tutte,
Cons. Stato, sez. V, 11 gennaio 2011 , n. 79);
- la
legislazione di settore esclude che si formi un legittimo affidamento
quando è realizzato un immobile abusivo e l’Amministrazione non esercita
il suo potere-dovere di emanare l’ordine di demolizione, in quanto il
decorso del tempo dalla data dell’abuso – per il principio di legalità -
può avere rilievo giuridico solo quando la normativa ammetta in via
eccezionale il condono di quanto illecitamente realizzato.
7.7.
In primo grado il ricorrente ha chiesto l’esecuzione di una CTU, che
correttamente il primo giudice non ha ritenuto di disporre a fronte
della esaustività del quadro normativo e di fatto risultante in giudizio
e della prescrizione dell’art. 19 del codice del processo
amministrativo che consente la CTU “se indispensabile”(non
essendo stata chiesta né verificazione né prova testimoniale e non
risultando ordinanze istruttorie agli atti dei giudizi di primo grado,
essendo state emanate le ordinanze n. 2841 del 2011, nel giudizio sul
ricorso n. 5108 del 2011, e n. 7878 del 2011, nel giudizio sul ricorso
n. 6854 del 2011, entrambe recanti decisione cautelare).
7.8.
Nessuna illegittimità è infine imputabile al Comune di Ardea per non
avere ritenuto di applicare i sopra citati articoli 33 e 60 del PTPR,
stante la natura facoltativa di quanto ivi previsto (in riferimento in
particolare all’art. 60, comma 1, per il quale i comuni “possono” adottare varianti speciali allo strumento urbanistico generale, al fine del recupero dei nuclei edilizi abusivi perimetrali).
8. Per le ragioni che precedono l’appello è infondato e deve essere perciò respinto.
Le spese seguono, come di regola, la soccombenza e sono liquidate nel dispositivo.
P.Q.M.
Il
Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, n. 1416 del 2012,
lo respinge.
Condanna l’appellante al pagamento
delle spese del presente grado del giudizio che liquida nel complesso in
euro 1.000,00 (mille/00), di cui euro 500,00 (cinquecento /00) a favore
del Comune di Ardea ed euro 500,00 (cinquecento/00) a favore del
Ministero per i beni e le attività culturali, oltre gli accessori di
legge se dovuti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 20 marzo 2012, con l'intervento dei magistrati:
Giorgio Giovannini, Presidente
Rosanna De Nictolis, Consigliere
Maurizio Meschino, Consigliere, Estensore
Claudio Contessa, Consigliere
Giulio Castriota Scanderbeg, Consigliere
L'ESTENSORE | IL PRESIDENTE | |
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 05/04/2012
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)