Lombardia 92/2012/PAR
REPUBBLICA ITALIANA LA CORTE DEI CONTI INSEZIONE REGIONALE DI CONTROLLO PER LA LOMBARDIA
composta dai magistrati:
dott. Nicola Mastropasqua Presidente
dott. Giuseppe Zola Consigliere
dott. Gianluca Braghò Primo
Referendario
dott. Massimo Valero Primo
Referendario
dott. Alessandro Napoli Referendario
dott.ssa Laura De Rentiis Referendario
dott. Donato
Centrone Referendario
dott. Francesco Sucameli Referendario
dott. Cristiano Baldi Referendario
(relatore)
dott. Andrea Luberti Referendario
nell’adunanza in camera di consiglio del 27 marzo 2012
Visto il testo unico delle leggi sulla Corte dei conti,
approvato con il regio decreto 12 luglio 1934, n. 1214, e successive
modificazioni;
Vista la legge 21 marzo 1953, n. 161;
Vista la legge 14 gennaio 1994, n. 20;
Vista la deliberazione delle Sezioni riunite della Corte
dei conti n. 14/2000 del 16 giugno 2000, che ha approvato il regolamento per
l’organizzazione delle funzioni di controllo della Corte dei conti, modificata
con le deliberazioni delle Sezioni riunite n. 2 del 3 luglio 2003 e n. 1 del 17
dicembre 2004;
Visto il decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267
recante il Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali;
Vista la legge 5 giugno 2003, n. 131;
Vista la nota n. 7508 del 20 marzo 2012 con la quale il
sindaco del comune di Ponte San Pietro (BG) ha richiesto un parere in materia
di contabilità pubblica;
Vista la deliberazione n. 1/pareri/2004 del 3 novembre
2004 con la quale la Sezione
ha stabilito i criteri sul procedimento e sulla formulazione dei pareri
previsti dall’art. 7, comma 8, della legge n. 131/2003;
Vista l’ordinanza con la quale il Presidente ha convocato la
Sezione per l’adunanza odierna per
deliberare sulla richiesta del sindaco del comune sopra citato;
Udito il relatore dott. Cristiano Baldi;
PREMESSO CHE
Il sindaco del comune di Ponte San Pietro, con nota n.
7508 del 20 marzo 2012, chiedeva all’adita Sezione l’espressione di un parere
in ordine all’applicabilità dei limiti percentuali dettati dall’articolo 19,
commi 6 e 6 quater, del d.lgs. n. 165/2001 agli incarichi dirigenziali a tempo
determinato conferiti ex art. 110 d.lgs. n. 267/2000 a personale interno di
categoria D.
Precisava, quindi, che il comune presenta una struttura
organizzativa articolata in due settori: mentre al vertice del settore 1 è
preposto un dirigente di ruolo, il settore 2 è affidato ad un funzionario di
categoria D cui è stato conferito incarico dirigenziale a tempo determinato ai
sensi dell’articolo 110 d.lgs. n. 267/2000.
AMMISSIBILITA’
La richiesta di parere di cui sopra è intesa ad avvalersi
della facoltà prevista dalla norma contenuta nell’art. 7, comma 8, della legge
5 giugno 2003, n. 131, la quale dispone che le Regioni, i Comuni, le Province e
le Città metropolitane possono chiedere alle Sezioni regionali di controllo
della Corte dei conti “pareri in materia di contabilità pubblica”.
La funzione consultiva delle Sezioni regionali è inserita
nel quadro delle competenze che la legge 131/2003, recante adeguamento
dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n.
3, ha
attribuito alla Corte dei conti.
La Sezione,
preliminarmente, è chiamata a pronunciarsi sull’ammissibilità della richiesta, con
riferimento ai parametri derivanti dalla natura della funzione consultiva
prevista dalla normazione sopra
indicata.
Con
particolare riguardo all’individuazione dell’organo legittimato a inoltrare le
richieste di parere dei Comuni, si osserva che il sindaco del comune è l’organo
istituzionalmente legittimato a richiedere il parere in quanto riveste il ruolo
di rappresentante dell’ente ai sensi dell’art. 50 T.U.E.L.
Pertanto,
la richiesta di parere è ammissibile soggettivamente poiché proviene dall’organo
legittimato a proporla.
Con riguardo alle condizioni di
ammissibilità oggettiva, occorre rilevare che la disposizione contenuta nel
comma 8, dell’art. 7 della legge 131 deve essere raccordata con il precedente
comma 7, norma che attribuisce alla Corte dei conti la funzione di verificare
il rispetto degli equilibri di bilancio, il perseguimento degli obiettivi posti
da leggi statali e regionali di principio e di programma, la sana gestione
finanziaria degli enti locali.
Lo svolgimento delle funzioni è qualificato
dallo stesso legislatore come una forma di controllo collaborativo.
Il raccordo tra le due disposizioni opera
nel senso che il comma 8 prevede forme di collaborazione ulteriori rispetto a
quelle del precedente comma rese esplicite in particolare con l’attribuzione
agli enti della facoltà di chiedere pareri in materia di contabilità pubblica.
Appare
conseguentemente chiaro che le Sezioni regionali della Corte dei conti non
svolgono una funzione consultiva a carattere generale in favore degli enti locali,
ma che anzi le attribuzioni consultive si connotano sulle funzioni sostanziali
di controllo collaborativo ad esse conferite dalla legislazione positiva.
Al riguardo, le Sezioni riunite della Corte
dei conti, intervenendo con una pronuncia in sede di coordinamento della
finanza pubblica ai sensi dell’art. 17, co. 31 del decreto-legge 1° luglio
2009, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102,
hanno delineato una nozione unitaria di contabilità pubblica incentrata sul “sistema di principi e di norme che regolano
l’attività finanziaria e patrimoniale dello Stato e degli enti pubblici” da
intendersi in senso dinamico anche in relazione alle materie che incidono sulla
gestione del bilancio e sui suoi equilibri (Delibera n. 54, in data 17 novembre
2010).
Il limite della funzione consultiva come
sopra delineato fa escludere qualsiasi possibilità di intervento della Corte
dei conti nella concreta attività gestionale ed amministrativa che ricade nella
esclusiva competenza dell’autorità che la svolge o che la funzione consultiva
possa interferire in concreto con competenze di altri organi giurisdizionali.
L’attività consultiva, in sostanza, ha la medesima
funzione d’indirizzo degli enti locali al raggiungimento di obiettivi e finalità
di gestione che ricalcano i contenuti tipici dell’attività di controllo della
Corte: in tal modo gli enti possono raggiungere gli obiettivi stessi sin
dall’inizio dell’attività nell’ambito di un moderno concetto della funzione di
controllo collaborativo.
Risultando conforme ai richiamati parametri, la richiesta
di parere oggetto di esame va ritenuta ammissibile.
MERITO
La questione
in esame concerne l’applicabilità o meno dei limiti percentuali dettati
dall’articolo 19, commi 6 e 6 quater, del d.lgs. n. 165/2001 agli incarichi
dirigenziali a tempo determinato conferiti ex art. 110 d.lgs. n. 267/2000 a
personale interno di categoria D.
Com’è noto, la
disciplina in materia di incarichi dirigenziali a tempo determinato è prevista
dall'art.110, commi 1 e 2, del D. Lgs. n.267/2000, rispettivamente per i
dirigenti in dotazione organica ed i dirigenti fuori dotazione organica degli
enti locali.
La questione
dell’estensione dei limiti percentuali previsti dal novellato articolo 19
d.lgs. n. 165/2001 agli incarichi dirigenziali conferiti dagli enti locali ai
sensi dell’articolo 110, commi 1 e 2, del t.u.e.l. è già stata affrontata dalla
Sezione con il parere n. 161 del 30 marzo 2011, cui può farsi ampio
riferimento, e soprattutto dalle Sezioni Riunite in sede di controllo nelle
deliberazioni n. 12/CONTR/11 e n. 13/CONTR/11 dell’8 marzo 2011, con
riferimento all’estensione agli incarichi dirigenziali previsti nella dotazione
organica (art. 110 comma 1), e nella deliberazione n. 14/CONTR/11 dell’11 marzo
2011, con riguardo agli incarichi al di fuori della pianta organica (art. 110
comma 2).
L’articolo 19
del d.lgs. n. 165/2001 disciplina le modalità di conferimento di incarichi
dirigenziali ed al comma 6 introduce limiti percentuali alla possibilità di
conferire incarichi a tempo determinato: “gli
incarichi di cui ai commi da 1 a
5 possono essere conferiti, da ciascuna amministrazione, entro il limite del
10 per cento della dotazione organica dei dirigenti appartenenti alla prima
fascia dei ruoli di cui all'articolo 23 e dell'8 per cento della dotazione
organica di quelli appartenenti alla seconda fascia, a tempo determinato ai
soggetti indicati dal presente comma”.
E’ poi
prevista un disciplina di favore (incarichi a tempo determinato entro il limite
del 18% della dotazione organica di posti dirigenziali a tempo indeterminato)
per “gli Enti locali, che risultano collocati nella classe di virtuosità di cui
all'articolo 20, comma 3, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito,
con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, come individuati con il
decreto di cui al comma 2 del medesimo articolo”.
Tali
disposizioni sono state espressamente ritenute applicabili alle amministrazioni
di cui all’art. 1, comma 2 del d.lgs. 165/2001 (comma 6 ter del citato art. 19
del d.lgs. 165/2001, introdotto dall’art. 40 del d.lgs. 150/2009; vedi Sez.
Riun. sopra cit.).
Ciò posto,
si pone il problema della compatibilità tra le due discipline e della
sopravvivenza dell’articolo 110 d.lgs. n. 267/2000.
Si pone, in altri
termini, il dubbio se le percentuali previste dalla norma (10 per cento della
dotazione organica per i dirigenti di prima fascia e 8 per cento della
dotazione organica per i dirigenti di seconda fascia) siano applicabili o se
sia possibile sommare le stesse, attesa l’assenza di tale distinzione per la
dirigenza degli Enti Locali.
In proposito, le
Sezioni Riunite (nn. 12 e 13 cit.) hanno statuito che <<l’espressa
estensione della predetta disciplina anche agli enti locali, pone problemi di
compatibilità con la specifica disciplina dettata in materia di incarichi
dirigenziali esterni contenuta nell’art. 110 del TUEL>>.
In particolare,
<<il tenore letterale dell’art. 110, comma 1 – la cui disciplina (che
demanda allo statuto dell’ente la possibilità di coprire, con contratti a tempo
determinato, i posti dei responsabili dei servizi o degli uffici, sia di
qualifica dirigenziali che di alta specializzazione) non appare completamente
sovrapponile a quella contenuta nell’art. 19, comma 6 del d.lgs. 165/2001 –
esclude, in primo luogo, la configurazione, nel caso all’esame, di una ipotesi
di abrogazione tacita di tale disposizione ad opera della norma intervenuta
successivamente.
La questione
sottoposta alle Sezioni riunite concerne pertanto, più propriamente, la diretta
applicabilità agli enti territoriali, limitatamente al conferimento degli
incarichi dirigenziali a contratto previsti nell’art. 110, comma 1 del TUEL,
delle disposizioni contenute nell’art. 19, commi 6 e 6bis del d.lgs. 165/2001,
malgrado il richiamo, contenuto nell’art. 27 del d.lgs. 165/2001 e nell’art.
111 del TUEL, alla autonomia statutaria e organizzativa riconosciuta agli enti
locali.
Soccorre al
riguardo il principio, sotteso a più di una disposizione dello stesso d.lgs.
150/2009, in base al quale si considerano direttamente applicabili le norme che
contengono i principi di carattere generale, escludendo, per contro, la
immediata applicabilità delle norme che introducono modalità operative o misure
di dettaglio.
E che le
disposizioni dettate dall’art. 19, comma 6 e 6-bis del d.lgs. 165/2001 debbano
essere considerate espressione di principi di carattere generale discende, in
primo luogo, dalla interpretazione data dalla Corte Costituzionale nella
recente sentenza n. 324/2010. La
Consulta, eliminando ogni incertezza, ha, infatti dichiarato
infondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate dalle Regioni
Piemonte, Toscana e Marche, in ordine all’art. 40, comma 1, lett. f del d.lgs.
150/2009, confermando l’applicazione immediata e diretta delle citate norme sia
nell’ordinamento delle Regioni sia in quello degli enti locali, cui spetta
pertanto un corrispondente obbligo di adeguamento.
La sentenza della
Corte Costituzionale afferma, in particolare, che l’art. 19, comma 6 del d.lgs.
165/2001 non riguarda né procedure concorsuali pubblicistiche per l’accesso al
pubblico impiego né la scelta delle modalità di costituzione di quel rapporto,
con la conseguenza che non può rilevarsi alcuna violazione degli artt. 117 e
119 della Costituzione giacché la norma impugnata non attiene a materie di
competenza concorrente (coordinamento della finanza pubblica) né di competenza
residuale regionale (organizzazione delle Regioni e degli uffici regionali,
organizzazione degli enti locali).
Secondo la Consulta, atteso che il conferimento
di incarichi dirigenziali a soggetti esterni si realizza mediante la
stipulazione di un contratto di lavoro di diritto privato, il legislatore
statale ha correttamente esercitato la propria potestà legislativa adottando
una normativa riconducibile alla materia dell’ordinamento civile sia per la
fase costitutiva di tale contratto, sia per quella del rapporto che sorge per
effetto della conclusione di quel negozio giuridico. Trattandosi pertanto di
materia che l’art. 117, secondo comma, lettera l) della Costituzione
attribuisce alla competenza esclusiva dello Stato, l’immediata e diretta
applicazione anche agli ordinamenti locali e regionali della disciplina
contenuta nell’art. 19 del d.lgs. 165/2001, al pari degli istituti previsti
nelle disposizioni indicate nell’art. 74, comma 1 del d.lgs. 150/2009, non
determina una violazione della Costituzione.
Quanto all’ambito
applicativo, la disposizione introdotta con l’art. 19, commi 6 e 6bis del
d.lgs. 165/2001, è stata valutata dalla Corte Costituzionale, nel suo
complesso, con riferimento in particolare ai requisiti soggettivi che debbono
essere posseduti dal contraente privato (adeguata motivazione del possesso di
particolare e comprovata qualificazione professionale, valutata anche sulla
base di precedenti esperienze lavorative, non rinvenibile nei ruoli
dell’Amministrazione), alla durata massima del rapporto (non superiore a cinque
anni) e ad alcuni aspetti del regime economico e giuridico (l’indennità che –
ad integrazione del trattamento economico – può essere attribuita al privato e
le conseguenze del conferimento dell’incarico su un eventuale preesistente
rapporto di impiego). Resta invece sullo sfondo, anche nell’ambito della
decisione della Consulta, la disposizione concernente i limiti percentuali
della dotazione organica nell’ambito dei quali è concesso agli enti locali
conferire incarichi dirigenziali a soggetti esterni. Trattandosi, in ogni caso,
di presupposti di fatto attinenti la costituzione del rapporto di lavoro,
appare coerente con l’interpretazione accolta dalla Corte Costituzionale
ritenere che siano immediatamente vincolanti per gli enti territoriali.
La disciplina
dettata dall’art. 19, comma 6, d.lgs. n. 165 del 2001 va infatti considerata
nel suo complesso proprio alla luce dei principi indicati dal legislatore nella
legge delega n. 15/2009 volti, in particolare, a ridefinire la disciplina
relativa al conferimento degli incarichi a soggetti estranei alla pubblica
amministrazione e ai dirigenti non appartenenti ai ruoli, prevedendo comunque
la riduzione, rispetto a quanto previsto dalla normativa vigente, della quota
della dotazione organica entro la quale sia consentito affidare detti
incarichi. Tale interpretazione risulta, inoltre, in linea con la più recente
giurisprudenza, anche costituzionale, che, nell’obiettivo di rafforzare il
principio di distinzione tra funzioni di indirizzo e di controllo (spettanti
agli organi di governo) e le funzioni di gestione amministrativa (spettanti
alla dirigenza), ha espresso un orientamento restrittivo nei confronti della
c.d. “dirigenza fiduciaria”, privilegiando, per l’accesso alla dirigenza, il
ricorso a procedure selettive pubbliche e, per il conferimento dei relativi
incarichi, la dirigenza di ruolo.
Quanto alle
concrete percentuali applicabili, queste Sezioni Riunite, condividono
l’orientamento seguito dalle Sezioni regionali di controllo per la Puglia e per il Veneto.
Considerato quindi che la contrattazione collettiva di comparto non prevede la
distinzione tra dirigenza di prima e di seconda fascia, appare ragionevole
applicare la percentuale dell’8% in considerazione del fatto che la percentuale
più elevata è prevista per la dirigenza statale di prima fascia, ovvero addetta
ad uffici di livello dirigenziale generale, che non trova previsione
equipollente nell’amministrazione locale. Va conseguentemente esteso agli enti
locali anche il meccanismo di computo dei limiti percentuali della dotazione
organica (art. 19, comma 6 bis del d.lgs. 165/2001) che, superando le
precedenti incertezze, ha definitivamente precisato le modalità applicative in
base alle quali il quoziente derivante dall'applicazione di tale percentuale,
deve essere arrotondato all'unità inferiore, se il primo decimale è inferiore a
cinque, o all'unità superiore, se esso è uguale o superiore a cinque>>.
Quanto esposto
dalle Sezioni Riunite trova conferma nella circostanza che il recente d.lgs. n.
141/2011 ha introdotto il comma 6quater prevedendo limiti percentuali di favore
per i comuni “virtuosi” in relazione agli incarichi dirigenziali “conferibili
ai sensi dell'articolo 110, comma 1, del Testo unico delle leggi
sull'ordinamento degli enti locali”: l’espresso rinvio all’articolo 110 d.lgs.
n. 267/2000 esclude qualunque dubbio sull’applicabilità dei nuovi limiti anche
agli incarichi dirigenziali conferiti dai comuni ai sensi dell’articolo 110,
comma 1, citato, senza che possa introdursi un regime di favore per gli
incarichi conferiti ai dipendenti interni rispetto a quelli conferiti a
soggetti esterni l’amministrazione.
In entrambi i
casi la ratio legis è quella di
limitare a numeri fisiologici il conferimento di incarichi dirigenziali,
altamente costosi per le finanze pubbliche, spesso non indispensabili in
relazione alla struttura organizzativa ed espressione di scelte dettate da
logiche individuali.
Diversa la
conclusione raggiunta dalle Sezioni Riunite con riguardo all’ipotesi di cui
all’articolo 110 comma 2 (conferimento di incarichi dirigenziali al di fuori
della pianta organica).
Secondo il
massimo consesso della magistratura contabile, infatti, “La disciplina
contenuta nel secondo comma dell’art. 110 del TUEL appare riferibile ad una
fattispecie del tutto diversa da quella disciplinata dal comma precedente, in
quanto volta a sopperire, come nel caso del Comune di Agnone, ad esigenze
gestionali straordinarie che, sole, determinano l’opportunità di affidare
funzioni, anche dirigenziali, extra
dotationem e quindi al di là delle previsioni della pianta organica
dell’ente locale che, invece, cristallizza il fabbisogno ordinario di risorse
umane.
La possibilità
riconosciuta agli enti territoriali, in ragione della propria autonomia
organizzativa, di reperire dirigenti, alte specializzazioni e funzionari
dell’area direttiva al di fuori della dotazione organica rappresenta dunque un
peculiare strumento gestionale di grande flessibilità che, calibrato alle
esigenza strutturali degli enti locali, appare funzionale soprattutto agli enti
di ridotte dimensioni.
La diversità
della ipotesi normativa in esame si rintraccia inoltre nella diversa disciplina
che, a fronte della massima discrezionalità fino ad oggi concessa agli enti
locali nell’affidare incarichi a termine nell’ambito dei posti in dotazione
organica, circonda di maggiori cautele la possibilità di conferire incarichi
dirigenziali fuori dotazione organica, imponendo una percentuale massima
prevista per legge (5% della dotazione organica sia negli enti ove è prevista
la dirigenza che in quelli ove non è prevista) e il possesso di particolari
professionalità, non riscontrabili all’interno dell’ente (limitatamente agli
enti ove non è prevista la dirigenza).
La specificità
della fattispecie - che, in quanto non prevista per le amministrazioni dello
Stato, non rientra nemmeno nell’ambito della disciplina dettata in materia di
dirigenza dall’art. 19 del d.lgs. 165/2001 né nella sua formulazione originaria
né a seguito della novella introdotta dal d.lgs. 150/2009 – esclude la
configurazione, nel caso all’esame, di una ipotesi di incompatibilità tra norme
tali da rendere impossibile la loro contemporanea applicazione alla luce del
rispettivo principio ispiratore (art.15 delle preleggi). Né può ritenersi che
la nuova disciplina della dirigenza, dettata esplicitamente per le sole
amministrazioni dello Stato (art. 13 del d.lgs. 165/2001), integri un sistema
normativo tendenzialmente completo, in considerazione, da un lato, della
limitata portata applicativa dell’art. 19, comma 6 ter (che estende agli enti
territoriali le sole disposizioni relative alla dirigenza a contratto) e,
dall’altro, della riserva statutaria e regolamentare attribuita agli enti
territoriali dall’art. 27 del d.lgs. 165/2001 e dall’art. 111 del TUEL”.
Sulla base di
tali considerazioni e in mancanza di una disposizione di abrogazione espressa
contenuta nel d.lgs. 165/2001 (come integrato dal d.lgs. 150/2009), la Corte conclude quindi
affermando che “la diversa portata precettiva delle disposizioni in conflitto
non integra, pertanto, in ossequio ai consolidati canoni ermeneutica,
l’abrogazione tacita della disposizione contenuta nell’art. 110, comma 2 del
TUEL che risulta pertanto tuttora applicabile”.
Da ultimo, con
riguardo alla fattispecie concreta posta dall’Amministrazione all’esame della
Sezione, è opportuno ricordare che il conferimento di incarichi dirigenziali
a funzionari di categoria D determina, di fatto, una progressione verticale in
diversa categoria al di fuori di una prova selettiva, in grave contrasto con il
principio costituzionale della concorsualità (art. 97 comma 3 Cost.), e con il divieto di attribuzione fiduciaria di incarichi
dirigenziali.
P.Q.M.
Nelle considerazioni che
precedono è espresso il parere della Sezione.
Così
deciso nell’adunanza del 27 marzo 2012.
Il Relatore Il Presidente
(dott. Cristiano Baldi) (dott. Nicola
Mastropasqua)
Depositato in
Segreteria
il 29 marzo 2012
(dott.ssa Daniela
Parisini)