mercoledì 7 marzo 2012

L'esistenza di un sequestro penale sul manufatto abusivo oggetto di ingiunzione comunale di demolizione e di ripristino dello stato dei luoghi non determina la sospensione del termine di novanta giorni, il cui decorso comporta, in caso di inottemperanza, l'acquisizione gratuita di diritto al patrimonio del comune

N. 01260/2012REG.PROV.COLL.
N. 08627/2010 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
ex artt. 38 e 60 del codice del processo amministrativo
sul ricorso numero di registro generale 8627 del 2010, proposto da:
Giovanni Cerullo, rappresentato e difeso dagli avv. Michele Santonastaso, Michele Marra, con domicilio eletto presso Michele Santonastaso in Roma, viale Giulio Cesare, N.237;
contro
Comune di San Cipriano D'Aversa, in persona del legale rappresentante in carica rappresentato e difeso dall'avv. Luigi M. D'Angiolella, con domicilio eletto presso Luigi Maria D'Angiolella in Roma, via Michele Mercati, 51;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. della CAMPANIA – Sede di NAPOLI - SEZIONE VIII n. 09512/2009, resa tra le parti, concernente DEMOLIZIONE OPERA ABUSIVA

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di San Cipriano D'Aversa;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 14 febbraio 2012 il Consigliere Fabio Taormina e udito per la parte appellata l’ avvocato Sergio Como in sostituzione dell’avvocato Luigi M. D'Angiolella;
Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 del codice del processo amministrativo;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO
Con due distinti ricorsi, riuniti dal Tribunale amministrativo regionale della Campania – Sede di Napoli- era stato chiesto dall’ odierno appellante Cerullo Giovanni l’annullamento dei provvedimenti sanzionatori emessi dal Comune di San Cipriano d’Aversa in seguito alla realizzazione di un manufatto composto da seminterrato, piano terra, primo piano e solaio della estensione pari a circa 150 mq, insistente su una’area di circa 500 mq, realizzato in assenza di titolo abilitativo.
In particolare, con il ricorso iscritto al numero di registro generale n. 5879 del 2006, l’odierno appellante aveva avversato l’ordine di demolizione n. 8 del 25 luglio 2006 , mentre con il gravame n. 7143 del 2008 il sig. Cerullo aveva impugnato il provvedimento emesso in data 6 ottobre 2008 con cui il Comune, sulla base dell’inottemperanza alla menzionata ingiunzione di demolizione n. 8 del 2006, aveva disposto l’acquisizione gratuita al proprio patrimonio dell’immobile e della annessa area di sedime.
Erano stati prospettati numerosi motivi di censura incentrati sui vizi di eccesso di potere e violazione di legge.
Il Tribunale amministrativo, con la impugnata sentenza, ha in primo luogo dichiarato la perenzione del ricorso n. 5879 del 2006, in quanto nel biennio successivo alla proposizione dello stesso non era stata presentata istanza di fissazione dell’udienza di discussione del ricorso.
Ha poi partitamente esaminato i motivi di censura contenuti nel gravame n. 7143 del 2008 e lo ha respinto, sulla scorta della considerazione che erano stati positivamente riscontrati i presupposti indefettibili per l’acquisizione gratuita al patrimonio del Comune dell’opera abusiva (costituiti dalla previa notifica dell’ingiunzione alla demolizione e dalla constatazione della sua inosservanza -che deve essere anch’essa notificata all’interessato- da parte del responsabile dell’abuso).
Ciò perché, - con la ordinanza n. 8 del 25 luglio 2006 (oggetto del connesso ricorso 5879 del 2006 dichiarato perento) il Comune aveva ordinato la demolizione del manufatto abusivo nel termine di 90 giorni dalla notifica del provvedimento (effettuata il 26 luglio 2006).
L’odierno appellante era risultato inottemperante all’ingiunzione predetta, come accertato dal Comando di Polizia Municipale in data 4 gennaio 2007 e dal medesimo Comune in data 15 aprile 2008 con nota del Settore Urbanistica recante numero di protocollo 3948 (con cui si era constatato peraltro ulteriore avanzamento dei lavori, con completamento delle strutture con tompagnature esterne, copertura a falde inclinate con manto in tegole e realizzazione in itinere di una sovrastruttura adiacente il prospetto sulla strada, composta da un corpo porticato con una arcata anteriore).
Successivamente, ai sensi dell’ art. 31, comma quarto, del dPR n. 380/2001, il Comune di San Cipriano aveva notificato in data 23 aprile 2008 l’atto di accertamento dell'inottemperanza alla ingiunzione a demolire del 22 aprile 2008 recante numero di protocollo 4216.
Posto che l'esercizio del potere repressivo di un abuso edilizio consistente nell'esecuzione di un'opera in assenza del titolo abilitativo costituiva atto dovuto, per il quale era in re ipsa l'interesse pubblico alla sua rimozione, non poteva ipotizzarsi un aggravio dell’obbligo motivazionale con specifica indicazione dell’interesse pubblico sotteso all’adozione del provvedimento impugnato.
Neppure era accoglibile l’ulteriore doglianza di disparità di trattamento, che semmai avrebbe legittimato l’inoltro di altre ordinanze di demolizione in pregiudizio degli eventuali altri abusi commessi nell’area, ma non certo la revoca di quella legittimamente emessa in pregiudizio dell’appellante.
Sotto altro profilo, la circostanza che sul manufatto abusivo pendeva un sequestro effettuato dalla locale Stazione Carabinieri nell’ambito di un distinto procedimento penale, non integrava impedimento assoluto alla demolizione (in concreto peraltro l’appellante oltre a non avere mai richiesto il dissequestro temporaneo per potere demolire il manufatto aveva vieppiù aggravato l’abuso proseguendo i lavori).
Avverso il capo della sentenza in epigrafe che ha respinto il ricorso avverso l’ordinanza di acquisizione l’ originario ricorrente ha proposto ricorso in appello richiamando le norme di legge che regolamentavano la fattispecie ed affermando che la motivazione della impugnata decisione era apodittica ed errata.
L’appellata amministrazione comunale ha depositato una memoria chiedendo la conferma dell’impugnata decisione.
Alla odierna camera di consiglio del 14 febbraio 2012 la causa è stata posta in decisione.
DIRITTO
1.Stante la completezza del contraddittorio e la mancata opposizione delle parti rese edotte della possibilità di immediata definizione della causa, la controversia può essere decisa nel merito tenuto conto della palese inammissibilità e comunque infondatezza dell’appello.
1.1. Va premesso che l’appellante non ha impugnato – neppure formalmente- il capo dell’impugnata decisione dichiarativo della perenzione del ricorso proposto avverso l’ordinanza di demolizione mentre ha formalmente gravato unicamente il capo della sentenza reiettivo del ricorso avverso il provvedimento emesso in data 6 ottobre 2008 con cui il Comune (sulla base dell’inottemperanza all’ingiunzione di demolizione n. 8 del 2006) aveva disposto l’acquisizione gratuita al proprio patrimonio dell’immobile e della annessa area di sedime.
1.2.Il proposto appello, tuttavia, non prospetta alcuna critica alla motivazione reiettiva resa dal primo giudice, ma si limita a ripercorrere la vicenda sotto il profilo cronologico (anche con riferimento al parallelo procedimento penale celebratosi a carico dell’appellante) ed a richiamare le norme di legge regolatrici della fattispecie.
Le censure proposte, infatti, costituiscono integrale ed acritico richiamo delle norme di legge, nell’ambito delle quali nessuna seppur embrionale argomentazione critica ha attinto la motivazione della impugnata decisione.
L’appellante è così venuto meno all’onere di specifica argomentazione delle censure.
Sul punto la giurisprudenza amministrativa, già antecedentemente alle positive prescrizioni contenute nel codice del processo amministrativo ha avuto modo costantemente di rilevare che “nonostante l'appello nel processo amministrativo sia un mezzo di impugnazione a critica libera, occorre comunque che esso contenga una critica della sentenza gravata e, dunque, specifiche censure avverso la stessa, essendo insufficiente la mera proposizione di motivi, eccezioni, argomenti, sollevati in prime cure e disattesi dalla sentenza di primo grado. La specificità dei motivi esige che alle argomentazioni svolte nella sentenza impugnata vengano contrapposte quelle dell'appellante, volte ad incrinare il fondamento logico-giuridico delle prime, non essendo le statuizioni di una sentenza separabili dalle argomentazioni che la sorreggono, ragion per cui, alla "parte volitiva" dell'appello deve sempre accompagnarsi una "parte argomentativa" che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice; pertanto, è necessario, pur quando la sentenza di primo grado sia stata censurata nella sua interezza, che le ragioni sulle quali si fonda il gravame siano esposte con sufficiente grado di specificità, da correlare, peraltro, con la motivazione della sentenza impugnata.”(Consiglio Stato , sez. VI, 15 dicembre 2010 , n. 8932).


Ancora di recente, questa Sezione del Consiglio di Stato ha chiarito che “è inammissibile l'appello fondato sulla semplice riesposizione delle censure svolte in primo grado, senza specifica e concreta impugnativa dei diversi capi della sentenza gravata, atteso che l'appello ha carattere impugnatorio, sicché le censure in esso contenute devono investire puntualmente il decisum di primo grado e, in particolare, precisare i motivi, per i quali la decisione impugnata sarebbe erronea e da riformare.”
(Consiglio Stato , sez. IV, 12 marzo 2009 , n. 1473).
Il Collegio non ravvisa motivi per discostarsi da tale condivisibile approdo ermeneutico, dal che discende la declaratoria di inammissibilità del primo e del terzo motivo dell’appello.
1.2. Quanto alla censura secondo cui il Comune avrebbe dovuto emettere una nuova ordinanza di demolizione e di acquisizione che tenesse conto degli (ulteriori ed abusivi) manufatti medio tempore edificati dall’appellante in spregio ai procedimenti già avviati ed al sequestro penale insistente sull’immobile, essa costituisce censura nuova, in quanto non proposta in primo grado, e come tale, violando il precetto di cui all’art. 345 del codice di procedura civile (oggi: art. 104 del codice del processo amministrativo) è del pari inammissibile.
2. Per completezza rileva il Collegio che comunque il gravame è del tutto infondato.
2.1. Premesso che il Collegio ribadisce il proprio convincimento in ordine alla circostanza che nello schema giuridico delineato dall'art. 31 del d.P.R. n. 80/2001 non vi è spazio per apprezzamenti discrezionali, atteso che l'esercizio del potere repressivo di un abuso edilizio consistente nell'esecuzione di un'opera in assenza del titolo abilitativo costituisce atto dovuto, per il quale è in re ipsa l'interesse pubblico alla sua rimozione; e, pertanto, accertata l'esecuzione di opere in assenza di concessione ovvero in difformità totale dal titolo abilitativo, non costituisce onere del Comune verificare la sanabilità delle opere in sede di vigilanza sull'attività edilizia (cfr Consiglio Stato, sez. IV, 27 aprile 2004, n. 2529) nessuna delle censure appare persuasiva.
2.2. Non lo è certamente quella fondata sulla asserita impossibilità per l’appellante di procedere alla demolizione stante la pendenza di un sequestro penale sul manufatto (che egli violò più volte, violando anche i sigilli, il che gli valse l’adozione di una misura cautelare coercitiva a carico).
Si rammenta in proposito il condivisibile orientamento della Corte di Cassazione penale – dal quale il Collegio non ravvisa motivo per discostarsi- secondo cui “in tema di tutela penale del territorio, l'esistenza di un sequestro penale sul manufatto abusivo oggetto di ingiunzione comunale di demolizione e di ripristino dello stato dei luoghi non determina la sospensione del termine di novanta giorni, il cui decorso comporta, in caso di inottemperanza, l'acquisizione gratuita di diritto al patrimonio del comune (art. 31 d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380). (In motivazione la Corte, nell'enunciare il predetto principio, ha precisato che il sequestro non rientra tra gli "impedimenti assoluti" che non consentono di dare esecuzione all'ingiunzione, stante il disposto dell'art. 85 disp. att. c.p.p.).”(Cassazione penale , sez. III, 14 gennaio 2009 , n. 9186)
2.3. Eguale sorte segue la seconda censura proposta: secondo tale originale tesi, la circostanza che - in spregio ai provvedimenti amministrativi ed a quelli penali- l’appellante avesse proseguito i lavori abusivi, determinava (in dipendenza della circostanza che il manufatto era divenuto “ diverso” da quello descritto nella ordinanza di ingiunzione alla demolizione del 26 luglio 2006) determinava la conseguenza che il comune avrebbe avuto l’obbligo di “sostituire” la detta ordinanza (divenuta “inattuale”), con altra che desse conto dello stato effettivo del manufatto.
La detta tesi, portata alle estreme conseguenze, implicherebbe che una pervicace azione contraria ai provvedimenti penali ed amministrativi, ove protratta nel tempo con successivi e “nuovi” interventi, (seppur eventualmente modesti) sul manufatto, impedisca sine die l’adozione dei prescritti provvedimenti repressivi: la reiterazione delle violazioni edilizie, insomma, finirebbe con il produrre un effetto “premiale” sul reo (e di volta in volta dovrebbero essere rispettati i termini tra la emissione dell’ordinanza di demolizione “nuova” e l’accertamento dell’inottemperanza ovviamente).
La inconsistenza della detta prospettazione è palese; un simile incombente non è prescritto ex lege e si rivela peraltro illogico e, pertanto, la censura va respinta, unitamente a quella (peraltro formulata in termini poco chiari, della asserita preclusione alla demolizione discendente dalla pendenza di appello avverso la sentenza penale di condanna pronunciata a carico dell’appellante).
2.4. Quanto all’ultima censura, la circostanza che sull’area esista un numero spropositato di immobili abusivi non può essere invocata né quale esimente né quale segno di disparità di trattamento, ma semmai comune utile stimolo ad accertare e reprimere, ove sussistenti, detti abusi: di certo nessuna illegittimità discende sul procedimento in esame.
3. Conclusivamente, deve essere dichiarata la inammissibilità dell’appello, che è comunque infondato.
4. Le spese processuali seguono la soccombenza, e pertanto l’appellante deve essere condannato al pagamento delle medesime in favore dell’appellata amministrazione, in misura che appare equo quantificare in Euro tremila (€ 3000,00) oltre accessori di legge, se dovuti.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) definitivamente pronunciando sul ricorso, numero di registro generale 8627 del 2010 come in epigrafe proposto,lo respinge nei termini di cui alla motivazione.
Condanna l’appellante al pagamento delle spese processuali in favore dell’appellata amministrazione comunale, nella misura di Euro tremila (€ 3000,00) oltre accessori di legge, se dovuti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 14 febbraio 2012 con l'intervento dei magistrati:
Gaetano Trotta, Presidente
Raffaele Greco, Consigliere
Fabio Taormina, Consigliere, Estensore
Andrea Migliozzi, Consigliere
Oberdan Forlenza, Consigliere
 

 

L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 06/03/2012
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)