N. 01260/2012REG.PROV.COLL.
N. 08627/2010 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
ex artt. 38 e 60 del codice del processo amministrativo
sul ricorso numero di registro generale 8627 del 2010, proposto da:
Giovanni Cerullo, rappresentato e difeso dagli avv. Michele Santonastaso, Michele Marra, con domicilio eletto presso Michele Santonastaso in Roma, viale Giulio Cesare, N.237;
sul ricorso numero di registro generale 8627 del 2010, proposto da:
Giovanni Cerullo, rappresentato e difeso dagli avv. Michele Santonastaso, Michele Marra, con domicilio eletto presso Michele Santonastaso in Roma, viale Giulio Cesare, N.237;
contro
Comune
di San Cipriano D'Aversa, in persona del legale rappresentante in
carica rappresentato e difeso dall'avv. Luigi M. D'Angiolella, con
domicilio eletto presso Luigi Maria D'Angiolella in Roma, via Michele
Mercati, 51;
per la riforma
della
sentenza del T.A.R. della CAMPANIA – Sede di NAPOLI - SEZIONE VIII n.
09512/2009, resa tra le parti, concernente DEMOLIZIONE OPERA ABUSIVA
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di San Cipriano D'Aversa;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore
nella camera di consiglio del giorno 14 febbraio 2012 il Consigliere
Fabio Taormina e udito per la parte appellata l’ avvocato Sergio Como
in sostituzione dell’avvocato Luigi M. D'Angiolella;
Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 del codice del processo amministrativo;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con
due distinti ricorsi, riuniti dal Tribunale amministrativo regionale
della Campania – Sede di Napoli- era stato chiesto dall’ odierno
appellante Cerullo Giovanni l’annullamento dei provvedimenti
sanzionatori emessi dal Comune di San Cipriano d’Aversa in seguito alla
realizzazione di un manufatto composto da seminterrato, piano terra,
primo piano e solaio della estensione pari a circa 150 mq, insistente su
una’area di circa 500 mq, realizzato in assenza di titolo abilitativo.
In
particolare, con il ricorso iscritto al numero di registro generale n.
5879 del 2006, l’odierno appellante aveva avversato l’ordine di
demolizione n. 8 del 25 luglio 2006 , mentre con il gravame n. 7143 del
2008 il sig. Cerullo aveva impugnato il provvedimento emesso in data 6
ottobre 2008 con cui il Comune, sulla base dell’inottemperanza alla
menzionata ingiunzione di demolizione n. 8 del 2006, aveva disposto
l’acquisizione gratuita al proprio patrimonio dell’immobile e della
annessa area di sedime.
Erano stati prospettati numerosi motivi di censura incentrati sui vizi di eccesso di potere e violazione di legge.
Il
Tribunale amministrativo, con la impugnata sentenza, ha in primo luogo
dichiarato la perenzione del ricorso n. 5879 del 2006, in quanto nel
biennio successivo alla proposizione dello stesso non era stata
presentata istanza di fissazione dell’udienza di discussione del
ricorso.
Ha poi partitamente esaminato i motivi di
censura contenuti nel gravame n. 7143 del 2008 e lo ha respinto, sulla
scorta della considerazione che erano stati positivamente riscontrati i
presupposti indefettibili per l’acquisizione gratuita al patrimonio
del Comune dell’opera abusiva (costituiti dalla previa notifica
dell’ingiunzione alla demolizione e dalla constatazione della sua
inosservanza -che deve essere anch’essa notificata all’interessato- da
parte del responsabile dell’abuso).
Ciò perché, -
con la ordinanza n. 8 del 25 luglio 2006 (oggetto del connesso ricorso
5879 del 2006 dichiarato perento) il Comune aveva ordinato la
demolizione del manufatto abusivo nel termine di 90 giorni dalla
notifica del provvedimento (effettuata il 26 luglio 2006).
L’odierno
appellante era risultato inottemperante all’ingiunzione predetta, come
accertato dal Comando di Polizia Municipale in data 4 gennaio 2007 e dal
medesimo Comune in data 15 aprile 2008 con nota del Settore Urbanistica
recante numero di protocollo 3948 (con cui si era constatato peraltro
ulteriore avanzamento dei lavori, con completamento delle strutture con
tompagnature esterne, copertura a falde inclinate con manto in tegole e
realizzazione in itinere di una sovrastruttura adiacente il prospetto
sulla strada, composta da un corpo porticato con una arcata anteriore).
Successivamente,
ai sensi dell’ art. 31, comma quarto, del dPR n. 380/2001, il Comune di
San Cipriano aveva notificato in data 23 aprile 2008 l’atto di
accertamento dell'inottemperanza alla ingiunzione a demolire del 22
aprile 2008 recante numero di protocollo 4216.
Posto
che l'esercizio del potere repressivo di un abuso edilizio consistente
nell'esecuzione di un'opera in assenza del titolo abilitativo costituiva
atto dovuto, per il quale era in re ipsa l'interesse pubblico alla sua
rimozione, non poteva ipotizzarsi un aggravio dell’obbligo
motivazionale con specifica indicazione dell’interesse pubblico sotteso
all’adozione del provvedimento impugnato.
Neppure
era accoglibile l’ulteriore doglianza di disparità di trattamento, che
semmai avrebbe legittimato l’inoltro di altre ordinanze di demolizione
in pregiudizio degli eventuali altri abusi commessi nell’area, ma non
certo la revoca di quella legittimamente emessa in pregiudizio
dell’appellante.
Sotto altro profilo, la
circostanza che sul manufatto abusivo pendeva un sequestro effettuato
dalla locale Stazione Carabinieri nell’ambito di un distinto
procedimento penale, non integrava impedimento assoluto alla demolizione
(in concreto peraltro l’appellante oltre a non avere mai richiesto il
dissequestro temporaneo per potere demolire il manufatto aveva vieppiù
aggravato l’abuso proseguendo i lavori).
Avverso
il capo della sentenza in epigrafe che ha respinto il ricorso avverso
l’ordinanza di acquisizione l’ originario ricorrente ha proposto
ricorso in appello richiamando le norme di legge che regolamentavano la
fattispecie ed affermando che la motivazione della impugnata decisione
era apodittica ed errata.
L’appellata amministrazione comunale ha depositato una memoria chiedendo la conferma dell’impugnata decisione.
Alla odierna camera di consiglio del 14 febbraio 2012 la causa è stata posta in decisione.
DIRITTO
1.Stante
la completezza del contraddittorio e la mancata opposizione delle parti
rese edotte della possibilità di immediata definizione della causa, la
controversia può essere decisa nel merito tenuto conto della palese
inammissibilità e comunque infondatezza dell’appello.
1.1.
Va premesso che l’appellante non ha impugnato – neppure formalmente- il
capo dell’impugnata decisione dichiarativo della perenzione del ricorso
proposto avverso l’ordinanza di demolizione mentre ha formalmente
gravato unicamente il capo della sentenza reiettivo del ricorso avverso
il provvedimento emesso in data 6 ottobre 2008 con cui il Comune (sulla
base dell’inottemperanza all’ingiunzione di demolizione n. 8 del 2006)
aveva disposto l’acquisizione gratuita al proprio patrimonio
dell’immobile e della annessa area di sedime.
1.2.Il
proposto appello, tuttavia, non prospetta alcuna critica alla
motivazione reiettiva resa dal primo giudice, ma si limita a
ripercorrere la vicenda sotto il profilo cronologico (anche con
riferimento al parallelo procedimento penale celebratosi a carico
dell’appellante) ed a richiamare le norme di legge regolatrici della
fattispecie.
Le censure proposte, infatti,
costituiscono integrale ed acritico richiamo delle norme di legge,
nell’ambito delle quali nessuna seppur embrionale argomentazione critica
ha attinto la motivazione della impugnata decisione.
L’appellante è così venuto meno all’onere di specifica argomentazione delle censure.
Sul
punto la giurisprudenza amministrativa, già antecedentemente alle
positive prescrizioni contenute nel codice del processo amministrativo
ha avuto modo costantemente di rilevare che “nonostante l'appello nel
processo amministrativo sia un mezzo di impugnazione a critica libera,
occorre comunque che esso contenga una critica della sentenza gravata e,
dunque, specifiche censure avverso la stessa, essendo insufficiente la
mera proposizione di motivi, eccezioni, argomenti, sollevati in prime
cure e disattesi dalla sentenza di primo grado. La specificità dei
motivi esige che alle argomentazioni svolte nella sentenza impugnata
vengano contrapposte quelle dell'appellante, volte ad incrinare il
fondamento logico-giuridico delle prime, non essendo le statuizioni di
una sentenza separabili dalle argomentazioni che la sorreggono, ragion
per cui, alla "parte volitiva" dell'appello deve sempre accompagnarsi
una "parte argomentativa" che confuti e contrasti le ragioni addotte dal
primo giudice; pertanto, è necessario, pur quando la sentenza di primo
grado sia stata censurata nella sua interezza, che le ragioni sulle
quali si fonda il gravame siano esposte con sufficiente grado di
specificità, da correlare, peraltro, con la motivazione della sentenza
impugnata.”(Consiglio Stato , sez. VI, 15 dicembre 2010 , n. 8932).
Ancora
di recente, questa Sezione del Consiglio di Stato ha chiarito che “è
inammissibile l'appello fondato sulla semplice riesposizione delle
censure svolte in primo grado, senza specifica e concreta impugnativa
dei diversi capi della sentenza gravata, atteso che l'appello ha
carattere impugnatorio, sicché le censure in esso contenute devono
investire puntualmente il decisum di primo grado e, in particolare,
precisare i motivi, per i quali la decisione impugnata sarebbe erronea e
da riformare.”
(Consiglio Stato , sez. IV, 12 marzo 2009 , n. 1473).
Il
Collegio non ravvisa motivi per discostarsi da tale condivisibile
approdo ermeneutico, dal che discende la declaratoria di inammissibilità
del primo e del terzo motivo dell’appello.
1.2.
Quanto alla censura secondo cui il Comune avrebbe dovuto emettere una
nuova ordinanza di demolizione e di acquisizione che tenesse conto degli
(ulteriori ed abusivi) manufatti medio tempore edificati
dall’appellante in spregio ai procedimenti già avviati ed al sequestro
penale insistente sull’immobile, essa costituisce censura nuova, in
quanto non proposta in primo grado, e come tale, violando il precetto di
cui all’art. 345 del codice di procedura civile (oggi: art. 104 del
codice del processo amministrativo) è del pari inammissibile.
2. Per completezza rileva il Collegio che comunque il gravame è del tutto infondato.
2.1.
Premesso che il Collegio ribadisce il proprio convincimento in ordine
alla circostanza che nello schema giuridico delineato dall'art. 31 del
d.P.R. n. 80/2001 non vi è spazio per apprezzamenti discrezionali,
atteso che l'esercizio del potere repressivo di un abuso edilizio
consistente nell'esecuzione di un'opera in assenza del titolo
abilitativo costituisce atto dovuto, per il quale è in re ipsa
l'interesse pubblico alla sua rimozione; e, pertanto, accertata
l'esecuzione di opere in assenza di concessione ovvero in difformità
totale dal titolo abilitativo, non costituisce onere del Comune
verificare la sanabilità delle opere in sede di vigilanza sull'attività
edilizia (cfr Consiglio Stato, sez. IV, 27 aprile 2004, n. 2529) nessuna
delle censure appare persuasiva.
2.2. Non lo è
certamente quella fondata sulla asserita impossibilità per l’appellante
di procedere alla demolizione stante la pendenza di un sequestro penale
sul manufatto (che egli violò più volte, violando anche i sigilli, il
che gli valse l’adozione di una misura cautelare coercitiva a carico).
Si
rammenta in proposito il condivisibile orientamento della Corte di
Cassazione penale – dal quale il Collegio non ravvisa motivo per
discostarsi- secondo cui “in tema di tutela penale del territorio,
l'esistenza di un sequestro penale sul manufatto abusivo oggetto di
ingiunzione comunale di demolizione e di ripristino dello stato dei
luoghi non determina la sospensione del termine di novanta giorni, il
cui decorso comporta, in caso di inottemperanza, l'acquisizione gratuita
di diritto al patrimonio del comune (art. 31 d.P.R. 6 giugno 2001 n.
380). (In motivazione la Corte, nell'enunciare il predetto principio, ha
precisato che il sequestro non rientra tra gli "impedimenti assoluti"
che non consentono di dare esecuzione all'ingiunzione, stante il
disposto dell'art. 85 disp. att. c.p.p.).”(Cassazione penale , sez. III,
14 gennaio 2009 , n. 9186)
2.3. Eguale sorte segue
la seconda censura proposta: secondo tale originale tesi, la
circostanza che - in spregio ai provvedimenti amministrativi ed a
quelli penali- l’appellante avesse proseguito i lavori abusivi,
determinava (in dipendenza della circostanza che il manufatto era
divenuto “ diverso” da quello descritto nella ordinanza di ingiunzione
alla demolizione del 26 luglio 2006) determinava la conseguenza che il
comune avrebbe avuto l’obbligo di “sostituire” la detta ordinanza
(divenuta “inattuale”), con altra che desse conto dello stato effettivo
del manufatto.
La detta tesi, portata alle estreme
conseguenze, implicherebbe che una pervicace azione contraria ai
provvedimenti penali ed amministrativi, ove protratta nel tempo con
successivi e “nuovi” interventi, (seppur eventualmente modesti) sul
manufatto, impedisca sine die l’adozione dei prescritti provvedimenti
repressivi: la reiterazione delle violazioni edilizie, insomma,
finirebbe con il produrre un effetto “premiale” sul reo (e di volta in
volta dovrebbero essere rispettati i termini tra la emissione
dell’ordinanza di demolizione “nuova” e l’accertamento
dell’inottemperanza ovviamente).
La inconsistenza
della detta prospettazione è palese; un simile incombente non è
prescritto ex lege e si rivela peraltro illogico e, pertanto, la censura
va respinta, unitamente a quella (peraltro formulata in termini poco
chiari, della asserita preclusione alla demolizione discendente dalla
pendenza di appello avverso la sentenza penale di condanna pronunciata a
carico dell’appellante).
2.4. Quanto all’ultima
censura, la circostanza che sull’area esista un numero spropositato di
immobili abusivi non può essere invocata né quale esimente né quale
segno di disparità di trattamento, ma semmai comune utile stimolo ad
accertare e reprimere, ove sussistenti, detti abusi: di certo nessuna
illegittimità discende sul procedimento in esame.
3. Conclusivamente, deve essere dichiarata la inammissibilità dell’appello, che è comunque infondato.
4.
Le spese processuali seguono la soccombenza, e pertanto l’appellante
deve essere condannato al pagamento delle medesime in favore
dell’appellata amministrazione, in misura che appare equo quantificare
in Euro tremila (€ 3000,00) oltre accessori di legge, se dovuti.
P.Q.M.
Il
Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
definitivamente pronunciando sul ricorso, numero di registro generale
8627 del 2010 come in epigrafe proposto,lo respinge nei termini di cui
alla motivazione.
Condanna l’appellante al
pagamento delle spese processuali in favore dell’appellata
amministrazione comunale, nella misura di Euro tremila (€ 3000,00)
oltre accessori di legge, se dovuti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 14 febbraio 2012 con l'intervento dei magistrati:
Gaetano Trotta, Presidente
Raffaele Greco, Consigliere
Fabio Taormina, Consigliere, Estensore
Andrea Migliozzi, Consigliere
Oberdan Forlenza, Consigliere
L'ESTENSORE | IL PRESIDENTE | |
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 06/03/2012
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)