lunedì 12 marzo 2012

CASSAZIONE: COMMETTE ILLECITO LA PA CHE PUBBLICA UN PROVVEDIMENTO CON DATI SENSIBILI DEL LAVORATORE

09/03/2012
La pubblica amministrazione commette illecito se nel pubblicare un provvedimento sull'Albo Pretorio rende noti sensibili di un proprio dipendente eccedendo le finalità pubbliche da soddisfare. Secondo la Cassazione, infatti, in questo modo viene violato il principio di pertinenza e di non eccedenza del trattamento dei dati personali (D.lsg 30.06.2003, n. 196, art. 11, cd. codice della privacy). Il chiarimento
arriva dalla prima sezione civile della Corte (sentenza n. 2034/2012) che ha convalidato una condanna al risarcimento dei danni non patrimoniali in favore di un dipendente comunale il cui stato di salute era stato reso noto attraverso la pubblicazione di un provvedimento. La divulgazione era stata realizzata in violazione delle disposizioni riguardanti il trattamento di dati personali, provocando concretamente disagio, imbarazzo e preoccupazione nel lavoratore. La PA aveva infatti pubblicato un provvedimento amministrativo di diniego del riconoscimento della causa di servizio ma in quel provvedimento emergeva anche lo stato di salute del lavoratore con tanto di diagnosi. Insomma chiunque avrebbe potuto conoscere il suo stato di salute e per questo secondo i giudici di merito c'era stata violazione delle disposizioni sul trattamento dei dati personali. La pubblica amministrazione è stata così condannata a risarcire il danno non patrimoniale derivante dall'imbarazzo dal disagio creato nel dipendente che non poteva peraltro sapere quante quali persone avrebbero potuto conoscere il suo stato di salute.
(Studio Cataldi del 5/03/2012, Luisa Foti)
Cassazione Civile, Sezione I, Sentenza 13-02-2012, n. 2034
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE

Svolgimento del processo

N.L.R. chiedeva al comune di Assemini con domanda del 13 settembre 2002 il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio di una patologia da cui era affetto. Il Comitato di verifica con verbale del 30 giugno 2004 esprimeva parere negativo. Con determinazione del 26 luglio 2004 la responsabile area direzionale del comune di Assemini dottoressa L.P. negava il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio in questione.

Riportava nell'atto amministrativo diagnosi, cause, natura ed effetti della medesima, e ne disponeva la pubblicazione nell'Albo Pretorio del Comune per 15 giorni. Il N. ritenendo gravemente leso il proprio diritto alla riservatezza si rivolgeva al Tribunale di Cagliari chiedendo la condanna del Comune e della dottoressa L. al risarcimento dei danni non patrimoniali da lui subiti a seguito della illegittima divulgazione dei dati personali e sensibili in quanto riguardanti la sua salute.

Resistevano i convenuti.

Il Tribunale accertava la dedotta illiceità del comportamento dei convenuti, in violazione dell'art. 2 Cost., e delle disposizioni di cui al D.Lgs. n. 196 del 2003. Li condannava in solido al risarcimento dei danni non patrimoniali cagionati all'attore, da liquidarsi in via equitativa, e pertanto definiti in Euro 16000,00.

Condannava altresì i convenuti al pagamento delle spese del giudizio.

Il giudice di merito riteneva che nella vicenda era risultato provato che vi era stata divulgazione dei dati riguardanti la salute del ricorrente e che la divulgazione stessa era stata realizzata in violazione delle disposizioni riguardanti il trattamento di dati personali. Riteneva infatti provato che la pubblicazione della determinazione amministrativa era avvenuta in modo tale per cui chiunque avrebbe potuto leggerne la motivazione e quindi apprendere le informazioni sulla salute del soggetto interessato. Riteneva in proposito non attendibili, in quanto provenienti da soggetti portatori di un proprio interesse nella vicenda le deposizioni di M.I. e di C.C., messi notificatori del comune, esecutori materiali della pubblicazione in questione.

Riteneva in concreto violato il principio della pertinenza e della non eccedenza di cui all'art. 11 del decreto legislativo innanzi citato, giacchè le stesse motivazioni dell'atto si sarebbero potute egualmente esprimere adottando una modalità di notificazione tale da non renderne possibile la lettura da parte di chiunque. Riteneva provato il danno non patrimoniale in considerazione del disagio,e dell'imbarazzo conseguenti alla diffusione dei dati stessi ed anche della preoccupazione derivante in capo all'interessato dal non sapere quali e quante persone avevano in realtà conosciuto la sua situazione di salute.

Ricorre la dottoressa L.P. alla Corte di Cassazione contro questa sentenza con atto articolato su cinque motivi.

Resiste con controricorso N.L.R..

Non ha spiegato attività il comune di Assemini.

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo di ricorso L.P. lamenta la violazione del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 15, e degli artt. 2050, 2059 e 2697 c.c.. Lamenta altresì la motivazione carente, insufficiente e contraddittoria sui relativi punti decisivi. Con il secondo motivo che in quanto connesso al primo può essere esaminato congiuntamente, la ricorrente lamenta la violazione degli artt. 2697, 2043, 2050 e 2059 c.c., nonchè degli artt. 101 e 115 c.p.c.. Lamenta altresì il difetto di motivazione della sentenza impugnata sui relativi punti.

Sostiene che il Tribunale, benchè abbia premesso che il danno non patrimoniale in questione ovvero allegato e lamentato dall'attore non poteva essere considerato in re ipsa, ovvero sulla base dell'accertamento del solo preteso illecito, tuttavia poi aveva deciso senza alcuna prova del pregiudizio stesso,in realtà deducendolo dal preteso illecito.

1.a. Osserva il collegio che il Tribunale di Cagliari ha individuato nella vicenda la sussistenza, in fatto, di disagio, imbarazzo e preoccupazione in capo all'attore quali effetti della pubblicazione di cui si tratta. Il Tribunale, in sostanza, premesso esattamente come peraltro rammenta la stessa ricorrente, che il pregiudizio morale in questione non può essere dedotto dall'illecito ma che invece deve essere accertato in concreto in ciascuna vicenda, ha ritenuto che le modalità di pubblicazione, tali da far conoscere a chiunque avesse esaminato il contenuto della bacheca comunale, la patologia dalla quale l'attore era affetto, hanno creato a costui disagio ed imbarazzo.

Quindi la stessa sentenza rileva che nella vicenda ulteriore pregiudizio è derivato dalla specifica preoccupazione dell'attore, determinata dal fatto che le modalità di pubblicazione, che rendevano possibile una lettura da parte di un numero indeterminato di soggetti di dell'atto amministrativo motivato nel modo che si è detto, hanno creato una ulteriore preoccupazione per la l'incertezza sul numero degli effettivi conoscitori della predetta situazione personale.

Insomma, secondo il giudice del merito, in capo all'attore, si era creato uno specifico patema d'animo, consistente, nella mancanza di conoscenza se qualunque suo interlocutore nella vita di relazione, fosse o meno a conoscenza di quei dati, che la legge, individuandoli come sensibili, intende debbano essere protetti.

Tale conclusione costituisce accertamento di fatto che in quando adeguatamente e ragionevolmente motivato non può essere discusso in questa sede.

Esso peraltro costituisce corretta individuazione della concretezza del pregiudizio, cosicchè non può dirsi che il giudice lo abbia dedotto dalla solo illecito, ma invece esso è stato concretamente ricercato ed individuato nella situazione resa particolare dalle circostanze di fatto che l'hanno caratterizzata.

I due motivi sono pertanto inammissibile nella parte in cui tentano di introdurre nel giudizio di cassazione l'accertamento, di merito, circa la sussistenza del danno, ed infondati laddove allegano una violazione di legge.

2. Con il terzo motivo la ricorrente lamenta la relazione all'art. 2700 c.c., e dell'art. 132 c.p.c..

Lamenta altresì il difetto di motivazione della sentenza impugnata sul punto in questione. Osserva che i messi comunali M. I., C.C., incaricati e responsabili dell'attività di affissione all'Albo degli atti comunali, inclusa la determinazione di cui si tratta, hanno attestato, con dichiarazione prodotta in giudizio, che la determinazione n. 950 del 2004 era stata affissa ma in parte sovrapposta dall'altra deliberazione cosicchè in concreto non sarebbe stato possibile al pubblico di accertare il contenuto della motivazione contenente la pretesa violazione del diritto alla riservatezza in questione. Ritiene dunque la ricorrente che i fatti che il pubblico ufficiale attesta come avvenuti in sua presenza sono da considerarsi certi fino a querela di falso e che pertanto il giudice erroneamente ha considerato inattendibili i testi in questione sulla base del fatto che, avendo essi partecipato all'attività materiale di pubblicazione e dunque essendosi inseriti nella serie causale che ha prodotto la lamentata lesione, potevano avere interesse alla causa.

3. Con il quarto motivo la ricorrente lamenta la violazione dell'art. 157 c.p.c., comma 2, e art. 146 c.p.c..

Lamenta che il Tribunale ha giudicato inattendibile la testimonianza dei predetti messi in considerazione del predetto preteso possibile interesse personale, con ciò violando le norme che disciplinano l'incapacità a testimoniare ai sensi dell'art. 246 c.p.c., e dunque il regime processuale che impone che la relativa eccezione debba essere sollevata al momento dell'assunzione della prova, ovvero all'udienza immediatamente successiva a quella in la prova è stata assunta. Il giudice, in definitiva, superando tale preciso regime di decadenza, avrebbe illegittimamente ignorato una testimonianza utile ed addirittura decisiva.

4. Con il quinto motivo del ricorso la L. lamenta la violazione art. 132 c.p.c., nonchè il difetto di motivazione sul relativo punto,considerato decisivo. Ritiene che il giudice non ha motivato adeguatamente rispetto all'istruttoria compiuta ed in particolare con riferimento ad una serie di testimonianze, dalle quali, a suo dire si dedurrebbe come alcuna divulgazione dei dati sensibili riguardanti la salute del ricorrente vi era stata in realtà e che invece la pubblicazione era avvenuta nel rispetto di tutte le normative vigenti.

4.a. I tre motivi in quanto connessi possono essere esaminati insieme.

Osserva anzitutto il collegio,prima di affrontare la questione avanzata dalla difesa resistente, la quale nega che i messi notificatori in questione abbiano la qualità di pubblico ufficiale e pertanto che i loro atti possano essere assistiti dal regime giuridico di cui all'art. 2700 c.c., che detta norma attribuisce la particolare efficacia probatoria cui si fa riferimento in ricorso, relativamente a quei fatti che il pubblico ufficiale attesta come avvenuti in sua presenza, ovvero da lui compiuti. Orbene la dichiarazione dei due messi notificatori, citati quali testi, si badi, dalla stessa difesa dell'odierna ricorrente, come nota puntualmente la difesa resistente, contiene in realtà la valutazione fornita dai medesimi circa l'impossibilità da parte del pubblico di leggere le motivazioni. E rispetto a siffatto giudizio, ovvero rispetto ad una affermazione che non individua nè riferisce un fatto, ben può il giudice effettuare le proprie considerazioni anche in termini di attendibilità dei testi. Testi, è il caso di ribadire, tant'è che i due, ancorchè non siano stati poi in concreto sentiti in giudizio, erano stati citati come tali dalla difesa della L..

Il giudizio di inattendibilità fondato sulla circostanza dell'avere i due conosciuto o potuto conoscere, senza giustificazione giuridica alcuna, delle infermità dell'odierno resistente, e quindi sulla capacità lesiva della affissione da essi materialmente compiuta, corrisponde ad una valutazione di merito del giudice, adeguatamente motivata. Essa pertanto non può essere censurata in questa sede.

4.b. E' il caso di precisare, comunque, che la sentenza impugnata nel far riferimento al principio di cui all'art. 11, del D.Lgs. citato, e dunque ai principi di pertinenza e di non eccedenza del trattamento dei dati personali ed ancor più dei dati cosiddetti sensibili, chiarisce come la pubblica amministrazione commette illecito se effettua il trattamento di un dato che risulti eccedente le finalità pubbliche da soddisfare.

Nella vicenda (foglio 12 della sentenza) il giudice rammentando anche la giurisprudenza del Garante sul tema chiarisce come,osserva come non è sempre necessario riportare i dati in questione nelle valutazioni, negli atti amministrativi, o comunque in determinazioni del datore di lavoro da rendere pubbliche o da diffondere tra più soggetti, quando, per l'appunto, la menzione specifica di siffatti dati non è necessaria per il fine dell'atto che si sta compiendo. Il giudice di merito conclude che vi è stato un trattamento del dato sensibile eccedente la funzione pubblica in questione (quella della pubblicazione ovvero della notificazione dell'atto), che ben avrebbe potuto, attraverso l'uso di omissis e senza trascurare gli obblighi di motivazione che spettano all'autore di un atto amministrativo, comunicare la determinazione in forma che avrebbe reso inevitabile la conoscenza di taluni fatti specifici.

Consegue che la conclusione ulteriore del giudice di merito, secondo la quale la pubblicazione così come effettuata, in quanto concretamente produttiva di disagio, imbarazzo e preoccupazione, non può, nemmeno sotto il profilo allegato nei tre motivi esaminati, essere discussa in questa sede.

5. Il ricorso deve essere respinto. Ricorrono, per la parziale novità, e per la delicatezza della questione, giusti motivi per compensare le spese del giudizio.

P.Q.M.

La Corte respinge il ricorso. Compensa tra le parti le spese del giudizio di Cassazione.