Lavoro - Retribuzione di posizione - Dirigente - Pesatura delle funzioni - Art. 27 CCNL 23 dicembre 1999 - Tematica della competenza - Provvedimento sindacale - Procedura valutativa - Principio generale del contrarius actus - Doppia conforme - Inammissibilità
Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 20 marzo 2025, n. 7417
La sentenza 7417/2025 della Cassazione si riferisce a un'ordinanza emessa dalla Corte di Cassazione italiana, Sezione Lavoro, il 20 marzo 2025. Ecco una sintesi del caso:
Caso
Il caso riguarda A.P., ex direttore della Polizia Municipale di Taormina, che ha contestato la riduzione del suo stipendio di posizione. Lo stipendio era stato inizialmente fissato a €36.151,98 annui, ma poi ridotto a €23.439,34 nel 2008 e a €9.000 nel 2009.
Questioni chiave
- Retribuzione di posizione: la Corte ha discusso il concetto di "retribuzione di posizione", ovvero lo stipendio basato sulla posizione ricoperta dal direttore.
- Pesatura delle funzioni: la Corte ha esaminato il processo di "pesatura delle funzioni", che si riferisce alla valutazione delle funzioni e delle responsabilità assegnate al direttore.
- Competenza: la Corte ha considerato la questione della competenza nel determinare la riduzione dello stipendio, specificamente se la riduzione fosse legittima e chi avesse l'autorità di prendere la decisione.
Decisione della Corte
La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso, confermando le precedenti decisioni dei giudici di merito. La Corte ha stabilito che la riduzione dello stipendio era legittima e che il ricorso del direttore non soddisfaceva i requisiti necessari per essere considerato.
Punti chiave
- L'ordinanza evidenzia l'importanza di seguire le procedure corrette nella valutazione e determinazione degli stipendi dei dirigenti, in particolare nel settore pubblico.
- Sottolinea anche i limiti del potere della Corte di rivedere determinate decisioni.
RIASSUNTO DELL’ORDINANZA N. 7417/2025 – CORTE DI CASSAZIONE
Parti coinvolte:
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Ricorrente: Agostino Pappalardo, ex dirigente della Polizia Municipale del Comune di Taormina.
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Controricorrente: Comune di Taormina.
Oggetto del ricorso:
Pappalardo ha contestato la riduzione della sua retribuzione di posizione, inizialmente fissata a €36.151,98 (Delibera Giunta n. 256/2001), ridotta nel 2008 e 2009 rispettivamente a €23.439,34 e a €9.000 (Provvedimento sindacale n. 39/2008). Chiedeva il ripristino dell'importo originario per il periodo 2010–2013.
Esito nei gradi di merito:
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Tribunale di Messina (2016): ricorso respinto.
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Corte d’Appello di Messina (2019): appello respinto.
Ricorso in Cassazione:
Presentato da Pappalardo su quattro motivi, tutti dichiarati inammissibili:
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Violazione art. 24 d.lgs. 165/2001 e art. 27 CCNL: la Cassazione ha ritenuto che la "pesatura" delle funzioni era stata effettuata tramite determina dirigenziale del 2011, quindi non contestabile in questa sede.
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Competenza all’adozione dell’atto: si ribadisce che la riduzione della retribuzione è avvenuta nel 2008 tramite atto sindacale, non impugnato, e che l'atto del 2011 era solo esecutivo. Non si può quindi rimettere in discussione la competenza a posteriori.
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Omessa valutazione di un fatto decisivo: il ricorso verteva in “doppia conforme” (sentenze di merito concordi), impedendo di riesaminare i fatti; inoltre, la pesatura delle funzioni risultava documentata.
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Violazione art. 112 c.p.c. e motivazione apparente: anche questo motivo è stato respinto perché l’atto del 2011 è stato correttamente interpretato e non sono stati invocati errori interpretativi secondo il codice civile.
Conclusione:
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Ricorso dichiarato inammissibile.
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Condanna del ricorrente alle spese legali (€4.500 + €200 + accessori).
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Obbligo del versamento del contributo unificato aggiuntivo.
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Svolgimento del processo
A.P., dirigente del Corpo di P.M. presso il Comune di Taormina, ha esposto, con ricorso al Tribunale di Messina, di avere goduto, in virtù di delibera di Giunta municipale n. 256/01, di una retribuzione di posizione pari a € 36.151,98 annui, poi ridotto a € 23.439,34 per l’anno 2008 e a € 9.000,00, per l’anno 2009, in virtù di delibera sindacale (...).
Ha chiesto, quindi, il ripristino dell’originario importo di detta retribuzione di posizione per gli anni dal 2010 al 2013.
Il Tribunale di Messina, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 1064/16, ha rigettato il ricorso.
A.P. ha proposto appello che la Corte d’appello di Messina, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 390/19, ha rigettato.
A.P. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi.
Il Comune di Taormina si è difeso con controricorso.
Le parti hanno depositato memorie.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo il ricorrente contesta la violazione e falsa applicazione dell’art. 24 d.lgs. n. 165 del 2001 con riferimento all’art. 27 CCNL 23 dicembre 1999 (integrativo dell’art. 39 CCNL 10 aprile 1996) in quanto la corte territoriale avrebbe ritenuto come esistente e provata la ritenuta necessaria “pesatura delle funzioni” attribuite e delle connesse responsabilità pur in assenza di alcuna variazione delle funzioni in relazione alla precedente pesatura.
In particolare, il Comune di Taormina non avrebbe provato l’adozione di una nuova pesatura delle funzioni dopo quella effettuata con atto della Giunta municipale n. 256 del 2001.
1.1.La censura è inammissibile.
Infatti, la corte territoriale ha ritenuto che tale pesatura vi fosse stata con determina dirigenziale n. 39 del 7 febbraio 2011, a far data dal 31 dicembre 2009.
Pertanto, sul punto vi è stato un accertamento di merito del giudice di appello non contestabile in quanto tale nella presente sede.
D’altronde, si osserva che non è neppure possibile valutare il contenuto delle delibere menzionate dal ricorrente, atteso che non è stato riportato nel dettaglio, almeno in sintesi rilevante, nell’atto di impugnazione.
2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 24 del d.lgs. n. 165 del 2001, con riferimento all’art. 27 del CCNL 23 dicembre 1999, integrativo dell’art. 39 CCNL 10 aprile 1996, in relazione all’art. 2, comma 1, d.lgs. n. 165 del 2001 e al principio generale del contrarius actus.
Sostiene che la corte territoriale avrebbe errato nel ritenere che la retribuzione di posizione di un dirigente potesse essere ridotta con atto di dirigente di altro servizio quando, invece, la pesatura delle funzioni dirigenziali avrebbe dovuto essere adottata dal vertice collegiale dell’Ente.
Afferma che l’atto del Dirigente del Servizio del Personale del 2011 non avrebbe fatto riferimento alla modifica della delibera di G.M. n. 251 del 2001.
2.1. La censura è inammissibile.
Lo stesso ricorrente, infatti, individua come atto che aveva disposto la riduzione della sua retribuzione di posizione il provvedimento sindacale (...) del Sindaco di Taormina, del quale l’atto dirigenziale del 2011 costituiva semplice esecuzione.
Al riguardo, il ricorrente non ha impugnato la pronuncia di appello, nella parte in cui ha ritenuto irrilevante, per ragioni temporali, ogni contestazione concernente detto provvedimento del 2008, con l’effetto che, ormai, la tematica della competenza a emettere l’atto di pesatura degli incarichi non può più essere presa in esame.
D’altronde, per costante giurisprudenza, nel pubblico impiego contrattualizzato, la graduazione della retribuzione di posizione in rapporto a ciascuna tipologia d’incarico può essere sindacata dal giudice unicamente sotto il profilo del rispetto delle regole procedimentali cui l'esercizio del potere è subordinato, nonché degli obblighi di correttezza e buona fede, i quali implicano il divieto di perseguire intenti discriminatori o ritorsivi e di determinarsi sulla base di motivazioni non ragionevoli; in tali casi, il dipendente può esercitare l’azione di esatto adempimento, al fine di ottenere la ripetizione della procedura valutativa, ovvero domandare il risarcimento del danno, non potendo il giudice sostituirsi al datore di lavoro nella formulazione del giudizio (Cass., Sez. L, n. 26615 del 18 ottobre 2019, che ha espresso questo principio, di chiara portata generale, con riferimento al personale del comparto università).
Nella specie, però, il ricorrente non ha chiesto di ripetere la procedura o il risarcimento del danno, ma direttamente l’ottenimento dell’importo di denaro reclamato.
3. Con il terzo motivo il ricorrente contesta l’omessa valutazione di un fatto decisivo per il giudizio comportante una motivazione apparente o, comunque, illogica e contraddittoria, ossia il fatto storico dell’omessa ripesatura del suo incarico dirigenziale.
3.1. La censura è inammissibile.
In primo luogo, si verte in un’ipotesi di c.d. doppia conforme, il che preclude la proposizione della doglianza ex art. 360 n. 5 c.p.c.
Inoltre, la corte territoriale ha espressamente affermato che il provvedimento del 2011 conteneva una nuova pesatura degli incarichi dirigenziali, il che esclude qualsiasi violazione concernente il profilo motivazionale.
4. Con il quarto motivo il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 112 c.p.c. e l’omessa, errata e contraddittoria valutazione su un fatto decisivo comportante una motivazione apparente, manifestamente contraddittoria e illogica, prospettando nuovamente che il provvedimento del 2011 non avrebbe contenuto una nuova pesatura degli incarichi.
4.1.La censura è inammissibile, in quanto, come sopra affermato, il giudice di appello ha accertato in concreto che il detto provvedimento conteneva una nuova pesatura degli incarichi.
In ogni caso, l’interpretazione di tale provvedimento non è stata criticata richiamando la violazione dei criteri interpretativi previsti dal codice civile, il che la rende ormai non oppugnabile.
5. Il ricorso è dichiarato inammissibile.
Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna il ricorrente a rifondere le spese di lite, che liquida in € 4.500,00 per compenso professionale e in € 200,00 per esborsi, oltre agli accessori di legge e alle spese generali nella misura del 15%.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
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