Sul silenzio assenso in materia edilizia e sulla c.d. fiscalizzazione dell’abuso edilizio
Consiglio di Stato, sezione II, 13 dicembre 2024, n. 10076 – Pres. Poli, Est. Basilico
Atto amministrativo – Silenzio assenso – Edilizia e urbanistica – Disciplina speciale – Fiscalizzazione dell’abuso – Silenzio inadempimento
Deve ribadirsi l’orientamento tradizionale per cui in materia
edilizia l’istituto del silenzio assenso non è regolato direttamente
dall’art. 20 della legge n. 241 del 7 agosto 1990, ma è soggetto a una
disciplina speciale, che ne definisce ambito e condizioni di
applicazione. D’altronde, lo stesso silenzio assenso regolato dall’art.
20 della l. n. 241 del 1990 non è un istituto di carattere generale
destinato ad applicarsi in via residuale in mancanza di una diversa
disciplina, sia perché incontra le esclusioni e preclusioni elencate nel
comma 4, sia perché la regola è quella secondo cui le pubbliche
amministrazioni hanno il dovere di concludere il procedimento con un
provvedimento espresso, a norma dell’art. 2 della l. n. 241 del 1990 e
nel rispetto dei principi di legalità e trasparenza; tale è il caso
dell’istanza ex art. 38 del d.P.R. n. 380 del 2001, che non disciplina
le conseguenze della mancata risposta dell’amministrazione
sull’eventuale istanza del privato, per cui non può formarsi il silenzio
assenso su di essa, anche alla luce della natura in realtà officiosa
del procedimento, come si desume dal tenore letterale e dalla funzione
della disposizione (1).
In motivazione, la sezione ha rilevato che, infatti, l’art. 20, comma 8
del d.P.R. n. 380 del 6 giugno 2001, da un lato esige che il diniego,
per poter inibire la formazione dell’assenso tacito, debba essere
“motivato”, dall’altro esclude che l’istituto si applichi laddove
l’immobile o l’area in cui questo si trova siano sottoposti a vincoli,
nonché quando vi siano state richieste di integrazione documentale o
istruttorie inevase. Ha soggiunto poi che, a conferma di ciò, si desume:
i) dalla disciplina in materia di silenzio assenso sull’istanza di
condono che esso si formi solo se ricorrono tutti i requisiti soggettivi
e oggettivi per l’accoglimento della stessa (cfr. artt. 31 e ss. l. n.
47 del 28 febbraio 1985, art. 39, l. n. 724 del 23 dicembre 1994 e art.
32 d.l. n. 269 del 30 settembre 2003, convertito con modificazioni in l.
n. 326 del 24 novembre 2003); ii) che sull’istanza di accertamento di
conformità, l’art. 36, comma 3 del d.P.R. n. 380 del 2001 prevede il
meccanismo del silenzio diniego. Di tal che, laddove il legislatore, in
materia edilizia, non abbia espressamente qualificato la mancata
tempestiva risposta dell’amministrazione come silenzio assenso, ovvero
come silenzio diniego, essa configura un’ipotesi di silenzio
inadempimento, rispetto alla quale il privato può tutelarsi con l’azione
di cui agli artt. 31 e 117 c.p.a. per ottenere l’accertamento
dell’obbligo di provvedere e, se ne ricorrono i presupposti, anche una
pronuncia sulla fondatezza della pretesa dedotta in giudizio.
Edilizia e urbanistica – Abuso edilizio – Fiscalizzazione – Alternativa fra sanzione pecuniaria e rimessione in pristino – Condizioni.
L’art. 38 del d.P.R. n. 380 del 6 giugno 2001 contempla tre diverse
fattispecie: (i) la prima riferibile a un titolo edilizio annullato per
un vizio di procedura emendabile e che perciò è soggetto a convalida
ordinaria; (ii) la seconda, nella quale il vizio di procedura accertato è
insanabile, ma l’opera realizzata, pur abusiva, è conforme alla
disciplina urbanistica ed edilizia, la quale, perciò, può essere
mantenuta previa applicazione di una sanzione pecuniaria, il cui
integrale versamento produce i medesimi effetti del permesso di
costruire in sanatoria; (iii) la terza, nella quale il vizio per cui è
stato annullato il titolo edilizio è di natura sostanziale, quindi
l’intervento è contrastante con la disciplina applicabile, circostanza
che preclude tanto la convalida, quanto la “fiscalizzazione” e impone il
ripristino dello stato dei luoghi. In sostanza, l’art. 38 del d.P.R. n.
380 del 2001 disciplina la convalida introducendo elementi di
specialità rispetto all’art. 21-nonies, comma 2, della legge n. 241 del 7
agosto 1990, perché, da un lato, consente la convalida del
provvedimento “annullato” – non già “annullabile” – mentre di regola la
convalida è preclusa dalla formazione del giudicato, e, dall’altro, la
limita ai vizi “di procedura” (escludendo quindi i vizi sostanziali)
(nel caso di specie, è stato rilevato il contrasto tra la destinazione
dell’immobile e la disciplina urbanistica a esso applicabile, che di per
sé esclude la “fiscalizzazione”). (2).
In motivazione, la sezione ha poi chiarito che non può condurre ad esiti
diversi la circostanza per cui nel tempo intercorso tra il rilascio del
permesso di costruire poi annullato e la presentazione dell’istanza di
applicazione di una sanzione pecuniaria in luogo della demolizione, la
disciplina urbanistica sia stata modificata. In senso contrario,
infatti, la sezione rileva che l’art. 38 del d.P.R. n. 380 del 2001 è
norma di favore che consente che si producano, in conseguenza del
pagamento di una sanzione pecuniaria, i medesimi effetti del permesso di
costruire in sanatoria di cui all’articolo 36 del d.P.R. n. 380 del
2001, pur in presenza di un bene (formalmente) abusivo, perché comunque
il titolo avrebbe dovuto essere rilasciato, stante la sostanziale
legittimità dell’opera alla disciplina urbanistica all’epoca vigente e a
cui si correla l’affidamento del privato, con la conseguenza che non
può assumere rilevanza sanante una disciplina urbanistica o edilizia
sopravvenuta, non potendo il privato logicamente confidare in una
modifica del quadro normativo che renda legittimo ciò che prima non lo
era. Ciò discende altresì dall’esigenza di evitare la riproposizione
della tesi della “sanatoria giurisprudenziale”, ossia appunto della
sanabilità dell’immobile per “conformità sopravvenuta”, che è stata
infine disattesa in mancanza di una base legale (cfr. Corte cost., 8
novembre 2017, n. 232), né depone in senso contrario il decreto legge n.
69 del 29 maggio 2024, convertito con modificazioni in legge n. 105 del
24 luglio 2024, da un lato, perché non ancora vigente al momento
dell’adozione del provvedimento impugnato, dall’altro, perché esso «non
ha inteso superare il requisito della cosiddetta “doppia conformità”, ma
ne ha circoscritto l’ambito di applicazione agli abusi edilizi di
maggiore gravità» (Corte cost., 15 luglio 2024, n. 125, in Foro it.,
2024, 10, I, 2615, con nota di C. BONA, nonché oggetto della News UM n.
88 del 16 settembre 2024).
(1) Conformi: Sulla prima parte della massima cfr. T.a.r. per il Lazio,
Roma, sez. II-bis, 26 novembre 2022, n. 15822; Cons. Stato, sez. IV, 7
gennaio 2019, n. 113; 11 aprile 2014, n. 1767.
(2) Conformi: Cons. Stato, sez. II, 9 settembre 2024, n. 7487; ad.
plen., 7 settembre 2020, n. 17, in Foro.it, 2021, 1, III, 33, con nota
di E. TRAVI; Corte cost., 11 giugno 2010, n. 209.
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