FATTO E DIRITTO
1. La sentenza impugnata ha in parte dichiarato improcedibile e in
parte rigettato il ricorso proposto dall'associazione odierna appellante
avverso l'ordinanza del 23 novembre del 2009, n. 21/2998 con la quale
il sindaco del Comune di Mandas, provincia Sud Sardegna, ai sensi degli
artt. 50 e 54 del d.lgs. n. 267 del 2000, ha ordinato l'immediata
affissione del crocifisso in tutti gli uffici pubblici presenti nel
territorio comunale, prevedendo al contempo la sanzione di euro
cinquecento a carico dei trasgressori.
La declaratoria di improcedibilità è stata pronunciata, con
riferimento ai lamentati vizi formali, in considerazione della
sopravvenuta revoca dell'ordinanza impugnata in questo giudizio,
disposta dal sindaco con il provvedimento n. 3 del 22 gennaio del 2010.
Il parziale rigetto è stato invece motivato sul rilievo che, in base
alla sentenza del 18 marzo del 2011 della Corte EDU in materia di
simboli religiosi ogni Stato membro è titolare di un margine di
apprezzamento quanto al luogo della loro esposizione, dovendosi al
contempo escludere che il crocifisso rappresenti un elemento di
indottrinamento, incompatibile, in quanto tale, con la libera
espressione del pensiero.
2. Avverso la decisione sono dedotti i seguenti motivi di appello:
a) violazione degli artt. 34 e 35 c.p.a. e dell'art. 100 c.p.c., e
del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato (art. 112
c.p.c.) con conseguente omessa pronuncia;
b) contraddittorietà ed illogicità della motivazione. Vizio di omessa pronuncia, in violazione dell'art. 112 c.p.c.;
c) violazione degli artt. 9, 14 e 53 della CEDU, ratificata e resa
esecutiva con l. n. 848 del 1955, e violazione dell'art. 74 c.p.a.;
d) riproposizione dei motivi di ricorso svolti nell'atto introduttivo
del giudizio di primo grado e non esaminati o rigettati dalla sentenza
appellata.
3. Benché ritualmente citato, il Comune di Mandas non si è costituito in giudizio.
4. Il primo motivo d'appello contesta l'erroneità della sentenza
impugnata nella parte in cui ha dichiarato l'improcedibilità del ricorso
per sopravvenuta carenza di interesse, interesse che viceversa la parte
ritiene tuttora attuale, evidenziando che: 1) la revoca, a differenza
dell'annullamento, non opera retroattivamente, a maggior ragione nel
caso di specie in cui non sono state riconosciute le ragioni
dell'appellante, ma dove l'autorità ha giustificato l'autotutela sol
perché la precedente ordinanza impositiva dell'obbligo aveva "esplicato i
suoi effetti"; 2) comunque permane l'interesse ad avere una decisione
giurisdizionale che accerti l'illegittimità del provvedimento, anche a
fini risarcitori, ai sensi dell'art. 34, comma 3, c.p.a., in relazione
ai quali la parte si riserva di procedere con autonomo giudizio.
4.1. Il motivo è fondato non tanto e non solo per quanto osservato in
merito alla diversità di effetti tra annullamento e revoca. Sotto
questo profilo, infatti, essendo venuta meno l'originaria ordinanza, la
violazione dell'obbligo è rimasta priva di sanzione, il che dimostra che
l'originaria previsione ha perso la sua natura prescrittiva con
conseguente dequotazione dell'interesse a gravarla autonomamente.
Piuttosto la fondatezza delle ragioni della parte si coglie con
riferimento alla prospettata possibilità di chiedere il risarcimento dei
danni, la cui precondizione è l'accertamento dell'originaria
illegittimità del provvedimento.
Infatti (vedasi Adunanza plenaria del Consiglio di Stato n. 8 del
2022) "per procedersi all'accertamento dell'illegittimità dell'atto ai
sensi dell'art. 34, comma 3, c.p.a., è sufficiente dichiarare di avervi
interesse a fini risarcitori posto che ai sensi dell'art. 30, comma 5,
del codice del processo amministrativo la domanda risarcitoria è
proponibile anche in seguito, nel termine previsto da quest'ultima
disposizione. Di conseguenza, "una volta manifestato l'interesse
risarcitorio, il giudice deve limitarsi ad accertare se l'atto impugnato
sia o meno legittimo, come avrebbe fatto in caso di permanente
procedibilità dell'azione di annullamento, mentre gli è precluso
pronunciarsi su una questione in ipotesi assorbente della fattispecie
risarcitoria, oggetto di eventuale successiva domanda".
Or bene, alla luce della sopra richiamata dichiarazione
dell'associazione ricorrente va senz'altro ritenuta l'attualità di un
interesse della stessa ad una pronuncia di merito sulla legittimità del
provvedimento impugnato, con conseguente riforma in parte qua della sentenza appellata.
5. Con il successivo motivo la parte appellante ha riproposto i mezzi
di impugnazione già dedotti in primo grado. In particolare, ha
nuovamente sollevato, col secondo mezzo di gravame, il vizio di
incompetenza del provvedimento impugnato, per avere il sindaco
straripato dai poteri attribuitigli dagli artt. 50 e 54 del d.lgs. n.
267 del 2000.
5.1. Il motivo è fondato.
Nel nostro ordinamento, a garanzia della sfera giuridico-patrimoniale
dei consociati, vigono il principio di legalità ed il principio di
tipicità dei provvedimenti amministrativi.
Per tale ragione, le fattispecie nelle quali la legge ammette che un
atto amministrativo possa avere contenuto atipico sono da ritenersi
eccezionali e, per tali motivi, di stretta interpretazione.
Nel caso dei poteri contingibili e urgenti attribuiti al sindaco -
che, presentando un contenuto atipico, rientrano in quest'ultima
categoria - onde ulteriormente restringerne l'operatività, il t.u.e.l.
prevede specifici requisiti per il relativo esercizio.
Il provvedimento impugnato si basa sugli artt. 50 e 54, comma 2, del d.lgs. n. 267 del 2000.
Il comma 5 dell'art. 50 ora richiamato attribuisce al sindaco, in
caso di emergenze sanitarie o di igiene pubblica a carattere
esclusivamente locale, il potere di emettere ordinanze contingibili e
urgenti quando vi sia un'"urgente necessità di interventi volti a
superare situazioni di grave incuria o degrado del territorio,
dell'ambiente e del patrimonio culturale o di pregiudizio del decoro e
della vivibilità urbana, con particolare riferimento alle esigenze di
tutela della tranquillità e del riposo dei residenti, anche intervenendo
in materia di orari di vendita, anche per asporto, e di
somministrazione di bevande alcoliche e superalcoliche...".
L'art. 54, dopo aver previsto al comma 2 che il sindaco agisce quale
Ufficiale del Governo nell'esercizio di detti poteri, prevede al comma 4
che egli "adotta con atto motivato provvedimenti, anche contingibili e
urgenti nel rispetto dei princìpi generali dell'ordinamento al fine di
prevenire e di eliminare gravi pericoli che minacciano l'incolumità
pubblica e la sicurezza urbana".
Il comma 4-bis del medesimo art. 54 prevede infine che "i
provvedimenti adottati ai sensi del comma 4 concernenti l'incolumità
pubblica sono diretti a tutelare l'integrità fisica della popolazione,
quelli concernenti la sicurezza urbana sono diretti a prevenire e
contrastare [le situazioni che favoriscono] l'insorgere di fenomeni
criminosi o di illegalità, quali lo spaccio di stupefacenti, lo
sfruttamento della prostituzione, la tratta di persone, l'accattonaggio
con impiego di minori e disabili, ovvero riguardano fenomeni di
abusivismo, quale l'illecita occupazione di spazi pubblici, o di
violenza, anche legati all'abuso di alcool o all'uso di sostanze
stupefacenti".
Il provvedimento impugnato ha giustificato la prescrizione con cui
imponeva l'esposizione del crocifisso negli uffici pubblici con
l'urgenza di "preservare le attuali tradizioni ovvero mantenere negli
edifici pubblici di questo comune la presenza del crocifisso quale
simbolo fondamentale dei valori civili e culturali del nostro paese".
All'evidenza la motivazione ora richiamata non rientra, neppure
indirettamente, in alcuno dei presupposti di fatto che avrebbero
legittimato l'esercizio del relativo potere.
E poiché oltre a quanto osservato, in tema di provvedimenti
contingibili e urgenti, "soltanto a fronte di una puntuale
rappresentazione della situazione di grave pericolo attuale, suffragata
da istruttoria e motivazione adeguate, si può giustificare l'eccezionale
deroga al principio di tipicità degli atti amministrativi ed alla
disciplina vigente, attuata mediante l'utilizzazione di provvedimenti extra ordinem"
(così C.d.S., Sez. V, 27 ottobre 2022, n. 9178), ne deriva che il
provvedimento impugnato è stato emesso in difetto di attribuzioni e che
pertanto, in accoglimento del gravame, deve ritenersi per tali ragioni
illegittimo.
5.2. Declaratoria di illegittimità che a maggior ragione va affermata
nel caso di specie - e dunque sono accoglibili anche gli altri motivi
di appello che detta illegittimità deducono - dove non risulta che il
sindaco, prima di emettere la misura, abbia effettuato alcun ragionevole
bilanciamento tra gli interessi in gioco coinvolti nella decisione
amministrativa.
Per contro, come hanno affermato, sebbene con specifico riferimento
al crocifisso affisso nelle aule scolastiche, le Sezioni unite della
Corte di cassazione tale valutazione andava esperita perché «il r.d. n.
965 del 1924, art. 118, che comprende il crocifisso tra gli arredi
scolastici, deve essere interpretato in conformità alla Costituzione e
alla legislazione che dei principi costituzionali costituisce
svolgimento e attuazione, nel senso che la comunità scolastica può
decidere di esporre il crocifisso in aula con valutazione che sia frutto
del rispetto delle convinzioni di tutti i componenti della medesima
comunità, ricercando un "ragionevole accomodamento" tra eventuali
posizioni difformi» (in questo senso la Suprema Corte, con la sentenza
n. 24414 del 9 settembre del 2021 che ha dichiarato illegittima una
circolare del dirigente scolastico che, nel richiamare tutti i docenti
della classe al dovere di rispettare e tutelare la volontà degli
studenti, espressa a maggioranza in una assemblea, di vedere esposto il
crocifisso nella loro aula, non ricerchi un ragionevole accomodamento
con la posizione manifestata dal docente dissenziente).
6. Questi motivi inducono all'accoglimento dell'appello e, per
l'effetto, a dichiarare l'illegittimità dell'ordinanza impugnata. Va
tuttavia considerato che quest'ultima è stata revocata dopo soli pochi
mesi dalla sua emanazione, dunque ha avuto un modesto impatto nella
comunità locale, il che giustifica la compensazione integrale delle
spese di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Seconda),
definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo
accoglie e per l'effetto, in riforma della sentenza di primo grado,
dichiara l'illegittimità dell'ordinanza sindacale impugnata.
Compensa le spese di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.