Stop alla sanzione di 30 euro per la mancata accettazione di pagamento con POS: Consiglio di Stato
Il Consiglio di Stato ha chiarito che non è applicabile la sanzione pari a 30 euro per commercianti o professionisti che non accettano i pagamenti con carte di debito o di credito.
Tale decisione è stata presa a seguito di una richiesta del Ministero dello Sviluppo Economico, in relazione allo schema di regolamento recante la definizione delle modalità, dei termini e degli importi delle sanzioni amministrative pecuniarie conseguenti la mancata accettazione dei pagamenti mediante carte di debito e carte di credito. Secondo il Ministero l’obbligo di accettazione dei pagamenti con carte di debito/credito può essere assimilato all’obbligo di accettazione della moneta legale “fisica”, previsto dall’art. 693 del Codice Penale secondo cui “chiunque rifiuta di ricevere, per il loro valore, monete aventi corso legale nello Stato, è punito con la sanzione amministrativa fino a euro 30”. Di conseguenza, il Ministero ritiene che in caso di violazione dell’obbligo di accettazione dei pagamenti con carte di debito/credito, trovi applicazione tale sanzione. Pur in presenza dell’obbligo per i soggetti che effettuano attività di vendita di prodotti o di prestazioni professionali di accettare la c.d. moneta elettronica, il Consiglio di Stato ritiene non applicabile la sanzione in caso di mancata installazione del pos o di mancata accettazione della carta di credito.
https://www.seac.it/
Numero 01446/2018 e data
01/06/2018 Spedizione

REPUBBLICA ITALIANA
Consiglio di Stato
Sezione Consultiva per gli Atti Normativi
Adunanza di Sezione del 24 maggio 2018
NUMERO AFFARE 00625/2018
OGGETTO:
Ministero dello sviluppo economico - Ufficio legislativo.
Schema di regolamento recante la definizione delle
modalità, dei termini e degli importi delle sanzioni amministrative
pecuniarie conseguenti alla mancata accettazione dei pagamenti mediante
carte di debito e carte di credito.
LA SEZIONE
Vista la nota di trasmissione della relazione prot. n.
7137 del 28 marzo 2018 con la quale il Ministero dello sviluppo
economico - Ufficio legislativo - ha chiesto il parere del Consiglio di
Stato sull'affare consultivo in oggetto;
visto il proprio parere interlocutorio n. 1104/2018 del 23 aprile 2018 emesso nell’adunanza del 19 aprile 2018;
vista la nota prot. n. 10260 del 10 maggio 2018 del Ministero dello sviluppo economico;
'MOTIVAZIONI'
Premesso e Premesso
1.I riferimenti
Il Ministero dello sviluppo economico, con nota numero
7137 del 28 marzo 2018, ha chiesto il parere di questo Consiglio di
Stato sullo schema di decreto del Ministro dello sviluppo economico, di
concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sentita la Banca
d’Italia, concernente il regolamento recante la definizione delle
modalità, dei termini e degli importi delle sanzioni amministrative
pecuniarie anche in relazione ai soggetti interessati, ai sensi
dell’articolo 15, comma 5, del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179,
convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221,
come modificato per effetto dell’articolo 1, comma 900, della legge 28
dicembre 2015, n. 208.
Il provvedimento è stato predisposto in attuazione dei
principi dettati dell’articolo 15, comma 45, del decreto - legge 18
ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17
dicembre 2012, n. 221 come modificato dall’articolo 1, comma 900 - 901,
della legge 28 dicembre 2015, in. 208.
In particolare, il citato art. 15, comma 4, dispone che “a
decorrere dal 30 giugno 2014, i soggetti che effettuano l’attività di
vendita di prodotti e di prestazione di servizi, anche professionale,
sono tenute ad accettare anche i pagamenti effettuati attraverso carte
di debito e carte di credito; tale obbligo non trova applicazione nei
casi di oggettiva impossibilità tecnica. Sono in ogni caso fatte salve
le disposizioni del decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231”.
Lo schema di regolamento è collegato, a livello
comunitario, con la direttiva (UE) 2015/2366/CE del Parlamento europeo e
del Consiglio del 25 novembre 2015, relativa ai servizi di pagamento
nel mercato interno, che modifica la direttiva 2002/65/CE nonché, in via
prioritaria, con il regolamento (UE) 2015/751 del Parlamento europeo e
del Consiglio del 29 aprile 2015, relativo alle commissioni
interbancarie sulle operazioni di pagamento basate su carta di debito e
carta di credito, in parte già attuato ed in parte da integrare con
l’adozione di disposizioni attuative.
Lo schema di regolamento, di carattere innovativo, ha
previsto l’estensione dell’obbligo di accettazione dei pagamenti, oltre
che con carte di debito, anche mediante carte di credito.
In precedenza la materia è stata regolata con decreto del Ministro dell’economia e delle Finanze 24 gennaio 2014.
Ai sensi dell’art. 1, comma 901, della legge n. 208/2015 “dal
1 luglio 2016 le disposizioni di cui al comma quattro degli articoli 15
del decreto legge 18 ottobre 2012, n.179, convertito, con
modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, si applicano anche alle
disposizioni di cui alla lettera f) del comma 1 dell’articolo 7 del
codice della strada di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n.
285”.
Per effetto della richiamata disposizione la
disciplina è stata estesa ai dispositivi di controllo di durata della
sosta, anche senza custodia del veicolo, ubicati nelle aree individuate
previa deliberazione della giunta comunale e destinata al parcheggio
sulle quali la sosta dei veicoli è subordinata al pagamento di una somma
da riscuotere sulla base delle tariffe stabilite in conformità alle
direttive del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti.
Il comma 5 dell’indicato articolo 15 dispone che “con
uno o più decreti del Ministro dello sviluppo economico, di concerto
con il Ministro dell’economia e delle finanze, sentita la Banca
d’Italia, vengono disciplinate le modalità, i termini e l’importo delle
sanzioni amministrative pecuniarie, anche in relazione ai soggetti
interessati, di attuazione della disposizione di cui al comma 4 anche
con riferimento alle fattispecie costituenti illecito e alle relative
sanzioni pecuniarie amministrative. Con i medesimi decreti può essere
disposta l’estensione degli obblighi ulteriori strumenti di pagamento
elettronici anche con tecnologie mobili”.
Il comma 5 bis del citato art. 15, con riferimento
all’obbligo sancito dall’art. 5 della codice dell’amministrazione
digitale di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 81 (ai sensi del
quale le pubbliche amministrazioni centrali e locali sono chiamate già
dal primo giugno 2016 a consentire agli utenti di eseguire con mezzi
elettronici pagamento di quanto a qualsiasi titolo dovuto alla pubblica
amministrazione) stabilisce che, per il conseguimento degli obiettivi di
razionalizzazione e contenimento della spesa pubblica in materia
informatica, e al fine di garantire omogeneità dell’offerta ed elevati
livelli di sicurezza, “le amministrazioni pubbliche devono avvalersi
delle attività di incasso e pagamento della piattaforma tecnologica di
cui all’articolo 81, comma 2 bis, del decreto legislativo 7 marzo 2005,
n. 82 e delle piattaforme d’incasso e pagamento dei prestatori di
servizi di pagamento abilitati ai sensi dell’articolo 5, comma 3, del
decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82”.
L’articolo 693 del codice di procedura penale,
individuato dal Ministero richiedente come norma di riferimento ai fini
della individuazione della sanzione applicabile, depenalizzato per
effetto dell’articolo 33, comma 1, lettera a), della legge 24 novembre
1981, n. 689, dispone che “chiunque rifiuta di ricevere, per loro,
monete aventi possono dallo Stato, è punito con la sanzione
amministrativa fino a € 30”.
Lo schema di decreto in esame è corredato dalla
relazione illustrativa, dalla relazione tecnica normativa (A.T.N.) e
dall’analisi dell’impatto della regolamentazione (A. I. R.).
Il Ministero dell’economia e delle finanze, con nota
protocollo n. 669 del 2 marzo 2018, ha espresso il formale concerto
sullo schema di decreto in esame.
La Banca d’Italia, sentita sullo schema di
regolamento, con nota 77471/17 del 23 gennaio 1007, ha formulato proprie
osservazioni.
2. Le indicazioni della relazione di accompagnamento.
In via prioritaria è stato evidenziato che l’adozione
del provvedimento assume particolare rilievo nella misura in cui la
previsione di specifiche sanzioni comminate in caso di mancata
accettazione di pagamenti tramite carta di debito e carta di credito
consente di rendere effettivo ed efficace tale obbligo.
D’altra parte, la precedente disciplina pur prevedendo
l’obbligo del possesso da parte dei soggetti beneficiari degli
strumenti in grado di consentire il pagamento tramite carta di debito e
il conseguente obbligo di consentirne l’utilizzo agli utenti, non
prevedeva alcuna sanzione in caso di mancata installazione del POS
ovvero di mancata accettazione della carta di debito.
Tale carenza ha determinato, finora, la mancata
applicazione dello specifico obbligo vanificando, di fatto, la
previsione legislativa.
In tal modo è “risultata inevitabilmente poco
limitata la possibilità di conseguire la finalità prioritaria di tale
intervento normativo, ossia la diminuzione dell’uso del contante che,
come già evidenziato, comporta costi della collettività derivanti dalla
minore tracciabilità delle operazioni e dal conseguente maggior rischio
di elusione della normativa fiscale e antiriciclaggio, e per gli
esercenti, derivanti sia dalla gestione del contante sia dall’incremento
del rischio di essere vittime di reati”.
La relazione, inoltre, correttamente sottolinea che la
norma primaria, nel rinviare al decreto attuativo la predisposizione
della disciplina in materia di modalità, termini e importo delle
sanzioni amministrative pecuniarie, anche in relazione ai soggetti
interessati, non ha fornito criteri e limiti specifici quali: importo
minimo massimo, indicazione dell’autorità competente ad irrogare la
sanzione, procedure applicabili.
Chiarisce, altresì, che la riserva di legge esistente
in materia sanzionatoria (sancita a livello costituzionale per la
materia penale e confermata dalla sua generale applicazione anche in
materia di sanzioni amministrative dell’articolo 1 della legge 24
novembre 1981, numero 689), ha indotto il Ministero a “propendere per
un’interpretazione più limitata di tale delega, coerente con il dettato
costituzionale, come volta piuttosto ad individuare la sanzione
applicabile fra quelle vigenti”.
Si è ritenuto, pertanto, di fare “riferimento a
quanto disposto dall’ordinamento nazionale vigente, e nello specifico a
quanto disposto dall’art. 693 codice penale” piuttosto che prevedere direttamente una nuova.
Il Ministero evidenzia, poi, che l’obbligo di
accettazione dei pagamenti con carte di debito e carta di credito possa
essere assimilato all’obbligo di accettazione della moneta legale
“fisica” per cui ha ritenuto, nella predisposizione dello schema di
regolamento in esame, di far riferimento, quale parametro normativo
esistente, a quanto previsto dall’ordinamento nazionale vigente, e nello
specifico, al dettato di cui all’articolo 693 codice penale che
disciplina l’ipotesi di rifiuto di accettazione di monete aventi corso
legale e, quindi, alle prescrizioni complessive attualmente applicabili.
Conseguentemente, in caso di violazione dell’obbligo
di accettazione dei pagamenti con carta di debito e carta di credito
troverebbe applicazione la sanzione di euro 30 come rivalutata per
effetto degli articoli 38, primo comma, 113 primo comma, e 114, primo
comma, della legge 24 novembre 1981, ente. 689.
Infine, la relazione sostiene che debba trovare
applicazione, come effetto liberatorio, il pagamento in misura ridotta,
ai sensi dell’articolo 16 della stessa legge n. 689/1981, pari a un
terzo del massimo della sanzione edittale prevista per la commessa
violazione.
La sanzione è stimata, comunque, “in grado di rispondere con margini di efficacia al disposto di cui alla norma primaria”,
quantomeno nella prima fase di applicazione, in quanto sarebbe
determinata non solo in relazione all’importo di 30 euro ex art. 693 c.
p., che costituisce parametro basilare di riferimento, ma anche “in relazione al numero di pagamenti rifiutati”.
3. Le finalità dello schema di regolamento.
La tracciabilità dei flussi finanziari si pone come
momento centrale sia per la lotta al riciclaggio sia per la repressione
dell’evasione fiscale. Ne consegue che, grazie anche alla innovazione
tecnologica, uno degli effetti derivanti dalla trasformazione digitale,
che si pone come pilastro di rinnovamento delle infrastrutture
tecnologiche, riguarda i pagamenti e comporta la riduzione delle
transazioni in contanti a favore di quelle elettroniche.
È di tutta evidenza che l’incremento dei pagamenti con
moneta elettronica all’interno di ciascun Paese, nel consentire la
tracciabilità dei flussi finanziari, agevoli, almeno in parte,
l’emersione dell’economia sommersa con evidenti benefici sia per la
riduzione della pressione fiscale sia per garantire una reale
correttezza della concorrenza.
Al riguardo, sono state adottate numerose iniziative
per incentivare l’utilizzo di strumenti di pagamento alternativi al
contante, sia a livello europeo che nazionale, tanto da fissare, da
ultimo, in euro 1.000 il limite massimo di accettazione dei pagamenti in
contanti; il provvedimento, pertanto, nel favorire l’utilizzo di
strumenti di pagamento elettronici, si pone l’obiettivo di promuovere lo
sviluppo di un mercato concorrenziale dei servizi di pagamento nonché
di pervenire ad una regolamentazione che, minimizzando al massimo
ipotetici effetti distorsioni della concorrenza, abbia riguardo anche ai
costi connessi all’attuazione dell’obbligo della istallazione del POS,
per assicurare una riduzione delle commissioni a carico degli esercenti
in relazione alle transazioni effettuate mediante carte di debito e
carte di credito.
4. La scheda AIR
Il Consiglio di Stato ha sottolineato in più occasioni
(cfr. parere Sez. consultiva atti normativi 24 febbraio 2016, n. 515;
n. 298/2018 del 5 febbraio 2018; n. 635 del 14 marzo 2018) la rilevanza
cruciale della fase attuativa di ogni nuova normativa e della relativa
fase di monitoraggio.
Si segnala in proposito che, anche in questa
occasione, sussisterebbe la necessità di un’azione di costante
monitoraggio del funzionamento delle norme regolamentari volta a
verificarne l’idoneità a perseguire, in concreto, gli obiettivi fissati:
ciò renderebbe necessaria anche una verifica di impatto successiva
all’entrata in vigore delle nuove norme regolamentari così da
identificare (e subito ridurre) eventuali oneri di comprensione,
interpretazione, pratica applicazione da parte di tutti i destinatari
nonché per prevenire il possibile contenzioso con interventi correttivi o
di chiarimento.
Tale esigenza si manifesta, in particolare nel caso di
specie, sotto differenti aspetti: verifica della effettiva deterrenza
dell’applicazione della sanzione; monitoraggio del comportamento
antigiuridico tenuto da imprese e professionisti obbligati alla
installazione del POS.; corretta applicazione della normativa; eventuale
contenzioso con riferimento sia alla competenza ad irrogare la sanzione
sia alla sua entità.
Difatti, la VIR, e in generale il monitoraggio, sono indispensabili per due ragioni:
- da un lato, per verificare se il nuovo provvedimento
ha effettivamente raggiunto gli obiettivi attesi, ed, in particolare,
incrementato dei pagamenti effettuati con moneta elettronica (carte di
debito e carte di credito);
- dall’altro, per predisporre su una base istruttoria
seria e “quantitativamente informata” i più efficaci interventi
integrativi e correttivi che, verosimilmente, considerata la rilevanza
della materia, potrebbero rendersi necessari anche a breve distanza
dall’entrata in vigore dello schema di regolamento in esame.
Nel caso in esame, la scheda A.R. è all’altezza dei
propri compiti. La immediata pubblicazione del decreto, poi, sul sito
del Ministero dello sviluppo economico e del Ministero dell’economia e
delle Finanze sarebbero, poi, sufficienti ad assicurare con la dovuta
tempestività i destinatari del provvedimento.
5. Le integrazioni del Ministero,
La Sezione, avendo ravvisato la mancanza di copertura
costituzionale nella soluzione prospettata dal Ministero, per i motivi
integralmente richiamati nel successivo par. 6, con parere
interlocutorio n. 1104/2018 del 23 aprile 2018, al fine di emettere il
parere richiesto, riteneva necessario “che il Ministero riferente
inoltri a questo Consiglio di Stato una compiuta relazione prospettando
le soluzioni ritenute possibili per superare gli evidenziati profili di
incostituzionalità della delega”.
Il citato Dicastero, con nota prot. n. 10260 del 10 maggio 2018, ha fornito ulteriori elementi di valutazione.
Innanzitutto, ha rilevato che, per effetto del disposto dell’art. 15, comma 4 e 5, del d. l. n. 179/2012 “il
legislatore ha, da un lato, equiparato l’obbligo di accertare pagamenti
attraverso carte di debito e carte di credito all’obbligo di accettare
monete aventi corso legale, dall’altro (comma 4) ha esplicitato la
volontà normativa di prevedere una sanzione specificando
l’individuazione tipologica della natura della stessa all’interno delle
“sanzioni amministrative pecuniarie” con l’annessa determinazione degli
aspetti procedurali e dell’autorità competente, desumibili direttamente
dalla legge n. 689 del 1981”.
E’ stato chiarito, poi, che l’Amministrazione ha “proceduto
a redigere il testo sulla base di una lettura sistematica e complessiva
delle norme ed in particolare analizzando le vigenti fattispecie
sanzionatorie sul presupposto dell’equiparazione, disposta con norma
primaria della mancata accettazione delle carte di pagamento alla
mancata accettazione della carta moneta”.
In particolare, è stato seguito l’indirizzo giurisprudenziale secondo il quale “il
principio di tipicità e di riserva di legge fissato dall’art. 1 della
legge n. 689 del 1981 impedisce che l’illecito amministrativo e la
relativa sanzione siano introdotti direttamente da fonti normative
secondarie, ma non esclude che i precetti di legge, sufficientemente
individuati, siano etero integrati da norme regolamentari, in virtù
della particolare tecnicità della dimensione in cui le fonti secondarie
sono destinate ad operare”.
In sostanza, si è ritenuto, sulla scorta anche
dell’orientamento della Corte di cassazione (Sez. 1, sent. 2 marzo
2016, n. 4114), di poter individuare “il riferimento alle fattispecie costituenti illecito e alle relative sanzioni pecuniarie amministrative” nell’ambito “di quelle già presenti nell’ordinamento giuridici, tenendo conto del carattere relativo della riserva di legge”.
In conclusione, in considerazione anche dell’assimilazione della “moneta avente corso legale nello Stato con la moneta bancaria” (C. Cassazione, sezioni unite, sent. 18 dicembre 2007, n. 26617) e “sulla base di tali presupposti fattuali e normativi” la misura sanzionatoria “è stata individuata con quella prevista dall’art. 693 c.p.”.
6. Generazioni generali
6.1 La Sezione è perfettamente consapevole che la
lotta al riciclaggio ed il contrasto alla evasione ed elusione fiscale
non possa prescindere dalla tracciabilità dei flussi finanziari. In tale
ottica, l’attuazione della direttiva (UE) 2015/ 849, del Parlamento
europeo e del Consiglio del 20 maggio 2015, relativa alla prevenzione
dell'uso del sistema finanziario a fini di riciclaggio o finanziamento
del terrorismo internazionale, segna certamente un significativo passo
avanti.
Inoltre, nonostante le significative modifiche alla
vigente disciplina del settore, allineando la normativa nazionale alle
più recenti disposizioni introdotte dall’Unione Europea e dalle
raccomandazioni GAFI, restano ancora taluni profili meritevoli di essere
disciplinati con norme primarie in quanto i danni prodotti dal
riciclaggio e dall’evasione, nonostante siano fenomeni ampiamente noti
da sempre, richiedono una revisione degli strumenti giuridici
disponibili per un più rigoroso contrasto alla crescente
diversificazione del mercato criminale.
D’altra parte, sebbene si registri una convergenza
pressoché totalitaria di tutti i Paesi ad economia avanzata, il fenomeno
è ancora lontano se non dall’essere completamente debellato, quanto
meno ricondotto entro limiti non pregiudizievoli per lo sviluppo
dell’economia legale.
Di qui la necessità di procedere all’adeguamento della
disciplina interna agli orientamenti degli Organismi sovranazionali per
introdurre misure che consentano di migliorare il sistema di
prevenzione e contrasto.
In tale ottica, "l’approccio basato sul rischio" – di
indicazione comunitaria - non rappresenta soltanto una scelta
metodologica rimessa esclusivamente alla volontà dei soggetti preposti
al ripristino della legalità, bensì lo strumento fondamentale per
consentire, attraverso il processo di valutazione, l'adozione di
procedure e strumenti in grado di riconoscere e mitigare il rischio
stesso.
E’ parimenti evidente, però, quantunque le indicazioni
comunitarie costituiscano una rilevante e qualificata base comune, che
le specificità dei singoli Stati Membri nonché di quelli aderenti agli
Organismi internazionali (ad esempio, GAFI, OCSE) impongono, a livello
di ciascun Paese, la individuazione di misure specifiche che tengano
conto dei rischi – variamente diversificati da Paese a Paese - cui sono
esposti al fine di adeguarle alle proprie caratteristiche.
6.2. L’obiettivo di una efficace lotta al riciclaggio,
all’evasione e all’elusione fiscale – da incentivare attraverso la
completa perimetrazione del quadro giuridico di riferimento, anche
mediante la sua omogeneizzazione – deve, però, necessariamente essere
conseguito con l’adozione di provvedimenti rispettosi, sotto l’aspetto
formale e sostanziale, dei principi fondamentali dell’ordinamento
giuridico.
Come già evidenziato, l’assenza di un’esplicita
previsione legislativa di taluni parametri necessari per la
individuazione degli elementi essenziali ai fini della individuazione
della sanzione da irrogare (natura giuridica, entità, competenza alla
sua irrogazione, ecc.) ha indotto il Ministero dello sviluppo economico a
prospettare come unico riferimento normativo “assimilabile” al rifiuto
di accettazione di pagamenti con carte di debito e carte di credito la
condotta considerata dall’articolo 693 c.p. e conseguente applicazione,
in via estensiva, della sanzione ivi prevista sulle base delle
motivazioni innanzi richiamate.
Trattasi di uno sforzo certamente apprezzabile
nell’ottica di dare attuazione ad una delega finalizzata ad introdurre
le auspicate misure di contrasto a comportamenti evasivi ampiamente
diffusi ma certamente non condivisibile sul versante strettamente
giuridico.
6.3. Ai fini della sostenibilità della menzionata
scelta, invero, non può prescindersi dalla verifica della sua
compatibilità con riferimento, innanzitutto, all’art. 23 della
Costituzione il quale prevede che “nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge”.
In merito, nell'intento di precisare gli essenziali
elementi per individuare le prestazioni patrimoniali imposte che
giustificano la garanzia della riserva di legge prevista dall'art. 23
della Costituzione ed i conseguenziali limiti alla discrezionalità della
pubblica amministrazione, la giurisprudenza costituzionale aveva
originariamente fatto riferimento solo alla natura autoritativa
dell'atto che costituisce la prestazione, in quanto tale emesso
indipendentemente dalla volontà del soggetto passivo.
Tale orientamento è stato successivamente ampliato per
cui la natura di prestazione imposta è stata individuata anche nelle
ipotesi in cui la prestazione stessa, pur nascendo da un contratto
privatistico volontariamente stipulato dall'utente col titolare del bene
o del servizio, e quindi dando luogo ad un rapporto negoziale di
diritto privato, si riferisca ad un "servizio che, in considerazione
della sua particolare rilevanza, venga riservato alla mano pubblica e
l'uso di esso sia da considerare essenziale ai bisogni della vita", sicché
"il cittadino è libero di stipulare o non stipulare il contratto, ma
questa libertà si riduce alla possibilità di scegliere fra la rinunzia
al soddisfacimento di un bisogno essenziale e l'accettazione di
condizioni e di obblighi unilateralmente e autoritativamente prefissati" (Corte Costituzionale, 10 giugno 1994, n. 236).
In merito alla portata della richiamata noma
costituzionale, la Sezione è consapevole che la giurisprudenza della
Corte costituzionale ha fornito una interpretazione della nozione di
“prestazione patrimoniale imposta” in senso estensivo prevedendo che il
carattere della riserva di legge è rispettato anche in assenza di una
espressa indicazione legislativa dei criteri, dei limiti e controlli
sufficienti a delimitare l’ambito di discrezionalità
dell’amministrazione, purché gli stessi siano desumibili in qualche modo
quali, ad esempio, destinazione della prestazione, carattere del
sistema procedimentale, funzionamento dell’autorità competente, ecc.
Ed invero, ai fini dell'individuazione delle “prestazioni patrimoniali imposte”
non costituiscono elementi determinanti, ma secondari e supplementari,
le formali qualificazioni delle prestazioni, la fonte negoziale o meno
dell'atto costitutivo, il dato empirico dell'inserimento di obbligazioni
ex legge in contratti privatistici, nonché la maggiore o minore valenza
sinallagmatica delle rispettive prestazioni.
Ai predetti fini va, invece, riconosciuto un peso
decisivo agli aspetti pubblicistici dell'intervento delle autorità, ed
in particolare alla disciplina della destinazione e dell'uso di beni o
servizi, per i quali si verifica che, in considerazione della loro
natura giuridica, della situazione di monopolio pubblico o della
essenzialità di alcuni bisogni di vita soddisfatti da quei beni o
servizi, la determinazione della prestazione sia unilateralmente imposta
con atti formali autoritativi che, incidendo sostanzialmente sulla
sfera dell'autonomia privata, giustificano la previsione di una riserva
di legge.
Tuttavia, se è incontestabile che la riserva di legge
di cui all'art. 23 della Costituzione abbia carattere relativo, nel
senso che lascia all'autorità amministrativa consistenti margini di
regolazione delle fattispecie, va rilevato tale circostanza "non
relega la legge sullo sfondo, né può costituire giustificazione
sufficiente per un rapporto con gli atti amministrativi concreti ridotto
al mero richiamo formale ad un prescrizione normativa in bianco,
genericamente orientata ad un principio-valore, senza una precisazione,
anche non dettagliata, dei contenuti e modi dell'azione amministrativa
limitativa della sfera generale di libertà dei cittadini" (Corte Costituzionale, sent. 7 aprile 2011, n. 115).
Inoltre, per orientamento consolidato della Corte
Costituzionale, l'espressione "in base alla legge", contenuta nell'art.
23 della Costituzione , si deve interpretare "in relazione col fine
della protezione della libertà e della proprietà individuale, a cui si
ispira tale fondamentale principio costituzionale"; questo principio "implica
che la legge che attribuisce ad un ente il potere di imporre una
prestazione non lasci all'arbitrio dell'ente impositore la
determinazione della prestazione" (Corte. Costituzionale sent. 26 gennaio 1957, n. 4).
Lo stesso orientamento è stato ribadito in tempi
recenti allorquando la Corte ha affermato che, per rispettare la riserva
relativa di cui all'art. 23 della Costituzione, è quanto meno
necessaria la preventiva determinazione di "sufficienti criteri direttivi di base e linee generali di disciplina della discrezionalità amministrativa" richiedendo, in particolare, che "la
concreta entità della prestazione imposta sia desumibile chiaramente
dagli interventi legislativi che riguardano l'attività
dell'amministrazione" Corte Costituzionale, sent. 26 ottobre 2007, n. 350).
È necessario ancora precisare che la formula
utilizzata dall'art. 23 della Costituzione unifica nella previsione i
due tipi di prestazioni "imposte"» e «conserva a ciascuna di esse la sua autonomia», estendendosi naturalmente agli «obblighi coattivi di fare».
Si deve aggiungere che l'imposizione coattiva di
obblighi di non fare rientra ugualmente nel concetto di "prestazione",
in quanto, imponendo l'omissione di un comportamento altrimenti
riconducibile alla sfera del legalmente lecito, è anch'essa restrittiva
della libertà dei cittadini, suscettibile di essere incisa solo dalle
determinazioni di un atto legislativo, direttamente o indirettamente
riconducibile al Parlamento, espressivo della sovranità popolare (Corte
cost., sent., 7 aprile 2011, n. 115).
6.4. Il principio di legalità è ribadito anche dall’art. 1 della legge 24 novembre 1981, n. 689 secondo cui “nessuno
può essere assoggettato a sanzioni amministrative se non in forza di
una legge che sia entrata in vigore prima della commissione della
violazione.
Le leggi che prevedono sanzioni amministrative si applicano soltanto nei casi e per i tempi in esse considerati”.
La giurisprudenza, anche amministrativa, ha avuto modo
più volte di precisare che allorché, con la legge 24 novembre 1981, n.
689, il legislatore ha dettato una disciplina unitaria per tutte le
sanzioni amministrative, mutuando la maggior parte delle norme generali
dai principi generali del diritto penale, ha sancito il principio di
legalità, secondo il quale nessuno può essere assoggettato a sanzioni
amministrative se non in forza di una legge che sia entrata in vigore
prima della commissione della violazione (da ultimo, Consiglio di Stato,
Sez. VI, sent., 4 aprile 2017, n. 1566), ancorché abbia considerato un
solo aspetto della irretroattività e cioè quello della norma
incriminatrice che sia entrata in vigore successivamente alla
commissione dell'illecito.
Tale conclusine non può essere, ovviamente, superata
richiamando l’orientamento della giurisprudenza, anche amministrativa,
secondo cui, “in sede di applicazione dell'art. 1 della legge n.
689/1981, per le sanzioni amministrative non può trovare applicazione la
regola del favor rei” (Cass. civ. 17 agosto 1998, n. 8074, Consiglio di Stato, sez. V, sent. 29 aprile 2000, n. 2544).
Proprio la formulazione del richiamato art. 1
rafforza, invece, non solo l’applicazione del principio di legalità ma
anche quello del divieto dell’applicazione dell’analogia in materia di
sanzioni (penali ed amministrative) di cui all’art. 1 del codice penale.
6.5. Muovendo dalle considerazioni che precedono la
Sezione ritiene che l’art. 15, comma 5, del decreto legge 18 ottobre
2012, n. 179 non sia rispettoso del principio costituzionale della
riserva di legge in quanto carente di qualsiasi criterio direttivo,
sostanziale e procedurale.
D’altra parte, la mancanza di copertura costituzionale
è, sia pure indirettamente, riconosciuta dallo stesso Ministero nella
sua relazione laddove afferma che dubita che la individuazione della
sanzione sia “legittimamente delegata ad un atto secondario la
facoltà di introdurre nuove sanzioni in assenza di precisi criteri
direttivi già contenuti nella norma primaria”.
La Sezione, non solo condivide tale rilievo, ma
ritiene di doverlo estendere ulteriormente anche con riferimento alla
soluzione prospettata dal citato Dicastero in quanto anche la
individuazione per analogia di una sanzione – nel caso specifico quella
prevista dall’art. 693 c.p. - configuri una precisa ed insuperabile
violazione al principio della riserva di legge (oltre che del divieto di
applicazione dell’analogia ai fini della individuazione della
sanzione).
L’art. 15, comma 4, del d.l. n. 179/2012 indubbiamente
enuncia, in modo chiaro, la condotta antigiuridica dei soggetti che
effettuano l’attività di vendita di prodotti e di prestazioni, anche
professionali, consistente nell’obbligo di accettare, a saldo del
rapporto giuridico, la moneta elettronica.
Parimenti, il successivo comma 5, enuncia chiaramente i
contenuti della delega (determinazione delle modalità, dei termini e
dell’importo delle sanzioni).
Il Collegio, tuttavia, ritiene che la specificazione
di tali elementi non sia sufficiente a soddisfare il vincolo
costituzionale in materia di riserva di legge di cui all’art. 23 della
Costituzione, ancorché di carattere pacificamente relativo.
Tale caratteristica, invero, esige che la legge debba
prevedere (soltanto) gli elementi essenziali della fattispecie che
concorrono ad identificare la prestazione demandando, per contro, alle
norme regolamentari la individuazione degli elementi non essenziali o
secondari, fermo restando la specificazione di criteri e principi
direttivi atti a orientare, delimitare e controllare in modo adeguato le
determinazioni discrezionali adottabili in sede di completamento della
disciplina.
Il Collegio ritiene che nel caso specifico, da un
lato, la determinazione dell’entità della sanzione costituisca un
elemento essenziale della fattispecie non integrabile su base
regolamentare (non essendo sufficiente indicare il solo carattere
amministrativo della sanzione); dall’altro, difettano anche i menzionati
criteri e principi direttivi cui deve attenersi il potere esecutivo in
sede di completamento della disciplina.
Il lodevole tentativo di dare attuazione alla delega
facendo riferimento alla sanzione di cui all’art. 693 c.p. (prescindendo
dall’asserita equiparazione della moneta elettronica a quella legale,
in assenza di una previsione legislativa in tal senso) non può essere
condiviso in quanto tale disposizione, ancorché depenalizzata, tutela un
differente interesse.
Invero, l’obbligo di accettare il pagamento con carte
di debito e carte di credito non è finalizzato alla tutela della moneta
legale bensì alla tracciabilità dei flussi finanziari connessi
all’effettuazione di cessioni di beni e prestazioni di servizio quale
misura di contrasto all’evasione e al riciclaggio, e tale obbiettivo il
Legislatore ha inteso perseguire introducendo una legittima regolazione
dei meccanismi del libero mercato che è del tutto avulsa dalla
surrettizia introduzione di un nuovo tipo di moneta.
Tali finalità impongono comunque la individuazione di
una sanzione quale conseguenza di inadempimento di un obbligo
legittimamente imposto ai soggetti che effettuano l’attività di vendita
di prodotti e di prestazioni di servizi, obbligo, che, si ripete per
chiarezza, ha attinenza alla regolazione del mercato e non della moneta.
Questo Consiglio di Stato, ritiene, pertanto, che la sanzione
eventualmente applicabile in caso di violazione dell’obbligo di cui
all’art. 15, comma 4, del d. l. n. 189/2012 debba essere ricercata
all’interno dell’ordinamento giuridico che disciplina le attività
commerciali e professionali. In altri termini, nel caso in esame
potrebbe trovare applicazione una già esistente norma di chiusura,
prevista dal vigente quadro giuridico di riferimento, che sanzioni un
inadempimento di carattere residuale. Che contempli, cioè, qualsiasi
altra violazione di adempimenti legittimamente imposti nell’esercizio
della arte, commercio o professione. Ed in tal senso è opportuno che il
ministero prontamente si orienti per dare attuazione al ripetuto art. 15
che, allo stato, rimane inattuato.
7. Conclusivamente, in considerazione di quanto sin
qui esposto, nei termini e con le osservazioni sopra indicati, la
Sezione esprime parere contrario a che lo schema di decreto ministeriale
prosegua il suo corso.
P.Q.M.
nelle considerazioni esposte in motivazione è il
parere non favorevole della Sezione a che lo schema di decreto
ministeriale prosegua il suo corso.
L'ESTENSORE | IL PRESIDENTE | |
Saverio Capolupo | Claudio Zucchelli | |
IL SEGRETARIO
Cinzia Giglio