I verbali della P.L. per l'occupazione abusiva sono atti infraprocedimentali e fuori ambito giurisdizionale

Interessante sentenza del TAR Lazio, che mette dei paletti invalicabili. Ma vediamo succintamente cosa dice.

Ad una società viene notificata l'ordinanza ingiunzione di chiusura dell'attività di somministrazione di alimenti e bevande e ripristino immediato dello stato dei luoghi, a seguito accertamento di violazione effettuato dalla P.L., svolto ai sensi dell'art. 20 del C.d.S., per occupazione abusiva.

Detta società impugna il provvedimento de quo, ma nel contempo, impugna pure i verbali di accertamento della violazione, chiedendone la NULLITA' degli stessi, per carenza d'istruttoria e quant'altro.
Il Tar afferma, invece, "l’inammissibilità delle doglienze in quanto aventi ad oggetto meri atti infraprocedimentali rispetto alla adozione della impugnata determina recante l’ordine di rimozione della occupazione abusiva e il ripristino. Inoltre, occorre comunque rilevare che l’impugnazione dei verbali di accertamento di violazione del Codice della strada, qualora intesi come atti di contenzione della sanzione amministrativa pecuniaria, è estranea all’ambito di giurisdizione di questo giudice, trattandosi di violazioni di norme del Codice della strada, disciplinate con la legge n. 689 del 1981, secondo il regime delle opposizioni, e la loro cognizione è affidata, pertanto, alla giurisdizione del giudice ordinario (giudice di pace)".
Il resto della sentenza, è normale prassi:
"Ne consegue, che l’impugnata determinazione si regge su congruenti presupposti di fatto, come accertati dalla Polizia locale, che hanno determinato la correttezza dell’adozione della stessa da parte dell’Amministrazione alla luce della normativa regolamentare in materia di occupazione di suolo pubblico e dell’art. 3, comma 16 della legge n. 94 del 2009...."


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Pubblicato il 17/03/2017

N. 03634/2017 REG.PROV.COLL.
N. 02267/2016 REG.RIC.



REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Seconda Ter)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2267 del 2016, proposto da:
Società Gesar Srl, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall'avvocato Francesco Mancini, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, viale del Lido, 78;


contro

Roma Capitale, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall'avv. Alessandro Rizzo, domiciliata in Roma, via Tempio di Giove, 21;
Roma Capitale - Municipio I non costituito in giudizio;


per l'annullamento

della determinazione dirigenziale CA/49/2016 recante l'ingiunzione alla chiusura dell'attività di somministrazione di alimenti e bevande e ordine di immediato ripristino dello stato dei luoghi per il locale sito in via del foro di Traiano n. 1/b.


Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Roma Capitale;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 24 gennaio 2017 la dott.ssa Maria Laura Maddalena e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1, La società indicata in epigrafe riferisce di gestire, in virtù di contratto di affitto di azienda, a seguito di subingresso comunicato in data 26.6.2015, il ristorante "Ulpia" situato nei locali, condotti in locazione facenti parte dello stabile condominiale denominato "Palazzo di Foro Traiano n. 1" e siti in Roma, Piazza del Foro Traiano n.2, 3, 4.

Essa svolge la propria attività nella porzione di fabbricato, costituita dal piano sotterraneo, dal piano seminterrato e dal piano terreno del suddetto immobile, senza aver posto alcun cambiamento dello stato dei luoghi.

Espone la ricorrente che all'esterno dell'entrata principale del ristorante insiste una tenda in tela (condonata) che copre una superficie su cui sono collocati in modo temporaneo alcuni tavolini ad uso degli avventori e che l'immobile in cui viene svolta l'attività è stato dichiarato di interesse particolarmente importante e sottoposto alla disciplina della tutela dei beni culturali (provvedimento MIBAC 15 marzo 2007).

Riferisce che la polizia locale ha effettuato un sopralluogo sull' area in questione e che, con verbale n. 14140089143 - oggetto di ricorso al Prefetto -, ha accertato la violazione dell'art. 20 del codice della strada, per occupazione del suolo pubblico, senza essere in possesso della relativa concessione, con una struttura costituita da pedana, tavoli e sedie, pannellature, banco frigo, elementi di illuminazione ed una tenda per una superficie di mq. 64,80.

In data 29.1.2016, a seguito di tale verbale, è stata notificata la determinazione dirigenziale in data 19.11.2015 con cui è stata ordinato alla società la rimozione dell'occupazione abusiva del suolo pubblico nonché la chiusura dell'esercizio per un periodo pari a 5 giorni con decorrenza dal settimo giorno successivo alla notifica fino al completo ripristino dello stato dei luoghi.

Avverso tale determinazione dirigenziale nonché gli altri atti indicati in epigrafe la società ha proposto ricorso deducendo i seguenti motivi di impugnazione:

1) carenza di legittimazione e di interesse ad essere destinataria dei provvedimenti impugnati, violazione degli artt. 2561 e 2562 c.c. dell’art. 3 l. 689/81 in quanto la ricorrente è mera conduttrice dell’azienda, di proprietà del Gruppo Fran.gia. s.r.l. in liquidazione.

2) Violazione e falsa applicazione dell'art. 18 del d.lgs n. 42/2004. Incompetenza in quanto l'immobile nel quale la ricorrente svolge la propria attività commerciale è stato dichiarato dal MIBAC, con provvedimento in data 15 marzo 2007, di interesse particolarmente importante e sottoposto alla disciplina specifica di tutela, così autorizzandosi l'apposizione di insegne sulla predetta tenda. Il provvedimento di ripristino dello stato dei luoghi risulterebbe inoltre adottato da soggetto incompetente, attesa la competenza esclusiva del MIBAC una volta che il locale sia stato sottoposto a tutela.

3) nullità del verbale di accertamento della violazione; violazione di legge con riferimento all' art. 20 del codice della strada, all' art. 3, comma 16 legge n. 94/2009 nonché all' ordinanza sindacale n. 258/2012. Eccesso di potere per insussistenza dei presupposti di fatto e di diritto, per carenza di istruttoria e per contraddittorietà, anche rispetto a precedenti provvedimenti del' Amministrazione,

in quanto il verbale è stato notificato due volte con due diverse descrizioni del fatto storico costituente per l’amministrazione capitolina occupazione abusiva.

4) eccesso di potere per errore sui presupposti di fatto e diritto, violazione dell'art. 3, comma 16 legge n. 94/2009 in quanto la società Fran.gia. s.r.l. versa canoni di concessione COSAP per “pensiline, tettoie sovra suolo”, per le quali peraltro non sarebbe necessaria alcuna concessione di OSP essendo essa esclusa dall’art. 2, lett. c) del regolamento COSAP, riguardante le occupazioni realizzate mediante balconi, verande, volume finestrato e simili infissi.

5) violazione di legge con riferimento all' art. 20 del codice della strada, all' art. 3, comma 16 legge n. 94/2009 nonché all' ordinanza sindacale n. 258/2012, per le seguenti ragioni:

A) Insussistenza del presupposto della occupazione di suolo pubblico e di sede stradale: non sarebbe stata fornita alcuna prova dell'effettiva natura pubblica della parte di suolo occupata dalla ricorrente, risultando generico il richiamo al provvedimento pontificio, in assenza di altri elementi e indici di riferimento ai fini della qualificazione della strada con destinazione pubblica. L' area in questione non consisterebbe in una strada, ma in area adiacente allo stabile condominiale priva di sbocchi ed esclusa dal pubblico passaggio (elementi che confermerebbero l' estraneità dell' area alla toponomastica del Comune).

Inoltre, l’area in parola è stata oggetto di domanda di concessione in sanatoria, nel 1986, con riferimento alla installazione del tendone in plastica e stoffa. Tale sanatoria legittimerebbe anche l’occupazione.

L’amministrazione inoltre avrebbe riconosciuto la qualificazione di “negozio storico” al ristorante in questione, connesso al vincolo e al mantenimento delle caratteristiche delle vetrine, insegne ed elementi di arredo.

B) insussistenza del presupposto della occupazione abusiva: l’amministrazione avrebbe concesso provvedimenti autorizzatori che impongono di ritenere assentita la concessione.

6) eccesso di potere per contraddittorietà dei provvedimenti impugnati con precedenti determinazioni della medesima amministrazione, in quanto, essendo il locale riconosciuto di interesse storico, ciò comporterebbe un vincolo di mantenimento delle caratteristiche morfologiche delle vetrine e delle insegne, degli elementi dell’arredo interno ed esterno, mentre i provvedimenti impugnati nel presente ricorso si porrebbero in insanabile contraddizione con queste finalità di tutela.

7) eccesso di potere per omessa valutazione di circostanze di rilievo, violazione dell’art. 97 Cost., irragionevolezza, illogicità e manifesta ingiustizia dell’azione amministrativa, in quanto in base al principio di buona fede che deve informare di sé i rapporti tra cittadini e pubblica amministrazione, essa avrebbe dovuto attendere la conclusione del procedimento prima di adottare provvedimenti sanzionatori.

Si è costituita in giudizio Roma Capitale per resistere al ricorso opponendosi all' accoglimento dello stesso ed ha depositato documentazione relativa al procedimento.

Con ordinanza n. 1381/2016, l’istanza di sospensione cautelare del provvedimento impugnato è stata respinta.

In grado di appello, il Consiglio di Stato, con ordinanza in data 7 giugno 2016, ha riformato il provvedimento emesso dal TAR, concedendo tutela cautelare in relazione alla tenda presente sull’area, della quale consentiva il mantenimento essendo oggetto di istanza di condono.

In prossimità dell' odierna udienza Roma Capitale ha depositato memoria difensiva controdeducendo alle censure di parte ricorrente in relazione alla natura vincolata dell' area, non potendosi estendere il vincolo riguardante il Palazzo Foro Traiano ai beni mobili posizionati abusivamente all' esterno dello stesso: l' area esterna all'edificio sarebbe area pubblica soggetta abimmemorabilia al pubblico passaggio e come tale assoggettata ai poteri e alla competenza del Comune, con conseguente applicazione della disciplina regolamentare in materia di Osp e Cosap. La natura pubblica dell'area sarebbe comprovata dalla nota del Dipartimento patrimonio del 9.7.2009 che certifica che l'area di circolazione dei civici 1b, 2 e 3 "pervenuta con Motu proprio di Pio IX del 1.10.1847 è iscritta nell' inventario dei beni immobili del Comune di Roma alla matricola Ibu VBL 12589 del libro A beni demaniali ". Infine secondo la difesa capitolina sarebbe irrilevante sia la circostanza di aver ottenuto la concessione in sanatoria in relazione alla tenda abusivamente installata sulla parete dell'immobile rispetto allo spazio pubblico sottostante, sia il riconoscimento al ristorante dello status di negozio storico, non idoneo a condizionare le vicende dell' occupazione del suolo demaniale.

Peraltro, la concessione in sanatoria in questione sarebbe frutto di un errore materiale in quanto riferita ad altra istanza di condono e sarebbe in corso il procedimento di annullamento in autotutela. Sarebbe inoltre stato già comunicato il preavviso di rigetto della istanza di condono relativa alla installazione del tendone tettoia in via del Foro traiano n. 1/A.

Ha fatto quindi presente che la Soprintendenza MIBACT con nota in data 12.4.2016 ha espresso parere sfavorevole al rilascio della concessione OSP richiesta dalla società istante in Foro traiano n. 1/A.

Parte ricorrente ha replicato con memoria insistendo sulle proprie posizioni con ulteriori argomentazioni.

Alla udienza pubblica del 24 gennaio 2016 la causa è stata trattenuta in decisione.

2. Il ricorso è infondato per le seguenti considerazioni.

2.1. La presente controversa, al pari di similari questioni già decise da queste tribunale con sentenze n. 9828/2016 e 10997 del 2016, si incentra sulla legittimità di una determinazione dirigenziale n. 49 del 18.1.2016 assunta dal Municipio I di Roma Capitale, con la quale è stata ordinata la rimozione dell’occupazione di suolo pubblico antistante l’esercizio sito in via del foro di traiano n. 1/B-2 e la chiusura dell’esercizio stesso per un periodo pari a cinque giorni.

Il provvedimento è stato adottato sul presupposto del verbale della Polizia Locale del 9.12.2015 che ha accertato l’occupazione abusiva insistente su suolo pubblico “così costituito con Motu Proprio di Pio IX del 1/10/1847 ed iscritto nell' inventario dei beni immobili del Comune di Roma alla matricola Ibu VBL 12589 del Libro A beni demaniali – come da nota prot. n-. 18805 del 9.7.2009 del Dipartimento III/Politiche del Patrimonio) antistante il proprio esercizio con pedana, tavoli, sedie, pannellature, banco-frigo, elementi di illuminazione ed una tenda per una superficie di mq. 64,80, senza essere in possesso della relativa concessione”.

2.2.In primo luogo occorre rilevare che la legittimazione passiva rispetto ai provvedimenti sanzionatori impugnati appartiene alla società GEs.AR s.r.l. in quanto conduttrice dell’azienda di proprietà della gruppo Fran.gia s.r.l. e dunque soggetto che ha materialmente posto in essere l’infrazione sanzionata.

Il primo motivi di ricorso deve pertanto essere respinto.

2.3. Con riferimento al secondo motivo di ricorso occorre rilevare che il vincolo di particolare interesse e specifica tutela del Mibac più volte menzionato da parte ricorrente è stato apposto sull’immobile “Palazzo Traiano”, dove è collocato il ristorante, dal Direttore regionale per i BB.CC. e paesaggistici del Lazio con provvedimento in data 15 marzo 2007, ma non è documentalmente dimostrata la sussistenza del vincolo anche sull’area antistante l’immobile, oggetto del provvedimento impugnato, come asserito dalla ricorrente.

Deve pertanto disattendersi la censura di incompetenza di cui al secondo motivo di ricorso.

Tantomeno risulta provato che il vincolo autorizzasse l’apposizione di insegne sulla tenda – tettoia che risulta sanzionata dal provvedimento impugnato. Anche sotto questo profilo, dunque, il secondo motivo di rincorso è infondato.

2.4. Per quanto attiene al terzo motivo di ricorso, con il quale vengono impugnati i verbali della polizia locale, deve affermarsi l’inammissibilità delle doglienze in quanto aventi ad oggetto meri atti infraprocedimentali rispetto alla adozione della impugnata determina recante l’ordine di rimozione della occupazione abusiva e il ripristino.

Inoltre, occorre comunque rilevare che l’impugnazione dei verbali di accertamento di violazione del Codice della strada, qualora intesi come atti di contenzione della sanzione amministrativa pecuniaria, è estranea all’ambito di giurisdizione di questo giudice, trattandosi di violazioni di norme del Codice della strada, disciplinate con la legge n. 689 del 1981, secondo il regime delle opposizioni, e la loro cognizione è affidata, pertanto, alla giurisdizione del giudice ordinario (giudice di pace).
2.5. Con il quarto motivo, la società ricorrente sostiene che non vi sarebbe la contestata occupazione abusiva di suolo pubblico in quanto la società Fran.gia. s.r.l. versa canoni di concessione COSAP per “pensiline, tettoie sovra suolo”, per le quali peraltro non sarebbe necessaria alcuna concessione di OSP essendo essa esclusa dall’art. 2, lett. c) del regolamento COSAP, riguardante le occupazioni realizzate mediante balconi, verande, volume finestrato e simili infissi.

La tesi di parte ricorrente non può essere condivisa.

Nel caso di specie, infatti, non si verte in tema di occupazioni realizzate con balconi, verande o volume finestrato ma si tratta della occupazione derivante da una tenda oltre che da elementi di arredo, quali una pedana, tavoli, sedie, pannellature, banco-frigo, elementi di illuminazione.

In tali casi, la previa concessione di suolo pubblico è assolutamente necessaria, al fine di legittimare l’occupazione. Né rileva il fatto che la COSAP sia stata pagata se manca un provvedimento concessorio espresso.

2.6. Con il quarto motivo, lettera A, la ricorrente affronta la questione della natura giuridica dei luoghi in questione.

Parte ricorrente esclude l’esistenza di siffatta qualificazione pubblica dell’area, mentre Roma Capitale assume la natura pubblica dell’area esterna all’edificio vincolato, soggetta abimmemorabilia al pubblico passaggio e assoggettata alla regolamentazione comunale in materia di occupazione di suolo pubblico e Cosap. Roma capitale, inoltre, fa risalire la natura pubblica dell’area al Motu Proprio di Pio IX del 1.10.1947 e alla sua iscrizione nell’inventario dei beni demaniali.

Sul punto, il collegio non può che rinviare ai precedenti della Sezione, i quali hanno in più occasioni accertato che l’area esterna all’edificio risulta di fatto e da sempre interessata dal pubblico passaggio, contrariamente a quanto sostenuto dalla società, con conseguente formarsi, per dicatio ad patriam, di una servitù di pubblico passaggio, in quanto destinata senza soluzione di continuità alla libera circolazione pedonale da parte della comunità indifferenziata dei cittadini (uti cives). L’area, in assenza di qualsivoglia ostacolo o chiusura volta a denotare una eventuale volontà del proprietario contraria all’utilizzo indifferenziato del bene ai fini della circolazione pedonale, consente invece da sempre il transito pedonale all’interno della stessa consistente nell’affaccio terrazzato sui resti del Foro di Traiano, come documentato dall’Amministrazione, costituente la prosecuzione del marciapiede di via del Foro di Traiano, area contigua alla sede stradale e destinata al transito pedonale, tale da determinare l’assoggettamento della stessa alla disciplina della D.C.C. n 75 del 2010.

In generale, va ricordato che l’istituto della dicatio ad patriam è notoriamente costituito dal comportamento del proprietario di un bene che mette spontaneamente e in modo univoco il bene medesimo a disposizione di una collettività indeterminata di cittadini, producendo l'effetto istantaneo della costituzione della servitù di uso pubblico ovvero attraverso l'uso del bene da parte della collettività indifferenziata dei cittadini, protratto per il tempo necessario all'usucapione (cfr. Cass. Civ., Sez. II, 12 agosto 2002, n. 12167, nonché Cons. Stato, Sez. V, 24 maggio 2007, n. 2618 e 28 giugno 2004, n. 4778, tutte nel senso della necessità al riguardo dei requisiti inderogabili della volontarietà e della continuità, in assenza dei quali la giurisprudenza esclude tale modalità di costituzione della servitù di uso pubblico).

Ciò posto, va rilevato che, in assenza di atti formali costituitivi della servitù di uso pubblico, ogni altra circostanza – come ad esempio l'eventuale iscrizione di una strada nell'elenco delle vie gravate da uso pubblico o l’iscrizione, come nella specie, nell' inventario dei beni immobili del Comune di Roma (matricola Ibu VBL 12589 del Libro A beni demaniali, come da nota prot. n. 18805 del 9.7.2009 del Dipartimento III/Politiche del Patrimonio) - non ha natura costitutiva e portata assoluta, ma pone una presunzione di pubblicità dell'uso che è superabile con la prova contraria della natura della strada e dell'inesistenza di un diritto di godimento da parte di coloro che sono al riguardo legittimati mediante un'azione negatoria di servitù.

Conseguentemente, la controversia circa la sussistenza di diritti di uso pubblico su una strada privata, quando consista nell’oggetto principale del giudizio, è devoluta alla giurisdizione del giudice ordinario, posto che essa investe l'accertamento dell'esistenza e dell'estensione di diritti soggettivi, dei privati ovvero del Comune medesimo (cfr. Cass. Civ., SS.UU., 17 marzo 2010, n. 6406); né diversamente accade per l'accertamento dei presupposti dell'anzidetto istituto della dicatio ad patriam, parimenti rientrante nell'ambito della giurisdizione del giudice ordinario (cfr. sul punto Cass. Civ., SS.UU., 18 marzo 1999, n. 158).

Il giudice amministrativo, invece, ai sensi dell’art. 8 del Cod. proc. amm., può e deve risolvere la questione del carattere pubblico ovvero privato di una strada, nonché – come nella fattispecie - la sussistenza di una servitù di uso pubblico sulla strada privata - eventualmente costituita anche mediante dicatio ad patriam - allorquando sia richiesto di risolverla non già come questione principale, sulla quale pronunciarsi con efficacia di giudicato, ma come questione preliminare ad altra, ovvero alla questione, dedotta in via principale - e all'evidenza rientrante nella sua giurisdizione - concernente la legittimità di un provvedimento del tipo di quello qui impugnato (così, ad es., Cons. Stato, Sez. IV, 7 settembre 2006 n. 5209).

Orbene, dall'analisi della documentazione versata in atti non si rinvengono elementi di fatto sufficienti per escludere che sull’area de qua si sia formato il diritto di godimento (passaggio pubblico) a favore della collettività.

Gli elementi portati a supporto dei fatti affermati in ricorso dalla società - l’adiacenza dell’area allo stabile condominiale e la natura vincolata del palazzo; l’essere area priva di sbocchi e destinata alle esigenze del ristorante che, in base al Regolamento condominiale, può avere accesso solo dall’esterno e non anche dall’androne del Palazzo; il rilascio della concessione in sanatoria su alcuni abusi edilizi; lo status di negozio storico del ristorante – non sono sufficienti e idonei a comprovare il diritto del ristorante stesso ad occupare l’area ad esso prospiciente. Assumono invece rilevanza il fatto notorio del pubblico passaggio sull’area e gli ulteriori indici di prova forniti dall’Amministrazione che dimostrano che l’area è stata di fatto messa a disposizione della collettività indifferenziata da sempre e che non ne è stato sottratto alla stessa il suo uso pubblico, comportando l'assunzione da parte del bene delle caratteristiche analoghe a quelle di un bene demaniale, con conseguente assoggettamento alla disciplina in materia di Osp e di Cosap di cui alla regolamentazione comunale: proprio lo strumento della concessione Osp e del pagamento del canone consente di compensare la diminuzione dell’utilitas di passaggio (pur sempre consentito) subita dalla collettività per la presenza degli arredi collocati sull’area e sono atti che contemperano altresì i distinti interessi pubblici e privati convergenti nella stessa fattispecie (viabilità pedonale, tutela architettonica, libera attività imprenditoriale, esercizio del diritto di proprietà) .

Ne consegue, che l’impugnata determinazione si regge su congruenti presupposti di fatto, come accertati dalla Polizia locale, che hanno determinato la correttezza dell’adozione della stessa da parte dell’Amministrazione alla luce della normativa regolamentare in materia di occupazione di suolo pubblico e dell’art. 3, comma 16 della legge n. 94 del 2009 e delle conseguenti misure applicative, per cui deve escludersi la fondatezza dei rilievi in ordine ai rubricati vizi di eccesso di potere per difetto di istruttoria, insussistenza ed erroneità dei presupposti, contraddittorietà.

Ininfluente, inoltre, ai fini della questione della non abusività della occupazione di suolo pubblico è la circostanza che l’area in parola sia stata oggetto di domanda di concessione in sanatoria, nel 1986, con riferimento alla installazione del tendone in plastica e stoffa. Tale sanatoria infatti, che risulta in vero rilasciata ma che l’amministrazione ha dichiarato di voler annullare in via di autotutela in quanto costituente il risultato di un errore materiale, non può in alcun modo legittimare anche l’occupazione di suolo pubblico, per la quale occorre altro e specifico provvedimento.

Ugualmente, anche l’esistenza del riconoscimento di negozio storico non ha effetti sul piano della legittimazione della occupazione di suolo pubblico.

Il quinto motivo di ricorso va dunque respinto, così come – per le medesime ragioni - anche il sesto motivo va respinto.

2.7. Va infine disatteso anche il settimo motivo di ricorso, con il quale la ricorrente sembra dolersi della reiterazione della irrogazione delle sanzioni per abusiva occupazione di suolo pubblico, posto che i vari procedimenti che si sono succeduti nel tempo e che hanno dato luogo a vari procedimenti giurisdizionali, sono da ricondursi ad altrettante condotte di indebita occupazione di suolo pubblico da parte della ricorrente, come statuito da questo Tribunale in plurime occasioni.

3. In definitiva, il ricorso è infondato e va respinto.

Le spese del giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate nella misura stabilita in dispositivo

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Ter) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna la società ricorrente al pagamento delle spese di lite che liquida in euro 2.000/00 (duemila/00) oltre oneri di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 24 gennaio 2017 con l'intervento dei magistrati:



Pietro Morabito, Presidente
Giuseppe Rotondo, Consigliere
Maria Laura Maddalena, Consigliere, Estensore


L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
Maria Laura Maddalena
Pietro Morabito



IL SEGRETARIO

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P.S. Su telegram è presente tutta la modulistica per l'accertamento della violazione e l'emissione dell'ordinanza