Oltraggio a pubblico ufficiale solo se ci sono testimoni

L’offesa al poliziotto o al vigile deve essere potenzialmente udibile da altre persone, quindi compiuta in luogo pubblico o aperto al pubblico.
Un’offesa a un vigile, un carabiniere, un poliziotto, un dipendente del Comune o qualsiasi altro pubblico ufficiale, se fatta in assenza di testimoni, e quindi “a tu per tu”, in un luogo ove non possa essere udita da altri soggetti presenti, non fa scattare il reato di oltraggio a pubblico ufficiale.
E' quanto chiarito dalla Corte di Cassazione, Sez. VI penale, sentenza 13.04.2016 n. 15440, sulla scorta dell’interpretazione della norma del codice penale modificata dal 2009.
Il codice penale –è bene ricordarlo– sanziona chiunque, in un luogo pubblico (una strada) o comunque aperto al pubblico (per esempio il parcheggio di un centro commerciale o l’ufficio del Comune), offende l’onore e il prestigio di un pubblico ufficiale.
Ma non è solo il luogo, e quindi la presenza di testimoni, a far scattare il reato. Sono necessari altri due presupposti:
• l’offesa deve essere proferita proprio mentre l’ufficiale compie un atto che gli è proprio, ossia sta svolgendo il proprio lavoro: pertanto non scatta tale reato quando, ad esempio, l’agente in borghese non sta svolgendo la propria missione o in caso di dipendente del Comune durante un giorno non lavorativo;
• l’offesa deve essere proferita proprio a causa dell’esercizio delle funzioni del pubblico ufficiale: per esempio, per via di una multa che l’automobilista ritiene ingiusta, e non perché, ad esempio, la pattuglia gli ha tagliato la strada a un incrocio.
In tutti gli altri casi in cui non ricorrono tali elementi, non si potrà più punire la condotta come oltraggio al pubblico ufficiale, e quindi penalmente, ma tutt’al più andranno verificati i presupposti dell’illecito di ingiuria, illecito che –come noto– è stato ormai depenalizzato e costituisce solo un motivo di risarcimento del danno a seguito di causa civile (il giudice però potrà applicare, a termine del giudizio, anche una multa da pagare allo Stato).
I testimoni
La presenza di persone che, seppur presenti nelle adiacenze, possano aver sentito l’offesa è condizione essenziale perché si possa essere puniti per il reato di oltraggio a pubblico ufficiale. Secondo la Cassazione, è sufficiente che le espressioni offensive rivolte al pubblico ufficiale “possano essere udite dai presenti” perché scatti il penale. Infatti, il bene giuridico fondamentale tutelato dal codice penale è il buon andamento della pubblica amministrazione, per cui “già questa potenzialità costituisce un aggravio psicologico che può compromettere la sua prestazione, disturbandolo –mentre compie un atto del suo ufficio– perché gli fa avvertire condizioni avverse, per lui e per la pubblica amministrazione della quale fa parte, e ulteriori rispetto a quelle ordinarie”.
Non è necessario che i testimoni sentano effettivamente le parole oltraggiose, bastando che abbiano la possibilità di udirle o, comunque, di rendersi conto del comportamento oltraggioso, in quanto la presenza di testimoni è condizione atta a rendere più impegnativa la prestazione del pubblico ufficiale (commento tratto da www.laleggepertutti.it).
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MASSIMA
4. Relativamente al quarto motivo di ricorso, concernente la contestualità delle espressioni ingiuriose usate dall'imputato e il compimento di atto di ufficio da parte della persona offesa, deve registrarsi che nella ricostruzione degli eventi effettuata dalla sentenza impugnata, le condotte di Sa. maturarono dopo che l'assistente Ga. si fu qualificato come appartenente alla Guardia di Finanza e dopo che, in questa veste, si accinse a identificarlo. Lo mostra lo stesso brano di querela riportato dal ricorrente a supporto della sua ricostruzione, dove si legge "prontamente mi identificavo come finanziere e mostravo il mio distintivo, lo straniero non desisteva...".
5. La Corte ha plausibilmente desunto la presenza di più persone dal riferimento (nella querela) agli avventori (più d'uno, quindi almeno due) "che stavano seduti sugli sgabelli", né può trascurarsi che nel locale, all'esterno del quale si consumò l'episodio, stava il gestore ancora attento allo sviluppo degli eventi dopo che, poco prima, contro lui l'imputato aveva inveito. La contiguità spaziale dei presenti rende ragionevole presumere che i presenti abbiano effettivamente udito le frasi pronunciate dall'imputato.
Vale, comunque, osservare quanto segue. La sentenza n. 341 del 1994 della Corte costituzionale (richiamando le precedenti sentenze nn. 109 del 1968, 165 del 1972, 51 del 1980 e le ordinanze nn. 323 del 1988 e 127 del 1989) ha precisato che "la plurioffensività del reato di oltraggio rende certamente ragionevole un trattamento sanzionatorio più grave di quello riservato all'ingiuria, in relazione alla protezione di un interesse che supera quello della persona fisica e investe il prestigio e quindi il buon andamento della pubblica amministrazione".
Se il bene giuridico fondamentale tutelato dall'art. 341-bis cod. pen. è il buon andamento della pubblica amministrazione, allora è sufficiente a integrare il reato la semplice possibilità che le espressioni lesive possano essere udite dai presenti, perché già potenzialità può compromettere la prestazione del pubblico ufficiale, disturbato -mentre compie un atto del suo ufficio- dall'avvertire condizioni potenzialmente lesive per lui e per la pubblica amministrazione della quale fa parte.
In quest'ottica, la giurisprudenza formatasi sul punto -relativamente a quella che allora era una circostanza aggravante e ora è elemento costitutivo del reato- e secondo la quale non è necessario che gli astanti sentano effettivamente le parole oltraggiose, bastando che abbiano la possibilità di udirle (Sez. 6, n. 15559 del 07/07/1989, Rv. 182513) o, comunque, di rendersi conto del comportamento oltraggioso (Sez. 6, n. 1223 del 19/11/1980, dep. 1981, Rv. 147653)- può recepirsi nella considerazione che la presenza di astanti è condizione atta a rendere più impegnativa la prestazione del pubblico ufficiale.
Su queste basi può esplicitarsi il seguente principio di diritto: poiché il bene giuridico fondamentale tutelato dall'art. 341-bis cod. pen. è il buon andamento della pubblica amministrazione, allora è sufficiente che le espressioni offensive rivolte al pubblico ufficiale possano essere udite dai presenti, perché già questa potenzialità costituisce un aggravio psicologico che può compromettere la sua prestazione, disturbandolo -mentre compie un atto del suo ufficio- perché gli fa avvertire condizioni avverse, per lui e per la pubblica amministrazione della quale fa parte, e ulteriori rispetto a quelle ordinarie.
6. Anche il sesto motivo di ricorso è manifestamente infondato. L'assunto che esclude l'oltraggio sul presupposto che le espressioni offensive sarebbero state rivolte a Ga. non in quanto pubblico ufficiale ma in quanto persona, non contenendo riferimenti alla sua qualifica, poggia su una artificiosa distinzione concettuale e trascura che le espressioni aggressive conseguirono all'intervento del finanziere nella sua veste di pubblico ufficiale già palesata all'imputato.
7. La valutazione di una minaccia come "grave" ex art. 612, comma 2, cod. pen. è apprezzamento di fatto non censurabile nel giudizio di legittimità, se congruamente motivata in relazione alla entità del turbamento psichico che l'atto intimidatorio può determinare sul soggetto passivo (Cass. pen. Sez. 2, n. 277 del 21/02/1966, Rv. 101788).
A tal fine, non è necessario che la minaccia di morte sia circostanziata perché rilevano l'insieme delle condizioni concrete nelle quali è espressa, particolarmente quelle dell'autore del delitto e della persona offesa (Sez. 6, n. 35593 del 16/06/2015, Rv. 26434; Sez. 1, n. 9314 del 05/04/1990, Rv. 184724; Sez. 5, n. 43380 del 26/09/2008, Rv. 242188).
Nella fattispecie, la Corte ha congruamente osservato (pag. 7-8) che la minaccia di morte per Ga. e i suoi familiari, proveniva da soggetto che aveva reiterato i suoi comportamenti aggressivi nonostante l'intervento del pubblico ufficiale e che potenziò la sua minaccia evidenziando che l'entità della pena che poteva derivargliene non lo dissuadeva.
L'apprezzamento della gravità della minaccia non necessariamente deve collegarsi allo specifico evento prefigurato (nella fattispecie la morte) ma è sufficiente che allarmi il soggetto passivo anche in vista di danni minori eppure gravi. E' palese, inoltre, che il fatto che il oggetto passivo sia in qualche misura esposto per la sua professione a condotte minatorie non lo rende impermeabile agli effetti psicologici delle stesse.
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