domenica 19 giugno 2016

Occupazione suolo pubblico antistante l' esercizio con tavoli e sgabelli senza autorizzazione

N. 07039/2016 REG.PROV.COLL.
N. 05308/2016 REG.RIC.



REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Seconda Ter)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

ex art. 60 cod. proc. amm.;
sul ricorso numero di registro generale 5308 del 2016, proposto dalla Società Ristosalumeria Srl, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avv. Michela Guidoni, Pier Paolo Polese, con domicilio eletto presso lo studio degli stessi in Roma, Via Francesco De Sanctis, 15;


contro

Roma Capitale, in persona del Sindaco p.t., rappresentata e difesa dall'avv. Sergio Siracusa, con domicilio eletto presso gli uffici dell’Avvocatura Capitolina in Roma, Via Tempio di Giove, 21;


per l'annullamento, previa sospensione,

- della Determinazione dirigenziale prot. n. 51961/2016 in data 29.3.2016 con la quale il Municipio Roma I Centro ha disposto: - la rimozione dell'occupazione abusiva del suolo pubblico accertata dal Corpo di P.L. di Roma Capitale con VAV n. 14150090438 del 17.11.2015 antistante l’esercizio sito in via Cavour n. 279-281 per l’immediato rispristino dello stato dei luoghi; - la chiusura del predetto esercizio per un periodo pari a cinque giorni e, comunque, fino al completo ripristino dello stato dei luoghi;

- dell’Ordinanza sindacale n. 258 del 27.2.2012 e succ. mod;

- di ogni altro atto presupposto o consequenziale, o comunque connesso e non conosciuto, lesivo degli interessi della ricorrente.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Roma Capitale;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 24 maggio 2016 il Cons. Mariangela Caminiti e uditi per le parti i difensori presenti, come specificato nel verbale;

Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Riferisce la società Ristosalumeria Srl che con rapporto amministrativo del 16.12.2015 il Gruppo I Trevi di Polizia Locale di Roma Capitale ha comunicato al Municipio I di aver accertato, con VAV in data 17.11.2015, che la società "occupava il suolo pubblico antistante l' esercizio con tavoli e sgabelli in due aree di mq 2,50 ciascuna, per un totale di mq 5", senza essere in possesso della relativa concessione.

In data 4.4.2016 il Municipio Roma I Centro ha notificato alla società la Determinazione dirigenziale prot.CA/51961/2016 del 29 marzo 2016 con la quale ha intimato la rimozione dell' occupazione abusiva, come accertata dalla Polizia locale, antistante l' esercizio sito in via Cavour n. 279-281 e la chiusura dello stesso per 5 giorni, decorrenti dal settimo giorno successivo a quello di notifica.

Avverso tale determinazione dirigenziale e gli altri atti indicati in epigrafe la società ha proposto ricorso deducendo: 1) Violazione e falsa applicazione di legge: illegittimità derivata per illegittimità dell’Ordinanza sindacale n. 258 del 2012; art. 3, comma 16 della legge n. 94 del 2009; art. 6 della legge n. 77 del 1997; art. 14 D.C.C. n. 119/2005 e succ. mod.; art. 54 d.lgs. n. 267/2000. Incompetenza. Eccesso di potere per irragionevolezza, illogicità, contraddittorietà, difetto di istruttoria e di motivazione: la Determinazione dirigenziale impugnata sarebbe illegittima per l'illegittimità della presupposta Ordinanza sindacale n. 258 del 2012, emanata al di fuori delle finalità e dei presupposti previsti dalla legge n. 94 del 2009, recante norme in materia di sicurezza pubblica e in particolare dell'art.3 in materia di sicurezza stradale. Tale Ordinanza sarebbe stata emanata per la mera repressione di condotte in materia di commercio, anche in assenza dei presupposti di pericolo indicati dalla norma di rango primario e in contrasto con la normativa nazionale e comunale in materia di commercio. La legge n. 94 del 2009 non potrebbe applicarsi ad ipotesi di occupazione di suolo pubblico che non rappresentino un pericolo per la sicurezza pubblica. Nel caso concreto nessun motivo di sicurezza pubblica sarebbe stato posto alla base degli atti impugnati e anche nelle premesse dell'Ordinanza sindacale n. 258 del 2012 sarebbero riportate motivazioni diverse. Inoltre il provvedimento impugnato sarebbe in contrasto con la legge n. 77 del 1997 riguardo la misura della sanzione applicata ossia della chiusura di cinque giorni dell'esercizio: ai sensi della legge n. 77 del 1997 in materia di commercio potrebbe essere ordinata la chiusura per un massimo di tre giorni, mentre l'Ordinanza sindacale avrebbe previsto la chiusura per un minimo di giorni cinque. Tale durata della chiusura nella specie non sarebbe altresì parametrata alla gravità della violazione contestata e in assenza di ragioni di pubblica sicurezza potrebbe trovare applicazione esclusivamente l’art. 6 della legge n. 77 del 1997, in caso di occupazione abusiva di suolo pubblico, al fine di evitare il cumulo di sanzioni.

2) Violazione falsa applicazione di legge: articoli 3 e 97 della Cost.; art. 3, comma 16, della legge n. 94 del 2009; art. 3 della legge 241 del 1990; art. 54 del d.lgs.n.267 del 2000; art. 20 del codice della strada; art. 1 della legge n. 689 del 1981; Ordinanza sindacale n. 258 del 2012. Eccesso di potere per irragionevolezza, illogicità, contraddittorietà, difetto di istruttoria e di motivazione, violazione del principio di stretta legalità: l’Ordinanza sindacale impugnata sarebbe illegittima anche per contrasto con la legge presupposta per travalicamento della competenza del soggetto abilitato ad emanare la sanzione. In particolare l'art.3, comma 16 della legge n. 94 del 2009, richiamato a fondamento dell'Ordinanza sindacale impugnata, attribuisce in via esclusiva al sindaco (o al prefetto) il potere sanzionatorio di ordinare la chiusura dell'esercizio commerciale, potere non suscettibile di subdelega. Trattandosi nella specie di un potere di ordinanza di natura incerta, anche se disciplinata dalla legge, non potrebbe ritenersi esercitabile da un altro organo se non quello proprio indicato dalla legge stessa e tale potere di ordinanza sindacale dovrebbe inquadrarsi in quello disciplinato dall’art. 54 del TUEL spettante al sindaco e non anche all'Ente in generale. Inoltre il potere riconosciuto dalla legge n. 94 del 2009 al sindaco in caso di occupazione abusiva di ordinare l'immediato ripristino dello stato dei luoghi e se trattasi di occupazione a fini di commercio la chiusura dell'esercizio, consisterebbe in una facoltà e non in un obbligo incondizionato di sanzionare l'esercizio abusivo: la scelta dell'applicazione della sanzione sarebbe rimessa alla valutazione discrezionale dell'organo apicale. L'Ordinanza sindacale impugnata sarebbe illegittima in quanto non consentirebbe di svolgere la necessaria valutazione dei fatti sulla scorta dei quali dovrebbe decidersi se applicare la sanzione o meno. Nel caso in cui si volesse considerare un esercizio generalizzato del potere discrezionale, trasfuso in un provvedimento di carattere generale indirizzato alla dirigenza, questo provvedimento ordinatorio sarebbe comunque illegittimo per difetto di istruttoria e irragionevolezza. Nessuna valutazione della gravità della violazione sarebbe stata svolta dall'Amministrazione con il disposto obbligo di chiusura non motivato da valutazione preventiva della situazione di fatto sottostante. Pertanto sia l'Ordinanza sindacale n. 258 del 2012 che la Determinazione dirigenziale in data 29.3.2016, emanata sulla base della stessa, sarebbero illegittime per aver consentito l'applicazione prevista dalla legge, senza la previa valutazione dei fatti imposti dalla norma medesima.

3) Violazione falsa applicazione di legge. Incompetenza: art. 3, comma 16, della legge n. 94 del 2009; art. 20 C.d.S; art. 6 della legge n. 77 del 1997; art. 14 D.C.C. n. 119 del 2005 e succ. mod. . Eccesso di potere per irragionevolezza, illogicità, contraddittorietà, difetto di istruttoria e di motivazione: l'Ordinanza sindacale sarebbe illegittima nella parte in cui prevede che in caso di recidiva oltre l'applicazione delle sanzioni all'esercente non verrà rilasciata per due anni successivi alcuna concessione di suolo pubblico, in quanto tale previsione non troverebbe copertura legislativa nel disposto di cui all'art.3, comma 16, della legge n. 94 del 2009. L'Ordinanza avrebbe travalicato i limiti fissati dalla normativa primaria, prevedendo l'ulteriore sanzione della non concessione di occupazione in caso di reiterazione.

4 ) Violazione e falsa applicazione di legge: art. 3, 23, 97,114 e 118 della Costituzione, art.3, comma 16 della legge n. 94 del 2009, articoli 42 e 50 del d.lgs. n.267 del 2000. Eccesso di potere per sviamento, irragionevolezza, illogicità, contraddittorietà, difetto di istruttoria e di motivazione. Questione di legittimità costituzionale dell'art. 3, comma 16 della legge n. 94 del 2009: parte ricorrente solleva in questa sede perplessità in ordine alla possibilità di configurare nel nostro ordinamento un potere di ordinanza “ordinario”, esercitabile al di fuori delle ipotesi della contingibilità e dell'urgenza, come sembrerebbe configurato dall'art.3, comma 16 della legge n. 94 del 2009. All'infuori delle particolari situazioni di natura eccezionale non potrebbe attribuirsi al sindaco il potere di regolamentare in via generale ed astratta determinate situazioni, nelle ipotesi di insussistenza dei presupposti di necessità e urgenza. Nel caso di specie il Sindaco non si sarebbe limitato ad emanare un atto amministrativo nei confronti di un destinatario determinato per ordinargli la chiusura dell'attività, ma all'infuori delle ipotesi di sicurezza e di ordine pubblico avrebbe regolamentato in deroga a norme primarie e secondarie una determinata materia in modo generale ed astratto, esercitando un potere regolamentare spettante al Consiglio comunale e non al Sindaco.

Nel caso in cui si dovesse ritenere il Sindaco legittimato ad operare ai sensi dell'art.3 comma 16 della legge n. 94 del 2009 sorgerebbero profili di illegittimità costituzionale di tale disposizione per la incompatibilità con le disposizioni di cui agli articoli 2, 3, 23, 97,114 e 118 della Costituzione e se adita la Corte costituzionale dovrebbe accertare se sia consentito attribuire poteri di ordinanza diverso da quello previsto dall'art. 54 del d.lgs. n. 267 del 2000, ovvero se al Sindaco sia possibile attribuire un potere di ordinanza “regolatoria” o “regolamentare” applicabile quindi in via generale per un periodo di tempo indefinito verso una schiera indeterminata di soggetti, senza essere fondata su particolari esigenze di urgenza e di eccezionalità; ulteriori profili di incostituzionalità del predetto art. 3, comma 16 sono sottoposti all’esame, nella parte in cui svincolerebbe la sanzione della chiusura dall’effettivo ripristino dello stato dei luoghi.

5) Violazione e falsa applicazione di legge: art.3, comma 16 legge n.94 del 2009, art. 20 del codice della strada. Eccesso di potere per irragionevolezza, illogicità, contraddittorietà, difetto di istruttoria e di motivazione: sarebbe irragionevole oltre che illegittimo il termine di sette giorni previsto dall'Ordinanza sindacale per la chiusura dell'attività, in relazione ai destinatari dei provvedimenti, tutti esercizi di somministrazione aventi la necessità di smaltire scorte deperibili e di gestire le prenotazioni già ricevute. Conclude parte ricorrente con la richiesta di annullamento degli atti impugnati, previa sospensione dell'efficacia degli stessi.

Si è costituita in giudizio Roma Capitale per resistere al ricorso, opponendosi all'accoglimento dello stesso con deposito di documentazione relativa al procedimento sanzionatorio.

2. Alla Camera di consiglio del 24 maggio 2016, la causa, chiamata per l’esame della domanda cautelare, è stata trattenuta in decisione per essere decisa nel merito con sentenza in forma semplificata, ai sensi dell’art. 60 del cpa, previe le avvertenze di rito alle parti presenti in Camera di consiglio circa la completezza e regolarità del contraddittorio e dell’istruttoria.

3. Il ricorso è infondato per le ragioni di seguito indicate.

3.1.Le censure dedotte, ancorché diversamente articolate, ricalcano sostanzialmente profili giuridici già sottoposti all’esame della Sezione, che hanno trovato costante pronunciamento di rigetto (cfr. da ultimo, sent. 13 agosto 2015, n. 10805, nonché ex multis sentenze nn.1055, n. 2245, n.7252 e n. 7640 del 2015).

3.2. Rileva il Collegio che il provvedimento è stato adottato, ai sensi e per gli effetti dell’art. 3, comma 16, della Legge n. 94 del 2009 e dell’Ordinanza sindacale n. 258 del 2012, in quanto il I Gruppo Trevi di Polizia Locale di Roma Capitale, con rapporto amministrativo del 16 dicembre 2015, ha comunicato al Municipio di aver accertato, con verbale elevato in data 17 novembre 2015 - ai sensi dell’art. 20 del Codice della strada - che la Società ricorrente, esercente attività di somministrazione in via Cavour n.279-281 “occupava il suolo pubblico antistante l’esercizio con tavoli alti e sgabelli in due aree di mq 2,50 ciascuna, per un totale di mq5, senza essere in possesso della relativa concessione”.

La Determinazione dirigenziale impugnata è applicativa della sopraindicata Ordinanza sindacale n. 258 del 2012, con la quale il Sindaco ha disposto che i Dirigenti dei competenti Uffici dell’Amministrazione Capitolina, nei casi di occupazione di suolo pubblico totalmente abusiva effettuata, per fini di commercio, su strade urbane ricadenti nel territorio capitolino, delimitato dal perimetro del sito Unesco, applichino le disposizioni previste dall’art. 20 del codice della strada e dall’art. 3, comma 16, della legge n. 94 del 2009.

L’art. 20 del d.lgs. n. 285 del 1992, nuovo codice della strada, prevede che chiunque occupa abusivamente il suolo stradale, ovvero, avendo ottenuto la concessione, non ottempera alle relative prescrizioni, è soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 168 ad euro 674 (comma 4) e che tale violazione importa la sanzione amministrativa accessoria dell’obbligo per l’autore della violazione stessa di rimuovere le opere abusive a proprie spese (comma 5).

L’art. 3, comma 16, l. n. 94 del 2009 dispone che, fatti salvi i provvedimenti dell’Autorità per motivi di ordine pubblico, nei casi di indebita occupazione di suolo pubblico previsti dall’art. 633 c.p.p. e dall’art. 20 d.lgs. n. 285 del 1992, il Sindaco, per le strade urbane, può ordinare l’immediato ripristino dello stato dei luoghi a spese degli occupanti e, se si tratta di occupazione a fine di commercio, la chiusura dell’esercizio fino al pieno adempimento dell’ordine e del pagamento delle spese o della prestazione di idonea garanzia e, comunque, per un periodo non inferiore a cinque giorni.

E’ evidente, pertanto, che l’Autorità ha inteso sanzionare tutti i casi di occupazione di suolo pubblico totalmente “abusiva” (in assenza di titolo) per fini di commercio e non solo le ipotesi di occupazione che comportano aumento di cubatura.

Del resto la materia delle concessioni di suolo pubblico è specificamente disciplinata con normativa ordinaria e regolamentare. In particolare, oltre l’art.3, comma 16 della legge n. 94 del 2009 va ricordato l’art. 7, comma 1, lett. b), della legge regionale 29 novembre 2006, n. 21 che ha stabilito che, con regolamento regionale, sono dettate nel rispetto della potestà normativa dei Comuni, ai sensi dell’art. 117, sesto comma, della Costituzione e dell’art. 4 della legge 5 giugno 2003, n. 131, disposizioni attuative ed integrative della legge con riguardo ai criteri generali per l’adozione da parte dei comuni degli strumenti normativi e dei relativi piani finalizzati al rilascio o alla revoca delle concessioni di suolo pubblico.

Il Regolamento della Regione Lazio 19 gennaio 2009, n. 1 ha dettato le disposizioni attuative e integrative della richiamata legge regionale n. 21 del 2006, stabilendo all’art 2, rubricato “criteri generali per l’adozione degli atti comunali in materia di occupazione di suolo pubblico”, che i Comuni, nell’adozione degli atti in materia di occupazione di suolo pubblico, tengono conto dei seguenti criteri generali: a) salvaguardia delle aree di particolare valenza storico-ambientale o socio-economica; b) adeguatezza degli arredi urbani; c) salvaguardia e riqualificazione di zone di pregio anche attraverso la presenza di pubblici esercizi adeguati; d) garanzia dell’equilibrio tra lo svolgimento delle attività di somministrazione di alimenti e bevande e le esigenze di tutela e di promozione degli aspetti storico-artistici nell’ambito dei contesti urbani in cui le suddette attività sono insediate, con particolare riferimento ai centri storici e alle aree relative alla cosiddetta città consolidata; e) promozione, nel rispetto dei diversi contesti architettonici, delle attività di somministrazione legate a tradizioni, usi e costumi locali, anche quali attrattori di flussi turistici; f) previsione e salvaguardia di adeguati percorsi ciclo-pedonali e veicolari, ivi compresi quelli relativi al passaggio dei mezzi di soccorso; g) armonizzazione delle procedure finalizzate alla concessione di occupazione di suolo pubblico con i principi di semplificazione e snellimento dell’azione amministrativa; h) revisione dei tempi di durata delle concessioni di occupazione di suolo pubblico in funzione delle necessità di programmazione delle imprese, anche con riferimento a progetti di sviluppo presentati unitariamente da più operatori; i) salvaguardia dei livelli occupazionali.

L’art. 2 della Deliberazione C.C. di Roma Capitale n. 75 del 2010 dispone al comma 2 che “… la Giunta Comunale individua con deliberazione le aree che non possono costituire oggetto di concessione” e il successivo art. 4 bis prevede al comma 4 che “ … i Municipi possono subordinare il rilascio di concessioni di suolo pubblico alle prescrizioni di appositi piani che individuino la massima occupabilità delle aree di rispettiva competenza. Tali piani sono approvati dal Consiglio del Municipio …”.

Di talché, le occupazioni di suolo pubblico sono soggette ad una specifica concessione da parte del Municipio competente e, d’altra parte, non appare neanche astrattamente ipotizzabile che il titolare di un esercizio commerciale possa liberamente occupare porzioni di suolo pubblico senza l’intermediazione del potere amministrativo (risultando tra l’altro indimostrata l’eventuale richiesta di concessione o la sussistenza di titolo concessorio sull’area).

Nella specie il presupposto di fatto del provvedimento impugnato è costituito dal rapporto amministrativo del 16 dicembre 2015 del Gruppo I del Corpo di Polizia Locale di Roma Capitale, con cui è stato comunicato l’accertamento dell’occupazione abusiva in data 17 novembre 2015, in violazione dell’Ordinanza sindacale n. 258 del 2012 in vigore.

Il provvedimento dirigenziale in contestazione costituisce, quindi, esercizio di potere vincolato e si presenta, come sopra riportato, esaurientemente motivato con riferimento all’accertamento dell’occupazione abusiva di suolo pubblico operato dalla Polizia Locale.

Al riguardo il Collegio ribadisce, in coerenza con i precedenti della Sezione, confermati anche dal Consiglio di Stato (cfr. da ultimo, sez. V, 27 marzo 2015, n. 1611) che il potere attribuito al Sindaco per le strade urbane ai sensi dell’art. 3, comma 16, l. n. 94 del 2009 è indubbiamente un potere discrezionale e tale potere è stato esercitato dall’Autorità con l’Ordinanza sindacale n. 258/2012, mediante le indicazioni impartite ai Dirigenti dei competenti Uffici dell’Amministrazione capitolina, come sopra rilevato.

Il potere attribuito dal Sindaco ai Dirigenti competenti, invece, è vincolato dalle determinazioni stabilite dal Sindaco in via generale con l’Ordinanza n. 258 del 2012, sicché il soggetto che adotta il provvedimento non compie alcuna ulteriore attività discrezionale (cfr. sul punto TAR Lazio, Roma, II ter, 13 agosto 2013, n. 7931).

La consumazione del potere discrezionale attribuito al Sindaco dall’art. 3, comma 16, l. n. 94 del 2009 è resa evidente, nonostante la formulazione non particolarmente perspicua del dispositivo dell’Ordinanza sindacale, dal rinvio operato alla detta norma di legge, oltre che all’art. 20 del Codice della strada, e, soprattutto, dalla specificazione che il provvedimento di chiusura del pubblico esercizio deve essere esecutivo dal settimo giorno successivo a quello della notifica.

Ciò induce a ritenere che l’Autorità Sindacale ha ritenuto opportuno e congruo per tali violazioni l’adozione di un provvedimento di chiusura, altrimenti risulterebbe scarsamente comprensibile il riferimento alla decorrenza del provvedimento di chiusura dell’esercizio, peraltro quantificato nella minima misura possibile, atteso che l’art. 3, comma 16, l. n. 94 del 2009 indica come limite minimo un periodo non inferiore a cinque giorni.

D’altra parte, che l’Autorità competente abbia voluto prevedere per le occupazioni di suolo pubblico totalmente abusive la più incisiva sanzione della chiusura temporanea, sia pure nella misura minima, emerge in modo chiaro dalla motivazione dell’ordinanza in cui è tra l’altro indicato come “il crescente fenomeno di occupazione abusiva di suolo pubblico, da parte di titolari di esercizi commerciali, ampiamente registrato dagli organi di comunicazione ed oggetto di persistenti segnalazioni da parte della comunità cittadina, testimonia la necessità di dar corso ad una nuova valutazione generale dell’equilibrio tra l’interesse pubblico di massima fruizione del territorio, da un lato, e l’interesse pubblico di tutela del patrimonio, dall’altro” nonché dal successivo snodo della stessa in cui è indicato che “la sanzione della chiusura del pubblico esercizio si rivela quale misura accessoria alla violazione dell’art. 20 del Codice della Strada che già prevedeva l’obbligo della rimozione delle opere e, quindi, rientrante nell’ordinaria attività di vigilanza e controllo da parte della Polizia Municipale e dei competenti Uffici; … il Sindaco intende avvalersi del potere previsto dall’art. 3, comma 16 della legge 94/2009, per sanzionare le occupazioni totalmente abusive di suolo pubblico, per fini di commercio, ricadenti nelle strade urbane del territorio capitolino delimitato dal perimetro del sito Unesco”.

Ne consegue che il potere discrezionale attribuito al Sindaco dalla norma è stato in concreto esercitato con una valutazione “a monte” di carattere generale, coerente con le specifiche finalità di protezione di cui alla legge n. 94 del 2009 applicate in concreto (perché si è inteso perseguire in maniera strutturata un fenomeno di degrado aventi dimensioni collettive e radicate nel contesto ambientale, assicurando in tal modo tutela alle strade urbane ricadenti nel perimetro del sito Unesco), sicché nessuna violazione della detta norma di legge può rinvenirsi nell’esercizio del potere sindacale.

4. Alla luce di tali principi, nessuna censura del ricorso può trovare accoglimento.

4.1.Con il primo motivo di gravame, parte ricorrente si duole del fatto che l’O.S. n.258 del 2012 e il presupposto art.3, comma 16, della l. n. 94/2009 avrebbero quale proprio oggetto di tutela la sicurezza stradale e non la sicurezza pubblica, come sin’ora ritenuto dalla giurisprudenza di questo TAR; e che, nell’ambito della Città Storica, ove è vigente la predetta Ordinanza sindacale, si sovrapporrebbero le relative previsioni e sanzioni con le altre norme in materia di commercio rubricate nella censura, che dunque finirebbero per il sanzionare due volte la stessa violazione.

Riguardo il primo profilo di censura, osserva il Collegio che l’interesse generale alla sicurezza stradale è improntato ad esigenze evidenti ed intuitive di sicurezza pubblica, come chiaramente esposto nella parte motiva dell’Ordinanza medesima, che si sofferma ampiamente sulla gravissima situazione di degrado diffuso nella Città Storica, che è intendimento dell’Autorità comunale affrontare con le misure ivi prescritte, con conseguente genericità dell’argomento di censura; quanto alla concomitanza tra le disposizioni dell’Ordinanza Sindacale in questione e le altre norme di rilievo a tutela del corretto esercizio dell’attività commerciale, la stessa giurisprudenza della Sezione ha chiarito, nei precedenti indicati, che la normativa per la Città Storica ha carattere di specialità, con la conseguenza che prevale sulle norme di cui all’art. 6 della l. 77 del 1997, fermo restando che l’eventuale doppia sanzione del medesimo comportamento controindicato porrebbe un problema di validità o legittimità della seconda sanzione, che nel presente giudizio non si verifica essendone stata elevata solo una (quella principale dell’Ordinanza sindacale).

4.2.Con il secondo profilo di gravame, parte ricorrente contesta la legittimità dell’Ordinanza sindacale, dovendosi esercitare il relativo potere in maniera puntuale e per singoli casi; che tale potere non sarebbe delegabile; che la legge prevede la sola facoltà e non l’obbligo di sanzionare l’esercente abusivo.

Si tratta di argomenti già ampiamente esaminati dalla giurisprudenza della Sezione, come sopra riportato, che la parte si limita a semplicemente riproporre, con conseguente infondatezza del gravame: invero, non risultano sussistere impedimenti formali o funzionali a che il Sindaco eserciti il proprio potere di ordinanza nei casi indicati dalle norme in esame in via generale e radicando un potere-dovere degli uffici preposti ad esercitare il controllo e la repressione dell’abusivismo, disciplinandone il controllo con un sistema procedimentalizzato quale quello in esame che si rivolge ad assicurare uniformità di trattamento fondata sull’applicazione minima della sanzione.

4.3. Con il terzo motivo la ricorrente lamenta l’illegittimità dell’O.S. n. 258 del 2012 nella parte in cui prevede un impedimento al rilascio di concessioni di suolo pubblico per due anni in caso di recidiva; la censura è inammissibile in quanto non risulta elevata tale sanzione.

4.4. Con il quarto motivo di gravame la ricorrente sostiene, a corollario della ritenuta natura di provvedimento individuale e puntuale che è stata dedotta con i precedenti argomenti, che l’esercizio generale del potere spetterebbe al Consiglio Comunale e non al Sindaco, essendo solo il primo titolare della potestà pianificatoria o comunque regolamentare o generale; l’argomento è infondato, perché ciò che il Sindaco ha esercitato è un potere di governo che gli spetta per legge, giustificato causalmente, nel caso di specie, dalle ragioni di degrado e di necessità nel farvi fronte che sono ampiamente esposti nella motivazione della stessa Ordinanza e non vale a mutare la competenza a provvedere la forma regolamentare o generale dell’atto, che rimane connotato, sotto il profilo della causa, dalla peculiare funzione di intervento che viene apprestata in capo al Sindaco dall’art. 3 comma 16 della L. n. 94 del 2009.

In particolare, evidenzia il Collegio che l’Ordinanza sindacale n. 258 del 2012, che costituisce applicazione delle norme di cui all’art. 3, comma 16, l. n. 94 del 2009 attributive al Sindaco di uno specifico potere sanzionatorio, di natura dissuasiva, in via ordinaria, prescinde da situazioni contingibili ed urgenti, per le quali invece soccorre la previsione di cui all’art. 54 del d.lgs. n. 267 del 2000.

Come è noto, infatti, ai fini dell'ordinanza sindacale emanata dal Sindaco ai sensi del predetto art. 54, i requisiti di necessità ed urgenza cui si riferisce la norma sono intesi nel senso che il provvedimento extra ordinem si deve necessariamente fondare su una eccezionale situazione di pericolo, tale da non potere essere fronteggiata se non con interventi immediati e indilazionabili, non rientranti tra gli ordinari mezzi previsti dall'ordinamento giuridico (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 3 giugno 2013, n. 3034; idem, 22 ottobre 2014, n. 5213).

Nel caso in esame, invece, si è di fronte all’esercizio di un potere espressamente regolamentato dalla legge per ipotesi assolutamente prevedibili, che non hanno né i connotati dell’urgenza né della eccezionalità. Né tale attribuzione può ritenersi violativa di norme costituzionali in quanto non è enucleabile dal sistema un principio di carattere assoluto che escluda l’attribuzione di un potere ai Sindaci a prescindere dalle ipotesi di contingibilità ed urgenza (cfr. TAR Lazio, Roma, sez. II ter, n. 2573 del 2014).

Al riguardo, si richiama la Corte costituzionale (sentenza 7 aprile 2011, n. 115) che ha dichiarato l’illegittimità del predetto art. 54 nella parte in cui consentiva al Sindaco di adottare “ordinanze sindacali di ordinaria amministrazione” senza la predeterminazione di contenuto e modalità, con conseguente violazione del principio di legalità sostanziale. Nel caso delle “ordinanze sindacali di straordinaria amministrazione”, invece, l’urgenza del provvedere giustifica la deroga al suddetto principio di legalità. Ne consegue che è conforme a Costituzione la previsione normativa attributiva di un potere sindacale ordinario che contenga sia il fine pubblico da raggiungere (cosiddetta legalità-indirizzo) sia contenuto e modalità di esercizio del potere (cosiddetta legalità-garanzia).

Nella specie, il richiamato art. 3, comma 16, della legge n. 94 del 2009, come risulta dalle prescrizioni in esso contenute – anche a presidio della sicurezza pubblica, sotto il profilo della circolazione pedonale che veicolare (tanto è vero che la rubrica di tale norma è “Sicurezza pubblica” - rispetta entrambe le declinazioni del principio di legalità: in questi casi, pertanto, il Sindaco può esercitare il potere di ordinaria amministrazione anche in assenza del requisito della necessità e urgenza (cfr. in tal senso, Cons. Stato, sez. V, cit., n. 1611 del 2015).

Nel caso di specie, in conclusione, si è di fronte all’esercizio di un potere espressamente regolamentato dalla legge per ipotesi assolutamente prevedibili, che non hanno né i connotati dell’urgenza né della eccezionalità e l’occupazione totalmente abusiva del suolo pubblico (con arredi di tavoli e sgabelli) ai fini di commercio da parte della Società ricorrente è indubbia, per cui le censure devono essere disattese. La relativa questione di legittimità costituzionale dell’art. 3 comma 16 cit. (che discenderebbe dall’aver il legislatore configurato un potere di ordinanza “regolamentare” o comunque diverso dall’art. 54 del d.lgs 267 del 2000, e dall’aver precostituito la facoltà dell’Autorità di sanzionare comportamenti controindicati anche in presenza dell’avvenuto immediato ripristino) è meramente generica e dunque manifestamente infondata, posto che nessuna norma costituzionale fonda il limite all’esercizio del potere di ordinanza nei termini che il ricorrente vorrebbe far discendere dai principi generali di cui agli artt. 3, 23, 97, 114 e 118 della Cost. e che la sanzione ad un comportamento illegittimo non è volta esclusivamente ad ottenere il ripristino della condizione di legalità, ma anche una funzione di prevenzione e dissuasione, nella specie assolta in maniera non irragionevole o sproporzionata. La q.l.c. non risulta inoltre nemmeno rilevante nel caso di specie posto che non risulta adeguatamente provato che il ripristino dello stato dei luoghi sia stato immediatamente effettuato (trattandosi tra l’altro di violazione più volte reiterata).

Ed invero, l’occupazione di suolo pubblico si connota come abusiva - ai sensi e per gli effetti del Regolamento Cosap e della normativa richiamata nel provvedimento impugnato - in ragione della sua qualificazione di carattere ontologico/funzionale; per cui, ciò che rileva ai fini del riscontro di (il)legittimità è la mera occupazione materiale, sine titulo, del suolo pubblico (elemento ontologico), posta in essere al fine di assolvere esigenze strumentali all’attività commerciale (elemento teleologico).

4.5.Con il quinto motivo, si lamenta l’irragionevolezza della previsione contenuta nell’Ordinanza sindacale della chiusura per 7 giorni dell’esercizio, in relazione ai destinatari, sussistendo scorte di alimenti deperibili e prenotazioni, si osserva che tale termine non pare irragionevole in relazione ai tempi medi di smaltimento delle scorte deperibili e della disdetta o spostamento delle prenotazioni; del resto l’argomento avanzato appare del tutto generico perché si risolve in una critica di merito alla scelta della sanzione, e che peraltro prova troppo dal momento che, svolgendolo all’estremo delle sue conseguenze, dovrebbe affermarsi che nessuna chiusura sarebbe mai possibile (cfr. Tar Lazio, Roma, sez. II ter, sent. n. 10764 e n.10805 del 2015).

5. Sulla base delle considerazioni che precedono, unitamente alla copiosa giurisprudenza della Sezione che qui si intende richiamata ad integrazione della motivazione, il ricorso in quanto infondato va respinto.

6. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e sono poste a carico della ricorrente ed a favore dell’Amministrazione comunale resistente nella misura stabilita in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Ter) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna la società ricorrente al pagamento delle spese di giudizio in favore di Roma Capitale che si liquidano in euro 1.500,00 (millecinquecento/00), oltre oneri e accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 24 maggio 2016 con l'intervento dei magistrati:


Pietro Morabito, Presidente

Mariangela Caminiti, Consigliere, Estensore

Maria Laura Maddalena, Consigliere




L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 17/06/2016
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)