l bar della movida anche se rumoroso non commette reato


AMBIENTE-ECOLOGIA: Il bar della movida anche se rumoroso non commette reato. Quiete pubblica. Sanzione per chi supera i limiti.
Escluso il reato di disturbo alla quiete pubblica per il bar della movida che supera i limiti imposti dalla legge. Se il gestore è autorizzato a fare musica fino a tarda notte la sola pena prevista è la sanzione amministrativa, perché la sua attività va considerata come esercizio di un mestiere rumoroso.
La Corte di Cassazione, Sez. III penale, con la sentenza 18.08.2015 n. 34920 distrugge il sogno di tanti cittadini di vedere duramente punito chi li costringe a stare svegli fino all’alba.
La Suprema corte precisa, infatti, che quando l’uso degli strumenti musicali è strettamente connesso e necessario all’attività che ha avuto il via libera delle autorità, lo sforamento dei limiti massimi o differenziali di emissione del rumore fa scattare il solo illecito amministrativo previsto dall’articolo 10, comma secondo, della legge 26.10.1995 n. 447.
Il Codice penale entra in gioco con l’articolo 659, comma primo, che prevede l’arresto fino a tre mesi o l’ammenda solo quando i rumori molesti provengono non dagli strumenti “sdoganati” ma sono il risultato di altre azioni non necessarie o non attinenti con il genere di lavoro che ha avuto il nulla osta amministrativo.
La norma penale è composta poi anche da un secondo comma che si applica, come precisa la Suprema corte, quando la violazione contestata riguarda specifiche disposizioni di legge o prescrizioni dell’Autorità che regolano l’esercizio del mestiere rumoroso, diverse da quelle relative ai valori limite di emissioni sonore stabilite con criteri dettati dalla legge 447 del 1995.
Nel caso esaminato nulla di tutto questo era accaduto. E la Cassazione dà partita vinta al gestore del bar che aveva fatto ricorso contro la condanna inflitta dalla Corte d’appello in sintonia con il Tribunale. A denunciare il superamento dei decibel consentiti dopo le 20, erano stati gli abitanti dell’appartamento posto proprio sopra il bar dove avvenivano le feste danzanti. Valori fissati in 5 decibel durante il giorno e in 3 decibel di notte.
Per la Cassazione si trattava però di una condanna ingiusta anche a prescindere dall’applicazione dell’”esimente” del mestiere rumoroso. I giudici di merito si erano, infatti, limitati –sottolinea la Suprema corte– ad affermare che le immissioni erano tali per entità e caratteristiche accertate da disturbare un numero indeterminato di persone, senza provare, al di là di ogni ragionevole dubbio, che i rumori potessero essere uditi, anche potenzialmente, da più abitanti del palazzo o della zona.
Al contrario dagli atti emergeva che le lagnanze provenivano solo dai condomini che occupavano la casa immediatamente sopra il bar, mentre gli altri non erano stati neppure sentiti (articolo Il Sole 24 Ore del 19.08.2015).
MASSIMA
In ogni caso, deve anche evidenziarsi che dalle sentenze di merito non si riesce a comprendere bene quale sia l'ipotesi di reato per la quale l'imputato è stato condannato.
Con il capo di imputazione si richiamava, oltre all'art. 659 cod. pen., anche il DPCM 14.11.1997, e si contestava all'imputato di avere cagionato, mediante l'esercizio nel suo bar di attività di musica in tempo di notte proveniente dall'esecuzione di attività danzante all'interno del locale, emissioni rumorose superiori ai limiti consentiti dal DCMP 14.11.1997. Sostanzialmente, dunque, si contestava il superamento dei limiti indicati dal decreto presidenziale.
La sentenza dì primo grado, poi, ha indubbiamente basato l'affermazione dì responsabilità soprattutto sulla circostanza che —secondo gli accertamenti eseguiti dall'ARPA nell'aprile del 2010- l'attività del bar provocava (all'epoca) un rumore che superava il limite differenziale massimo stabilito dall'art. 6 del DPCM 01.03.1991 (5 db diurno e 3 db notturno) e comunque provocava nell'appartamento sito al primo piano dello stesso stabile in cui è ubicato il bar, il superamento dei limiti massimi assoluti di sera dopo le ore 20:00, arrivando con la musica fino a 68,5 dB con le finestre aperte ed a 46,5 dB con le finestre chiuse. La sentenza della corte d'appello di Milano si basa in sostanza sullo stesso fondamento, avendo affermato che la prova della responsabilità si desumerebbe, oltre ogni ragionevole dubbio, dal fatto che l'imputato non aveva dimostrato che «gli accorgimenti adottati fossero idonei a ricondurre le emissioni nei limiti di legge».
Se però così è, allora —al di là di quanto già osservato sulla palese inversione dell'onere della prova- l'ipotesi di reato accertata e ritenuta dai giudici del merito è indubitabilmente quella di cui al secondo comma dell'art. 659 cod. pen., il quale punisce con la sola ammenda «chi esercita una professione o un mestiere rumoroso contro le disposizioni della legge o le prescrizioni dell'Autorità».
Nella specie, appunto, l'imputato avrebbe esercitato il mestiere rumoroso di esercizio di un bar -autorizzato all'uso, anche di notte, di apparecchi acustici per la diffusione di musica- contro le disposizione di legge e le prescrizioni del DPCM 01.03.1991, superando sia i limiti differenziali sia i limiti assoluti ivi indicati. Dalle sentenze di merito, infatti, non emerge alcuna prova che i rumori molesti provenienti dal bar avessero altra e diversa origine se non quella, evidenziata dalle sentenze stesse, di una ritenuta illegittima utilizzazione degli strumenti di diffusione sonora, ai quali il bar era autorizzato anche di notte, oltre i limiti (differenziali ed assoluti) previsti dagli atti autorizzativi e dal DPCM del 1991.
Va invero ribadito il principio che i rumori molesti provenienti da un bar integrano la fattispecie di cui all'art. 659, secondo comma, quando provengano da attività strettamente connesse e necessarie all'esercizio del bar stesso. In particolare, pertanto, l'attività di un bar regolarmente autorizzato dall'autorità amministrativa a rimanere aperto fino a tarda notte ed all'uso di strumenti musicali e di diffusione sonora, deve essere classificata come esercizio di un «mestiere rumoroso», proprio perché in tal caso l'utilizzazione degli strumenti musicali e di diffusione acustica deve considerarsi strettamente connesso ed indispensabile all'esercizio dell'attività autorizzata (cfr. Sez. I, 26.02.2008, n. 11310, Fresina, Rv 239165).
Deve ricordarsi, infatti, che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, l'art. 659 cod. pen. prevede due autonome fattispecie di reato configurate rispettivamente dal primo e dal secondo comma.
L'elemento che le differenzia è rappresentato dalla fonte del rumore prodotto, giacché ove esso provenga dall'esercizio di una professione o di un mestiere rumorosi la condotta rientra nella previsione del secondo comma del citato articolo per il semplice fatto della esorbitanza rispetto alle disposizioni di legge o alle prescrizioni dell'autorità, presumendosi la turbativa della pubblica tranquillità.
Qualora, invece, le vibrazioni sonore non siano causate dall'esercizio della attività lavorativa, ricorre l'ipotesi di cui al primo comma dell'art. 659 cod. pen., per la quale occorre che i rumori superino la normale tollerabilità ed investano un numero indeterminato di persone, disturbando le loro occupazioni o il riposo (Sez. I, 17.12.1998, n. 4820/1999, Marinelli, m. 213395, in un caso di emissioni rumorose provocate non dall'attività di una discoteca, bensì dall'impianto di condizionamento); «L'art. 659 cod. pen. prevede due distinte ipotesi di reato: quello contenuto nel primo comma ha ad oggetto il disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone e richiede l'accertamento in concreto dell'avvenuto disturbo; mentre quello previsto nel secondo comma riguardante l'esercizio di professione o mestiere rumoroso, prescinde dalla verificazione del disturbo, essendo tale evento presunto "iuris et de iure" ogni volta che l'esercizio del mestiere rumoroso si verifichi fuori dai limiti di tempo, di spazio e di modo imposti dalla legge, dai regolamenti o da altri provvedimenti adottati dalle competenti autorità» (Sez. I, 12.06.2012, n. 39852, Minetti, m. 253475).
Ciò rilevato, deve però anche ricordarsi che la giurisprudenza più recente ha peraltro precisato che «L'inquinamento acustico conseguente all'esercizio di mestieri rumorosi, che si concretizza nel mero superamento dei limiti massimi o differenziali di rumore fissati dalle leggi e dai decreti presidenziali in materia, integra l'illecito amministrativo di cui all'art. 10, comma secondo, della legge 26.10.1995 n. 447 (legge quadro sull'inquinamento acustico) e non la contravvenzione di disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone (art. 659, comma secondo, cod. pen.)» (Sez. I, 13.11.2012, n. 48309, Carrozzo, Rv. 254088); e che «In tema di disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone, la condotta costituita dal superamento dei limiti di accettabilità di emissioni sonore derivanti dall'esercizio di professioni o mestieri rumorosi non configura l'ipotesi di reato di cui all'art. 659, comma secondo, cod. peri., ma l'illecito amministrativo di cui all'art. 10, comma secondo, della legge 26.10.1995 n. 447 (legge quadro sull'inquinamento acustico), in applicazione del principio di specialità contenuto nell'art. 9 della legge 24.11.1981 n. 689» (Sez. III, 31.01.2014, n. 13015, Vazzana. Rv. 258702).
In conclusione, deve confermarsi il principio più recentemente affermato (cfr. Sez. III, 18.09.2014, n. 42026, Claudino, Rv. 260658; Sez. III, 21.01.2015, n. 5735, Giuffrè, Rv. 261885), precisandolo nel senso che in tema di disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone, l'esercizio di una attività o di un mestiere rumoroso, integra:
A) l'illecito amministrativo di cui all'art. 10, comma secondo, della legge 26.10.1995, n. 447, qualora si verifichi il superamento dei limiti, massimi o differenziali, di emissione del rumore fissati dalle leggi e dai provvedimenti amministrativi;
B) il reato di cui al comma primo dell'art. 659, cod. peni, qualora i rumori idonei a turbare la quiete pubblica provengano da condotte che eccedano le normali attività di esercizio, ossia non siano strettamente connessi o necessari all'esercizio dell'attività autorizzata;
C) il reato di cui al comma secondo dell'art. 659 cod. pen., qualora siano violate specifiche disposizioni di legge o prescrizioni della Autorità che regolano l'esercizio del mestiere o della attività, diverse da quella relativa ai valori limite di emissione sonora stabiliti in applicazione dei criteri di cui alla legge n. 447 del 1995 (cfr. Sez. III, 18.09.2014, n. 42026, Claudino, Rv. 260658; Sez. III, 21.01.2015, n. 5735, Giuffrè, Rv. 261885).
Più in particolare, va affermato il principio che l'attività di un bar regolarmente autorizzato dall'autorità amministrativa a rimanere aperto fino a tarda notte ed all'uso di strumenti musicali e di diffusione sonora, va classificata come esercizio di un «mestiere rumoroso», in quanto l'uso di tali strumenti è strettamente connesso e necessario all'esercizio dell'attività autorizzata, con la conseguenza che il superamento, mediante gli strumenti stessi, dei limiti massimi o differenziali di emissione del rumore integra l'illecito amministrativo di cui all'art. 10, comma secondo, della legge 26.10.1995, n. 447.
Qualora invece, nel caso in esame, il giudice del merito avesse ritenuto che i rumori provenissero non dagli strumenti musicali o di diffusione sonora o comunque da altre condotte non necessarie e strettamente connesse all'esercizio dell'attività autorizzata e che, di conseguenza, fossero idonei ad integrare il reato di cui al primo comma dell'art. 659 cod. pen., va rilevato che nella sentenza impugnata non si rinviene alcuna motivazione (congrua ed adeguata) non solo su quale sarebbe la fonte diversa ed ulteriore di tali rumori, ma nemmeno sugli elementi costitutivi della fattispecie di cui all'art. 659, primo comma, cod. pen..
Secondo la giurisprudenza, invero, per integrare il reato di cui all'art. 659, primo comma, è necessario che il fastidio non sia limitato agli appartamenti attigui alla sorgente rumorosa (Sez. III, 13.05.2014, n. 23529, Ioniez, Rv. 259194), o agli abitanti dell'appartamento sovrastante o sottostante alla fonte di propagazione (Sez. I, 14.10.2013, n. 45616, Virgillito, Rv. 257345), occorrendo invece la prova che la propagazione delle onde sonore sia estesa quanto meno ad una consistente parte degli occupanti l'edificio, in modo da avere una diffusa attitudine offensiva ed una idoneità a turbare la pubblica quiete.
Difatti, «la rilevanza penale della condotta produttiva di rumori, censurati come fonte di disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone, richiede l'incidenza sulla tranquillità pubblica, in quanto l'interesse tutelato dal legislatore è la pubblica quiete, sicché i rumori devono avere una tale diffusività che l'evento di disturbo sia potenzialmente idoneo ad essere risentito da un numero indeterminato di persone, pur se poi concretamente solo taluna se ne possa lamentare» (ex plurimis, Sez. I, 29.11.2011, n. 47298, Tori, Rv. 251406; Sez. III, 27.01.2015, n. 7912, Contino).
La sentenza impugnata, invece, si è limitata soltanto a ritenere accertato il superamento dei limiti di immissione, peraltro in modo assolutamente incongruo perché l'accertamento al quale si riferisce riguardava il diverso reato giudicato con la sentenza emessa il 13.07.2011 e la cui permanenza era cessata in tale data. Dalla sentenza impugnata, invece, non risultano accertamenti di superamento dei limiti in riferimento alle emissioni sonore posteriori a detta data ed oggetto del presente giudizio.
La sentenza impugnata, inoltre, si limita ad affermare che «non può dubitarsi della idoneità delle immissioni, per l'entità e le caratteristiche accertate, a disturbare un numero indeterminato di persone». Si tratta però di una affermazione meramente apodittica e congetturale sia perché le caratteristiche accertate riguardavano immissioni diverse da quelle oggetto del presente procedimento e sia comunque perché non viene spiegato sulla base di quali concreti elementi si è ritenuto provato, al di là di ogni ragionevole dubbio, che i rumori avessero una tale diffusività che l'evento di disturbo fosse potenzialmente idoneo ad essere risentito da un numero indeterminato di persone.
Al contrario, dalle sentenze di merito sembrerebbe emergere solo la prova che i rumori abbiano recato disturbo unicamente agli abitanti dell'appartamento immediatamente sovrastante il bar, ossia che si fosse in presenza di una fattispecie avente carattere civilistico e non anche penale. Dalla sentenza impugnata invero non risulta alcuna prova che altri soggetti si siano lamentati o che i rumori (successivi al 14.07.2011) siano stati percepiti anche da abitanti in appartamenti diversi da quello immediatamente sovrastante, ed anzi nemmeno risulta che costoro siano stati sentiti.
La sentenza impugnata deve dunque essere annullata con rinvio ad altra sezione della corte d'appello di Milano, che si atterrà ai principi di diritto dianzi indicati.
Gli altri motivi restano assorbiti.


Tratto da:http://www.ptpl.altervista.org/