“Servizi di internet point e phone center – autorizzazioni e sanzioni
Phone center, Internet point
Tratto da SUAP di Sedriano
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Requisiti richiesti per l'apertura di un internet point e/o phone center; le autorizzazioni; la registrazione degli utenti; il sistema sanzionatorio.
Eventi
Avvio attività, trasferimento o ampliamento di una attività esistente.
Subingresso, cessazione, sospensione e ripresa, cambiamento ragione sociale di una attività esistente.
Cessazione di una attività esistente.
Definizioni
Phon center, Internet Point:
Trattasi
di pubblico esercizio o circolo privato nel quale sono messi a
disposizione del pubblico, clienti o soci, apparecchi terminali (fax,
voip, ecc.) utilizzabili per le comunicazioni, anche telematiche.
Normativa
- Legge regionale (Regione Lombardia) 3 Marzo 2006, n. 6 - Norme per l'insediamento e la gestione di centri di telefonia in sede fissa
- Decreto Legge 27 Luglio 2005, n. 144 - Misure urgenti per il contrasto del terrorismo internazionale.
- Decreto Legge 29 Dicembre 2010, n. 225 - Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e di interventi urgenti in materia tributaria e di sostegno alle imprese e alle famiglie.
- Decreto Legge 29 Dicembre 2011, n. 216 - Proroga di termini previsti da disposizioni legislative.
- Decreto Legislativo 06 Settembre 2011, n. 159 - Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 13 agosto 2010, n. 136.
- Decreto legislativo 1 Agosto 2003, n. 259 - Codice delle comunicazioni elettroniche.
- Legge 11 marzo 1953, n. 87 - Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale.
- Legge 31 Luglio 2005, n. 155 - Conversione in legge, con modificazioni, del D.L. 27 luglio 2005, n. 144, recante misure urgenti per il contrasto del terrorismo internazionale.
- Sentenza della Corte Costituzionale (Corte Costituzionale) 20 Ottobre 2008, n. 350 - dichiarazione di illegittimità costituzionale della legge della Regione Lombardia n. 6 del 2006, norme per l'insediamento e la gestione di centri di telefonia in sede fissa - "phone center"
Prerequisiti
Requisiti soggettivi e morali:
Lo svolgimento dell'attività è subordinato al possesso dei requisiti soggettivi previsti dalla normativa antimafia.
Il possesso dei requisiti morali deve essere autocertificato dal legale rappresentante e da tutti i componenti del consiglio di amministrazione in caso di S.p.A. e S.r.l., dai soci accomandatari in caso di s.a.s., dai soci amministratori in caso di s.n.c.
Lo svolgimento dell'attività è subordinato al possesso dei requisiti soggettivi previsti dalla normativa antimafia.
Il possesso dei requisiti morali deve essere autocertificato dal legale rappresentante e da tutti i componenti del consiglio di amministrazione in caso di S.p.A. e S.r.l., dai soci accomandatari in caso di s.a.s., dai soci amministratori in caso di s.n.c.
Cosa occorre fare
Avvio attività, trasferimento o ampliamento di una attività esistente:
- Phone center:
- Domanda ( è necessario seguire le indicazioni fornite sul sito del Ministero dello Sviluppo Econimico) L'esercizio dell'attività è subordinato alla presentazione di Domanda compilabile dal sito del Minisrtero dello Sviluppo Economico nel rispetto come da Allegato 9 all’articolo 25 del Codice delle Comunicazioni elettroniche. Tutta la documentazione va presentata all'Ispettorato Territoriale competente per la Regione di residenza. Successivamente all'autorizzazione occorre presentare una richiesta di Licenza al Questore (presso il Commissariato di zona).
- Copia del documento di identità del dichiarante in corso di validità;
- Permesso di soggiorno in corso di validità per i cittadini extracomunitari;
- Certificato del Casellario Giudiziale del rappresentante legale o Autocertificazione requisiti morali; (vedi Modulistica )
- Certificato d' Iscrizione, in originale, alla C.C.I.A.A.;
- Dichiarazione antimafia per persone fisiche (legale rappresentante ) (modello STRH0048) o (vedi Modulistica );
- Certificato conforme, dell’'impianto telefonico interno, da una ditta iscritta all'Albo degli installatori e manutentori.
- Documentazione attestante la disponibilità dei locali
- Internet Point:
- Licenza (è necessario seguire le indicazioni fornite sul sito della Polizia di Stato) Allegare inoltre:
- Copia del documento di identità del dichiarante in corso di validità;
- Permesso di soggiorno in corso di validità per i cittadini extracomunitari;
- Autocertificazione requisiti morali; (modello STRH0115);
- Certificato del Casellario Giudiziale del rappresentante legale o Autocertificazione requisiti morali; (vedi Modulistica)
- Dichiarazione antimafia per persone fisiche (modello STRH0048) o Dichiarazione antimafia per persone giuridiche.( modello STRH0049);
- Certificato conforme, dell’'impianto telefonico interno, da una ditta iscritta all'Albo degli installatori e manutentori.
- Copia della dichiarazione inoltrata al Ministero delle Comunicazioni ( Ministero delle Comunicazioni informativa modulistica )
- Documentazione attestante la disponibilità dei locali;
Allegare inoltre:
Modulistica
Allegati
- Dichiarazione antimafia per persone giuridiche (STRH0049)
Modalità d'esercizio
- Phone Center:
L'attività di gestione di punto telefonico o phone center (esclusivamente vocali) rientra nelle autorizzazioni generali ad uso pubblico e non comprende i telefoni pubblici "a gettone" o "a scheda". (Vedi sito Ministero dello Sviluppo Econimico per la modulistica)
Le dichiarazioni per richiedere l'autorizzazione devono essere redatte sulla base dell'Allegato 9, scaricabile dal sito del Ministero, secondo le indicazioni del ministero dello Sviluppo Economico e presentate all'Ispettorato territoriale competente per Regione di residenza. - Internet Point:
Per l’apertura di pubblico esercizio o circolo privato di qualsiasi specie, nel quale sono posti a disposizione del pubblico, dei clienti o dei soci apparecchi terminali utilizzabili per le comunicazioni anche telematiche (internet point). ( vedi sito Polizia di Stato per la modulistica)
Note
Telefonia Fissa (phon center, internet point):
La Corte costituzionale, con sentenza 22-24 ottobre 2008, n. 350 (Gazz. Uff. 29 ottobre 2008, n. 45, 1° serie speciale), ha dichiarato l'illegittimità costituzionale degli articoli 1, 4, 9 (comma 1, lettera c) e comma 2) e 12 della legge della Regione Lombardia 3 marzo 2006, n. 6 (Norme per l'insediamento e la gestione di centri di telefonia in sede fissa - "phone center") e, ai sensi dell'art. 27, L. 11 marzo 1953, n. 87, delle restanti parti della stessa (articoli 2, 3, 5, 6, 7, 8, 9, comma 1, lettere a), b), d), e) ed f), 10, 11 e 13); tale norma, fra l'altro, attribuiva ai Comuni la competenza al rilascio delle autorizzazioni per l'esercizio di tale attività.
Pertanto, non essendo più in vigore tale legge e in attesa di una nuova disciplina della materia, per esercitare l'attività di phone center/internet point è necessario chiedere alla Questura la licenza per gli esercizi pubblici di telecomunicazioni (internet point). ( vedi per ulteriori informazioni il sito della polizia di stato)
La Corte costituzionale, con sentenza 22-24 ottobre 2008, n. 350 (Gazz. Uff. 29 ottobre 2008, n. 45, 1° serie speciale), ha dichiarato l'illegittimità costituzionale degli articoli 1, 4, 9 (comma 1, lettera c) e comma 2) e 12 della legge della Regione Lombardia 3 marzo 2006, n. 6 (Norme per l'insediamento e la gestione di centri di telefonia in sede fissa - "phone center") e, ai sensi dell'art. 27, L. 11 marzo 1953, n. 87, delle restanti parti della stessa (articoli 2, 3, 5, 6, 7, 8, 9, comma 1, lettere a), b), d), e) ed f), 10, 11 e 13); tale norma, fra l'altro, attribuiva ai Comuni la competenza al rilascio delle autorizzazioni per l'esercizio di tale attività.
Pertanto, non essendo più in vigore tale legge e in attesa di una nuova disciplina della materia, per esercitare l'attività di phone center/internet point è necessario chiedere alla Questura la licenza per gli esercizi pubblici di telecomunicazioni (internet point). ( vedi per ulteriori informazioni il sito della polizia di stato)
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Requisiti richiesti per l'apertura di un internet point e/o phone center; le autorizzazioni; la registrazione degli utenti; il sistema sanzionatorio.
Dott. Pezzullo Michele –
Com. te Polizia Municipaletratto da http://www.assmarcopolo.it
Premessa
L’art. 7 del D.L. 144/2005[1], convertito con modificazioni dalla legge n. 155/2005[2],
aveva stabilito che, fino al 31 dicembre 2007, chiunque intendesse
aprire un pubblico esercizio o un circolo privato con attività esclusiva
o prevalente di messa a disposizione del pubblico o dei soci apparecchi
terminali utilizzati per comunicazioni telematiche (internet point e
phone center) doveva chiedere licenza al Questore. La licenza non era
richiesta per il servizio di telefoni pubblici a pagamento, abilitati
alla telefonia vocale.
Poichè
trattavasi di licenza di P. S. trovavano applicazione le norme del
Tulps, relative alle autorizzazioni di polizia (titolo I, capo III),
all’inosservanza degli ordini dell’autorità di pubblica sicurezza ed
alle contravvenzioni (titolo I, capo IV), nonchè agli esercizi pubblici
(titolo III, capo II).
Lo
stesso articolo 7, al comma 4, prescriveva, altresì, che il Ministero
dell’Interno, di concerto con il Ministero per le Innovazioni
tecnologiche, adottasse un decreto stabilendo le modalità per il
monitoraggio delle operazioni effettuate dagli utenti delle postazioni e
l’archiviazione dei relativi dati, nonché le misure di acquisizione
preventiva dei dati anagrafici, riportati dai documenti di identità dei
soggetti che utilizzavano postazioni pubbliche non vigilate per comunicazioni telematiche ovvero punti di accesso ad Internet con tecnologia senza fili.
Il Ministero dell’Interno, con il decreto 16 agosto 2005[3],
individuò dette modalità e prescrizioni, prevedendo l’obbligo per i
titolari degli esercizi pubblici o di circoli privati, ove erano
installate postazioni telematiche, utilizzabili per le comunicazioni, a
disposizione del pubblico o dei soci, di impedire l’accesso a tali
apparecchi alle persone non identificate preventivamente, acquisendo e
archiviando i dati anagrafici degli utenti, nonché i dati del documento
identificativo presentato, rendendo disponibili al Servizio di Polizia
postale i dati acquisiti.
Gli
stessi titolari erano, inoltre, obbligati ad adottare misure idonee a
memorizzare e conservare i dati relativi alla data e ora della
comunicazione e la tipologia di servizio utilizzato.
Si
deve, però, precisare che tali misure, di certo limitative della
libertà individuale del singolo utente che accedeva ai servizi internet e
wi-fi, furono adottate come misure preventive contro il terrorismo
internazionale che in quegli anni aveva portato attacchi diretti al
mondo occidentale.
Il predetto termine del 31.12.2007, previsto per la fine di tale legislazione emergenziale, fu di volta in volta prorogato fino al 31.12.2010; infine, il D.L. 225/2010[4] (decreto “Milleproroghe 2011”), convertito con modificazioni dalla legge 10/2011[5],
con l’art. 2, comma 19, lett. a), rimodulò l’art. 7 del citato D.L.
144/2005, prorogando la scadenza al 31 dicembre 2011 solo per gli
esercizi che esercitavano tale attività in via principale, esonerando
dall’obbligo della licenza gli esercizi che offrivano il servizio in
argomento in via accessoria.
Con
il medesimo art. 2, comma 19, lett. b) furono abrogati i commi 4 e 5
dello stesso articolo 7 che, ricordiamo, prevedevano l’obbligo della
registrazione degli utenti dei sistemi wi-fi ed il controllo delle
connessioni compiute.
Pertanto,
dal 1 gennaio 2011 l’obbligo della licenza non era più richiesto per
gli esercizi pubblici quali bar, ristoranti, alberghi, circoli privati
ed altri, che fornivano tale servizio ai propri clienti e soci in via
accessoria rispetto alla somministrazione di alimenti e bevande; mentre
permaneva ancora l’obbligo della licenza di polizia per coloro che
svolgevano in via prevalente l’attività di internet point e di
utilizzazione di apparecchi terminali per le comunicazioni telematiche,
però solo fino al 31 dicembre 2011.
Infine, il decreto legge 216/2011[6] (decreto “Milleproroghe 2012”), convertito con modificazioni dalla Legge 14/2012[7],
non ha previsto più ulteriore proroga dell’obbligo di licenza del
Questore per gli esercizi pubblici di telefonia e internet e quindi, a
decorrere dal 1° gennaio 2012, può essere aperto al pubblico un
esercizio di phone center e internet point senza l’obbligo della licenza di P. S.; peraltro non è neanche obbligatoria la registrazione degli utenti degli apparecchi telematici, nè conservare il registro di accesso alla rete.
Autorizzazione per l’esercizio
Se
non necessita più alcuna licenza di polizia, bisogna però evidenziare
che l’attività di internet point e phone center, esercitata quale
attività primaria, è comunque soggetta ad un titolo abilitativo.
Infatti,
il titolare, quale persona fisica, o il legale rappresentante, quale
persona giuridica, ai sensi dell’art. 25, comma 4, D. Lgs. 259/2003[8], dovrà presentare al Ministero dello Sviluppo Economico una dichiarazione contenente l'intenzione di offrire al pubblico reti e servizi di comunicazione elettronica, conforme al modello di cui all’allegato 2 del D. Lgs. 70/12[9].
Tale
dichiarazione costituisce segnalazione certificata di inizio attività
(SCIA), ai sensi dell’art. 19 della legge 241/90 e, quindi, l’impresa è
abilitata ad avviare la propria attività a decorrere dall’avvenuta
presentazione della segnalazione certificata.
Le
imprese titolari di autorizzazione sono, altresì, tenute all’iscrizione
nel registro degli operatori di comunicazione (R.O.C.) di cui
all’articolo 1 , comma 6, lett. a), n. 5), della legge 249/97[10].
Nell’ipotesi
in cui l’attività in esame viene esercitata in via secondaria o
accessoria rispetto ad altra attività primaria di somministrazione,
ricettiva – alberghiera, circoli privati, fornendo detto servizio ai
propri clienti o soci, si evidenziano due distinte fattispecie:
1. per l’esercizio con installazione di un internet point con un p. c. fisso non occorre presentare alcuna segnalazione ne iscriversi al R.O.C.;
2. per l’esercizio con installazione di un internet point in modalità wireless:
a) se
il segnale rimane all'interno del locale e il provider di accesso alla
rete è autorizzato, il gestore non deve presentare alcuna segnalazione e
non deve iscriversi al R.O.C;
b) se l'area wireless è offerta anche all'esterno del locale, il responsabile deve presentare il predetto allegato 2 del D. Lgs. 70/12 al Ministero dello Sviluppo Economico, richiedere una frequenza presentando l’allegato ”A” del DM 28/5/2003, nonchè iscriversi al R.O.C.
La registrazione degli utenti
Negli
ultimi mesi è stato nuovamente affrontato Il tema sull’obbligatorietà,
per i titolari dei pubblici esercizi che mettono a disposizione
dell’utenza le postazioni telematiche, dell’acquisizione dei dati relativi alla identificazione e registrazione degli utenti dei servizi, nonché la loro archiviazione.
La
discussione è stata sollevata dai provider che forniscono i programmi, i
quali avevano interpretato, in modo più restrittivo, la normativa
relativa al Decreto Milleproroghe 2011 (vedi nota sub 4), che aveva
abrogato i commi 4 e 5 dell’art. 7 del D. L. 14/2005, relativi
all’obbligo della registrazione degli utenti ed archiviazione dei dati.
Orbene,
sostenevano detti “Isp” (internet service provider), fornitori di
servizi internet, che in capo ai gestori degli esercizi pubblici, quali
bar, ristoranti e simili, permanevano comunque i predetti obblighi ed
inoltre, gli stessi erano da ritenersi responsabili dei siti utilizzati
dai propri clienti in caso di connessione alla rete telematica con
accesso fornito dal locale.
La
FIPE (Federazione italiana dei pubblici esercizi), ritenendo che
l’abrogazione dei citati commi 4 e 5, di fatto, dal 1 gennaio 2011 aveva
sollevato i titolari dei pubblici esercizi da tali obblighi e che tale
pratica, in costanza dell’abrogazione della norma di riferimento,
avrebbe costituito una palese violazione del diritto alla privacy degli
utenti, aveva posto un quesito all’Autorità Garante della protezione dei
dati personali (Garante della privacy), chiedendo chiarimenti in ordine
agli obblighi in materia di privacy da parte dei gestori dei locali,
domandando in particolare: “Gli
esercizi e le strutture che ancora dispongono di software in grado di
registrare tutti gli utenti che fanno uso della rete wi-fi e di
monitorarne la corrispondenza e la navigazione on line si pongono in
netto contrasto con la normativa posta a tutela della privacy e del
diritto di ogni cittadino alla riservatezza, qualora non sia richiesto
preventivamente il consenso al trattamento dei dati ai sensi dell’art.
13 del D. Lgs. 30/6/2003 n. 196[11] (Codice in materia di protezione dei dati personali)?”.
Il
Garante, lo scorso 5 febbraio 2013, con proprio parere, ha confermato,
in buona sostanza, la tesi sostenuta dalla FIPE; in particolare
l’Autorità interpellata, nel richiamare il
rispetto della normativa in materia di protezione dei dati personali, a
seguito dell’abrogazione degli obblighi di cui ai commi 4 e 5 dell’art.
7 D. L. 144/05,
ha sostenuto che gli esercenti che ancora dispongono di strumenti per
il monitoraggio e l’archiviazione dei dati possono eliminarli, senza il
rischio di alcuna responsabilità, rendendo così realmente libero il servizio di wi-fi offerto.
Gli stessi operatori, qualora volessero continuare ad utilizzare tali
sistemi in maniera legittima, hanno l’obbligo di informare gli utenti
dell’utilizzo che viene fatto dei dati monitorati, ai sensi dell’art. 13
dello stesso Codice di protezione dei dati personali, chiedendo loro la
sottoscrizione del consenso al trattamento degli stessi.
Ricordiamo
che l’identificazione degli utenti senza la richiesta del consenso è
sanzionato, ai sensi dell’art. 161 del codice con sanzione
amministrativa pecuniaria da € 6.000,00 a € 36.000,00.
rete w
Sanzioni
L’esercizio
dell’attività effettuata in assenza di autorizzazione, ovvero in
difformità da quanto dichiarato con la presentazione della Scia, è
punito con le sanzioni amministrative pecuniarie indicate dall’art. 98
del D. Lgs. 259/2003.
In
particolare, l’art. 98, comma 2 stabilisce che l’esercizio
dell’attività di fornitura al pubblico di servizi di comunicazione
elettronica in assenza della prescritta Scia, da presentare al Ministero
dello Sviluppo Economico, è punito con sanzione amministrativa
pecuniaria da € 1.500,00 a € 2.500,00, con pagamento in misura ridotta di € 3.000,00.
Inoltre,
lo stesso art. 98, al comma 6, dispone che, indipendentemente dalla
sanzione di cui al precedente comma 2, il citato Ministero S. E. può
provvedere direttamente e a spesa del trasgressore, qualora lo stesso
non provveda, a sigillare, rimuovere o sequestrare l’impianto attivato
abusivamente.
Infine, sempre
l’art. 98, al comma 3, prescrive che l’esercizio dell’attività con
offerta al pubblico di servizi di comunicazione elettronica in
difformità da quanto dichiarato con la Scia, da presentare ai sensi
dell’art. 25, comma 4, come innanzi detto, è soggetto a sanzione
amministrativa pecuniaria da € 3.000,00 a 58.000,00 con pagamento in misura ridotta di € 6.000,00.
Si
evidenzia che la competenza a ricevere il rapporto, ex art. 17 legge
689/81, ed irrogare le sanzioni dell’indicato Codice delle comunicazioni
è demandata al medesimo Ministero, con l’adozione delle relative
ordinanze-ingiunzioni, tenendo conto della gravità delle violazioni
accertate.
Fonte: Comandante di PM M. Pezzullo
Ins.to il 29 aprile 2013 da arial
[1]
Decreto Legge 27 luglio 2005, n. 144, recante “Misure urgenti per il
contrasto del terrorismo internazionale”; in G. U. n.173 del 27.7.2005.
[2]
Legge 31 luglio 2005, n. 155, recante “Conversione in legge, con
modificazioni, del decreto-legge 27 luglio 2005, n. 144, recante misure
urgenti per il contrasto del terrorismo internazionale”; in G. U. n. 177
del 01.8.2005.
[3] Decreto Ministero Interno 16 agosto 2005, recante “Misure
di preventiva acquisizione di dati anagrafici dei soggetti che
utilizzano postazioni pubbliche non vigilate per comunicazioni
telematiche ovvero punti di accesso ad Internet utilizzando tecnologia
senza fili, ai sensi dell'articolo 7, comma 4, del decreto-legge 27
luglio 2005, n. 144 convertito, con modificazioni, dalla legge 31 luglio
2005, n. 155”; in G. U. n. 190 del 17.8.2005.
[4] Decreto Legge 29 dicembre 2010, n. 225, recante “Proroga
di termini previsti da disposizioni legislative e di interventi urgenti
in materia tributaria e di sostegno alle imprese e alle famiglie”; in
G. U. n. 303 del 29.12.2010.
[5] Legge 26 febbraio 2011, n. 10, recante “Conversione
in legge, con modificazioni, del decreto-legge 29 dicembre 2010, n.
225, recante proroga di termini previsti da disposizioni legislative e
di interventi urgenti in materia tributaria e di sostegno alle imprese e
alle famiglie”; in G. U. n. 47 del 26.2.2011, S. O. n. 53/L.
[6] Decreto
legge 29 dicembre 2011, n. 216, recante “Proroga di termini previsti da
disposizioni legislative”; in G. U. n. 302 del 29.12.2011.
[7] Legge 24 febbraio 2012, n. 14, recante “Conversione
in legge, con modificazioni, del decreto-legge 29 dicembre 2011, n.
216, recante proroga di termini previsti da disposizioni legislative.
Differimento di termini relativi all'esercizio di deleghe legislative”;
in G. U. n. 48 del 27.2.2012, S. O. n. 36.
[8]
Decreto Legislativo 1 agosto 2003, n. 259, recante “Codice delle
comunicazioni elettroniche”; in G. U. n. 214 del 15.9.2003, S. O. n.
150.
[9] Decreto Legislativo 28 maggio 2012, n. 70, recante “Modifiche
al decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259, recante codice delle
comunicazioni elettroniche in attuazione delle direttive 2009/140/CE, in
materia di reti e servizi di comunicazione elettronica, e 2009/136/CE
in materia di trattamento dei dati
personali e tutela della vita privata”; in G. U. n. 126 del 31.5.2012.
[10]
Legge 31 luglio 1997, n. 249, recante “Istituzione dell’Autorità per le
garanzie nelle comunicazioni e norme sui sistemi delle
telecomunicazioni e radiotelevisivo”;in G. U. n. 177 del 31.7.1997, S.
O. n.154.
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Vedi anche:
Circolare 12-124 Generale - Modifica TU Phone center
ufficio Studi e Formazione P.M. Torino
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Sentenza Corte Costituzionale 350/2008 | |
Giudizio | GIUDIZIO DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE IN VIA INCIDENTALE |
Presidente FLICK - Redattore DE SIERVO | |
Camera di Consiglio del 24/09/2008 Decisione del 22/10/2008 | |
Deposito del 24/10/2008 Pubblicazione in G. U. 29/10/2008 n. 45 | |
Norme impugnate: | Artt. 1, 3, 4, 8, c. 1°, lett. e), f), h) ed i), e 2°, 9, c. 1°, lett. c), e 2°, e 12 della legge della Regione Lombardia 03/03/2006, n. 6 |
Massime: | 32869 32870 32871 32872 32873 32874 32875 |
Atti decisi: | ord. 2, 15, 65, 66, 67, 100, 101, 102, 103 e 127/2008 |
SENTENZA N. 350
ANNO 2008
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Presidente: Giovanni Maria FLICK;
Giudici: Francesco AMIRANTE, Ugo DE SIERVO, Paolo
MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA,
Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino
CASSESE, Maria Rita SAULLE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria
NAPOLITANO,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale degli articoli 1; 3; 4; 8, comma 1, lettere e), f), h) ed i) e comma 2; 9, comma 1, lettera c),
e comma 2; e 12 della legge della Regione Lombardia 3 marzo 2006, n. 6
(Norme per l'insediamento e la gestione di centri di telefonia in sede
fissa), promossi con ordinanze del 20 settembre 2007 (numero 2
ordinanze), del 29 ottobre 2007, del 26 novembre 2007 (numero 3
ordinanze), del 10 dicembre 2007 (numero 2 ordinanze), del 27 dicembre
2007 e del 22 gennaio 2008, dal Tribunale amministrativo regionale per
la Lombardia, Sezione IV di Milano, iscritte ai numeri 2, 15, 65, 66,
67, 100, 101, 102, 103 e 127 del registro ordinanze 2008 e pubblicate
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 7, 8, 13, 16,e 19, prima serie speciale, dell'anno 2008.
Visto l'atto di intervento della Regione Lombardia;
udito nella camera di consiglio del 24 settembre 2008 il Giudice relatore Ugo De Siervo.
Ritenuto in fatto
1. – Con dieci distinte ordinanze (r.o. nn. 2, 15, 65,
66, 67, 100, 101, 102, 103 e 127 del 2008), adottate nel corso di
altrettanti giudizi, il Tribunale amministrativo regionale della
Lombardia, Sezione IV di Milano, ha sollevato questione di legittimità
costituzionale degli articoli 1; 4; 8, commi 1, lettere e), f), h) ed i), e 2; 9, commi 1, lettera c),
e 2; e 12 della legge della Regione Lombardia 3 marzo 2006, n. 6 (Norme
per l'insediamento e la gestione di centri di telefonia in sede fissa),
in riferimento agli articoli 3, 15, 41 e 117 della Costituzione.
2. – Il rimettente riferisce che i ricorrenti sono
titolari di centri di telefonia già attivi alla data di entrata in
vigore della legge regionale n. 6 del 2006 e che nei loro confronti è
stata disposta, con ordinanze delle rispettive amministrazioni comunali,
la cessazione dell'attività «per mancata conformazione ai nuovi
requisiti (in prevalenza igienico-sanitari e di sicurezza dei locali)
disposti dalla predetta legge regionale». Ciò in applicazione delle
seguenti censurate disposizioni della legge regionale n. 6 del 2006:
l'art. 1, «nella parte in cui riporta la materia oggetto di trattazione
alla legislazione residuale regionale sul commercio»; l'art. 4, «che
introduce un sistema generalizzato di autorizzazione comunale per
l'esercizio dell'attività»; l'art. 8, «nella parte (comma 1, lettere e, f, h ed i,
e comma 2) in cui introduce – con immediata modifica dei regolamenti
comunali vigenti – numerosi nuovi requisiti igienico-sanitari e di
sicurezza dei locali; gli artt. 9, primo comma, lettera c) e
secondo comma, e 12, che prevedono che i centri di telefonia già
funzionanti si debbano adeguare alle nuove prescrizioni entro un anno,
andando altrimenti incontro alla revoca dell'autorizzazione.
3. – In punto di rilevanza, il rimettente riferisce che i
provvedimenti impugnati hanno intimato ai ricorrenti «la cessazione
immediata dell'attività per mancato tempestivo adeguamento ai nuovi
requisiti di cui sopra» e che la legge regionale non ha lasciato o
consentito «alcuna mediazione discrezionale in capo alla procedente
autorità amministrativa la quale … ha dovuto emettere il provvedimento
(in tutto vincolato nel contenuto) di cessazione immediata dell'attività
alla scadenza del perentorio termine annuale fissato». Il rimettente
riferisce altresì di aver adottato un'ordinanza cautelare di sospensione
del provvedimento di cessazione dell'attività di centri di telefonia
con efficacia limitata al periodo di tempo necessario a che la Corte
costituzionale si pronunci.
4. –Il TAR rimettente individua le disposizioni
costituzionali di cui si sospetta la violazione nell'art. 117, «in
relazione ai vincoli dell'ordinamento comunitario ed al sistema di
riparto delle competenze legislative Stato-Regione»; negli artt. 3 e 41,
«in relazione, in particolare, ai rilevanti ostacoli che le restrittive
prescrizioni in materia igienico-sanitaria introdotte dalla legge
regionale di che trattasi, da applicare anche retroattivamente alle
preesistenti gestioni di centri di telefonia, determinano sulla libertà
di iniziativa economica di questi ultimi»; nell'art. 15 sulla libertà di
comunicazione.
4.1. – L'asserita violazione dell'art. 117 della
Costituzione sarebbe, innanzitutto, suffragata dall'errato inquadramento
materiale delle disposizioni censurate. L'art. 1, infatti, riconduce la
relativa normativa al commercio. Diversamente, il giudice a quo
esclude che la erogazione di servizi di telefonia in sede fissa, in
locali aperti al pubblico, rientri nelle previsioni legislative relative
all'attività commerciale. Ciò sarebbe confermato dal divieto, contenuto
nella legge censurata, di affiancare – come in passato – attività
commerciali “di supporto”, salvo la sola vendita di schede telefoniche e
l'installazione di distributori automatici di bevande ed alimenti.
Per il Tribunale rimettente, invece, l'attività presa in
considerazione dalla legge regionale sarebbe riconducibile alla materia
di competenza concorrente dell'ordinamento delle comunicazioni e, più
specificamente, al «servizio di comunicazione elettronica» di cui
all'art. 2, paragrafo 1, lettera c) della direttiva 7 marzo 2002, n. 2002/21/CE, recepito dal decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259 (Codice delle comunicazioni elettroniche).
4.2. – Il diverso inquadramento materiale determinerebbe una serie di limiti e vincoli sul legislatore regionale.
Innanzitutto, la rilevata matrice europea di tale normativa comporta l'applicabilità, ex
art. 117, primo comma, della Costituzione, del principio di
proporzionalità. In secondo luogo, trattandosi di materia concorrente,
il legislatore regionale non può disattendere i limiti della
legislazione statale di principio. Infine, occorrerebbe anche
considerare alcuni «profili trasversali di legislazione esclusiva
statale» ex art. 117, secondo comma, della Costituzione, con specifico riguardo alla tutela della concorrenza (lettera e)
nonché alla salvaguardia dei livelli essenziali delle prestazioni
concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su
tutto il territorio nazionale (lettera m).
Il rimettente ricorda che l'art. 3, comma 1, del
surrichiamato codice delle comunicazioni garantisce i «diritti
inderogabili di libertà delle persone nell'uso dei mezzi di
comunicazione elettronica», con espresso riferimento al regime di libera
concorrenza. Inoltre, i principi di derivazione comunitaria e
costituzionale risultano espressamente ribaditi dall'art. 4 del medesimo
codice, il quale prevede al comma 1 che la disciplina delle reti e dei
servizi sia volta a salvaguardare i diritti costituzionalmente garantiti
di «libertà di comunicazione», nonché di «libertà di iniziativa
economica e suo esercizio in regime di concorrenza, garantendo un
accesso al mercato delle reti e servizi di comunicazione elettronica
secondo criteri di obiettività, trasparenza, non discriminazione e
proporzionalità».
Al tempo stesso, il comma 3 dello stesso art. 4 dispone
che la suddetta disciplina è diretta anche a «promuovere la
semplificazione dei procedimenti amministrativi e la partecipazione ad
essi dei soggetti interessati, attraverso l'adozione di procedure
tempestive, non discriminatorie e trasparenti nei confronti delle
imprese che forniscono reti e servizi di comunicazione elettronica».
4.3. – Per il rimettente, il legislatore lombardo –
regolando l'intero settore dei centri di telefonia in sede fissa – ha
introdotto «un regime autorizzativo ulteriore e duplicativo rispetto al
sistema delineato in sede comunitaria e recepito con il decreto
legislativo n. 259/2003».
Ciò mentre il comma 2 dell'art. 3 del codice configura la
fornitura di reti e servizi di comunicazione elettronica come di
preminente interesse generale e libera, salve solo «le limitazioni
derivanti da esigenze della difesa e della sicurezza dello Stato, della
protezione civile, della salute pubblica e della tutela dell'ambiente e
della riservatezza e protezione dei dati personali, poste da specifiche
disposizioni di legge o da disposizioni regolamentari di attuazione». Lo
stesso codice prevede che l'espletamento di tali servizi venga
subordinato ad una sola «autorizzazione generale», in armonia con la
normativa europea. In particolare, tale autorizzazione consegue alla
presentazione di una dichiarazione dell'interessato (a seguito della
quale è possibile iniziare l'attività) contenente l'intenzione di
procedere alla fornitura (art. 25, comma 3), mentre il potere del
Ministero competente di vietare il prosieguo dell'attività medesima può
essere esercitato «entro e non oltre» sessanta giorni secondo il modulo
procedimentale della dichiarazione di inizio attività ex art. 19, legge 7 agosto 1990, n. 241 (art. 25, comma 4).
Il giudice rimettente sostiene che la previsione di un
ulteriore titolo abilitativo comunque abbia alterato «il regime di
sostanziale libertà di fornitura dei servizi de quibus
così come delineato in via primaria dall'ordinamento comunitario, ed in
via attuativa dalla norma statale di recepimento, con conseguenti
aggravamenti procedimentali vietati dai citati artt. 3 e 4 del decreto
n. 259/2003».
Peraltro – prosegue il rimettente – molte delle
limitazioni previste dalla legge censurata sembrano afferire a materie
comunque estranee a quella potestà legislativa residuale che la Regione
Lombardia ha, invece, inteso nella specie esercitare: questo con
particolare riferimento alle esigenze della difesa e della sicurezza
dello Stato ed alla tutela dell'ambiente, di competenza esclusiva del
legislatore statale, nonché alle esigenze di protezione civile e di
salute pubblica, di competenza concorrente.
4.4. – In relazione ai requisiti igienico-sanitari e di sicurezza dei locali, per il giudice a quo
la contestata legge regionale reca «contenuti di dettaglio che
integrano in modo automatico e simultaneo tutti i regolamenti di igiene
delle autorità sanitarie e dei comuni in territorio lombardo […], e ciò
senza che la legislazione statale di riferimento consenta, all'interno
di tale regolamentazione locale, l'inserimento eteronomo di contenuti
dispositivi e di dettaglio direttamente prestabiliti da leggi
regionali». Né sussisterebbero nella legislazione vigente prescrizioni
così restrittive neanche per i locali ove vi è maggiore concentrazione
di persone per un tempo di permanenza maggiore, come teatri, cinema o
nei locali ove viene svolta attività di somministrazione di alimenti e
bevande.
Da tutto ciò discende la necessità che la potestà
legislativa regionale concorrente venga esercitata nel rispetto dei
principi fondamentali di cui agli articoli 3 e 41 della Costituzione,
nonché del principio di proporzionalità.
4.5. – Il giudice rimettente ritiene che la questione
presenti profili di non manifesta infondatezza anche nella parte in cui è
sancita l'applicazione retroattiva delle nuove disposizioni, senza
neppure delineare la possibilità di proroghe per consentire agli
esercizi preesistenti di continuare l'attività.
Secondo la consolidata giurisprudenza costituzionale, la
possibilità del legislatore di incidere con norme retroattive su
situazioni sostanziali ormai radicate da leggi precedenti, sarebbe
subordinata al rigoroso vaglio di razionalità del nuovo regolamento di
interessi.
Per il giudice a quo nella specie non sussiste una sicura rispondenza dello ius superveniens
a criteri di ragionevolezza, in relazione alle modalità con cui la
nuova normativa incide sui legittimi affidamenti dei titolari dei
preesistenti centri di telefonia e sulle loro disponibilità finanziarie.
Ne discenderebbe una lesione della libertà di iniziativa economica
privata presidiata dall'art. 41 della Costituzione, anche in relazione
alla tutela della concorrenza garantita dall'ordinamento europeo.
5. – Con atto depositato il 26 febbraio 2008, è
intervenuta nel presente giudizio (in relazione alle questioni sollevate
con l'ordinanza r.o. n. 2 del 2008) la Regione Lombardia che, con
riserva di successive allegazioni e argomentazioni, ha eccepito, in via
preliminare, l'inammissibilità delle sollevate questioni di legittimità
costituzionale sostenendo, comunque, la loro infondatezza nel merito.
6. – Con memoria depositata il 24 luglio 2008 la Regione
Lombardia ha presentato una ampia memoria ad integrazione del suo
precedente atto di intervento.
6.1. – La difesa regionale reputa le questioni in oggetto
inammissibili per evidente difetto di motivazione sulla rilevanza,
avendo il rimettente omesso di descrivere alcuni elementi decisivi della
fattispecie che ha originato il giudizio principale (le osservazioni si
riferirebbero anche alle altre ordinanze «che hanno, in maniera
sostanzialmente identica, censurato le norme»). In particolare,
nell'ordinanza di rinvio non sarebbero rinvenibili informazioni sulle
autorizzazioni eventualmente ottenute, né sulle motivazioni sottese
all'impugnato provvedimento di cessazione dell'attività di centri di
telefonia. Inoltre, altro motivo di inammissibilità sarebbe il mancato
riferimento ad una autorizzazione negata, mentre nell'ordinanza di
rimessione ci si riferisce solo ad una ordinanza di chiusura del centro
di telefonia.
Sarebbero del pari inammissibili le censure sollevate in riferimento all'art. 15 Cost. per la loro mancata motivazione.
Generiche sarebbero altresì le censure formulate in
riferimento all'art. 8 della legge regionale, dal momento che non si
chiarirebbero analiticamente gli asseriti motivi di incostituzionalità
delle quattro distinte prescrizioni legislative.
7. – Nel merito, la difesa regionale sostiene che la
disciplina dei centri di telefonia rientrerebbe pacificamente nella
materia commercio, risultando così esclusa una competenza statale in
materia, dal momento che «la nozione di “servizi di comunicazione
elettronica” non sembra applicabile all'attività dei centri di
telefonia». Comunque «l'autorizzazione prevista dalla legge della
regione Lombardia non interferisce in alcun modo con gli scopi» della
legislazione comunitaria e statale ed anzi troverebbe «il suo fondamento
proprio nella previsione degli articoli 3 e 25 del Codice delle
comunicazioni che consentono la possibilità di limitare la fornitura di
reti o servizi per motivi di salute e sanità pubblica».
La legge regionale censurata, pertanto, «ai fini di
tutela della salute pubblica e delle condizioni igieniche in cui si
svolge il lavoro subordina l'inizio (o la prosecuzione) di tale attività
alla sussistenza di un'autorizzazione comunale». Non vi sarebbero
principi legislativi violati dal legislatore regionale e neppure
potrebbe sostenersi che la legge regionale non possa modificare il
regolamento di igiene locale.
Considerato in diritto
1. – Il Tribunale amministrativo regionale della
Lombardia, Sezione IV di Milano, con le ordinanze r.o. nn. 2, 15, 65,
66, 67, 100, 101, 102, 103 e 127 del 2008, adottate nel corso di
altrettanti giudizi, ha sollevato questione di legittimità
costituzionale degli articoli 1; 4; 8, comma 1, lettere e), f), h) ed
i), e comma 2; 9, comma 1, lettera c), e comma 2; e 12 della legge della
Regione Lombardia 3 marzo 2006, n. 6 (Norme per l'insediamento e la
gestione di centri di telefonia in sede fissa), in riferimento agli
articoli 3, 15, 41 e 117 della Costituzione.
2. – In tutti i giudizi a quibus i ricorrenti, titolari di
centri di telefonia già attivi alla data di entrata in vigore della
legge regionale n. 6 del 2006, hanno impugnato i provvedimenti delle
rispettive amministrazioni comunali mediante i quali è stata disposta la
cessazione dell'attività da loro svolta «per mancata conformazione ai
nuovi requisiti (in prevalenza igienico-sanitari e di sicurezza dei
locali) disposti dalla predetta legge regionale».
Nell'ambito di tali giudizi il rimettente ha eccepito
l'illegittimità costituzionale delle disposizioni regionali in
attuazione delle quali sono stati adottati i provvedimenti impugnati.
In particolare, il TAR censura l'art. 1, «nella parte in
cui riporta la materia oggetto di trattazione alla legislazione
residuale regionale sul commercio»; l'art. 4, «che introduce un sistema
generalizzato di autorizzazione civica per l'esercizio dell'attività»;
l'art. 8, nella parte in cui introduce – con immediata modifica dei
regolamenti vigenti (comma 2) – i nuovi requisiti igienico-sanitari e di
sicurezza dei locali, e, specificamente, la previsione: di un servizio
igienico in uso esclusivo del personale dipendente (lettera e); di un
servizio igienico riservato al pubblico, anche prossimo al locale nel
caso di esercizi già attivi all'entrata in vigore della presente legge,
ma ad uso esclusivo dello stesso per il locale con superficie fino a 60
metri quadrati; di un ulteriore servizio igienico per il locale di
dimensioni superiori (lettera f); «uno spazio di attesa all'interno del
locale di almeno 9 metri quadrati, fino a 4 postazioni telefoniche,
provvisto di idonei sedili posizionati in modo da non ostruire le vie di
esodo» (lettera h); la superficie minima (pari a 1 metro quadrato) per
ogni postazione e la sua collocazione in modo da garantire un percorso
di esodo, libero da qualsiasi ingombro, nonché la larghezza minima di
1,20 metri (lettera i).
Sono censurati, altresì, gli artt. 9, comma 1, lettera c),
e comma 2, e 12, che regolano il regime transitorio per i vecchi
esercizi, nel senso che la prescritta autorizzazione è revocata, senza
possibilità di proroga, «quando il titolare non abbia adempiuto
all'obbligo di porsi in regola con le vigenti norme, prescrizioni e
autorizzazioni in materia edilizia, urbanistica ed igienico-sanitaria,
nonché con le disposizioni sulla destinazione d'uso dei locali e degli
edifici, prevenzione incendi e sicurezza, preventivamente all'avvio
dell'attività come previsto dall'articolo 4, ovvero entro un anno
dall'entrata in vigore della presente legge ai sensi dell'articolo 12».
Tali disposizioni, ad avviso del rimettente, vìolerebbero
l'art. 117 della Costituzione, in quanto, incidendo sulla materia
(concorrente) dell'ordinamento delle comunicazioni, sarebbero
incompatibili con il principio di proporzionalità, di derivazione
comunitaria (art. 117, primo comma). Sarebbero, inoltre, lesive delle
competenze esclusive del legislatore statale in ordine alla «tutela
della concorrenza» di cui all'art. 117, secondo comma, lettera e) Cost.,
ed alla «determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni
concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su
tutto il territorio nazionale» (art. 117, secondo comma, lettera m,
Cost.).
Le disposizioni regionali violerebbero altresì l'art. 117,
terzo comma, Cost. ponendosi in contrasto con i princìpi fondamentali
dettati dal legislatore statale in ordine al regime autorizzatorio:
princìpi desumibili dagli artt. 2, 3, 4 e 25 del decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259 (Codice delle comunicazioni elettroniche).
Esse contrasterebbero, inoltre, con gli artt. 3 e 41 della
Costituzione, dal momento che l'introduzione, con efficacia
retroattiva, di nuovi e più rigorosi requisiti strutturali e
igienico-sanitari determinerebbe una illegittima disparità di
trattamento tra i centri di telefonia già attivi (chiamati, in tempi
brevi e con costi elevati, ad effettuare le necessarie opere di
adeguamento) e quelli aperti successivamente all'entrata in vigore delle
censurate disposizioni, con ripercussioni negative sulla libertà di
iniziativa economica privata e sull'assetto concorrenziale del mercato.
Infine, ad avviso del TAR, le disposizioni in oggetto
sarebbero incompatibili con l'art. 15 della Costituzione, introducendo
misure idonee a nuocere alla libertà di comunicazione.
3. – Le ordinanze di rimessione sollevano questioni
identiche, onde i relativi giudizi vanno riuniti per essere definiti con
unica decisione.
4. – Le questioni sollevate in otto delle suddette
ordinanze (r.o. nn. 2, 15, 65, 66, 101, 102, 103 e 127 del 2008) sono
manifestamente inammissibili per carente descrizione delle fattispecie
concrete.
Non è infatti sufficiente il pur ampio andamento
argomentativo in tema di rilevanza sviluppato in termini identici nei
diversi atti di rimessione. Il giudice a quo ha fornito solo generiche
indicazioni in ordine agli effetti delle disposizioni impugnate sulle
situazioni giuridiche vantate dalle parti ricorrenti, omettendo tuttavia
la doverosa descrizione delle specifiche violazioni asseritamente
riscontrate dalle amministrazioni comunali.
Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte,
l'insufficiente descrizione della fattispecie, giacché impedisce di
vagliare l'effettiva applicabilità delle censurate disposizioni ai casi
dedotti, si risolve in carente motivazione sulla rilevanza della
questione, determinandone, conseguentemente, la manifesta
inammissibilità, risultando peraltro preclusa, in virtù del principio di
autosufficienza dell'ordinanza di rimessione, l'acquisizione di
elementi di conoscenza attingendo direttamente al fascicolo di causa
(fra le decisioni più recenti: ordinanze n. 224, n. 223, n. 217, n. 210 e
n. 174 del 2008; n. 251 del 2007, n. 303 e n. 164 del 2006).
5. – Diversamente, nelle ordinanze r.o. nn. 67 e 100 del
2008, il TAR riferisce espressamente che i provvedimenti comunali di
interruzione della attività dei centri di telefonia sono stati adottati
in ragione del mancato conseguimento dell'autorizzazione prevista e
disciplinata dalla legge regionale n. 6 del 2006.
In particolare, nell'ordinanza r.o. n. 67, il rimettente
non solo espressamente richiama l'ordinanza comunale di cessazione
dell'attività «emessa ai sensi e per gli effetti della l.r. 6/2006», ma
aggiunge che tale provvedimento specifica «che l'attività medesima potrà
essere eventualmente ripresa solo dopo aver regolarizzato le violazioni
riscontrate durante il sopralluogo citato in premessa ed ottenuto
regolare autorizzazione ai sensi dell'art. 4 della citata legge
regionale n. 6/2006».
Quanto alla ordinanza r.o. n. 100 del 2008, il rimettente
riferisce che la chiusura del centro di telefonia gestito dal ricorrente
è stata disposta in quanto «esercitato in assenza della prescritta
autorizzazione di cui alla legge regionale 3 marzo 1996 (recte: 2006),
n. 6».
Dal momento che tutta la disciplina della legge regionale
n. 6 del 2006 (e tanto più i fondamentali artt. 4 e 9, entrambi
impugnati) è caratterizzata da questa speciale e nuova autorizzazione
comunale «per l'insediamento e la gestione di centri di telefonia in
sede fissa», lo specifico riferimento operato in queste due ordinanze al
nuovo istituto è sufficiente a giustificare la rilevanza delle censure
prospettate in relazione all'art. 4, nonché agli artt. 9 e 12, i quali
estendono la nuova disciplina ai centri di telefonia preesistenti
all'entrata in vigore della legge regionale. Inammissibili sono, invece,
le questioni di legittimità costituzionale sollevate in relazione
all'art. 8, non avendo il rimettente specificato se e quali fossero i
requisiti igienico-sanitari accertati in concreto come mancanti, se,
cioè, fossero proprio quelli censurati. Tale omessa specificazione si
risolve, ancora una volta, in un difetto di motivazione sulla rilevanza
delle questioni.
6. – Quanto al merito delle dedotte questioni di
legittimità costituzionale, il rimettente lamenta l'avvenuta
configurazione, ad opera del legislatore lombardo, di «un regime
autorizzativo ulteriore e duplicativo» rispetto al sistema delineato in
sede comunitaria e recepito con il decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259 (Codice delle comunicazioni elettroniche).
Al fine di appurare la fondatezza delle censure
prospettate, appare necessario soffermare l'attenzione
sull'inquadramento della disciplina legislativa regionale in oggetto
nelle materie di cui all'art. 117 Cost.
L'art. 1 della legge regionale n. 6 del 2006 ascrive la
disciplina dei centri in questione alla materia del commercio, come
ribadito dal successivo art. 2, comma 2, lettera a), a mente del quale
per “centro di telefonia in sede fissa” s'intende «qualsiasi struttura
ove è svolta l'attività commerciale in via esclusiva di cessione al
pubblico di servizi telefonici». Inoltre, la successiva lettera b) dello
stesso art. 2, comma 2, considera quale “cessione al pubblico di
servizi telefonici” «ogni attività commerciale che importi una
connessione telefonica o telematica allo scopo di fornire servizi di
telefonia vocale indipendentemente dalle tecnologie di commutazione
utilizzate, da realizzarsi nei locali o sulle superfici aperti al
pubblico e a tale scopo attrezzati, nonchè l'attività di vendita di
schede telefoniche». La difesa regionale, dal canto suo, ribadisce che
«il nucleo essenziale dell'intervento legislativo regionale è da
identificarsi nelle modalità di esercizio dell'attività commerciale».
Questa collocazione materiale è contestata dall'autorità
rimettente che, al contrario, riconduce i centri di telefonia tra i
“servizi di comunicazione elettronica” di cui all'art. 2, paragrafo 1,
lettera c), della Direttiva n. 2002/21/CE (Direttiva del Parlamento
europeo e del Consiglio istitutiva di un quadro normativo comune per le
reti ed i servizi di comunicazione elettronica), ai sensi del quale sono
tali «i servizi forniti di norma a pagamento consistenti esclusivamente
o prevalentemente nella trasmissione di segnali su reti di
comunicazioni elettroniche, compresi i servizi di telecomunicazioni e i
servizi di trasmissione nelle reti utilizzate per la diffusione
circolare radiotelevisiva, ma ad esclusione dei servizi che forniscono
contenuti trasmessi utilizzando reti e servizi di comunicazione
elettronica o che esercitano un controllo editoriale su tali contenuti».
È opportuno premettere che la pluralità degli interessi
incisi dalla legge può determinare, sul piano del riparto della funzione
legislativa tra Stato e Regioni, una convergenza di titoli
competenziali su determinate aree materiali o su singoli oggetti. In
situazioni del genere, questa Corte ha più volte chiarito che «occorre
fare riferimento all'oggetto ed alla disciplina stabilita delle norme
scrutinate, per ciò che esse dispongono (sentenze n. 450 e n. 411 del
2006), alla luce della ratio dell'intervento legislativo nel suo
complesso e nei suoi punti fondamentali, tralasciando gli aspetti
marginali e gli effetti riflessi delle norme medesime (sentenze n. 319 e
n. 30 del 2005), così da identificare correttamente e compiutamente
anche l'interesse tutelato (sentenze n. 449 del 2006 e n. 285 del 2005)»
(sentenza n. 165 del 2007; analogamente sentenza n. 430 del 2007).
Nel presente giudizio, questa Corte osserva che la legge
regionale scrutinata ha come oggetto assolutamente caratterizzante la
determinazione, per una particolare categoria di esercizi qualificati
come “commerciali”, di speciali requisiti necessari perché i Comuni
possano rilasciare un'apposita autorizzazione ai nuovi, così come ai
preesistenti, centri di telefonia. In assenza di questa autorizzazione, o
in caso di revoca della medesima, è vietato «l'esercizio dell'attività
di cessione al pubblico del servizio di telefonia in sede fissa».
Pacifica conferma di questa lettura della legge si trova nella prassi
amministrativa, ad iniziare dalle circolari esplicative della legge
censurata inviate dalla Regione ai Sindaci dei Comuni della Lombardia.
Ora, anche prescindendosi dalla integrale
sovrapposizione della analitica disciplina legislativa alla potestà
regolamentare ed amministrativa propria dei Comuni (profilo che, pur
presentando aspetti problematici, non può essere scrutinato in questa
sede, in quanto non oggetto di specifica e motivata doglianza), appare
evidente che la legge regionale si riferisce ad una particolare attività
prevista e disciplinata dal succitato Codice delle comunicazioni
elettroniche come «servizio di comunicazione elettronica», il cui art.
1, comma 1, lettera gg), riproduce testualmente il già riportato art. 2,
paragrafo 1, lettera c) della suddetta Direttiva comunitaria del 2002.
Al riguardo non è fondata la tesi difensiva regionale
secondo cui non sarebbe applicabile la nozione di “servizi di
comunicazione elettronica” in quanto i centri di telefonia «si limitano,
svolgendo una funzione di “intermediari”, a mettere a disposizione del
pubblico personal computer o telefoni e usufruiscono a loro volta dei
servizi di fornitura delle reti emanati dalle varie aziende».
In realtà, tale attività rientra specificamente nella
nozione di servizio di comunicazione elettronica come definito dal
Codice, in quanto, appunto, consistente nell'erogazione del servizio di
trasmissione di segnali su reti di comunicazione elettronica, ovvero del
servizio di telecomunicazione.
Peraltro, la ratio e la lettera di tutto il Codice sono
nel senso di disciplinare l'intero arco delle comunicazioni elettroniche
fino ai diritti di accesso ai mezzi da parte degli utenti. L'art. 25
del predetto Codice, che contempla – come si vedrà meglio
successivamente – un'autorizzazione generale ed il relativo allegato n. 9
sono espliciti nel riferirsi anche ai fornitori al pubblico di «servizi
di comunicazione elettronica».
In tal senso, d'altra parte, risulta orientata la pacifica
prassi amministrativa in atto anche nella Regione Lombardia: i gestori
dei centri di telefonia, infatti, per mezzo del modello di cui al
succitato allegato n. 9, denunciano l'inizio attività all'ispettorato
territoriale del Ministero delle Comunicazioni, ai sensi e con le
modalità di cui all'art. 25, comma 2, del predetto Codice.
Certamente, nell'attività posta in essere dai centri di
telefonia sono rinvenibili alcuni degli elementi tipici degli esercizi
commerciali, tant'è vero, ad esempio, che l'art. 6 della legge regionale
in questione si occupa proprio degli orari e delle modalità di
esercizio di tale attività (profili ascrivibili alla materia del
“commercio”: si vedano le sentenze n. 243 del 2005 e n. 76 del 1972).
Tuttavia, trattasi di elementi accessori e strumentali rispetto
all'oggetto qualificante l'attività svolta dai centri di telefonia in
sede fissa, consistente nella erogazione di un servizio di comunicazione
elettronica.
Nei centri di telefonia, invero, lo scambio di un servizio
verso la corresponsione di un prezzo afferisce a beni ed esigenze
fondamentali della persona e, nel contempo, della comunità, coinvolgendo
interessi individuali (correlati alla comunicazione con altre persone) e
generali (difesa e sicurezza dello Stato; protezione civile; salute
pubblica; tutela dell'ambiente; riservatezza e protezione dei dati
personali), diversamente da quanto accade nelle ordinarie attività
commerciali di cui all'art. 4 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n.
114 (Riforma della disciplina relativa al settore del commercio, a norma
dell'articolo 4, comma 4, della L. 15 marzo 1997, n. 59).
7. – Questa Corte, nella sentenza n. 336 del 2005, ha già
riconosciuto come il Codice delle comunicazioni elettroniche, al fine di
adeguarsi alla normativa comunitaria, in generale ha inteso perseguire
«l'obiettivo della liberalizzazione e semplificazione delle procedure
anche al fine di garantire l'attuazione delle regole della concorrenza».
Nella medesima sentenza si è anche affermato che le
disposizioni del suddetto Codice intervengono in molteplici ambiti
materiali, diversamente tra loro caratterizzati in relazione al riparto
della competenza legislativa fra Stato e Regioni: sono, infatti,
rinvenibili in questo settore titoli di competenza esclusiva statale
(«ordinamento civile», «coordinamento informativo statistico ed
informatico dei dati dell'amministrazione statale, regionale e locale»,
«tutela della concorrenza»), e titoli di competenza legislativa
ripartita («tutela della salute», «ordinamento della comunicazione»,
«governo del territorio»). Vengono, infine, in rilievo anche materie di
competenza legislativa residuale delle Regioni, quali, in particolare,
l'«industria» ed il «commercio» (alle quali la pronuncia del 2005 non
dava particolare rilievo, in quanto estranee agli ambiti allora presi in
considerazione).
Non è invece pertinente, in questa sede, l'evocazione
dell'art. 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, in quanto
la disciplina regionale dei centri di telefonia non incide sulla
«determinazione degli standard strutturali e qualitativi di prestazioni
che, concernendo il soddisfacimento di diritti civili e sociali, devono
essere garantiti, con carattere di generalità, a tutti gli aventi
diritto» (sentenza n. 168 del 2008; si vedano altresì le sentenze n. 50
del 2008; n. 387 del 2007 e n. 248 del 2006).
Nel presente giudizio, per le ragioni illustrate sopra,
viene in rilievo la disciplina dettata dal Codice delle comunicazioni
elettroniche, e in particolare, dall'art. 3, il quale espressamente
fissa i principi generali del settore delle comunicazioni elettroniche.
In questa sede, di particolare rilievo appaiono le
disposizioni del comma 1, che garantisce «i diritti inderogabili di
libertà delle persone nell'uso dei mezzi di comunicazione elettronica,
nonché il diritto di iniziativa economica ed il suo esercizio in regime
di concorrenza, nel settore delle comunicazioni elettroniche», nonché
del comma 2, secondo cui «la fornitura di reti e servizi di
comunicazione elettronica, che è di preminente interesse generale, è
libera». È evidente che disposizioni del genere sono espressione della
competenza esclusiva dello Stato in tema di «tutela della concorrenza» e
di «ordinamento civile», prima ancora di costituire principi
fondamentali in tema di «ordinamento della comunicazione».
Ciò non toglie che lo stesso Codice, al comma 3 del
medesimo art. 3, preveda anche la possibilità di porre «limitazioni
derivanti da esigenze della difesa e della sicurezza dello Stato, della
protezione civile, della salute pubblica e della tutela dell'ambiente e
della riservatezza e protezione dei dati personali». Limitazioni,
tuttavia, che devono essere «poste da specifiche disposizioni di legge o
da disposizioni regolamentari di attuazione». Dal canto suo, il
successivo art. 4 pone fra gli «obiettivi generali della disciplina di
reti e servizi di comunicazione elettronica» la garanzia di un «accesso
al mercato delle reti e servizi di comunicazione elettronica secondo
criteri di obiettività, trasparenza, non discriminazione e
proporzionalità», nonché la promozione della «semplificazione dei
procedimenti amministrativi e la partecipazione ad essi dei soggetti
interessati, attraverso l'adozione di procedure tempestive, non
discriminatorie e trasparenti nei confronti delle imprese che forniscono
reti e servizi di comunicazione elettronica».
8. – I principi generali del Codice trovano
concretizzazione nella previsione di una «autorizzazione generale» che
l'art. 25 del Codice richiede per lo svolgimento dell'attività di
fornitura di servizi di comunicazione elettronica. Tale autorizzazione
«consegue alla presentazione» al Ministero per le comunicazioni da parte
degli interessati di una apposita dichiarazione «contenente
l'intenzione di iniziare la fornitura di reti o servizi di comunicazione
elettronica, unitamente alle informazioni strettamente necessarie per
consentire al Ministero di tenere un elenco aggiornato dei fornitori di
reti e di servizi di comunicazione elettronica» ed integrata da quanto
appositamente richiesto dall'allegato n. 9 del Codice.
Coerente rispetto al principio di libertà nell'attività di
fornitura ed all'obiettivo della massima semplificazione dei
procedimenti è la circostanza che la dichiarazione costituisca denuncia
di inizio attività, di modo che «l'impresa è abilitata ad iniziare la
propria attività a decorrere dall'avvenuta presentazione della
dichiarazione»; il Ministero può solo disporre, entro il termine di
sessanta giorni, «se del caso, con provvedimento motivato da notificare
agli interessati entro il medesimo termine, il divieto di prosecuzione
dell'attività» laddove verifichi d'ufficio la mancanza dei requisiti
richiesti (art. 25, comma 4).
Rispetto a questo «quadro normativo istituito dallo Stato
membro» (si tratta della definizione di «autorizzazione generale»
secondo l'art. 2, comma 2, lettera a, della Direttiva 7 marzo 2002,
n.2002/20/CE), si pone in palese contrasto la censurata legge regionale.
Essa, infatti, in nome della propria competenza legislativa in materia
di commercio, pretende di disciplinare organicamente «l'insediamento e
la gestione di centri di telefonia in sede fissa», prevedendo, all'art.
4, la necessità di uno speciale provvedimento autorizzatorio, diverso ed
ulteriore rispetto a quello previsto dall'art. 25 del Codice che il
Comune è chiamato a concedere o negare entro novanta giorni dalla
presentazione della domanda, e al cui rilascio è subordinato l'esercizio
dell'attività.
Inoltre, il conseguimento del provvedimento autorizzatorio
è subordinato dal citato art. 4 alla sussistenza di requisiti alquanto
eterogenei (“morali” per i titolari ed i gestori – art. 3; di
disponibilità dei locali – art. 4; di caratteristiche
igienico-sanitarie, di presenza di sufficienti misure di sicurezza dei
luoghi di lavoro e di prevenzione degli incendi– art. 8; di natura
urbanistica – art. 7; ecc.), i quali si sovrappongono, largamente ed in
diversi ambiti, ai requisiti previsti dal Codice e dalle leggi a cui
questo rinvia e, soprattutto, contraddicono palesemente l'unicità del
procedimento autorizzativo e le collegate esigenze di semplificazione e
tempestività dei procedimenti.
Non vi è dubbio che il comma 1 dell'art. 25 del Codice
(riproducendo quanto in generale determinato dal comma 3 dell'art. 3 del
medesimo testo) prevede che la libertà nella fornitura di servizi di
comunicazione elettronica possa essere limitata anche «da specifiche
disposizioni» che siano «giustificate da esigenze della difesa e della
sicurezza dello Stato e della sanità pubblica, compatibilmente con le
esigenze della tutela dell'ambiente e della protezione civile».
Tuttavia, queste disposizioni possono solo integrare la procedura
autorizzativa prevista dall'art. 25 (d'altra parte, lo stesso allegato 9
al Codice prevede che il dichiarante, al momento della richiesta di
autorizzazione, debba garantire anche il rispetto «delle condizioni che
possono essere imposte alle imprese in virtù di altre normative non di
settore») o temporaneamente ad essa sommarsi in casi di emergenza (si
veda il primo comma dell'art. 7 del decreto-legge 27 luglio 2005, n.
144, recante «Misure urgenti per il contrasto del terrorismo
internazionale», convertito, con modificazioni, nella legge 31 luglio
2005, n. 155, che fino al 31 dicembre 2008 prevede la necessità anche di
una licenza del Questore).
Confligge, dunque, con le scelte operate dal legislatore
statale in tema di liberalizzazione dei servizi di comunicazione
elettronica e di semplificazione procedimentale la introduzione, ad
opera del legislatore regionale, di un vero e proprio autonomo
procedimento autorizzatorio per lo svolgimento dell'attività dei centri
di telefonia; ferma restando la possibilità per i Comuni, tramite la
loro potestà regolamentare, e le Regioni, tramite la loro potestà
legislativa, di disciplinare specifici profili incidenti anche su questo
settore.
Deve pertanto essere dichiarata l'illegittimità
costituzionale, per violazione dei criteri di riparto delle competenze
di cui all'art. 117 della Costituzione, degli artt. 1, 4, 9, comma 1,
lettera c), e comma 2, e 12, della legge regionale n. 6 del 2006.
9. – Pur restando escluse dall'oggetto del giudizio le
altre norme della legge della Regione Lombardia, non validamente
impugnate, questa Corte rileva che la riscontrata illegittimità
costituzionale degli artt. 1, 4, 9, comma 1, lettera c), e comma 2, e
12, non può che estendersi all'intera legge regionale n. 6 del 2006.
Invero, l'assetto normativo concepito dal legislatore
lombardo s'irradia dalle suddette disposizioni che configurano
l'autorizzazione ivi prevista quale nucleo essenziale del prescelto
regime amministrativo. Tutti gli altri articoli della legge regionale
censurata risultano avvinti da un inscindibile rapporto strumentale alle
disposizioni dichiarate incostituzionali. E, pertanto, il vizio
d'incostituzionalità si proietta sull'intera disciplina dei centri di
telefonia, determinandone la complessiva caducazione ai sensi dell'art.
27 della legge 11 marzo 1953, n. 87.
10. – Le residue censure, riferite agli altri parametri evocati, restano assorbite.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi;
a) dichiara la illegittimità costituzionale degli
artt. 1, 4, 9, comma 1, lettera c), e comma 2, e 12, della legge della
Regione Lombardia 3 marzo 2006, n. 6 (Norme per l'insediamento e la
gestione di centri di telefonia in sede fissa);
b) dichiara, ai sensi dell'articolo 27 della
legge 11 marzo 1953, n. 87, l'illegittimità costituzionale delle
restanti disposizioni della legge della Regione Lombardia n. 6 del 2006;
c) dichiara la manifesta inammissibilità delle
questioni di legittimità costituzionale sollevate, in riferimento agli
articoli 3, 15, 41 e 117 della Costituzione, con le ordinanze r.o. nn.
67 e 100 del 2008 dal Tribunale amministrativo regionale della Lombardia
nei confronti dell'art. 8, comma 1, lettere e), f), h) ed i), e comma
2, della legge della Regione Lombardia n. 6 del 2006;
d) dichiara la manifesta inammissibilità delle
questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Tribunale
amministrativo regionale della Lombardia con le ordinanze r.o. nn. 2,
15, 65, 66, 101, 102, 103 e 127 del 2008.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 ottobre 2008.
F.to:
Giovanni Maria FLICK, Presidente
Ugo DE SIERVO, Redattore
Maria Rosaria FRUSCELLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 24 ottobre 2008.
Il Cancelliere
F.to: FRUSCELLA