giovedì 10 aprile 2014

Danno erariale

 Corte dei Conti, Sentenza 14 marzo 2014, n. 47

REPUBBLICA ITALIANA         
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA REGIONE LOMBARDIA
così composta:
Claudio                         Galtieri                       Presidente
Donato Maria                Fino                           Consigliere relatore
Vito                              Tenore                        Consigliere
ha pronunciato la seguente

SENTENZA
nel giudizio di responsabilità iscritto al n. 27831 del registro di segreteria, promosso ad istanza della Procura Regionale presso questa Sezione Giurisdizionale nei confronti del carabiniere:
(OMISSIS)() nato a Maddaloni  il giorno 21 agosto 1981 e residente in Binasco (MI) in Via Matteotti 11, rappresentato e difeso, tanto congiuntamente quanto disgiuntamente, dall'avv. Michela Colapinto (C.F.: CLPMHL83R65A662E) e dall'avv. Giuseppe La Rosa (C.F.: LRSGPP82H28H163G), con domicilio eletto presso lo studio della prima in Milano, via Carlo Poma n. 3, come da procura a margine della comparsa di costituzione e risposta, indicando l'indirizzo di posta elettronica certificata <giuseppe.larosa @cert.ordineavvocatimilano> e il telefax n. 0932.1856366 quali recapiti per ricevere le comunicazioni relative al processo;
                                                                              - CONVENUTO -
Letti i documenti di causa e gli atti di costituzione delle parti con le seguenti

CONCLUSIONI:
1) Procura attrice: condannare il convenuto al pagamento “della somma pari a complessivi euro 10.000,00 oltre interessi, rivalutazione e accessori di giustizia a titolo di danno all’immagine e al prestigio del Ministero della Difesa-Arma dei Carabinieri ex art. 55-quinquies D.Lgs n. 165/2001 e s.m. o comunque ex art. 17, comma 30-ter, decreto legge 1 luglio 2009 n. 78, convertito in legge 3 agosto 2009 n. 102 e modificato dall'art. 1, comma 1, lett. c), n. 1), decreto legge 3 agosto 2009, n. 103, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 ottobre 2009, n. 141 (c.d. “lodo Bernardo”)  ovvero la diversa complessiva somma, anche maggiore, ritenuta dovuta dall’Ecc.ma Sezione Giurisdizionale con ulteriori accessori di legge”.
2) Convenuto (OMISSIS): “ in via preliminare, dichiarare inammissibile l'azione erariale e nullo l'atto di citazione, nonché ogni atto processuale; nel merito, in via principale, prosciogliere il sig. (OMISSIS)da ogni addebito per l’inconfigurabilità e l'insussistenza degli elementi costituitivi della responsabilità amministrativa ascrittagli; nel merito, in estremo subordine, nella denegata e non creduta ipotesi di riconosciuta responsabilità, quantificare il danno all'immagine facendo applicazione dei criteri di cui all'art. 1226 c.c. e art. 1, comma 1-sexies, L. 20/1994, per come supra indicato (danno all'immagine = importo delle trattenute stipendiali x 2) e, comunque, ridurre l'addebito, ai sensi dell'art. 52, r.d. 1241/1934, alla luce del caso concreto. Con vittoria di spese e onorari dí lite, con il riconoscimento del diritto al rimborso delle spese legali ai sensi dell'art. 3, comma 2 bis, dl 543/1996, convertito in 1. 639/1996.”
Uditi, nella pubblica udienza del 19 febbraio 2014, il Magistrato relatore Cons. Donato Maria Fino, il Pubblico Ministero nella persona del Sostituto Procuratore Generale dr. Luigi D’Angelo e l’avv. La Rosa per il convenuto.

MOTIVAZIONE
La Procura regionale presso questa Sezione Giurisdizionale, con atto di citazione depositato in data 4 ottobre 2013, ha chiamato in giudizio il carabiniere (OMISSIS) per sentirlo condannare al pagamento, a titolo di risarcimento del danno all’immagine e al prestigio del Ministero della Difesa-Arma dei Carabinieri, dell’importo “di euro 10.000,00 oltre interessi, rivalutazione e accessori di giustizia.”
Riferisce la Procura che “con lettera in data 14.08.2012 prot. n. 3141/50, il Comando Legione Carabinieri “Lombardia” in persona del Comandante denunziava alla Procura della Corte dei conti una fattispecie di danno erariale - debitamente documentata - addebitabile al Carabiniere (OMISSIS)all’epoca in servizio nella Regione Lombardia. Più in particolare, con la denunzia de qua, veniva trasmessa la sentenza del Tribunale Militare di Verona, Giudice per l’Udienza Preliminare, n. 23 in data 13.04.2012, divenuta irrevocabile il 04.06.2012, con la quale il predetto militare veniva condannato alla pena di un mese e dieci giorni di reclusione militare sulla scorta del seguente capo di imputazione: “Violata consegna pluriaggravata (artt. 47 n. 2 e 120, c. 1 e 2, c.p.m.p) perchè, Carabiniere in servizio presso la Stazione Carabinieri di Milano Gratosoglio, il giorno 8 ottobre 2010, comandato di servizio di pattugliamento in Milano con turno dalle ore 6,30 alle ore 13,30, violava la consegna avuta, interrompendo la vigilanza lungo il perimetro della Caserma “Santa Barbara” ed il controllo dei militari a lui affidati, recandosi alle ore 10,00 circa all’interno di un salone da barba ove si intratteneva fino alle ore 10,50 circa. Con l’aggravante del grado rivestito e dell’aver commesso il fatto durante un servizio armato”.
La citazione prosegue rilevando che “per detta condotta penalmente rilevante il militare è stato altresì sanzionato con il provvedimento disciplinare della “Consegna” in data 04.12.2010, divenuto inoppugnabile stante l’assenza di gravame, avente la seguente motivazione: “Carabiniere addetto a stazione urbana, nel corso di un servizio di pattuglia congiunto con militari dell’esercito, sostava presso un negozio di acconciatore per un taglio di capelli, causando le giuste rimostranze di un passante alla locale centrale operativa, comportamento lesivo del prestigio e dell’immagine dell’istituzione”. L’Organo requirente specifica che il danno patrimoniale da interruzione del sinallagma contrattuale, corrispondente ai compensi percepiti nei periodi di accertata mancata prestazione, non è stato contestato poiché già oggetto di “riparazione” a mezzo “trattenute stipendiali” da parte dell’amministrazione di appartenenza del responsabile (così in citazione a pag. 7).
Il risarcimento del danno contestato, che si sostanzia nella grave perdita di prestigio e detrimento dell’immagine e della personalità pubblica della P.A. - segnatamente del Ministero della Difesa - Arma dei Carabinieri - si fonda, ad avviso dell’Organo requirente, sulla norma di cui all’art. 55-quinquies, D.Lgs n. 165/2001 e s.m. (recante “Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche”), rubricato “False attestazioni e certificazioni” che così recita: “1. Fermo quanto previsto dal codice penale, il lavoratore dipendente di una pubblica amministrazione che attesta falsamente la propria presenza in servizio, mediante l'alterazione dei sistemi di rilevamento della presenza o con altre modalità fraudolente, ovvero giustifica l'assenza dal servizio mediante una certificazione medica falsa o falsamente attestante uno stato di malattia e' punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da euro 400 ad euro 1.600. La medesima pena si applica al medico e a chiunque altro concorre nella commissione del delitto.
2. Nei casi di cui al comma 1, il lavoratore, ferme la responsabilità penale e disciplinare e le relative sanzioni, è obbligato a risarcire il danno patrimoniale, pari al compenso corrisposto a titolo di retribuzione nei periodi per i quali sia accertata la mancata prestazione, nonché' il danno all'immagine subiti dall'amministrazione.
3. La sentenza definitiva di condanna o di applicazione della pena per il delitto di cui al comma 1 comporta, per il medico, la sanzione disciplinare della radiazione dall'albo ed altresi', se dipendente di una struttura sanitaria pubblica o se convenzionato con il servizio sanitario nazionale, il licenziamento per giusta causa o la decadenza dalla convenzione. Le medesime sanzioni disciplinari si applicano se il medico, in relazione all'assenza dal servizio, rilascia certificazioni che attestano dati clinici non direttamente constatati ne' oggettivamente documentati”.
La citazione richiama anche il disposto normativo di cui “all’art. 17, comma 30-ter, decreto legge 1 luglio 2009 n. 78, convertito in legge 3 agosto 2009 n. 102 e modificato dall'art. 1, comma 1, lett. c), n. 1), decreto legge 3 agosto 2009, n. 103, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 ottobre 2009, n. 141 (c.d. “lodo Bernardo”) che richiede quale presupposto per l’esercizio dell’azione erariale per danno all’immagine della p.a. una sentenza di condanna del giudice penale divenuta irrevocabile”.
In proposito l’Organo requirente specifica che “il carabiniere (OMISSIS) ha commesso un fatto di reato che appare altresì riconducibile ad un c.d. reato proprio in quanto contemplato dal codice penale militare di pace (reato militare) - dunque con applicabilità finanche diretta del c.d. “lodo Bernardo” concernente appunto, a differenza dell’art. 55-quinquies, i reati propri (delitti dei pubblici ufficiali contro la p.a.) cui appaiono perfettamente sovrapponibili anche i reati militari - e dall’altro risulta indubbiamente configurabile un illecito penale contro la pubblica amministrazione, sussistendo, per l’effetto, l’insieme dei presupposti quanto all’an di un addebito di responsabilità per la lesione del prestigio e dell’immagine dell’Arma dei Carabinieri nonché del Ministero della Difesa”. “Ciò altresì considerando che il celebrato processo penale ha preso avvio da una denuncia di un cittadino attonito nel constatare la presenza del militare graduato, in servizio armato, presso un salone di bellezza quale “utente”, con ciò integrandosi sicuramente quel clamor fori che, secondo certa giurisprudenza, sarebbe elemento costitutivo dell’illecito erariale in discorso.”
Quanto alla quantificazione del risarcimento, la Procura afferma che “nella specie pare necessario prendere in considerazione i “parametri” oggettivi, soggettivi e sociali (non cumulativi) elaborati in via pretoria per la quantificazione necessariamente in via equitativa ex art. 1226 c.c. del pregiudizio erariale de quo ovvero la gravità della condotta illecita del soggetto responsabile, la posizione del dipendente nell’ambito dell’amministrazione, i possibili fenomeni di emulazione del comportamento, ecc .”; soggiunge, tuttavia, che ulteriore parametro per il computo del danno erariale è il disposto dell’art. 135 c.p. secondo il quale “Quando, per qualsiasi effetto giuridico, si deve eseguire un ragguaglio fra pene pecuniarie e pene detentive, il computo ha luogo calcolando euro 250, o frazione di euro 250, di pena pecuniaria per un giorno di pena detentiva”. “Con la precisazione” - prosegue la citazione – “che nella specie non si tratta di ragguagliare una pena pecuniaria con una pena detentiva ma più semplicemente si tratta di addivenire ad una monetizzazione, ai fini risarcitori erariali, di una condanna penale definitiva che, si ribadisce, rappresenta oramai un elemento costitutivo ex lege del danno all’immagine: intanto la procura regionale può azionare la responsabilità erariale in discorso in quanto v’è una sentenza penale irrevocabile del giudice penale”. “E poiché nell’ottica quantificatoria di un danno erariale che ha quale presupposto legale una sentenza di condanna  penale è, all’evidenza, la pena in concreto contemplata dalla pronunzia penale il dato da cui primariamente prendere le mosse per la quantificazione del pregiudizio all’immagine, ecco che l’art. 135 c.p. risulta indubbiamente utile, quale mero parametro di partenza, per la determinazione del quantum debeatur in sede di processo contabile (e fermo restando le prerogative del collegio giudicante riguardo la quantificazione in via equitativa del danno)”.
Tanto argomentato, la citazione conclude affermando che “atteso che il Carabiniere (OMISSIS) è stato condannato a mesi uno e giorni dieci di reclusione militare, ai sensi della citata disposizione ex art. 135 c.p. il danno all’immagine può essere quantificato in misura corrispondente alla ragguagliata pena pecuniaria che, arrotondata ulteriormente e comunque in applicazione sia del criterio equitativo ex art. 1226 c.c. sia degli altri criteri oggettivi, soggettivi, ecc., sopra indicati, consente la quantificazione finale di euro 10.000,00 oltre interessi, rivalutazione ed accessori di giustizia.”
Il convenuto si è costituito con memoria depositata il 30 gennaio 2014 e ha contestato, con dovizia di argomentazioni, la domanda attorea deducendo:
L’inammissibilità dell'azione erariale, nullità dell'atto di citazione
e insussistenza del danno all'immagine: inapplicabilità dell'art.  55-quinquies d.lgs 165/2001;
 L’inammissibilità dell'azione erariale, nullità dell'atto di citazione e insussistenza del danno all'immagine: inapplicabilità dell'art. 17, comma 30-ter, d.l. 78/2009;
L’insussistenza del danno all'immagine: assenza del clamor fori;
L’erroneità, irragionevolezza, illogicità, incongruità della  quantificazione del danno all'immagine, con richiamo anche alla norma di cui all’art. 1, comma 1-sexies, L. 20/1994 secondo cui "Nel giudizio di responsabilità, l'entità del danno all'immagine della pubblica amministrazione derivante dalla commissione di un reato contro la stessa pubblica amministrazione accertato con sentenza passata in giudicato si presume, salva prova contraria, pari al doppio della somma di denaro o del valore patrimoniale di altra utilità illecitamente percepita dal dipendente".
L’esercizio del potere riduttivo, “nella denegata e non creduta ipotesi in cui codesta Ecc.ma Corte non dovesse accogliere le contestazioni di cui supra.”
Per quanto sopra, la difesa ritiene che la domanda di risarcimento nei confronti del suddetto convenuto debba essere respinta e conclude secondo quanto più sopra indicato. In dibattimento le parti presenti hanno, in buona sostanza, illustrato e sviluppato con dovizia di argomentazioni le tesi già contenute negli atti depositati, confermando le conclusioni già rassegnate.
Al termine del dibattimento, la causa è stata trattenuta dal Collegio per la decisione.

MOTIVAZIONE
La domanda della Procura regionale concerne il risarcimento del danno conseguente all’asserita grave perdita di prestigio e al grave detrimento dell’immagine e della personalità pubblica del Ministero della Difesa –Arma dei Carabinieri (c.d. danno all’immagine), riconducibile, secondo tesi attorea, alla descritta condotta del convenuto.
Quanto al c.d. “danno all’immagine”, questo Collegio osserva che la risarcibilità di detto danno dinanzi alla Corte dei conti rappresenta ormai un approdo univoco sia della magistratura contabile sia della stessa Corte di Cassazione (cf., fra le tante, Cass. SS.UU. 12.11.2003, n. 17078; Cass. SS.UU. 15.07.2005, n. 14990; Cass. SS.UU. 27.9.2006, n. 20886; Cass SS.UU. 2.04.2007, n. 8098 e giurisprudenza ivi citata).
 Il c.d. “danno all'immagine” è, in buona sostanza, un danno pubblico giacché comporta la lesione del buon andamento della P. A. che perde, con la condotta illecita dei suoi dipendenti, credibilità ed affidabilità all'esterno ed ingenera la convinzione che i comportamenti patologici posti in essere siano un connotato usuale dell'azione dell'Amministrazione.
La violazione di questo “diritto all'immagine”, inteso come diritto al conseguimento, al mantenimento e al riconoscimento della propria identità come persona giuridica pubblica, è economicamente valutabile.
Tanto rilevato preliminarmente, il Collegio osserva che la Procura fonda la domanda di risarcimento sul dettato normativo di cui all’art. 55- quinquies, D.Lgs n. 165/2001 e s.m. (recante “Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche”), rubricato “False attestazioni e certificazioni”, e sulla norma di cui all’art. 17, comma 30-ter, decreto legge 1 luglio 2009 n. 78, convertito in legge 3 agosto 2009 n. 102 e modificato dall'art. 1, comma 1, lett. c), n. 1), decreto legge 3 agosto 2009, n. 103, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 ottobre 2009, n. 141 (c.d. “lodo Bernardo”).
Il Collegio ritiene che entrambe le prospettazioni siano infondate.
La prima perché, come correttamente rilevato dalla difesa, la condotta tenuta dal (OMISSIS), che ha dato origine alla già richiamata sentenza del Tribunale Militare di Verona, non è certamente consistita in alcuna falsa attestazione di presenza mediante modalità fraudolente, non essendosi all'uopo verificata alcuna alterazione o contraffazione documentale, ovvero alcuna alterazione dei sistemi di rilevamento. 
A ciò si aggiunge che, in base alla norma di cui all’art. 55- quinquies, D.Lgs n. 165/2001 e s.m., l’accertamento in sede penale dell’ipotesi di reato ivi prevista rappresenta un “prius” in ordine sia al risarcimento del danno arrecato sia alla configurabilità stessa del danno all’immagine, la cui sussistenza è sicuramente subordinata alla verifica, in diversa sede giudiziale, della condotta delittuosa descritta dalla norma (cf., in identici termini, Corte dei conti, Sez. Giur. Molise sent. n. 16-2012 e, analogamente, Sez. Giur. Lazio sent. n. 998-2011).
La fattispecie concreta all’esame, invece, concerne il reato di “Violata consegna pluriaggravata (artt. 47 n. 2 e 120, c.1 e 2, c.p.m.p)” e, pertanto, la norma prevista nel più volte citato art.55 - quinquies, D.Lgs n. 165/2001 e s.m. non è ad essa applicabile.
Per quest’ultimo motivo, analogamente, il Collegio ritiene non applicabile,  alla fattispecie oggetto del presente giudizio, la normativa di cui all’17, comma 30-ter, decreto legge 1 luglio 2009 n. 78, convertito in legge 3 agosto 2009 n. 102 e modificato dall'art. 1, comma 1, lett. c), n. 1), decreto legge 3 agosto 2009, n. 103, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 ottobre 2009, n. 141 (c.d. “lodo Bernardo”), posto che, secondo la lettura della Corte Costituzionale (cf.: Corte Cost. sent. n. 355/2010 e Ord. n. 219, 220, 221 del 2011) e della giurisprudenza maggioritaria e consolidata di questa Corte, il risarcimento del danno all’immagine ivi previsto è limitato “ai soli casi previsti dall’art. 7 della legge 27 marzo 2001 n. 97” e cioè, in buona sostanza, unicamente per uno dei reati contemplati nel capo I del titolo II del libro secondo del codice penale, accertato con sentenza irrevocabile di condanna (cf., per tutte, Sez. 3^ Giur. Centrale App. sent. n. 658 e 716-2013).
Tanto premesso, il Collegio rileva che l’art. 1, comma 62, della legge 190 del 6 novembre 2012 (recante “Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella P.A.), in vigore dal 28 novembre 2012, ha inserito all’art. 1, della legge 14 gennaio 1994, n. 20, il comma 1 sexies, avente il seguente contenuto: “Nel giudizio di responsabilità, l’entità del danno all’immagine della pubblica amministrazione derivante dalla commissione di un reato contro la stessa pubblica amministrazione accertato con sentenza passata in giudicato, si presume, salva prova contraria, pari al doppio della somma di denaro o del valore patrimoniale di altra utilità illecitamente percepita dal dipendente”.
Tale normazione, ad avviso del Collegio, incide profondamente nel corpus normativo vigente in materia di risarcimento del danno all’immagine della P.A.; una piana lettura delle disposizioni ivi contenute induce, infatti, alle seguenti considerazioni:
·     L’inserimento del comma 1 sexies nel contesto normativo di cui all’art. 1 della legge 14 gennaio 1994, n. 20, che disciplina organicamente la responsabilità amministrativa, e il riferimento specifico iniziale “Nel giudizio di responsabilità…” indicano chiaramente, anche per il contenuto complessivo della norma, che quest’ultima è di immediata applicazione ai giudizi di responsabilità introdotti presso questa Corte e non ancora definiti con sentenza passata in giudicato all’entrata in vigore della norma medesima (28 novembre 2012). In proposito questo Collegio non ignora che alcune pronunce di questa Corte, anche di questa Sezione, ritengono che la norma non sia immediatamente applicabile “trattandosi di norma di diritto sostanziale entrata in vigore in epoca successiva alla commissione dell’illecito” (cf. Corte dei conti, Sez. Giur. Lomb.  sent. n.17-2013). Tuttavia la conformazione letterale e sistemica della norma, come sopra evidenziata, non conforta tale interpretazione e invero alcune pronunce la ritengono d’immediata applicazione con riferimento specifico alla determinazione dell’entità “del danno all’immagine” (rectius: del risarcimento del danno all’immagine) ivi prevista (cf., ad esempio, Corte dei conti, Sez. Giur. Lazio sent. n. 867-2013 e Sez. Giur. Puglia sent. n. 1488-2013).
·    Il legislatore, nell’intento evidente di determinare (e limitare) con legge l’entità del risarcimento del danno all’immagine della P.A., sia pure ricorrendo a una presunzione “iuris tantum” (l’entità del danno all’immagine della pubblica amministrazione… si presume, salva prova contraria, pari al doppio della somma di denaro o del valore patrimoniale di altra utilità illecitamente percepita dal dipendente), ha espressamente statuito che il danno all’immagine della P.A., risarcibile nell’entità sopra indicata, è quello “derivante dalla commissione di un reato contro la stessa pubblica amministrazione accertato con sentenza passata in giudicato”. Tale indicativa e rilevante locuzione normativa, ad avviso di questo Collegio, innova profondamente il contesto normativo – in tema di risarcimento del danno all’immagine - di cui all’art.17, comma 30-ter, decreto legge 1 luglio 2009 n. 78, convertito in legge 3 agosto 2009 n. 102 e modificato dall'art. 1, comma 1, lett. c), n. 1), decreto legge 3 agosto 2009, n. 103, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 ottobre 2009, n. 141. Ed infatti:
 Il danno all’immagine risarcibile di cui alla novella legislativa è quello che “deriva dalla commissione di un reato contro la stessa pubblica amministrazione accertato con sentenza passata in giudicato”. Esso, pertanto, è configurato dal legislatore quale conseguenza del reato e va, in questo senso, verificato e provato secondo quanto già la consolidata giurisprudenza di questa Corte ha più volte statuito.
 La vera e profonda innovazione, tuttavia, consiste nella locuzione successiva, secondo la quale tale danno deriva “dalla commissione di un reato contro la stessa pubblica amministrazione accertato con sentenza passata in giudicato”.  
Ad avviso di questo Collegio, il mancato riferimento alla normazione vigente di cui all’art.17, comma 30-ter, per un verso, (il risarcimento del danno all’immagine ivi previsto è limitato “ai soli casi previsti dall’art. 7 della legge 27 marzo 2001, n. 97” e cioè, in buona sostanza, solo per uno dei reati contemplati nel capo I del titolo II del libro secondo del codice penale, accertato con sentenza irrevocabile di condanna) e la diversa innovativa locuzione adottata, per altro verso, inducono a ritenere che il quadro normativo di riferimento, in tema di risarcimento del danno all’immagine della P.A. nei giudizi di responsabilità presso questa Corte, sia sostanzialmente mutato.
In particolare:
1)     Il riferimento alla “commissione di un reato contro la stessa pubblica amministrazione” implica che sia venuta meno la limitazione prevista nell’art. 17, comma 30-ter (l’esercizio dell’azione per il risarcimento del danno all’immagine ivi previsto- come più volte detto- è limitato “ai soli casi e nei modi previsti dall’art. 7 della legge 27 marzo 2001, n. 97”).
2)     La locuzione utilizzata, infatti, (commissione di un reato contro la stessa pubblica amministrazione) ha certamente contenuto tecnico ma, altrettanto certamente, contenuto non specifico: non vi è alcun riferimento al codice penale né ad altro corpus normativo; non vi è alcun riferimento a leggi o regolamenti; non sono indicati eventuali presupposti o particolari requisiti che il danno all’immagine deve avere. Resta unicamente che esso, per essere risarcibile secondo l’entità prevista nella disposizione esaminata (ovviamente l’autore del reato deve essere incardinato nella struttura della P.A., sia pure con un rapporto di servizio anche occasionale), deve derivare dalla commissione di un reato contro la P.A. “accertato con sentenza passata in giudicato”. E’ questa, all’evidenza, una condizione per la promozione dell’azione di responsabilità da parte della Procura contabile, che il legislatore ha ritenuto di confermare anche con la novella legislativa di cui trattasi. In proposito, tuttavia, val la pena di precisare che resta vigente la norma di cui all’art. 17, comma 30-ter, non modificata o abrogata dall’art. 1 comma 1 sexies L.20/94, secondo la quale “il decorso del termine di prescrizione di cui al comma 2 dell'articolo 1 della legge 14 gennaio 1994, n. 20, è sospeso fino alla conclusione del procedimento penale”.
3)     Quanto sopra rilevato comporta, altresì, che sia venuta meno la previsione normativa della nullità “di qualunque atto istruttorio o processuale posto in essere in violazione delle disposizioni di cui al presente comma, salvo che sia stata già pronunciata sentenza anche non definitiva alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto”, di cui al più volte richiamato art. 17, comma 30-ter; ciò con riferimento, ovviamente, unicamente alle disposizioni ivi previste per l’esercizio dell’azione risarcitoria del danno all’immagine. Ed infatti, poiché con la novella legislativa è venuto meno, al fine dell’esercizio dell’azione per il risarcimento del danno all’immagine che ci occupa, il riferimento “ai casi e modi previsti dall’art. 7 della legge 27 marzo 2001, n. 97”, ne consegue che la nullità, prevista espressamente qualora si fosse adottato un atto istruttorio o processuale in violazione di tali disposizioni oggi non più vigenti, non è più invocabile. Lo si ripete: unicamente con riferimento alle “violazioni” delle disposizioni di cui all’art. 17, comma 30-ter, non più vigenti, che riguardano l’esercizio dell’azione risarcitoria del danno all’immagine da parte della Procura contabile.
Il Collegio ritiene, pertanto, che la fattispecie concreta oggetto di questo giudizio rientri nella previsione normativa di cui all’art. 1, comma 1 sexies, della legge 14 gennaio 1994, n. 20, sopra illustrata; si tratta, infatti, di un reato (Violata consegna pluriaggravata) previsto dal codice penale militare di pace,  che rientra tra i reati contro la pubblica amministrazione - secondo quanto più sopra specificato - e che è stato accertato con sentenza passata in giudicato.
La domanda di risarcimento del danno all’immagine avanzata dalla Procura, tuttavia, non può essere accolta.
Il Collegio in proposito rileva, con la più avvertita e ormai consolidata giurisprudenza di questa Corte e della giurisprudenza della Cassazione, che  “per ciò che attiene al verificarsi in concreto del danno, il sistema delineato dalle SS.UU. della Cassazione, che ormai si ispira esclusivamente al danno conseguenza, richiede il superamento della “soglia minima del pregiudizio”, nel senso che la “lesione deve eccedere una certa soglia minima di offensività” (cf. Corte dei conti, Sez. 3^ Giur. Centr. App. sent. n. 143-2009 e giurisprudenza richiamata).
E’ stato efficacemente ritenuto, avendo riguardo a tale connotazione del “danno all’immagine risarcibile”, che “un danno siffatto… richiede che la condotta stessa sia altamente lesiva del bene-valore che si riflette sull’immagine pubblica così da ingenerare, sul piano dell’elemento sociale del clamore - elemento necessario ai fini della realizzazione della fattispecie dannosa - una corale disapprovazione ed un diffuso e persistente sentimento di sfiducia della collettività nell’Amministrazione, data la manifesta ed abnorme contrarietà del suo operato in relazione alla violazione dei doveri di servizio, ai fondamentali canoni della legalità, del buon andamento e dell’imparzialità”. “Chiaramente, per aversi danno risarcibile, il comportamento illegittimo” (rectius: illecito) “deve realizzare una aggressione tale da superare la cd. “soglia minima” della lesione del bene tutelato; in caso contrario si rischierebbe di risarcire la mera violazione dei soli doveri di servizio, non assistita da alcuna deminutio patrimonii (principio ribadito anche dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con le sentenze gemelle nn. 26972, 26973, 26974 e 26975 dell’11 novembre 2008) in tal modo trasformando, di fatto, il danno all’immagine in una pena accessoria a quella principale”.
“La lesione dell’immagine, quindi, deve rilevare come negativo riflesso del comportamento antidoveroso… del soggetto incardinato nella struttura della P.A. che deteriora ed offusca l’immagine dell’amministrazione pubblica la quale, per definizione, deve possedere, diffondere e difendere valori di onestà, correttezza, trasparenza, legalità ed affidabilità. Esso deve essere capace di deteriorare il rapporto di fiducia tra la cittadinanza e l’istituzione pubblica a tal punto da realizzare un vero e proprio “danno sociale”.(cf. Corte dei conti, Sez. Giur. Veneto sent. n. 25-2014).
Tanto premesso, il Collegio, quanto alla fattispecie concreta dedotta in giudizio, osserva che:
1)      si è trattato di un unico episodio circoscritto nel tempo e nello spazio (violata consegna per il tempo di un taglio di capelli);
2)      non risulta che vi sia stata  la diffusione della notitia criminis da parte dei mass media né alcun clamore destato nell’opinione pubblica dalla vicenda (la denuncia del cittadino non implica, ovviamente, il c.d. “clamor fori” il quale deve essere provato da parte della Procura attrice);
3)      il convenuto è un Carabiniere, non certo un grado apicale, che per la condotta delittuosa è stato condannato in sede penale e disciplinare: si ritiene, pertanto, che all’interno dell’amministrazione militare sia da escludere ogni atto emulativo da parte di altri militari.     
Per tali obiettive rilevazioni, il Collegio ritiene che la lesione non abbia raggiunto la “soglia minima di offensività” e che, pertanto, la domanda di risarcimento vada respinta per assenza di danno all’immagine.

P.Q.M.
La Corte dei conti, Sezione Giurisdizionale per la Regione Lombardia, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta dalla Procura con atto di citazione depositato in data 4 ottobre 2013:
-          Afferma l’applicazione alla fattispecie dedotta in giudizio della norma di cui all’art. 1, comma 1 sexies, della legge 14 gennaio 1994, n. 20, secondo quanto indicato in motivazione.
-          Respinge la domanda di risarcimento del danno all’immagine, secondo quanto indicato in motivazione.
-       - Liquida le spese legali in favore della difesa del convenuto (OMISSIS)nella misura omnicomprensiva di euro 1.500,00 (euro millecinquecento//00) più accessori secondo legge.
Così deciso in Milano, nella Camera di consiglio del 19 febbraio 2014.
          L'ESTENSORE                                             IL PRESIDENTE
 (Cons. Donato Maria Fino)                                   (Dott. Claudio Galtieri)

Depositata in Segreteria il   14 marzo 2014
IL DIRIGENTE