N. 05158/2013REG.PROV.COLL.
N. 09936/2001 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 9936 del 2001, proposto da:
Comune di Napoli, rappresentato e difeso dagli avv. Bruno Ricci, Edoardo Barone, Giuseppe Tarallo, Anna Pulcini e Fabio Maria Ferrari, con domicilio eletto presso o studio dell’avv. Gian Marco Grez, in Roma, corso Vittorio Emanuele II, n. 18;
Comune di Napoli, rappresentato e difeso dagli avv. Bruno Ricci, Edoardo Barone, Giuseppe Tarallo, Anna Pulcini e Fabio Maria Ferrari, con domicilio eletto presso o studio dell’avv. Gian Marco Grez, in Roma, corso Vittorio Emanuele II, n. 18;
contro
Condominio
dell’edificio sito in Napoli, via Orsi nn. 10, 18 e 36, in persona
dell’Amministratore pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv.
Ernesto Procaccini, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv.
Stefania Iasonna, in Roma, via Salaria, n. 227;
per la riforma
della
sentenza del T.A.R. Napoli, Sezione IV, n. 3425 del 2000, di
accoglimento del ricorso proposto dal Condominio di Via Orsi nn. 8, 10 e
36, per l’annullamento della disposizione dirigenziale n. 3290 del
2.4.1999 con la quale è stato ingiunto il pagamento in solido della
sanzione di £ 426.762.000 per opere realizzate in parziale difformità
dalla licenza edilizia rilasciata con provvedimento sindacale n. 4/1949;
Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Condominio intimato;
Vista la memoria prodotta dalla parte resistente a sostegno delle proprie difese;
Visti i decreti 13 giugno 2012 n. 1560 e 19 settembre 2012, n. 2370;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore
nell'udienza pubblica del giorno 25 giugno 2013 il Cons. Antonio
Amicuzzi e uditi per le parti gli avvocati Pafundi, per delega
dell'Avvocato Ferrari, e Scopa, per delega dell'Avvocato Procaccini;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
FATTO
Con
il ricorso in appello in esame il Comune di Napoli ha chiesto
l’annullamento o la riforma della sentenza del T.A.R. in epigrafe
indicata con la quale è stato accolto, per difetto di motivazione e
violazione del principi di retroattività delle sanzioni amministrative,
il ricorso proposto dal Condominio dell’edificio sito in Napoli, alla
Via Orsi nn. 8, 10 e 36, per l’annullamento della determinazione
dirigenziale n. 3290/1999, di ingiunzione di pagamento della somma di £
426.762.000 a titolo di sanzione pecuniaria ex l. n. 47/1985 per
difformità dell’immobile rispetto alla originaria concessione edilizia
n. 4/1949.
A sostegno del gravame sono stati dedotti i seguenti motivi:
1.-
Erroneità dell’affermazione del Giudice di primo grado circa la
necessità della motivazione, all’atto della irrogazione della sanzione
pecuniaria di cui trattasi, in ordine ai motivi di pubblico interesse
idonei a giustificare la modifica di un assetto consolidato da
lunghissimo tempo, non essendo ciò necessario quando si proceda alla
applicazione della sanzione pecuniaria in luogo di quella demolitoria.
2.-
La tesi del T.A.R. che la sanzione applicata ex art. 12 della l. n.
47/1985 non può essere retroattiva è smentita dalla circostanza che le
norme di cui al capo I della l. n. 47/1985 sono relative alla attività
di controllo urbanistico edilizio e vanno applicate ogni volta che
viene accertato l’abusività dell’opera, indipendentemente dall’epoca
della sua commissione, considerato che l’illecito ha carattere
permanente.
E’ inesatto il riferimento all’art. 40
della l. n. 47/1985 effettuato dal T.A.R. perché esso si applica solo se
nel termine prescritto non venga presentata la domanda di cui all’art.
31 e si accertino opere eseguite in difformità o in assenza di
concessione.
Con atto depositato il 10.1.2002 si
costituito in giudizio il Condominio intimato, che ha dedotto la
infondatezza dell’appello ed ha riproposto tutti i motivi di ricorso di
primo grado dichiarati assorbiti dal T.A.R., tra l’altro reiterando la
eccezione di difetto di legittimazione passiva e contestando i criteri
di calcolo seguiti.
Con memoria depositata il
26.3.2010 si sono costituiti due nuovi difensori per il Comune
appellante, riportandosi alle già assunte conclusioni.
Con
decreto 13 giugno 2012 n. 1560, visto l’art. 1 dell’allegato n. 3 al d.
lgs. n. 104/2010, il ricorso è stato dichiarato perento.
Con
decreto 19 settembre 2012, n. 2370, visto l’atto con il quale è stata
dichiarata la persistenza di interesse al ricorso, è stato revocato
detto decreto n. 1560/2012 ed è stata disposta la reiscrizione della
causa sul ruolo.
Con memoria depositata il 10.5.2013 il resistente Condominio ha ribadito tesi e richieste.
Alla
pubblica udienza del 25.6.2013 il ricorso in appello è stato trattenuto
in decisione alla presenza degli avvocati delle parti come da verbale
di causa agli atti del giudizio.
DIRITTO
1.-
Il giudizio in esame verte sulla richiesta, formulata dal Comune di
Napoli, di annullamento o di riforma della sentenza del T.A.R. in
epigrafe indicata con la quale è stato accolto il ricorso proposto dal
Condominio di Via Orsi nn. 8, 10 e 36 per l’annullamento della
disposizione dirigenziale n. 3290 del 2.4.1999, con la qualecui è stato
ingiunto ai proprietari ivi indicati il pagamento in solido della
sanzione pecuniaria, ex l. n. 47/1985, di £ 426.762.000 per opere
realizzate in parziale difformità dalla licenza edilizia rilasciata con
provvedimento sindacale n. 4/1949.
2.- Con il primo
motivo di appello è stato sostenuto che il Giudice di primo grado ha
erroneamente affermato che, all’atto della irrogazione di detta sanzione
pecuniaria, avrebbero dovuto essere esplicitati i motivi di pubblico
interesse idonei a giustificare lo sconvolgimento dell’assetto
consolidato da lunghissimo tempo.
L’obbligo di
motivazione sussisterebbe infatti per la P.A. quando viene giustificata
la scelta della sanzione della demolizione e sia decorso lungo tempo
dalla costruzione dell'opera, ma non quando, come nel caso che occupa,
si procede alla applicazione della sanzione pecuniaria in luogo di
quella demolitoria.
2.1.- Osserva la Sezione che è
pacifico nel caso di specie che le difformità emerse rispetto alla
licenza edilizia risalivano all’epoca della costruzione dello stabile
interessato e che l’intervento sanzionatorio in contestazione è stato
compiuto dopo circa mezzo secolo dalla commissione dell’abuso.
Peraltro
l’Amministrazione non ha contestato la affermazione che l’abuso di cui
si tratta era addebitabile alla sola impresa costruttrice (unica
proprietaria, al tempo, dell’edificio), facendo perciò risalire la
violazione ad epoca anteriore alla nascita del condominio e agli
acquisti individuali delle singole unità immobiliari da parte dei
condomini.
Condivisibilmente quindi il primo
Giudice, riconosciuta la sussistenza di legittimo affidamento della
parte sanzionata, stante la presunzione di buona fede, sulla regolarità
dell’immobile di cui trattasi e la ragionevole presunzione, ingenerata
dalla prolungatissima inerzia dell’Amministrazione, che eventuali
irregolarità sarebbero state ormai tollerate, ha riconosciuto la
fondatezza della doglianza di difetto di motivazione formulata con il
ricorso introduttivo del giudizio, affermando che nella fattispecie la
sanzione inflitta avrebbe potuto essere adottata solo sulla base di un
interesse pubblico specifico e concreto, idoneo a giustificare
l’intervento dell’Amministrazione su un assetto da lungo tempo ormai
consolidato, mentre il provvedimento impugnato non recava traccia alcuna
di una tale motivazione.
Costituisce invero
principio consolidato che il potere repressivo delle violazioni in
materia edilizia, non essendo in quanto tale sottoposto a termini di
decadenza né di prescrizione, sia esercitabile in ogni tempo (anche per
il carattere permanente degli illeciti edilizi, o per lo meno dei loro
effetti), sicché l’Amministrazione che intenda irrogare in concreto la
sanzione pecuniaria in luogo della demolizione non è tenuta a motivare
in ordine alle ragioni che la inducono a disporre tale sanzione a
distanza di tempo dall’abuso (Consiglio di Stato, Sezione V, 8 giugno
1994, n. 614).
Pure consolidato è il principio che
i provvedimenti sanzionatori in materia edilizia sono atti vincolati
che non richiedono una specifica valutazione delle ragioni di interesse
pubblico che si intendono tutelare, né una comparazione di quest'ultimo
con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, non potendosi
ammettere l'esistenza di alcun affidamento tutelabile alla conservazione
di una situazione di fatto abusiva, che il tempo non può legittimare
(Consiglio di Stato, Sezione VI, 11 maggio 2011, n. 2781, 5 aprile 2012,
n. 2038 e 28 gennaio 2013, n. 496) perché il potere amministrativo di
vigilanza e controllo e della sanzionabilità del comportamento illecito
dei privati, qualunque sia l'entità dell'infrazione e il lasso temporale
trascorso, non è soggetto ad esaurimento, salve le ipotesi di dolosa
preordinazione o di abuso” (Consiglio di Stato, Sezione IV, 4 maggio
2012, n. 2592).
Ritiene tuttavia la Sezione che il
criterio dell’indifferenza dell’epoca di commissione dell’abuso non può
essere applicato con meccanicismo indiscriminato ed illimitato e, in
particolare, che quando la costruzione in rilievo sia munita di un
titolo edificatorio (venendo in questione delle semplici difformità dal
medesimo) e siano passati svariati decenni dalla commissione della
presunta violazione, la sottoposizione dei privati cittadini a
procedimento sanzionatorio scuote per ciò stesso il valore della
certezza delle situazioni giuridiche.
Tanto più
sono destinate a sorgere delle criticità quando l’azione sanzionatoria
dell’Amministrazione si indirizzi, come nel caso di specie (oltre che
nei confronti di semplici aventi causa dal responsabile della presunta
violazione, o, addirittura, di acquirenti dai suddetti aventi causa), i
quali fino a prova contraria hanno acquistato i rispettivi immobili, a
suo tempo, ad un prezzo di mercato ragguagliato alla loro consistenza
oggettiva), nei confronti di un Condominio non ancora costituito
all’epoca della commissione della rilevata violazione edilizia.
L’attivazione
del potere repressivo a tale distanza di tempo rende, fra l’altro,
oltremodo difficoltoso l’esercizio del diritto di difesa da parte, nel
caso di specie, dell’intimato Condominio (a prescindere dalla
effettività della sua legittimazione passiva), oltre che degli attuali
proprietari, e, soprattutto, improba ogni iniziativa di rivalsa, da
parte delle parti intimate degli intimati, nei riguardi degli effettivi
responsabili dell’abuso.
In tali casi estremi non
si può non ritenere, dunque, che l’onere della motivazione
dell’iniziativa sanzionatoria si impone quale contrappeso proprio alla
mancanza di termini di prescrizione-decadenza per l’esercizio del potere
repressivo.
L’esistenza, in casi eccezionali, di
possibili deroghe al principio che il potere repressivo delle violazioni
in materia edilizia non necessiti di particolari motivazioni oltre
l’affermazione della accertata abusività dell’opera, perché relativo ad
attività vincolata, è stata affermata anche da consolidata
giurisprudenza, che ha fatto salva l'ipotesi in cui, per il lungo lasso
di tempo trascorso dalla commissione dell'abuso ed il protrarsi
dell'inerzia dell'Amministrazione preposta alla vigilanza, si sia
ingenerata una posizione di affidamento nel privato. Ipotesi, in
relazione alla quale è ravvisabile un onere di congrua motivazione che
indichi, avuto riguardo anche all'entità ed alla tipologia dell'abuso,
il pubblico interesse - evidentemente diverso da quello al mero
ripristino della legalità - idoneo a giustificare il sacrificio del
contrapposto interesse privato (Consiglio di Stato, Sezione V, 25 giugno
2002 n. 3443; 29 maggio 2006, n. 3270).
Anche
l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con decisione del 19 maggio
1983, n. 12, pur osservando che, nella dinamica del sistema
sanzionatorio delineato dall'art. 13 della l. n. 765/1967, la
constatazione dell'abusività dell'opera assurgeva a elemento di per sé
solo già idoneo a condizionarne la concreta operatività, senza necessità
di alcuna ulteriore attività di intermediazione amministrativa volta ad
apprezzare altri aspetti della vicenda, aveva avvertito che tale
principio poteva però subire un’attenuazione, oltre che nelle ipotesi in
cui l'attività privata, per quanto priva di autorizzazione, risultasse
comunque conforme allo strumento di pianificazione territoriale
comunale, anche nel caso in cui l'inerzia dell’Amministrazione dinanzi
all'abuso edilizio fosse durata “un lasso di tempo molto rilevante”.
Un
onere di motivazione si può quindi eccezionalmente configurare ove il
decorso di un lasso di tempo davvero notevole (nella specie, circa 50
anni) fra la realizzazione dell'opera irregolare, ma munita pur sempre
di un formale titolo, e l'adozione della misura repressiva, abbia
ingenerato un solido affidamento in capo alla parte intimata
(specialmente ove si tratti di un terzo acquirente).
Tale
onere di motivazione non potrebbe non chiamare in causa, tra gli altri
elementi da considerare, anche la condizione di possibile buona fede dei
soggetti che si vorrebbero in ipotesi sanzionare, né potrebbe andar
disgiunto da una verifica circa gli eventuali indebiti vantaggi che
questi avrebbero ritratto dall’illecito.
Negli
eccezionali casi accennati, infine, non vi sarebbe ragione di
circoscrivere l’indicato onere motivatorio all’eventualità che
l’Amministrazione intenda applicare in concreto la sola misura
demolitoria, esonerandola nella diversa ipotesi in cui debba essere
invece inflitta una sanzione pecuniaria.
Non si
vede, infatti, quale ragione potrebbe giustificare un trattamento
antitetico delle due misure (tanto più in una fattispecie che
esemplifica in modo eloquente la considerevole incidenza che anche una
sanzione pecuniaria può rivestire).
L’art. 12 della
legge n. 47, in tema di “opere eseguite in parziale difformità” dal
titolo, subordina l’applicazione della sanzione pecuniaria
all’eventualità che quella demolitoria non possa avvenire senza
pregiudizio della parte conforme al titolo, con il risultato di
assegnare alla prima misura una funzione non autonoma, bensì
surrogatoria della seconda.
La giurisprudenza è
orientata, appunto, nel senso che in materia edilizia la sanzione
pecuniaria ha anch’essa una funzione di reintegrazione della legalità
violata, e, più specificamente, una finalità riparatoria per equivalente
della lesione dell’interesse pubblico arrecata dalla violazione
edilizia (Consiglio di Stato, Sezione II, 13 novembre 1996, n. 1026;
Sezione V, 8 giugno 1994, n. 614; Ad. Pl., 17 maggio 1974, n. 5; inoltre
Sezione V, 15 aprile 2013, n. 2060 con riguardo alla finalità non
punitiva, ma ripristinatoria delle sanzioni pecuniarie per abusi
edilizi).
L’omogeneità della funzione delle due
forme di sanzione giustifica, pertanto, la loro assimilazione anche per
quanto concerne l’onere motivatorio in discussione.
Per le considerazioni in precedenza espresse il primo motivo di appello si rivela infondato in tutti i suoi aspetti.
3.-
Con il secondo mezzo di gravame è stato dedotto che il T.A.R. ha
sostenuto anche la irretroattività della sanzione applicata ex art. 12
della l. n. 47/1985 di cui trattasi, senza considerare che, poiché le
norme di cui al capo I di detta legge sono relative alla attività di
controllo urbanistico edilizio, esse andrebbero applicate ogni volta che
viene accertatao l’abusività dell’opera, indipendentemente dall’epoca
della sua commissione, considerato che l’illecito ha carattere
permanente.
Pertanto il momento di riferimento per
l’individuazione della normativa applicabile per procedere a sanzionare
l’abuso sarebbe quello in cui l’Amministrazione, venuta a conoscenza del
fatto, ne riscontra la illegittimità e applica la normativa
sanzionatoria.
Poiché la sanzione pecuniaria ha
natura riparatoria e non punitiva sarebbe insussistente qualsiasi
analogia con la irretroattività della norma penale.
Sarebbe
anche inesatto il riferimento all’art. 40 della l. n. 47/1985
effettuato dal T.A.R., perché esso si applica se nel termine prescritto
non venga presentata la domanda di cui all’art. 31 e si accertino opere
in difformità o in assenza di concessione; la norma rappresenterebbe
quindi una specificazione dell’applicazione delle sanzioni da applicare
quando il responsabile non si sia avvalso della facoltà di ottenere il
condono, ma ciò non potrebbe essere inteso nel senso che le stesse
sanzioni del capo I non si applichino ogniqualvolta si accerti una
difformità dell’opera dalla concessione o l’opera risulti abusiva. Ciò
anche perché l’art. 2 di detta legge ha espressamente previsto la
sostituzione delle precedenti norme sanzionatorie operata dal capo I
della l. n. 47/1985 e ribadito la applicabilità della legge in via
generale per ogni abuso in qualsiasi tempo commesso, purché conosciuto
nel vigore di detta legge.
3.1.- Premette il
Collegio che, se è vero che il divieto di norme sanzionatorie
retroattive è costituzionalmente previsto per le sole norme penali, ciò
non toglie che per le sanzioni amministrative debba pur sempre valere il
generale canone di irretroattività posto dall’art. 11 disp. prel. cod.
civ..
La giurisprudenza di questa Sezione ha invero
già da tempo puntualizzato che le sanzioni amministrative comminate
dalla l. n. 47/1985 non sono generalmente applicabili con effetto
retroattivo e non possono essere perciò irrogate per costruzioni portate
a compimento prima dell'entrata in vigore della fonte stessa (Consiglio
di Stato, Sezione V, 8 aprile 1991, n. 470).
Pertanto,
le sanzioni amministrative previste da detta legge n. 47/1985 non sono
irrogabili per le costruzioni completate prima dell'entrata in vigore
della legge, dovendosi applicare quelle prescritte dalla normativa
vigente all'epoca dell'abuso. E questo vale, in particolare, per la
sanzione pecuniaria da infliggere a norma di tale fonte, sanzione
applicabile soltanto alle violazioni commesse successivamente
all’entrata in vigore di questa, dal momento la relativa disposizione
normativa non ha valore retroattivo (Consiglio di Stato, Sezione V, 12
marzo 1992, n. 214).
Tanto, appunto, in virtù del
principio generale dell'art. 11 disp. prel. Cod. civ., e stante la
mancanza di un’espressa previsione che ne ammetta l'irrogazione anche
retroattiva (Consiglio di Stato, Sezione V, 27 settembre 1990, n. 695).
Aggiungasi
che la riconosciuta irretroattività delle sanzioni previste dalla l. n.
47/1985 è maggiormente giustificata nel caso di specie, in cui il
Comune ha inteso applicarle ad un evento verificatosi circa cinquanta
anni prima, in violazione dell’affidamento eccezionalmente ingeneratosi,
come in precedenza evidenziato, nella parte intimata e non responsabile
dell’abuso accertato nel corso di tale lunghissimo arco di tempo,
stante il protrarsi dell'inerzia dell'Amministrazione preposta alla
vigilanza, in violazione del fondamentale principio di certezza dei
rapporti giuridici.
Oltre che di dette disposizioni
sanzionatorie, non è consentita infatti, l’applicazione retroattiva
anche delle norme innovative, in assenza di adeguata giustificazione sul
piano della ragionevolezza e in contrasto con altri valori ed interessi
costituzionalmente protetti, tra i quali va inclusa anche la tutela
dell'affidamento legittimamente sorto nei destinatari, in quanto
principio connaturato allo Stato di diritto (Consiglio Stato, Sezione
VI, 23 marzo 2010, n. 1689).
4.- L’appello deve
essere conclusivamente respinto e deve essere confermata la prima
decisione con motivazione in parte diversa.
Tanto
esime la Sezione dall’esaminare i motivi di ricorso di primo grado
dichiarati assorbiti con la sentenza in esame e riproposti in appello
dalla parte contro interessata.
5.- Nella
complessità e parziale novità delle questioni trattate il Collegio
ravvisa eccezionali ragioni per compensare, ai sensi degli artt. 26,
comma 1, del c.p.a e 92, comma 2, del c.p.c., le spese del presente
grado di giudizio.
P.Q.M.
Il
Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, Sezione Quinta,
definitivamente decidendo respinge l’appello in esame con motivazione in
parte diversa.
Compensa le spese del presente grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 25 giugno 2013 con l'intervento dei magistrati:
Mario Luigi Torsello, Presidente
Antonio Amicuzzi, Consigliere, Estensore
Nicola Gaviano, Consigliere
Carlo Schilardi, Consigliere
Raffaele Prosperi, Consigliere
L'ESTENSORE | IL PRESIDENTE | |
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 24/10/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)