Suprema
Corte di Cassazione
sezione
VI
sentenza
n. 16217 del 27 giugno 2013
IN FATTO E IN DIRITTO
Nella causa indicata in premessa. è stata depositata la seguente relazione:
“1. – La sentenza impugnata (App. Potenza, 15/11/2011), ha, per quanto qui rileva, respinto l’appello incidentale promosso da P. F. contro la sentenza di primo grado emessa dal Tribunale di Melfi, che: aveva accolto la domanda proposta dalla S. A. nei confronti del F. volta ad ottenere il pagamento della somma di 70.000.000 lire (36.151,98 euro), a titolo di rivalsa, dalla stessa sborsati per indennizzare V. B., investito dal minore M. F., conducente dell’autoveicolo di proprietà del ricorrente P. F. aveva, .conseguentemente, condannato quest’ultimo alla refusione delle spese del giudizio di primo grado; aveva dichiarato inammissibile la domanda proposta dalla S. a titolo di rivalsa, nei confronti di D. F., genitore del minore conducente l’autoveicolo, condannando la S. alla refusione delle spese del giudizio in favore di D.F. L’attuale ricorrente deduceva, in appello, che la circolazione dell’autoveicolo era avvenuta contro la sua volontà, in quanto provato che, all’epoca dell’incidente, egli non era convivente con il fratello minore, M. F., poiché stava effettuando il servizio obbligatorio di leva e che il minore aveva forzato il cassetto, ove le chiavi dell’auto erano custodite, per appropriarsene.
“1. – La sentenza impugnata (App. Potenza, 15/11/2011), ha, per quanto qui rileva, respinto l’appello incidentale promosso da P. F. contro la sentenza di primo grado emessa dal Tribunale di Melfi, che: aveva accolto la domanda proposta dalla S. A. nei confronti del F. volta ad ottenere il pagamento della somma di 70.000.000 lire (36.151,98 euro), a titolo di rivalsa, dalla stessa sborsati per indennizzare V. B., investito dal minore M. F., conducente dell’autoveicolo di proprietà del ricorrente P. F. aveva, .conseguentemente, condannato quest’ultimo alla refusione delle spese del giudizio di primo grado; aveva dichiarato inammissibile la domanda proposta dalla S. a titolo di rivalsa, nei confronti di D. F., genitore del minore conducente l’autoveicolo, condannando la S. alla refusione delle spese del giudizio in favore di D.F. L’attuale ricorrente deduceva, in appello, che la circolazione dell’autoveicolo era avvenuta contro la sua volontà, in quanto provato che, all’epoca dell’incidente, egli non era convivente con il fratello minore, M. F., poiché stava effettuando il servizio obbligatorio di leva e che il minore aveva forzato il cassetto, ove le chiavi dell’auto erano custodite, per appropriarsene.
2. – Ricorre per Cassazione P. F.; l’intimato non ha svolto attività
difensiva. Le censure dedotte dal ricorrente sono:
2.1 – Violazione e falsa applicazione dell’art. 2054 c.c., in relazione
all’art. 360 n. 3 c.p.c.; omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione,
vizio di motivazione in ordine alla valutazione circa la affermata
insussistenza della prova liberatoria di cui al terzo comma dell’art. 2054 c.c.
Infatti la Corte Territoriale non avrebbe ritenuto sussistente la prova
liberatoria di cui all’art. 2054 c.c., consistente nel fatto che la circolazione
del mezzo era avvenuta, non solo senza il suo consenso, ma contro la sua
volontà, avendo egli adottato la diligenza e cautela nel conservare le chiavi
dell’auto in un cassetto chiuso, così rendendole indisponibili per chiunque ed
essendo egli lontano dal suo domicilio al momento dell’utilizzo
dell’autovettura.
3. – Il ricorso è manifestamente privo di pregio.
3. – Il ricorso è manifestamente privo di pregio.
Le censure, che possono essere trattate congiuntamente data l’intima
connessione, implicano accertamenti di fatto e valutazioni di merito.
Ripropongono, in particolare, un’inammissibile “diversa lettura” delle
risultanze probatorio, senza tenere conto del consolidato orientamento di
questa S.C. secondo cui, quanto alla valutazione delle prove adottata dai
giudici di merito, il sindacato di legittimità non può investire il risultato
ricostruttivo in sè, che appartiene all’ambito dei giudizi di fatto riservati
al giudice di merito, (Cass. n. 12690/l0, in motivazione; n. 5797/05;
15693/04).
Come sostenuto da questa S.C., per integrare la prova liberatoria dalla
presunzione di colpa stabilita dall’art. 2054, terzo comma, c.c., non è
sufficiente dimostrare che la circolazione del veicolo sia avvenuta senza il
consenso del proprietario, ma è al
contrario necessario che detta circolazione sia avvenuta contro la sua volontà,
la quale deve estrinsecarsi in un concreto ed idoneo comportamento
specificamente inteso a vietare ed impedire la circolazione del veicolo
mediante l’adozione di cautele tali che la volontà del proprietario non possa
risultare superata (Cass. n. 15478/20l l; n. l5521/2006).
Nel caso di specie, la Corte Territoriale ha ritenuto non fornita la prova
liberatoria in esame, per non aver il F. specificato le modalità di custodia
delle chiavi sottratte dal fratello minore e per non aver indicato, in corso di
causa, i testi con cui dimostrare detta circostanza.
I vizi motivazionali denunciabili in Cassazione non possono, del resto,
consistere nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal
giudice del merito rispetto a quello preteso dalla parte, spettando solo a
detto giudice individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le
prove, controllare l’attendibilità e la concludenza, scegliere tra le
risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in
discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova, salvo i casi
tassativamente previsti dalla legge in cui un valore legale è assegnato alla
prova (Cass. n. 6064/08; nonché Cass. n. 26886/08 e 21062/09, in motivazione),
La scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a
sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al
giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione
una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che
quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a
discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive,
dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che,
sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la
decisione adottata (Cass. n. 5328/07, in motivazione; 12362/06).
La sentenza impugnata, invece, ha, come si è visto, congruamente spiegato
le ragioni della propria decisione, ritenendo non offerta la prova liberatoria
richiesta dalla legge.
4. – Il relatore propone la trattazione del ricorso in camera di consiglio ai sensi degli artt. 375, 376, 380 bis c.p.c. ed il rigetto dello stesso.”
4. – Il relatore propone la trattazione del ricorso in camera di consiglio ai sensi degli artt. 375, 376, 380 bis c.p.c. ed il rigetto dello stesso.”
La relazione è stata comunicata al Pubblico Ministero e notificata ai
difensori delle parti costituite.
Non sono state presentate memorie, né conclusioni scritte.
Ritenuto che:
a seguito della discussione sul ricorso in camera di consiglio, il collegio
ha condiviso i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione; che il
ricorso deve perciò essere rigettato, essendo manifestamente infondato;
non v’è motivo di provvedere sulle spese del presente giudizio nei confronti della parte intimata, non avendo questa svolto attività difensiva;
non v’è motivo di provvedere sulle spese del presente giudizio nei confronti della parte intimata, non avendo questa svolto attività difensiva;
visti gli artt. 380-bis e 385 cod. proc. civ.,
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, l’8 maggio 2013.