Il Tar del Lazio tramite la sentenza 2446/2013 ha reso nulla parte della circolare n. 2/2012 del dipartimento della Funzione pubblica attinente le regole per il pensionamento del personale. La sentenza toglie alla pubblica amministrazione la facoltà di legittimare il collocamento a riposo d’ufficio nei confronti del dipendente che compie 65 anni (limite ordinamentale) contro il parere avverso dello stesso, a prescindere dal controllo del perfezionamento entro il 31 dicembre 2011 dei requisiti previgenti la riforma Fornero per poter accedere alla pensione di anzianità. Viene altresì riconosciuto il diritto del ricorrente a restare in servizio sino al compimento di 66 anni, e cioè il successivo limite anagrafico per poter usufruire del trattamento di vecchiaia previsto dall’articolo 24 del decreto legge 201/2011.
Il pronunciamento del Tar Lazio si pone in netto contrasto con i più recenti pareri della Funzione Pubblica (13264/2013 e 15888/2013) riguardanti l’obbligo previsto per le Amministrazioni di risolvere il rapporto lavorativo non oltre il compimento del limite ordinamentale di 65 anni d’età, fatta eccezione per l’eventuale biennio di trattenimento ai sensi del decreto legislativo 503/1992. Nel caso specifico attinente alla sentenza, il ministero della Giustizia aveva deciso di mettere a riposo un dipendente, in vista del raggiungimento di limiti anagrafici, che già dal 2011 aveva maturato oltre 40 anni di contributi, applicando alla lettera la circolare sovra citata.
Il ricorrente invece sosteneva di poter continuare a prestare servizio fino al conseguimento dei 66 anni (appunto il nuovo limite d’età previsto per accedere al pensionamento di vecchiaia). E i giudici amministrativi hanno dato ragione all’uomo, accettando l’interpretazione secondo cui, a richiesta, i subentrati requisiti anagrafici ai fini della pensione di vecchiaia vengono applicati a coloro che alla data del 31 dicembre 2011 avevano già maturato i requisiti per la pensione di anzianità, senza tuttavia maturare quelli per la pensione di vecchiaia. La sentenza del Tar laziale suggerisce di preferire l’interpretazione normativa che è a favore dell’estensione del rapporto di lavoro, a discapito di quella opposta avanzata dall’Amministrazione resistente che invece vuole l’anticipo della risoluzione.
Tuttavia, nel provvedimento non si fa alcuna menzione al comma 4 che stabilisce, nei confronti di chi è iscritto alle forme esclusive e sostitutive della medesima, l’”incentivazione” del proseguimento dell’attività impiegatizia, fermi restando i limiti ordinamentali che nel lavoro pubblico sono appunto fissati al raggiungimento del 65esimo anno d’età (ai sensi dell’art. 4 del Dpr 1092/1973). L’incertezza a livello normativo, oltre che incidere negativamente sulla programmazione del personale, inficia anche le previsioni di spesa determinate dal medesimo. Infatti, in applicazione del comma 2, a partire dall’anno 2012, in relazione alle anzianità contributive maturate una volta decorsa tale data, il calcolo della quota pensionistica corrispondente a queste stesse anzianità verrà realizzato seguendo il metodo di calcolo contributivo. Dal momento quindi che il ricorrente del caso specifico già nel 2011 aveva maturato 40 anni di contributi, la rispettiva anzianità contributiva, con riferimento al periodo compreso tra gennaio 2012 e marzo 2014 (scadenza per il raggiungimento delle nuove soglie anagrafiche), è destinata a crescere ulteriormente.
Il pronunciamento del Tar Lazio si pone in netto contrasto con i più recenti pareri della Funzione Pubblica (13264/2013 e 15888/2013) riguardanti l’obbligo previsto per le Amministrazioni di risolvere il rapporto lavorativo non oltre il compimento del limite ordinamentale di 65 anni d’età, fatta eccezione per l’eventuale biennio di trattenimento ai sensi del decreto legislativo 503/1992. Nel caso specifico attinente alla sentenza, il ministero della Giustizia aveva deciso di mettere a riposo un dipendente, in vista del raggiungimento di limiti anagrafici, che già dal 2011 aveva maturato oltre 40 anni di contributi, applicando alla lettera la circolare sovra citata.
Il ricorrente invece sosteneva di poter continuare a prestare servizio fino al conseguimento dei 66 anni (appunto il nuovo limite d’età previsto per accedere al pensionamento di vecchiaia). E i giudici amministrativi hanno dato ragione all’uomo, accettando l’interpretazione secondo cui, a richiesta, i subentrati requisiti anagrafici ai fini della pensione di vecchiaia vengono applicati a coloro che alla data del 31 dicembre 2011 avevano già maturato i requisiti per la pensione di anzianità, senza tuttavia maturare quelli per la pensione di vecchiaia. La sentenza del Tar laziale suggerisce di preferire l’interpretazione normativa che è a favore dell’estensione del rapporto di lavoro, a discapito di quella opposta avanzata dall’Amministrazione resistente che invece vuole l’anticipo della risoluzione.
Tuttavia, nel provvedimento non si fa alcuna menzione al comma 4 che stabilisce, nei confronti di chi è iscritto alle forme esclusive e sostitutive della medesima, l’”incentivazione” del proseguimento dell’attività impiegatizia, fermi restando i limiti ordinamentali che nel lavoro pubblico sono appunto fissati al raggiungimento del 65esimo anno d’età (ai sensi dell’art. 4 del Dpr 1092/1973). L’incertezza a livello normativo, oltre che incidere negativamente sulla programmazione del personale, inficia anche le previsioni di spesa determinate dal medesimo. Infatti, in applicazione del comma 2, a partire dall’anno 2012, in relazione alle anzianità contributive maturate una volta decorsa tale data, il calcolo della quota pensionistica corrispondente a queste stesse anzianità verrà realizzato seguendo il metodo di calcolo contributivo. Dal momento quindi che il ricorrente del caso specifico già nel 2011 aveva maturato 40 anni di contributi, la rispettiva anzianità contributiva, con riferimento al periodo compreso tra gennaio 2012 e marzo 2014 (scadenza per il raggiungimento delle nuove soglie anagrafiche), è destinata a crescere ulteriormente.
Fonte: http://www.leggioggi.it