CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA 27 MARZO 2013, N. 7714
Premesso in fatto
1. Con sentenza n. 79/27/07, depositata
il 17.4.07, la Commissione Tributaria Regionale della Puglia accoglieva
l’appello proposto da (..) avverso la decisione di primo grado, con la
quale era stato rigettato il ricorso proposto dal contribuente nei
confronti delle cartelle di pagamento emesse dall’Agenzia delle Entrate
di ……, ai fini IRPEF per gli anni 1998 e 1999.
2. La CTR – in riforma della decisione
dì prime cure -riteneva, invero, invalida la notifica degli avvisi di
accertamento prodromici alle cartelle di pagamento impugnate, e – di
conseguenza nulli gli atti a valle di detti avvisi, ai sensi dell’art.
19, co. 3 d.lgs. 546/92 – essendo stati gli stessi consegnati nella
residenza del destinatario, ma a persona di famiglia non con lui
convivente.
3. Per la cassazione della sentenza n.
79/27/07 ha proposto ricorso l’Agenzia delle Entrate articolando tre
motivi, ai quali il contribuente ha replicato con controricorso,
contenente, altresì, ricorso incidentale affidato ad un solo motivo.
Osserva in diritto
1. In via pregiudiziale, rileva la Corte
che il ricorso proposto dal Ministero dell’Economia e delle Finanze
deve essere dichiarato inammissibile, per difetto di legittimazione
attiva dell’amministrazione ricorrente. Ed invero, va osservato che,
qualora – come nel caso di specie – al giudizio di appello abbia
partecipato solo l’Agenzia delle Entrate – succeduta a titolo
particolare nel diritto controverso al Ministero delle Finanze nel
giudizio di primo grado, ossia in epoca successiva all’1.1.01, data
nella quale le Agenzie sono divenute operative in forza del d.Lgs. n.
300/99 – e il contribuente abbia accettato il contraddittorio nei
confronti del solo nuovo soggetto processuale, deve ritenersi
verificata, ancorché per implicito, l’estromissione del Ministero dal
giudizio. Ne consegue che l’unico soggetto legittimato a proporre
ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione Tributaria
Regionale è l’Agenzia delle Entrate; per cui il ricorso proposto dal
Ministero deve essere dichiarato inammissibile per difetto di
legittimazione attiva (cfr., tra le tante, Cass. 24245/04, 6591/08).
2. Premesso quanto precede, va rilevato
che, con il primo motivo di ricorso, l’Agenzia delle Entrate denuncia la
violazione dell’art. 24, co. 2 del d. Igs. n. 546/92, in relazione
all’art. 360 n. 3 c.p.c.
2.1. Si duole, invero, l’Amministrazione
del fatto che la CTR abbia erroneamente ammesso, nel giudizio di
appello, la produzione di un documento nuovo, ovverosia la dichiarazione
scritta resa dal portalettere che aveva provveduto a notificare gli
avvisi di accertamento prodromici alle cartelle di pagamento impugnate
dal contribuente, ancorché detto documento ben avrebbe potuto essere
prodotto nel giudizio di prime cure.
2.2. Il motivo è infondato.
2.2.1. Secondo l’insegnamento di questa
Corte, infatti, in materia di produzione documentale in grado di appello
nel processo tributario, alla luce del principio di specialità espresso
dall’art. 1, co. 2, del d.lgs. 546/92, -in forza del quale, nel
rapporto fra norma processuale civile ordinaria e norma processuale
tributaria, prevale quest’ultima – non trova applicazione la
preclusione, dì cui all’art. 345, co. 3 c.p.c., alla produzione di
documenti nel secondo grado del giudizio. La materia è – per vero –
regolata in via speciale dall’art. 58, co. 2, del citato d.lgs., che
consente alle parti di produrre liberamente documenti anche in sede di
gravame, sebbene preesistenti al giudizio svoltosi in primo grado (Cass.
18907/11), ed a nulla rilevando neppure l’eventuale irritualità della
loro produzione in prime cure (Cass. 23616/11, 2019/12).
2.2.2 Ne discende che, nel caso dì
specie, la mera preesistenza del suindicato documento alla conclusione
del giudizio di primo grado, non ne precludeva affatto – contrariamente a
quanto ritenuto dal giudice di seconde cure – la successiva produzione
nel giudizio di appello.
3. Con il secondo motivo di ricorso,
poi, l’Agenzia delle Entrate denuncia la violazione dell’art. 7, co. 4
del d.lgs. n. 546/92, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.
3.1. La CTR avrebbe, infatti, a parere
della ricorrente, illegittimamente ammesso – dando ingresso nel giudizio
di secondo grado alla predetta dichiarazione scritta del portalettere,
il quale attestava di avere notificato gli avvisi di accertamento alla
madre dello I. – una prova testimoniale in palese violazione dell’art.
7, co. 4 d.lgs. n. 546/92.
3.2. Il motivo è infondato.
3.2.1. La disposizione succitata vieta –
per vero – in un’ottica di semplificazione ed accelerazione del
processo, soltanto la diretta assunzione, da parte del giudice
tributario, nel contraddittorio delle parti, della narrazione dei fatti
della controversia compiuta da un terzo, che assume – in forza delle
norme del codice di rito – la qualità di testimone. Tale narrazione,
invero, in quanto richiedente la formulazione di specifici capitoli e la
prestazione di un giuramento da parte del terzo assunto quale teste,
acquista un particolare valore probatorio (Cass. 903/02, 20032/11), ma –
al contempo – richiede un maggiore dispendio di tempo e di attività
processuali delle parti.
3.2.2. Di contro, è di piena evidenza
che siffatto divieto non può considerarsi operativo per la diversa fonte
di prova – connotata da una maggiore immediatezza di percezione del
contenuto probatorio da parte del giudicante – costituita dal documento
che racchiude le dichiarazioni del terzo. Sul piano generale, invero,
tale diversità si rivela anzitutto sotto il profilo materiale e
sostanziale, dando vita il documento ad un’entità che, a differenza
dell’altra, sì concreta in una res cartacea, e non in un soggetto
dichiarante. Trattasi, inoltre, di una fonte di prova diversa dalla
testimonianza anche sul piano processuale, essendo la prova documentale
soggetta ad una disciplina differenziata da quella della prova
testimoniale, poiché finalizzata – a differenza di quest’ultima, che
richiede il compimento delle diverse attività di deduzione, ammissione
ed assunzione (artt. 244 e ss. c.p.c.) – ad assicurarne esclusivamente
la corretta “produzione” nel giudizio, nel rispetto del principio del
contraddittorio e del diritto di difesa delle parti (art. 24, co. 1
d.lgs. 546/92, art. 87 disp. att. c.p.c). Le cennate differenze
sostanziali e processuale esistenti tra le due fonti di prova, dunque,
ne giustificano ampiamente la differente regolamentazione anche nel
processo tributario, nel quale il documento, oltre ad essere producibile
– come dianzi detto – anche in appello, sì sottrae, altresì, al divieto
di utilizzazione anche nel giudizio di primo grado, che concerne
esclusivamente la prova testimoniale.
3.2.3. La censura suesposta, pertanto, non può che essere disattesa.
4. Con il terzo motivo di ricorso,
l’Agenzia delle Entrate denuncia la violazione dell’art. 2700 c.c., in
relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c
4.1. Avrebbe, invero, errato la CTR nel
ritenere – in contrasto con la relata di notifica, facente fede fino a
querela di falso ex art. 2700 c.c. – che la notifica degli avvisi di
accertamento effettuata ad una persona legata da rapporti di parentela
con il destinatario, ossia alla seconda moglie del padre (matrigna)
dello T., fosse affetta da nullità. E ciò in base ad una successiva
dichiarazione del portalettere del Comune di ……, autore della notifica e
che in quella occasione rivestiva la qualità di messo notificatore,
secondo la quale il plico contenente gli atti impositivi era stato da
lui consegnato alla persona suindicata, nella sua residenza diversa da
quella dello I., come da certificazione anagrafica allegata agli atti.
4.2. Il motivo è fondato.
4.2.1. Dall’esame degli atti del presente giudizio, invero, risulta acquisito quanto segue.
La relata di notifica degli avvisi di
accertamento – prodromici alle cartelle di pagamento impugnate da (..) –
indicava chiaramente che gli atti impositivi erano stati notificati
“presso il domicilio del destinatario a mani della madre (rectius, della
matrigna)” (v. ricorso per cassazione dello I., pp. 11-12). Tanto vero
che, come esposto nel controricorso dallo stesso contribuente, che ne ha
riportato i passi salienti, la decisione dì prime cure, emessa dalla
CTP di ……, rigettava il ricorso dello I., avverso le cartelle di
pagamento, sul presupposto che “la consegna del plico, come risulta
dalla ricevuta, anche se fatta alla matrigna del ricorrente, è avvenuta
presso il domicilio dello stesso”.
Senonché, il contribuente, nel proporre
appello avverso tale pronuncia, produceva in giudizio una dichiarazione
del medesimo messo notificatore, dalla quale risultava, invece, che –
come sì desume dall’impugnata sentenza -”lo stesso aveva consegnato il
plico presso la residenza della matrigna dello (..)”.
Siffatta dichiarazione, che contraddice
la relata di notifica nel punto essenziale concernente il luogo in cui
essa è avvenuta, sarebbe – dì contro – diretta, a parere del
contribuente, soltanto a “precisare il contenuto della relata”, essendo
proveniente dallo stesso autore della notifica, il quale aveva – sempre a
suo dire – “evidentemente compilato in modo frettoloso ed impreciso la
relata di notifica”.
4.2.2. Orbene, tutto ciò premesso, non
può revocarsi in dubbio che la relata di notifica di un atto, in
relazione a circostanze che costituiscano il frutto della diretta
attività e percezione del pubblico ufficiale che l’ha effettuata, è
assistita da fede fino a querela di falso, ai sensi dell’art. 2700 c.c..
Ed invero, poiché l’ufficiale giudiziario esercita pubbliche funzioni,
gli atti che attestano le operazioni da lui compiute, il ricevimento
delle dichiarazioni resegli ed il contenuto estrinseco delle notizie
apprese, sono dotati della fede privilegiata attribuita dall’ordinamento
agli atti del pubblico ufficiale (cfr. ex plurimis, Cass. 25860/08,
4193/10). Nel caso concreto, si verte in ipotesi di notifica di avvisi
di accertamento, che va eseguita – ai sensi dell’art. 60 d.P.R. n.
600/73, nel testo applicabile ratione temporis – con le modalità di cui
agli artt. 137 e ss. c.p.c., sia pure con talune particolarità previste
dalla stessa norma. Ebbene, dal combinato disposto del co. 1, lett. e)
del predetto art. 60 – secondo cui “salvo il caso di consegna dell’atto o
dell’avviso a mani proprie, la notificazione deve essere fatta nel
domicilio fiscale del destinatario” – e dell’art. 139 c.p.c., si evince
la sussistenza di uno specifico obbligo del messo notificatore dì
ricercare il destinatario presso il luogo indicato nell’intestazione del
provvedimento impositivo, come sua domicilio fiscale, ovvero come
residenza, o sede del suo ufficio o della sua azienda (Cass. 19079/05).
Ne discende che – in presenza di un’espressa indicazione dì notifica
effettuata dal messo comunale presso il domicilio del destinatario,
contenuto nella relativa relata -non può non attribuirsi la suddetta
efficacia probatoria fino a querela di falso alla relata stessa, quanto
al luogo nella quale essa è stata eseguita, ovverosia presso il
domicilio del destinatario risultante – come afferma la stessa sentenza
impugnata – dagli stessi atti impositivi da notificare (Corso A. Moro n.
77) ed a mani della matrigna, sig.ra M. F. E.. Sicché il fatto che la
successiva dichiarazione del messo, indichi un luogo diverso della
notifica, corrispondente alla residenza della matrigna dello I., non è
in alcun modo idoneo a superare le risultanze della precedente relata.
Ed invero, è di tutta evidenza che quest’ultima attesta una circostanza,
ossia il rilievo del domicilio del contribuente desumibile dagli stessi
atti da notificare ed il compimento della notifica ivi, che – per
essere relativa ad attività percettiva del pubblico ufficiale
notificatore, è assistita dalla fede privilegiata di cui all’art. 2700
c.c..
4.2.3. Né giova all’odierno resistente,
dedurre che la consegnataria del plico, ancorché sua familiare, non
fosse con lui convivente, giacché dalla certificazione anagrafica
versata in atti risulterebbe che la stessa risiedeva alla via Barone n. 1
dello stesso Comune di …….
Va – per vero – osservato, al riguardo,
che l’espressione “persona di famiglia” adoperata dall’art. 139 c.p.c.
(applicabile alla notifica degli avvisi di accertamento) va intesa nel
senso più ampio, considerato che la stessa norma annovera tra coloro che
possono essere destinatari della notifica perfino il portiere ed il
vicino di casa che accetti di riceverla (Cass. 615/95). Tale espressione
ricomprende, dunque, qualsiasi familiare (anche la matrigna) la cui
presenza in casa non abbia carattere del tutto occasionale, essendo
determinata da ragioni di, sia pure temporanea, convivenza con il
destinatario della notifica; situazione, questa, che può essere presunta
sulla base dello stesso fatto che il familiare si sia trovato
nell’abitazione del destinatario ed abbia preso in consegna l’atto da
notificare (Cass. 24852/06). Deve considerarsi, invero, che è proprio, e
soltanto, il vincolo di parentela o di affinità – a prescindere
dall’ulteriore requisito della stabile convivenza, peraltro neppure
menzionato espressamente dalla norma dell’art. 139 c.p.c. -a
giustificare la presunzione che la “persona di famiglia” consegnerà
l’atto al destinatario dì esso. Di conseguenza, mentre la menzionata
disposizione dell’art. 139 c.p.c. non impone affatto all’ufficiale
giudiziario procedente di svolgere ricerche in ordine al rapporto di
convivenza indicato dalla persona che riceva l’atto (Cass. 6953/06,
322/07, 8306/11), resta a carico di colui che assume di non avere
ricevuto l’atto l’onere di provare in concreto la mera occasionalità
della presenza, nella propria residenza o domicilio, di detta persona,
non essendo sufficiente – all’uopo – la produzione di un certificato
anagrafico attestante che il familiare abbia altrove la propria
residenza (Cass. 23368/06, 6953/06, 21362/10). E’ di tutta evidenza,
infatti, che le risultanza anagrafiche rivestono un valore meramente
presuntivo in ordine all’effettiva residenza di una persona nel luogo da
esse indicato, come tale destinato a cedere di fronte alla prova –
fornita sulla base di elementi gravi, precisi e concordanti – che la
residenza effettiva del destinatario dell’atto sia in un altro luogo
(Cass. 26985/09, 5201/12).
4.3. Da tutto quanto suesposto consegue,
pertanto, che -a fronte della relata attestante che la notifica era
avvenuta nel domicilio del ricorrente ed a mani della matrigna – nessuna
rilevanza, in assenza dì prove circa l’occasionalità della presenza di
tale persona nel luogo suindicato, assume la circostanza che la stessa
avesse la residenza anagrafica altrove.
5. L’accoglimento della suesposta
censura comporta la cassazione dell’impugnata sentenza. Non essendo
necessari ulteriori accertamenti di fatto, la Corte, nell’esercizio del
potere di decisione nel merito di cui all’art. 384, co. 1 c.p.c, rigetta
il ricorso introduttivo proposto dal contribuente.
6. Le spese del presente giudizio di
legittimità vanno poste a carico del resistente soccombente, nella
misura di cui in dispositivo. Concorrono giusti motivi – tenuto conto
della peculiarità della vicenda processuale – per dichiarare interamente
compensate fra le parti le spese dei giudizi di merito, restando, in
tal modo, assorbito il motivo di ricorso incidentale proposto dallo I., e
concernente il regolamento delle spese del giudizio di appello.
PQM
Dichiara inammissibile il ricorso
proposto dal Ministero dell’Economia e delle Finanze; accoglie il terzo
motivo di ricorso proposto dall’Agenzia delle Entrate, rigettati gli
altri; cassa l’impugnata sentenza in relazione al motivo accolto e,
decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo del contribuente;
dichiara assorbito il ricorso incidentale dello I.; condanna il
resistente alle spese del presente giudizio, che liquida in € 3.000,00,
oltre alle spese prenotate a debito; dichiara compensate tra le parti le
spese dei giudizi di merito.