(Corte dei Conti, Sez. Basilicata, sentenza 5.12.2012, n. 196)
Sent. n. 196/2012
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO
ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE
PER LA REGIONE BASILICATA
composta dai seguenti
Magistrati:
Dott. Luciano
CALAMARO Presidente relatore
Dott. Vincenzo
PERGOLA Consigliere
Dott. Giuseppe TAGLIAMONTE
Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di
responsabilità iscritto al n. 7892/EL del Registro di Segreteria, ad istanza
della Procura regionale presso questa Sezione
nei confronti di
- GALLO Rosa Maria Anna, nata a Pisticci (MT) il 22/07/1952, RAGO Renato,
nato a Pisticci (MT) il 19/05/1957, PANETTA Rosa, nata a Matera il
14/03/1963, IANNUZZIELLO Giuseppe, nato a Matera il 17/10/1956, CALCIANO
Leonardo, nato a Pisticci (MT) il 19/06/1945, DIMO Massimo, nato
Policoro (MT) il 05/01/1975, GIANNASIO Paolo, nato ad Aliano (MT) il
28/10/1947 e SCAZZARIELLO Leonardo Giuseppe, nato a Matera il
03/11/1975, tutti elettivamente domiciliati in Pisticci, al Corso Umberto I n.
17, presso lo studio dell’avvocato Domenico Padula che li rappresenta e
difende;
- D’ANGELLA Anio, nato a Bari il 18/10/1952, rappresentato e difeso
dall’avvocato Antonio Maria DE SENSI, elettivamente domiciliato in Potenza,
alla Via Ciccotti n. 10, presso Casa Dello Russo Albina
- CARAVITA Mariano,
nato a Policoro (MT) il 22/09/1976, PREZIOSO Rosa, nata a Molfetta (BA)
il 09/04/1958, OLIVA Giovanni, nato a Pisticci (MT) il 26/06/1961 e
ROMANO Salvatore, nato a Pisticci (MT) il 08/11/1958, tutti elettivamente
domiciliati in Marconia di Pisticci, alla Via Ippaso n. 23, presso lo studio
dell’avvocato Pasquale Tuccino che li rappresenta e difende ;
- GRIECO Rocco
Salvatore, nato a Pisticci (MT) il
07/01/1937 ed ivi residente in Contrada Terranova;
Visto l’atto introduttivo del
giudizio ed esaminati tutti gli altri atti e documenti della causa;
Uditi, nella pubblica udienza del 13
dicembre 2011, con l’assistenza del Segretario dott.ssa Angela Micele, il
relatore dr. Luciano Calamaro, il Pubblico Ministero nella persona del Vice
Procuratore generale dott. Ernesto Gargano, gli avvocati Padula, De Sensi e
Tuccino per i rispettivi assistiti.
Ritenuto in
F A T T O
Con deliberazione n. 41 del
30.06.2008, il Consiglio Comunale di Pisticci, tra l’altro, provvedeva, ai
sensi dell’art. 194, comma 1, lettera e) del decreto legislativo 18 agosto 2000,
n. 267, al riconoscimento del debito fuori bilancio di € 4.789,21, a
titolo di rimborso spese legali sostenute per la propria difesa dalla Signora
Marrese Rosa, nella sua qualità di dirigente dell’ufficio urbanistica dell’ente
locale, in relazione al procedimento penale R.G. n. 832/03 incardinato presso
il Tribunale di Matera.
Detto procedimento si era concluso
con sentenza di assoluzione n. 90 del 5 ottobre 2004 “di non luogo a
provvedere perché il fatto non costituisce reato” per il reato di abuso
di ufficio.
In precedenza, l’interessata, con
istanza del 18.11.2004 aveva chiesto al Comune di Pisticci il pagamento diretto
in favore del proprio legale, avvocato Giovanni D’Onofrio, dell’importo sopra
indicato.
La Procura regionale presso questa
Sezione giurisdizionale, ritenendo che dalla fattispecie in esame emergessero
profili di danno per l’erario, emetteva, in data
15/11/2010, l’invito di cui all’art. 5, comma 1, del d.l. 15/11/1993, n.
453, convertito dalla legge 14/01/1994, n. 19, come modificato dal d.l.
23/10/1996, n. 543, convertito con modificazioni nella legge 20/12/1996, n.
639, nei confronti dei consiglieri del Comune di Pisticci, che avevano votato
la delibera.
Omologo atto veniva notificato
all’avvocato Anio D’Angella, responsabile dell’ufficio legale dello stesso
Comune, il quale aveva curato l’istruttoria, espresso parere favorevole di
regolarità tecnica sulla proposta della delibera stessa e, nella qualità di
responsabile del procedimento, disposto l’adozione dei conseguenti
provvedimenti di propria competenza.
In data 13 gennaio 2011 i signori
Iannuzziello Giuseppe, Scazzariello Leonardo Giuseppe, Rago Renato, Panetta
Rosa, Calciano Leonardo, Giannasio Paolo, Dimo Massimo e Gallo Rosa Maria
presentavano le proprie deduzioni, evidenziando la inesistenza nel caso
concreto di conflitti di interesse e la natura ampiamente assolutoria della
sentenza penale, circostanze che rendevano legittimo il censurato rimborso.
Sostenevano, inoltre, la adeguatezza
delle somme corrisposte e la insussistenza di comportamenti connotati da dolo o
colpa grave, tenuto anche conto dei pareri tecnici e contabili rilasciati dai
competenti uffici comunali.
Omologhe difese venivano spiegate
dall’avvocato Rocco Grieco, con deduzioni presentate il 18/01/2011.
Quest’ultimo deduceva che nella sua
condotta non fosse ravvisabile l’elemento psicologico del dolo o della colpa
grave, tenuto conto, tra l’altro, dei pareri dei dirigenti dell’ufficio
ragioneria e soprattutto dell’ufficio legale dell’ente, competente nella
materia.
Soggiungeva, altresì, che il dirigente
del predetto ufficio legale, nell’adottare i provvedimenti di liquidazione, non
solo aveva fatto riferimento all’indirizzo consolidato della giurisprudenza,
affermativo del riconoscimento del diritto al rimborso, ma aveva anche espresso
il suo parere sull’arricchimento ed effettivo incremento patrimoniale dell’ente
che sarebbe stato pari al 100%.
Infine, dopo aver fatto cenno
all’esistenza del parere del Collegio dei Revisori dei conti, affermava la
netta divisione di competenze e delle correlate responsabilità tra organi
politici ed organi burocratici.
Nel corso della richiesta audizione,
tenutasi il 28/02/2011, l’indagato precisava di aver fatto affidamento sui
pareri dei tecnici e sulla deontologia del professionista.
I signori Oliva Giovanni, Romano
Salvatore, Caravita Mariano e Prezioso Rosa, tutti rappresentati e difesi
dagli avvocati Cafasso Carmela e Tuccino Pasquale del foro di Matera, ognuno
con distinto atto del 28 dicembre 2010, sostenevano la legittimità del rimborso
delle spese legali ad un dipendente del comune, coinvolto in un procedimento
penale per fatti inerenti i compiti d’ufficio, laddove sussistano i necessari
presupposti della assenza di conflitto di interesse con l’ente, della piena
assoluzione in sede penale e della diretta connessione tra contenzioso e carica
ricoperta.
Da ultimo, evidenziavano che la
delibera in questione era stata supportata da attività istruttoria, con
relativi pareri favorevoli, sia da parte dei dirigenti dell’ufficio legale e
del servizio ragioneria, sia da parte del Collegio dei Revisori dei conti.
Nell’audizione tenutasi in data 11/02/2011
ribadivano di aver agito in assoluta buona fede, in quanto tutto deponeva nella
direzione della assoluta legittimità dell’atto che si andava ad approvare, non
mancando di segnalare di aver chiesto recentemente di discutere la revoca della
predetta delibera.
L’avvocato Anio D’Angella,
rappresentato e difeso dall’avvocato Gaetano Esposito del foro di Matera, depositava
nota di chiarimento rappresentando, in primo luogo, la legittimità del disposto
rimborso delle spese legali effettuato in favore della dipendente.
Ha, poi, eccepito la carenza
dell’elemento soggettivo della colpa grave adducendo di essersi limitato ad
esprimere un mero parere di regolarità tecnica, peraltro obbligatorio, ma non vincolante,
sulla proposta di deliberazione in questione, la cui adozione rientrava
nell’esclusiva competenza del Consiglio comunale.
Ha rappresentato, altresì, che la
approvazione della delibera di riconoscimento di debito, si è perfezionata alla
stregua del parere di regolarità contabile, espresso dal dirigente del Servizio
finanziario, e di quello rilasciato dal Collegio dei Revisori dei conti, atti
che renderebbero la sua posizione marginale.
Nella audizione tenutasi il 14/02/2011
ribadiva detti argomenti.
Le deduzioni e gli argomenti svolti
dagli invitati non apparivano alla Procura regionale idonei per poter procedere
alla archiviazione della vertenza, per cui veniva emesso l’atto introduttivo
del giudizio.
Premette l’attore che, in fattispecie,
non sono ravvisabili i presupposti richiesti dall’ordinamento per l’assunzione
a carico dell’ente di appartenenza delle spese sopportate per gli oneri di
difesa da parte di un proprio dipendente, per fatti o atti direttamente
connessi all’espletamento del servizio e all’adempimento dei compiti di
ufficio.
In proposito rappresenta che la
materia è ora regolata dall’art. 28 del C.C.N.L. per il personale del comparto
delle Regioni e delle Autonomie locali del 14 settembre 2000, il quale,
sostanzialmente, riproduce il testo dell’art. 67 del d.P.R. 13/05/1987, n. 268.
Le suddette disposizioni prevedono che
“l’ente, anche a tutela dei propri diritti e interessi, ove si verifichi
l’apertura di un procedimento di responsabilità civile o penale nei confronti
di un suo dipendente per fatti o atti direttamente connessi all’espletamento
del servizio e all’adempimento dei compiti d’ufficio, assumerà a proprio
carico, a condizione che non sussista conflitto di interessi, ogni onere di
difesa sin dall’apertura del procedimento, facendo assistere il dipendente da
un legale di comune gradimento”.
Tale disposizione risulterebbe applicabile anche ai
dirigenti degli enti locali alla stregua dell’articolo 12 C.C.N.L. della
dirigenza per il biennio 2000 – 2001.
Sostiene la Procura regionale che la giurisprudenza avrebbe
più volte messo in luce l’inesistenza nell’ordinamento un principio generale
che consenta di poter affermare, indipendentemente dalla forma normativa
settoriale ed a prescindere dai limiti in cui il diritto viene conformato, la
cittadinanza di un generalizzato diritto al rimborso di tali spese.
L’assunzione dell’onere della spesa per l’assistenza
legale ai dipendenti degli enti locali, infatti, non configurerebbe un atto
dovuto, né, tanto meno, automatico, ma la conseguenza della presenza di
presupposti e di rigorose valutazioni che l’ente è tenuto a fare, anche ai fini
di una trasparente, efficace ed efficiente amministrazione delle risorse
economiche pubbliche, quali la connessione della vicenda giudiziaria con la
funzione rivestita dal pubblico funzionario, la tutela dei diritti ed interessi
facenti capo all’ente, l’assenza di conflitto di interessi tra gli atti
compiuti dal funzionario e l’ente stesso, la conclusione del procedimento con
una sentenza di assoluzione.
A sostegno delle proprie considerazioni, l’attore
richiama la giurisprudenza della Corte di cassazione e del Consiglio di Stato.
Con riferimento ai “fatti o atti direttamente
connessi all’espletamento del servizio e all’adempimento dei compiti di
ufficio”, la giurisprudenza amministrativa avrebbe evidenziato che la ratio
sottesa alla previsione in parola sarebbe ravvisabile nell’esigenza di tenere
indenni i soggetti, che hanno agito in nome e per conto - oltre che
nell’interesse - dell’Amministrazione, delle spese legali affrontate per i
procedimenti giudiziari strettamente connessi all’espletamento dei loro compiti
istituzionali, con la conseguenza che il requisito essenziale in questione “può
considerarsi sussistente solo quando risulti possibile imputare gli effetti
dell’agire del pubblico dipendente direttamente all’Amministrazione di
appartenenza”.
In tale caratterizzato contesto, non sarebbe sufficiente
che l’imputato sia stato prosciolto con formula liberatoria; occorrendo,
altresì, che il dipendente sia implicato in fatti che si trovino in diretto
rapporto con le mansioni svolte e che siano connessi all’espletamento del
servizio e all’adempimento dei propri doveri d’ufficio.
La Signora Rosa Marrese è stata imputata del reato di
cui agli artt.110, 323 c.p. per avere rilasciato, quale responsabile del
servizio urbanistica presso il Comune di Pisticci, illegittimamente ai richiedenti
concessione gratuita in sanatoria n. 24/2003 del 03/02/2003, ex art.13 L.
47/85, così intenzionalmente procurando agli stessi l’ingiusto vantaggio
patrimoniale derivante dal mantenimento di opere abusivamente realizzate.
L’illegittimità della concessione in sanatoria derivava
dalla violazione dell’art. 13 della legge n. 47 del 1985 - atteso che gli abusi
sanati non erano conformi alle prescrizioni di P.R.G., avendo comportato
modifiche di sagome e volumi, oltre che modifiche delle superfici utili – e degli
artt. 32 della stessa legge e 1 e seguenti della legge Regione Basilicata n. 50
del 1993 - posto che la concessione in sanatoria era stata assentita senza la
preventiva acquisizione del parere dei competenti uffici della Regione
Basilicata -.
Ad avviso di parte attrice, la Signora Marrese, nella
qualità di responsabile del servizio urbanistica, rilasciò una concessione
edilizia in sanatoria a soggetti che non ne avevano titolo, ponendo in essere
una attività svincolata dai fini dell’ente, e per un interesse proprio, contravvenendo,
quindi, all’obbligo di fedeltà e collaborazione.
Sul piano oggettivo, risulterebbe assente il requisito
essenziale che legittima l’assistenza legale dell’ente, e, cioè, una attività
espressione delle funzioni legittimamente esercitate per assolvere ai doveri
d’ufficio.
La condotta censurata, in sintesi, non avrebbe nulla
a che vedere con i compiti e i doveri di un responsabile del servizio
urbanistica, in quanto rapportabile unicamente all’interesse personale della
Signora Marrese e non del Comune di Pisticci.
Nella descritta situazione, quindi, l’ente locale
avrebbe dovuto astenersi dal rimborsare le spese legali.
Nella fattispecie, inoltre, difetterebbe anche
l’ulteriore presupposto necessario per legittimamente procedere al rimborso
delle spese legali e, cioè, la coincidenza di interessi tra la dipendente e
l’amministrazione di appartenenza.
Mancherebbe, infatti, il rapporto di immedesimazione
organica, inteso appunto come incardinamento del soggetto quale organo, nella amministrazione
di appartenenza.
Il rapporto di immedesimazione organica, infatti,
comporterebbe l'imputazione alla Amministrazione degli atti compiuti dall’organo
nell'espletamento delle competenze demandategli.
Peraltro, l'operatività di questo meccanismo
giuridico di imputazione non sarebbe privo di limiti; posto che il rapporto di
immedesimazione organica si interromperebbe allorquando la persona fisica,
titolare dell'organo, abbia agito per fini ulteriori rispetto ai compiti
affidatigli e, quindi, alla funzione conferita ex lege alla Amministrazione
pubblica.
La frattura del nesso organico con l’apparato
pubblico renderebbe estranea l’amministrazione alle condotte poste in essere
dal dipendente, in quanto verrebbe meno il nesso di strumentalità tra
l'adempimento del dovere e il compimento dell'atto.
In altri termini, l’imputazione della signora Marrese
sarebbe derivata dal suo comportamento antigiuridico e, quindi, nessun rilievo
potrebbero assumere, ai fini del rimborso, comportamenti che, non esprimendo la
volontà dell’amministrazione, costituiscono esclusiva ed autonoma
manifestazione della personalità dell’agente (cfr. TAR Campania, Sez. Napoli,
sent. 737/2005).
Allo stesso modo, avuto riguardo alla fattispecie
concreta, il comportamento tenuto dalla Signora Marrese, pur non essendo
sufficiente ad integrare il reato ascritto, risulterebbe, tuttavia, contrario
ai doveri di un responsabile del servizio urbanistica ed in palese conflitto di
interesse con quello dell’amministrazione comunale, atteso che la stessa avrebbe
rilasciato una concessione edilizia in sanatoria per abusi edilizi per un
intervento che non poteva in alcun modo essere così esitato ed in totale
disprezzo non solo delle prescrizione del piano regolatore generale, ma anche
senza acquisire i pareri obbligatori e vincolanti dei competenti uffici per la
tutela paesaggistica.
La descritta situazione avrebbe posto in risalto un palese
contrasto di interessi tra i fini istituzionali dell’ente e l’attività posta in
essere dalla Signora Marrese, la quale, abusando della propria posizione, avrebbe
sacrificato gli interessi generali a favore di quelli di privati.
Peraltro, l’assoluzione della Signora Marrese,
contenuta nella sentenza n. 90/2004 con la formula “perché il fatto non
costituisce reato” lascerebbe ampi margini di dubbio sull’effettiva assenza di
situazioni di conflitto di interesse, sotto il profilo della violazione
dell’interesse dell’ente ad una gestione conforme al principio di buon
andamento ed imparzialità di cui all’art. 97 Cost., come statuito dalla
giurisprudenza (cfr. Corte dei conti, Sez. Giur.Lazio, sent. n. 1908/2009).
Una valutazione approfondita delle argomentazioni
contenute in sentenza consentirebbe di affermare che, pur non essendo stato
dimostrato il dolo, tuttavia la condotta complessiva della Funzionaria comunale
sarebbe rimasta caratterizzata per il compimento di gravi irregolarità
amministrative, irrilevanti sotto il profilo penale, ma illecite sotto il
profilo amministrativo, avendo la stessa rilasciato una concessione gratuita in
sanatoria in una zona ove vigeva il divieto ogni tipo di intervento urbanistico
ed architettonico.
Del resto l’ente pubblico, prima di
accollarsi l’onere delle spese legali, sarebbe chiamato a procedere ad attente
e rigorose valutazioni delle istanze di rimborso, al fine di assicurare una
buona, ragionevole ed imparziale amministrazione delle risorse pubbliche,
contenendo le connesse erogazioni “al massimo”, anche per evitare facili ed
ingiustificati esborsi.
Dalla documentazione agli atti di
causa risulterebbe, invece, il rimborso a piè di lista di quanto richiesto,
senza valutare la veridicità ed adeguatezza delle affermazioni del
professionista e senza verificare la conformità della parcella presentata alla
tariffa professionale.
Al riguardo, osserva l’attore che:
-
la tariffa applicabile era quella
del 2004;
-
agli atti del Comune non è stata
trovata alcuna documentazione;
-
gli onorari applicati dal
professionista sono quelli massimi, aumentati del 100%, senza alcuna
motivazione in ordine alla particolare complessità della causa.
Le somme indebitamente rimborsate,
quindi, configurerebbero danno erariale di cui sono stati chiamati a
rispondere tutti coloro che hanno concorso ad adottare la delibera n 41/2008, e
più precisamente, i componenti dell’organo collegiale che l’hanno approvata e i
dirigenti che hanno curato l’istruttoria, espresso parere favorevole sulla
proposta e provveduto ad adottare i provvedimenti conseguenti.
L’intera vicenda, ad avviso del
requirente, apparirebbe, sotto molteplici aspetti, connotata da un grado di
superficialità e negligenza particolarmente grave e rilevante, dal momento che
la delibera più volte citata sarebbe stata votata senza una idonea e corretta
valutazione circa la sussistenza dei presupposti necessari per il legittimo
riconoscimento del debito fuori bilancio e per il conseguente pagamento della
prestazione professionale.
L’attività posta in essere dai
convenuti non potrebbe che ritenersi ingiustificabile, approssimativa ed in
aperto contrasto con il principio di economicità della spesa e con quello di
buon andamento della Pubblica Amministrazione di cui all’art. 97 Cost.
Nella fattispecie risulterebbe pacifico
che il Consiglio comunale abbia esercitato un’attribuzione propria intestatagli
dall’articolo 194 del d.lgs 18/08/2000, n. 267 e che i pareri di regolarità
tecnica e contabile non abbiano natura vincolante per l’organo deliberante.
La giurisprudenza avrebbe chiarito,
infatti, che i pareri espressi dai responsabili dell’area tecnica e del
servizio finanziario dei Comuni costituiscono atti preparatori che legittimano
l’adozione delle deliberazioni per le quali i pareri stessi sono richiesti.
Ciò nonostante, prosegue la Procura
regionale, configurerebbe dovere dell’organo tecnico fornire al soggetto
politico, specie su problematiche di grande rilievo, come quella in esame,
tutti gli elementi necessari, anche in termini problematici, in base ai quali
l’organo deliberante può assumere una decisione consapevole ed informata.
Nella vicenda oggetto di causa,
sarebbe mancata del tutto tale prospettazione, pur vertendosi in materia
connotata da elevati margini di discrezionalità ed incertezza.
Trattandosi di rimborso di spese
legali, il convenuto avvocato D’Angella avrebbe gravemente abdicato ai suoi
fondamentali doveri di diligenza e di accortezza, causando così al patrimonio
del Comune di Pisticci un danno erariale pari alla somma indebitamente erogata
a titolo di rimborso delle spese legali.
Rilievo questo, tanto più marcato, ove
si consideri la professionalità specifica e la particolare competenza in
materia del citato dipendente, in quanto preposto all’ufficio legale.
La circostanziata natura del parere di
regolarità tecnica, proveniente da soggetto altamente qualificato e dotato di
specifica competenza, in una materia di particolare contenuto tecnico-giuridico
quale il rimborso delle spese legali, ne avrebbe valorizzato il ruolo e la portata.
Conseguentemente, la responsabilità
dell’organo elettivo, che pure sussisterebbe (una diversa interpretazione
porterebbe infatti ad una sostanziale ed inammissibile irresponsabilità degli
organi politici, cfr. Corte conti, Sez. Basilicata, n. 127/2008), resterebbe
attenuata ove esso si sia conformato ad un parere tecnicamente formulato, reso
da autorevole soggetto, il quale ultimo si atteggerebbe alla stregua di un atto
preparatorio ed ausiliario che, sebbene di contenuto non decisorio, fungerebbe
da presupposto di diritto preordinato al corretto esercizio della funzione amministrativa
e, quindi, influente sul procedimento di formazione della volontà dell’ente.
Soggiunge l’attore che, oltre ad aver
espresso il parere favorevole di regolarità tecnica, l’avvocato D’Angella
avrebbe curato anche tutta l’attività istruttoria, finalizzata all’adozione
della delibera in questione (in particolare, la predisposizione delle schede
per accertamento e riconoscimento di ogni singolo debito, ai sensi dell’art.
194, lettera e, con attestazione della utilità ed arricchimento per l’ente),
nonché provveduto ad adottare i relativi conseguenti atti di liquidazione.
Al contrario, dovrebbe ritenersi non
pertinente la pretesa di attribuire al responsabile dell’area economico –
finanziaria valutazioni di legittimità generale, rientrando nelle funzioni del
medesimo solo apprezzamenti riferiti alla regolarità contabile, qualora, come
nella specie, la deliberazione proposta comporti impegno di spesa o diminuzione
di entrata.
Allo stesso modo, il parere favorevole
del Collegio dei Revisori dei conti, espresso nel verbale del 22/12/2006, si
sarebbe limitato ad accertare la certezza, la liquidità e l’esigibilità dei
debiti in questione, sulla base della documentazione trasmessa dal dirigente
dell’ufficio legale del Comune.
Considerato, dunque, che l’organo
tecnico consultivo che ha indotto quello decidente alla scelta non potrebbe
rimanere estraneo alla vicenda produttiva di danno ove esso abbia reso un
parere, la cui natura non vincolante resterebbe irrilevante, l’attore ritiene
equa, ai fini del riparto di responsabilità tra le condotte di soggetti
concorrenti nella causazione del danno, la ripartizione del danno nella misura
di 1/3 a carico dell’avvocato D’Angella, e per i restanti 2/3, in parti
uguali, a carico dei Consiglieri comunali che hanno votato favorevolmente la
delibera di riconoscimento di debito.
Con memoria in data 22 novembre 2011
si sono costituiti in giudizio i convenuti Iannuzziello Giuseppe, Scazzariello
Leonardo Giuseppe, Rago Renato, Panetta Rosa, Calciano Leonardo, Giannasio
Paolo, Dimo Massimo e Gallo Rosa Maria contestando la pretesa attrice.
- Infondatezza della pretesa dedotta
in giudizio per carenza di prova sulla illegittimità del provvedimento di
sanatoria edilizia e sull’esistenza di un conflitto di interessi.
I convenuti contestano la
prospettazione della Procura attrice, nella considerazione che il fatto
contestato in sede penale, vale a dire il rilascio di una concessione edilizia
in sanatoria asseritamente illegittima, si pone in diretta connessione con le
mansioni svolte nell'espletamento del rapporto servizio alle dipendenze del
Comune di Pisticci.
Circa la pretesa illegittimità della
concessione in sanatoria rilevano come la stessa, al pari di ogni atto
amministrativo, è assistita da presunzione di legittimità.
Il provvedimento, peraltro, avrebbe
dovuto considerarsi tale anche al momento del riconoscimento del debito fuori
bilancio concernente il processo penale, tenuto conto, altresì, del fatto che
nessun elemento poteva condurre ad un giudizio diverso, tanto meno l'esame
della sentenza di assoluzione resa dal GUP presso il Tribunale di Matera.
La riscontrata assenza dell'elemento
psicologico (assenza di alcun comportamento doloso di collusione con i
beneficiari della concessione), avrebbe inibito al magistrato penale di
indagare sulla legittimità della concessione di cui si tratta della quale non è
fatta parola nella sentenza in nessuna direzione.
Del resto il Consiglio Comunale, in
sede di approvazione dei debiti fuori bilancio, non avrebbe potuto verificare
la legittimità della concessione edilizia in sanatoria, ma ritenerne la piena
legittimità in quanto un atto da essa Amministrazione Comunale promanante, mai
impugnato innanzi al competente TAR e neanche incidentalmente disapplicato dal
giudice penale nelle motivazioni della sentenza di assoluzione.
La presunzione di legittimità degli
atti amministrativi, caratterizzati dalla esecutorietà, non avrebbe potuto,
pertanto, non rilevare anche nella valutazione della legittima richiesta di
rimborso delle spese dell'architetto Marrese.
Inoltre, soggiungono i convenuti, la
stessa dipendente aveva richiesto, con esito positivo il gradimento da parte
dell'Amministrazione Comunale sulla scelta del proprio difensore di talché
nell'esame operato a consuntivo della intera vicenda processuale e
procedimentale in nessun caso era ravvisabile alcun elemento ostativo al
riconoscimento e liquidazione delle spese.
Non sarebbe ravvisabile, quindi,
l’avvenuta frattura del nesso organico con l'apparato pubblico che rende
estranea l'Amministrazione alle condotte poste in essere dal dipendente.
Tale evenienza ricorrerebbe solo
quando la condotta accertata come penalmente rilevante elida il rapporto
organico esistente tra datore di lavoro e dipendente.
Occorrerebbe, a tal fine una attività
dolosa, e comunque contra legem, non assimilabile o coincidente con i compiti
istituzionali rimessi alla cura del settore amministrativo del dipendente
infedele.
Diversamente opinando si dovrebbe
ritenere che ogni qual volta vi è un atto amministrativo illegittimo viene meno
il rapporto organico tra Ente pubblico e dipendente, il che comporterebbe, ad
esempio, l'ulteriore corollario della non imputabilità all'Ente delle
conseguenze dannose dell'agire amministrativo illegittimo; circostanze tutte
escluse ex positivo jure dalla giurisprudenza amministrativa e di legittimità
che ammetterebbe lo jatus del rapporto organico solo nelle ipotesi in cui si
ravvisa un operato abnorme del pubblico dipendente tale da escludere il nesso
di necessaria occasionalità e di immedesimazione organica, come statuito dalla
giurisprudenza richiamata nella memoria.
Gli atti di causa non consentirebbero,
quindi, di ipotizzare la situazione delineata dall’attore, per cui la
condivisibile affermazione secondo cui ai fini del rimborso occorre che le
spese legali siano state erogate per la difesa del dipendente per fatti non
estranei alla attività lavorativa e riferibili alla P.A. di appartenenza, sarebbe
rimasta, nel caso di specie, meramente enunciata e non suffragata da alcun
elemento di prova, essendo, come innanzi detto, ricavabile dagli stessi atti la
prova positiva della sussistenza delle condizioni legittimanti il rimborso.
Anche il prospettato conflitto di interessi
è rimasto sfornito di elementi probatori.
Invero il conflitto menzionato
dall'art. 67 dPR 267/1987 atterrebbe ad ipotesi in cui la P.A. ed il dipendente
si trovino in posizione antagonista, che non potrebbe essere rinvenuta nella
teorica e meramente affermata illegittimità dell'atto.
Osservano i convenuti, in primo luogo,
che il Comune è tenuto a ribadire la legittimità amministrativa degli atti
promananti dai propri organi: in assenza di eccezionali provvedimenti di
autotutela, gli atti amministrativi non potrebbero, neanche incidentalmente,
essere sottoposti ad un vaglio continuo di legittimità.
L'esame della legittimità del rimborso
delle spese legali in presenza di una sentenza pienamente assolutoria non avrebbe
richiesto, dunque, l’analisi della conformità a legge dell'atto la cui adozione
aveva originato il processo penale.
Il conflitto di interessi, poi,
sarebbe individuabile sulla scorta di indici fattuali, quali la eventuale
costituzione di parte civile contro il dipendente o l'instaurazione per gli
stessi fatti oggetto di accusa penale di un procedimento disciplinare.
In assenza di tali elementi il
Consiglio Comunale, chiamato al riconoscimento del debito fuori bilancio
costituito dal pagamento delle spese processuali del dipendente, non potrebbe
invocare alcun conflitto di interessi per disattendere la richiesta di
rimborso.
- Insussistenza del presupposto del
dolo e/o della colpa grave.
Alla luce delle considerazioni appena
sopra svolte, risulterebbe del tutto evidente che difetterebbe nell'ipotesi accusatoria
il presupposto fondamentale che può legittimare e sostenere validamente una
azione di responsabilità per danno erariale e, cioè, la sussistenza del dolo
e/o della colpa grave nella condotta tenuta nella vicenda amministrativa che ha
portato all'adozione della deliberazione n. 41 del 30 giugno 2008.
I convenuti avrebbero semplicemente
espresso un voto in adempimento del proprio mandato riguardo ad una questione
che aveva visto la totale estraneità dell'arch. Marrese rispetto ai fatti
contestati.
Tra l'altro, nella fattispecie, il
consiglio comunale non avrebbe fatto altro che applicare una prassi già
sperimentata e consolidata nel passato - senza conseguenze - facendo completo
affidamento nella continuità amministrativa e sui pareri espressi dagli organi
tecnici competenti.
Sotto altro profilo non si potrebbe
non convenire sul fatto che non sia facile per il consigliere comunale entrare
nel merito delle tariffe professionali e controbattere il parere dell'Ordine
Professionale e/o dei funzionari incaricati dell'istruttoria.
La quantificazione degli onorari,
peraltro, verrebbe censurata dalla Procura regionale senza considerare la
complessità in re ipsa della questione penale, che necessariamente avrebbe
comportato la applicazione di principi propri sia del diritto penale che del
diritto amministrativo, oltre che una complessa attività difensiva svolta con
la redazione di memorie corredate dalla normativa di settore e delle prassi
adottate dal Comune di Pisticci nella zona nella quale si trovava l'immobile
oggetto di concessione in sanatoria.
Sotto tale angolazione si deduce
l’inesistenza del necessario elemento costitutivo della responsabilità
erariale della colpa grave (escludendo in radice la ricorrenza dei dolo,) non
rinvenendosi nella fattispecie la violazione cosciente di leggi e regolamenti o
un grado di negligenza e imperizia superiore alla media, considerando,
oltretutto, come fosse patrimonio di tutti che la delibera sarebbe stata - per
legge - oggetto di controllo da parte della Corte dei conti.
L'adozione di semplici determinazioni
dirigenziali o delibere di spesa della Giunta Municipale avrebbero evitato,
infatti, il controllo previsto dalle norme del T.U.E.L. in materia di
riconoscimento dei debiti fuori bilancio.
La volontaria sottoposizione della
delibera in questione all'esame della Procura regionale ai sensi dell' art. 194
del d.lgs n. 267 del 2000 dovrebbe essere valorizzata, quindi, quale indicatore
della perfetta buona fede dei convenuti che avrebbero ritenuto di agire per il
meglio, nel rispetto delle leggi, nell'interesse della amministrazione e
secondo la consolidata prassi del Consiglio Comunale di Pisticci.
In estremo subordine viene ribadita la
assoluta assenza di dolo o colpa grave nell'avere riconosciuto la legittimità
del rimborso delle spese legali a favore della arch. Marrese.
Il riconoscimento del debito fuori
bilanci, oggetto di causa, avvenne previa acquisizione dei pareri favorevoli
del Dirigente dell'Ufficio legale e del Collegio dei Revisori dei conti, in
presenza di una sentenza assolutoria con formula piena.
Ne conseguirebbe che gli
amministratori, odierni convenuti, non potrebbero essere ritenuti responsabili
dell' asserito danno erariale quanto meno per assenza di colpa grave, da
valutarsi secondo i principi ricavabili dalla Sentenza n. 30/2010 della Corte
dei conti Sez. II, secondo cui "Il requisito della gravità della colpa, ai
fini previsti dall'art. 1 della legge n. 20 del 1994 modificato dal d.l. n. 543
del 1996 convertito nella legge n. 639 del 1996,ai fini della configurazione
della responsabilità per danno erariale per illegittimità 'dei rimborsi per
spese legali, deve escludersi nel caso in cui il comportamento degli
amministratori comunali sia stato indotto dall'esito di un procedimento penale
e da parere favorevole del segretario comunale alle delibere della Giunta che
dispongono tali rimborsi".
- Istruttoria tecnico-contabile.
Complessità del giudizio penale. Congruità delle somme rimborsate.
Sulla scorta dell'esame dei documenti
amministrativi e degli atti giudiziari allegati alla deliberazione oggetto del
presente giudizio, i convenuti, anche sulla base dei pareri di regolarità
tecnica e contabile forniti dai responsabili dei rispettivi settori comunali, avrebbero
ritenuto che le somme rimborsate ai richiedenti potevano ritenersi adeguate
rispetto alla gravità delle accuse rivolte nei riguardi del pubblico
amministratore, avuto riguardo alla complessità del lavoro compiuto dai
difensori tecnici, all'esito del giudizio, conclusosi con sentenza pienamente
assolutoria e senza, ovviamente, effettuare valutazioni comparative con la
tariffa professionale, sicuramente non di propria spettanza e competenza, tanto
più che tali somme erano in linea, se non inferiori, a quanto la diretta esperienza
di casi simili insegnava.
La somma liquidata, infatti, dovrebbe
ritenersi congrua soprattutto se raffrontata con le parcelle di molto superiori
normalmente praticate.
Tra l'altro si sottolinea come, nella
vicenda, siano stati liquidati onorari, in ossequio alla determinazione n. 27
del 4 aprile 2005, già assunta dal Dirigente del Settore 8° del Comune di
Pisticci, per un processo conclusosi nel 2003, senza aggravio di interessi o
altri oneri connessi all'inutile decorso del tempo, contribuendo a sistemare
posizioni debitorie dell’ente locale che, altrimenti, avrebbero potuto sfociare
in conflitti con gli ex amministratori.
Conclusivamente viene invocato il
rigetto delle pretese avversarie e la liquidazione delle spese e compensi di
giudizio.
In data 22 novembre 2011 si è
costituito, mediante deposito di memoria, il convenuto D’Angella.
Eccepisce, in via preliminare, l’inammissibilità
dell'atto di citazione, per essere stato l’atto introduttivo del giudizio
notificato al domicilio anagrafico dell'odierno convenuto a mani proprie
anziché al domicilio eletto presso l'avvocato Gaetano Esposito, a cui, in sede
di deduzioni difensive, era stato rilasciato dal convenuto mandato di
rappresentanza e difesa.
Risulterebbe, quindi, evidente la
lesione del principio del contraddittorio di cui all'art. 101 c.p.c, e
l’impedimento, di fatto, all'esercizio del diritto di difesa, tenuto conto
della circostanza che rispetto alla prima fase, nel presente giudizio è stato
conferito altro mandato a nuovo e diverso procuratore.
Soggiunge il convenuto che, pur
volendo annoverare l’invito a dedurre nell’alveo dell’attività non processuale
e, quindi, estranea al giudizio, non potrebbe dubitarsi che il conferimento del
mandato e l'elezione del domicilio espressi nelle deduzioni presentate, ai
sensi dell'art. 84 c.p.c, debbano intendersi rilasciati per l'intero
procedimento, e, quindi, con produzione di effetti vincolanti per tutta
l'attività processuale, ivi compresa quella notificatoria.
In linea di principio, ne
conseguirebbe che, se pur è riconosciuta la non obbligatorietà della notifica
presso il domiciliatario dell'atto di citazione, tuttavia in presenza di un
espresso conferimento consacrato in un contratto (art. 141 comma 2 c.p.c.),
quale è il mandato ad litem, l'attività notificatoria diventerebbe obbligatoria
al domicilio eletto presso il difensore incaricato con regolare mandato; evento
che nella fattispecie si sarebbe verificato, essendo stato rilasciato nelle
controdeduzioni difensive mandato ad litem e la correlata elezione di
domicilio, per cui la notifica dell'atto di citazione non si sarebbe potuta
eseguire a mani proprie, come avvenuto, bensì nel domicilio eletto presso il
procuratore costituito.
Sempre in via preliminare, ma gradata,
viene invocata l'estensione del contraddittorio nei confronti del Dirigente
dell'Area Finanziaria del Comune di Pisticci e dei componenti del Collegio dei
Revisori dei conti, in relazione ai dei pareri di regolarità contabile e di
legittimità, espressi in relazione alla delibera consiliare di riconoscimento
dei debiti fuori bilancio.
Nel merito il convenuto contesta la
pretesa attrice per i seguenti motivi:
- Legittimità della deliberazione C.C.
n. 41 del 30 giugno 2008. Assenza e/o inconfigurabilità del danno erariale.
Sostiene il convenuto che i
proprietari dell'immobile, in relazione al quale venne rilasciata la
concessione edilizia in sanatoria, nell'anno 2000 avevano presentato istanza al
Comune di Pisticci al fine di ottenere il titolo edificatorio per l'esecuzione
di lavori di ristrutturazione del fabbricato (consistenti nella demolizione del
tetto di copertura e ricostruzione dello stesso con il ricavo di un terrazzino,
esecuzione di una scalinata interna e modifica degli spazi interni).
Dopo l’acquisizione della concessione
edilizia n. 15/2001, con la quale venivano autorizzate le opere richieste con
le prescrizioni indicate nel titolo, in data 22.08.2001, il Comando di Polizia
Municipale aveva accertato, a seguito un sopralluogo all'immobile di cui si
tratta, l’esecuzione di lavori in difformità dalla concessione edilizia.
In conseguenza, in data 26.11.2001, il
Comune di Pisticci notificava l'ordinanza n. 182 di demolizione delle opere
abusive.
In data 07.01.2003, poi, i proprietari
dell’immobile presentavano istanza di concessione edilizia in sanatoria in
relazione alle opere abusive realizzate.
Sulla base del parere favorevole del
Servizio Istruttoria Pratiche Edilizie espresso nella seduta del 14.01.2003 ai
sensi dell'art. 7 della legge regionale n. 50/93, così come modificato
dall'art. 38 della legge Regionale n. 7 dell' 8.03 .1999, Il Capo Servizio
Urbanistica del Comune calcolava il danno ambientale in € 516,46 e rilasciava
il 3.02.2003 rilasciava agli istanti la concessione edilizia in sanatoria n.
24/03.
Dall'esposizione dei fatti e dalla
cronologia degli atti, ad avviso del convenuto si evincerebbe chiaramente come il
titolo in sanatoria sia stato assentito in modo del tutto legittimo e con un
iter procedurale esente da vizi, dall’Arch. Marrese, quale Responsabile
dell'Ufficio Urbanistica.
Soggiunge l’esponente che Il PRG del
Comune di Pisticci, all'art. 6, nelle zone A1, stabilisce" ... è vietato
ogni tipo di intervento urbanistico e architettonico ad alterazione della
situazione preesistente" " ... sono ammesse opere di restauro nel
rispetto volumetrico e formale delle strutture edilizie con interventi di ristrutturazione
organica (suddivisione funzionali, degli spazi interni e degli impianti
igienico-sanitari).
In quest'ultima opzione, garantita
dalle norme, si sarebbero inserite la concessione edilizia originaria n. 15/2001
del 17.01.2001, e
la successiva concessione in sanatoria, che avrebbe
assentito le conseguenti lievi difformità realizzate secondo la normativa
regionale.
Il provvedimento di concessione in
sanatoria, emesso in forza dell'art. 13 della legge n. 47/1985, il quale
consentiva l'eventuale accertamento di conformità delle opere eseguite alle
norme di Piano, previa regolare istruttoria e l'applicazione delle sanzioni a
secondo della natura dell'abuso, risulterebbe esente da censura.
Inoltre, l'atto infraprocedimentale di
nullaosta del vincolo ambientale e paesaggistico, rimesso al Comune per delega
ai sensi della Legge Regionale n. 50/93, come modificata dalla Legge Regionale
n. 7/99, risulterebbe legittimamente essere stato rilasciato da parte
dell'Ufficio comunale competente, in forza della predetta
normativa.
Le considerazioni che precedono evidenzierebbero
l'inconsistenza dell'assunto accusatorio, dal momento che l'Arch. Rosa MARRESE avrebbe
conservato integralmente la sua qualificazione di dipendente pubblico e le
finalità del servizio pubblico.
Al riguardo il concludente espone che,
secondo la giurisprudenza della Corte di cassazione, non è illogico valorizzare
l'elemento finalistico della condotta per discriminare gli illeciti commessi
dai funzionari e dai dipendenti pubblici, riferibili alla P.A., da quelli che
invece producono la frattura del rapporto organico, e perciò restano propri del
soggetto che li ha posti in essere (Cassazione Sez. Lav. n. 3370/1996).
Nel tracciato contesto la delibera di
c.c. n. 41 del 30.06.2008, di riconoscimento fra i debiti fuori bilancio delle
spese legali sostenute
dall'Arch. Rosa MARRESE, si profilerebbe del tutto
legittima e priva di qualsivoglia vizio.
-
Assenza di conflitto di
interesse tra il dipendente e la P.A.
Dalla presenza dei suddetti requisiti,
sia soggettivi che oggettivi, secondo la parte convenuta, risulterebbe agevole
riscontrare la continuità delle funzioni esercitate dall'Arch. Marrese
nell'espletamento delle proprie competenze in merito al rilascio della
concessione in sanatoria, che non costituirebbe un atto a se stante ma “la
naturale promanazione dell' atto presupposto quale è la concessione originaria
n. 15/2001”.
Conseguentemente risulterebbe
inesistente una frattura del rapporto organico, stante la permanenza dell'appartenenza
all'Ente del Funzionario incaricato, il quale avrebbe posto in essere
un'attività a causa del servizio e, quindi, direttamente connesso
all'espletamento del servizio e all'adempimento di compiti d'Ufficio.
In forza della rilevata connessione
diretta degli atti e dei comportamenti ai doveri di servizio, l'ente avrebbe
assunto l'onere di rimborsare le spese anticipate dalla dipendente.
La giurisprudenza militerebbe nella
direzione di ritenere che "il rimborso delle spese legali, sostenute nel
procedimento penale svoltosi a carico del dipendente, deve riguardare fatti
direttamente connessi all'espletamento di compiti d'ufficio, quale
ineliminabile ed imprescindibile presupposto" (Cass. Sez. Unite n. 1111
del 2000).
Nella fattispecie il collegamento
diretto tra la funzione svolta dalla dipendente e l'oggetto del processo,
sarebbe nitido e provato per tabulas.
Pur prendendo atto che l'assoluzione nel
giudizio penale con la formula "perché il fatto non costituisce
reato", non consente, in linea di principio, di escludere in modo
categorico il conflitto di interessi, tuttavia in fattispecie l'assoluzione per
il reato di abuso di ufficio sarebbe stata pronunciata stante l'assenza del
dolo, per cui andrebbe escluso l'eventuale conflitto di interessi, attesa la
materialità dei fatti da cui non emergerebbe alcun elemento o profilo idoneo a
configurare tale impedimento.
Né potrebbe risultare sufficiente il
semplice richiamo ai capi di imputazione per dimostrare il presunto conflitto
di interessi, occorrendo la rigorosa prova della sussistenza della condotta
addebitata, tenuto conto che i fatti in contestazione in sede penale non sono
stati esaminati.
Nella prospettazione difensiva,
inoltre, l’insussistenza del conflitto di interessi, risulterebbe corroborata e
comprovata dalla mancata costituzione di parte civile da parte del Comune di
Pisticci.
Soggiunge il convenuto che la giurisprudenza
avrebbe chiarito che per integrare il conflitto di interessi, è necessario che
il fatto sia addebitato complessivamente e nella sua intrinseca realtà "a
prescindere dalla sussistenza o meno della responsabilità" (Cassazione
Sez. Lav. n. 2747 del 2006).
Pertanto, il requisito
dell'inesistenza del dolo e/o della colpa grave, andrebbero accertati in
maniera indipendente l'uno dall'altro, pure nell'ovvia interferenza che può
esservi fra di loro.
La situazione di conflitto di
interessi, poi, andrebbe accertato ex post, cioè a conclusione del procedimento
penale, tenendo conto non solo della formula assolutoria della sentenza, ma
anche di tutte le circostanze del caso.
Nella fattispecie assumerebbe
rilevante valore la sentenza che chiude il procedimento penale, tenuto conto
dell’efficacia di "giudicato" che le è propria, nei giudizi civili o
amministrativi, per ciò che attiene alla materialità dei fatti e alla
circostanza che l'imputato li abbia commessi o meno (artt. 651 e 652 c.p.p.).
- Mancato esame della conformità della
parcella alle tariffe professionali.
Sostiene il convenuto che la parcella
posta a base della richiesta di rimborso delle spese legali sostenute dalla
dipendente del Comune di Pisticci, non avrebbe potuto essere modificata nel suo
importo autonomamente e discrezionalmente da parte dell'Ente, come ritenuto
dalla Procura regionale, trattandosi di rimborso ex post eseguito in favore della
richiedente.
Lo scrutinio capillare e minuzioso
dell'attività processuale, configurerebbe iniziativa impedita all’
amministrazione, posto che si verterebbe in tema di spesa già anticipata e,
quindi, pagata.
Controversi, poi, apparirebbero i
limiti al sindacato giurisdizionale sul giudizio di congruità in ordine agli
oneri di difesa da rimborsare che, per le amministrazioni statali, l'art. 18
del d.l. n. 67/1997 intesta all'Avvocatura dello Stato.
In tale contesto il controllo
dell'Avvocatura erariale non consentirebbe la determinazione diretta
dell'ammontare del credito del dipendente in sede giurisdizionale (TAR F.V.G.
11 Gennaio 2007 n. 43 e TAR Lazio, Roma, Sez. I, 7 Ottobre 2004 n. 10451).
La suddetta procedura, peraltro,
risulterebbe applicabile ai dipendenti dello Stato, ma non anche a quelli degli
enti locali.
L'ulteriore sindacato sulla congruità
della parcella, di natura tecnica, dovrebbe essere limitato alla valutazione
delle prestazioni indicate nella parcella stessa, al numero dei legali
officiati e alla complessità della causa.
In definitiva, l'apprezzamento di
congruità, che potrebbe essere effettuato dall'Amministrazione, riguarderebbe
l'adeguatezza delle spese legali delle quali viene chiesto il rimborso in
relazione al parametro costituito dalla tariffa applicata (nella specie quella
approvata con d.m. 5.10.1994 n. 585), e tenuto conto della natura e della
complessità della causa, dell'importanza delle questioni trattate, della durata
del processo, della qualità dell'opera professionale prestata e del vantaggio
arrecato al cliente, vale a dire dell'esito del giudizio.
In sintesi mentre l’ordinamento
avrebbe riconosciuto all'Avvocatura dello Stato elevata attribuzione di ordine
generale tecnico-legale, nessuna norma di ordine generale disciplinerebbe, in
modo specifico, il sindacato delle Amministrazioni diverse dallo Stato.
- Inconfigurabilità del danno erariale
— Carenza dell'elemento soggettivo - Assenza di colpa grave.
Il richiamato contrasto
giurisprudenziale in materia, rileverebbe sotto un diverso (e concorrente)
profilo di inconfigurabilità del danno erariale contestato, stante la carenza
dell'elemento soggettivo.
Il convenuto richiama, all'uopo, il
principio enunciato dalla giurisprudenza secondo cui: "la grave
colpevolezza è ravvisabile nel caso di norme strettamente prescrittive, cioè di
quelle che non lasciano alcun dubbio sui comportamenti da seguire, nella loro
immediata e diretta violazione; nel caso di norme non altrettanto letteralmente
cogenti, la colpa grave va ravvisata in macroscopiche violazioni del dettato
normativo, ponendosi in palese contrasto con esso, dandone una lettura
superficiale "(Corte dei conti, Sezione seconda Centrale, n. 162/03).
La medesima pronuncia, su un caso di
responsabilità amministrativa della giunta per l'adozione di una delibera di
riconoscimento del rimborso di spese legali, ha aggiunto: "..
.sicuramente nel caso in esame, agli interessati non può imputarsi grave
trascuratezza nell'applicazione di norme che presentano, comunque, profili di
dubbio sulla loro interpretazione o, meglio, sulla loro estensione ".
Assume la parte resistente che al fine
di dirimere l'incertezza interpretativa ed il contrasto giurisprudenziale
relativo al diritto al rimborso delle spese legali, è intervenuta la Suprema
Corte di Cassazione con la sentenza n. 12645 del 24 maggio 2010, con la quale è
stato ribadito il consolidato principio che "In assenza di un nesso
eziologico tra l'adempimento dell'Ufficio e la perdita pecuniaria, non può
essere riconosciuto agli amministratori locali il diritto al rimborso delle
spese legali sostenute per la difesa in un procedimento penale. Tanto più che
il danno risarcibile presuppone un comportamento incolpevole dei
ricorrenti".
- Inefficacia e/o inidoneità, in
termini eziologici, del visto di regolarità tecnica ai fini della causazione
del danno.
Gli estesi argomenti militerebbero per
la inconfigurabilità - da un punto di vista oggettivo e soggettivo - del danno
contestato.
Tuttavia nell'ipotesi in cui la
deliberazione inerente il rimborso delle spese legali dovesse ritenersi
illegittima e foriera di danno erariale, occorrerebbe differenziare la
posizione dell'avvocato D'Angella - che si sarebbe limitato ad esprimere un
mero parere di regolarità tecnica sulla proposta di deliberazione - rispetto a
quella dei consiglieri comunali.
Il danno erariale non potrebbe essere
ascritto, in termini eziologici, alla condotta dell'esponente, avendo egli
agito nella qualità di responsabile dell'Ufficio Affari legali rilasciando un
avviso (obbligatorio, ma non vincolante) sulla regolarità tecnica, ex art. 49
del d.lgs. 267/2000.
Tale disposizione si atteggerebbe alla
stregua di un corollario (logico prima ancora che giuridico) del principio
angolare di separazione funzionale tra sfera politica e sfera gestionale; solo
all'organo politico spetterebbe l'attività di indirizzo, e, pertanto, le
valutazioni di merito sulle questioni oggetto di delibera.
Conseguentemente la scelta di merito
della deliberazione dovrebbe ricondursi soltanto all'organo politico, nella
fattispecie il consiglio comunale.
Per contro, il parere di regolarità
tecnica non investirebbe la legittimità dell'atto, limitandosi a verificare la
sussistenza dei presupposti, a monte, che consentono all'organo politico
l'adozione della delibera.
Diversamente opinando, infatti, si
ascriverebbero ai funzionari le scelte di merito intestate dalla legge agli
organi politici.
A tal fine il convenuto richiama la
giurisprudenza secondo cui è stata affermata l'insussistenza della
responsabilità amministrativa a carico del funzionario per l’espressione del
parere favorevole di regolarità tecnica su una proposta di deliberazione del
Consiglio Comunale di riconoscimento dei debiti fuori bilancio sul rimborso
delle spese legali, stante la delimitazione fissata dalla legge per detto
parere.
Limitazioni che andrebbero individuate
nella verifica di legittimità, in linea tecnica, che la materia in
deliberazione rientri nella effettiva competenza dell'organo deliberante e che
sul piano della regolarità tecnico-amministrativa sussistano i presupposti di
fatto che legittimano il ricorso ad una tale deliberazione, a prescindere da
ogni valutazione e sindacato nel merito degli atti prodromici che l’ hanno resa
necessaria .
Merito e ragioni le cui valutazioni
sarebbero di esclusiva pertinenza dell'organo deliberante, libero di
determinarsi in ordine alle stesse, non essendo il parere predetto vincolante.
La riportata prospettazione troverebbe
ampia conferma nel dibattito consiliare; nel relativo verbale, infatti,
emergerebbe nitidamente l'autonoma espressione di volontà dell'organo
collegiale nell'approvazione dell'atto deliberativo di riconoscimento di
debito.
I pareri espressi dalle competenti
strutture sarebbero stati considerati come presupposti di diritto che "non
possono interferire sull'autonomo e corretto esercizio dei poteri spettanti
all'organo deliberante" ... "la delibera .... è di esclusiva
pertinenza del Consiglio Comunale…. il parere del responsabile dell'area
tecnica e del responsabile dell'area economica finanziaria si sono
correttamente ispirati, nei confini delle valutazioni tecniche e contabili
attribuiti dall'ordinamento, alla verifica della positiva sussistenza dei
presupposti legittimanti l'adozione della delibera.... nessun nesso causale
corre nella specie tra i pareri espressi e il dedotto danno erariale"
(Corte dei conti, Sez. giur. d'appello Sicilia, 13 gennaio 2009 n. 1).
Il convenuto, infine, rappresenta che
il parere preventivo di regolarità tecnica non potrebbe assurgere - argomentando
dai principi posti dagli artt. 1223 cod. civ., 40 e 41 cod.pen. - a causa
immediata e diretta del danno erariale.
Conclusivamente viene richiesto il
rigetto delle pretese avversarie.
Con memoria redatta il 10 dicembre
2011 si sono costituiti in giudizio CARAVITA Mariano, PREZIOSO Rosa, OLIVA
Giovanni e ROMANO Salvatore.
Rappresentano i convenuti che la
deliberazione n.41, adottata in data 30.06.2008 dal Consiglio comunale, risultava
supportata da attività istruttoria, con relativi pareri, sia da parte del
Dirigente dell'ufficio legale che da parte del Dirigente del servizio
ragioneria del Comune.
Questi ultimi, in precedenza, avevano
pure adottato (per alcuni difensori) determine di pagamento e corresponsione di
acconti.
Attività quest'ultima ritenuta
corretta dal Collegio dei Revisori dei conti che ne aveva rilevato
l'illegittimità, tanto da consentire il rilascio di un parere favorevole al
riconoscimento di legittimità, quale debiti fuori bilancio, sia delle somme già
corrisposte a titolo di acconto, che di quelle da corrispondere a saldo ai
difensori.
Alla stregua di detti accadimenti la
deliberazione n.41 fu votata dai consiglieri comunali con l'assoluta
convinzione di porre in essere un atto legittimo, stante gli atti di
predisposti e di competenza degli uffici tecnici ed amministrativi dell'Ente.
Nella fattispecie, il controllo
esercitato dal consiglio comunale, prima dell'adozione dell'atto, secondo i
convenuti, è stato rigoroso, per cui non è ravvisabile alcuna responsabilità.
Il rimborso, poi, non si sarebbe
potuto escludere per il sol fatto che la scelta del difensore era stata
autonoma e non condivisa.
La sua ammissibilità risulterebbe acconsentita,
in giurisprudenza ed in dottrina, anche ex post e nell'ipotesi in cui "il
dipendente ( o amministratore) ometta di sottoporre la scelta del difensore
alla condivisione da parte dell'ente, quest'ultimo può, sussistendone i
presupposti, decurtare la parcella, ma giammai può negare il diritto al
rimborso”.
Andrebbe, pertanto, negata l’esistenza
sia del dolo che della colpa (grave e lieve) ed emergerebbe chiaramente la
circostanza che i consiglieri comunali, nell'adozione della deliberazione n.
41, erano certi di votare un atto perfettamente legittimo.
Pertanto, alla luce delle suesposte
considerazioni, accertata la mancanza di responsabilità dei convenuti, si
conclude per il rigetto in toto della richiesta avversaria.
All’odierna pubblica udienza il
pubblico ministero ha confermato l’impianto accusatorio.
Con riferimento alla eccezione di
inammissibilità dell'atto di citazione, sollevata dalla difesa del convenuto
D'ANGELLA, ha sostenuto come alcuna censura possa essere avanzata in ordine
alla avvenuta notificazione dell'atto di citazione presso la residenza della
parte e non presso il domicilio eletto, alla stregua della giurisprudenza della
Corte dei conti ( Sez. Campania n.386 del 2009 e Sez. II Centrale d'Appello n.
1 del 2008).
Conclusivamente ha chiesto
l’accoglimento della domanda.
L'avvocato Padula, ha rappresentato
che la tesi accusatoria risulterebbe affetta da palesi lacune e incongruenze,
ribadendo la sussistenza del diritto al rimborso delle spese legali sostenute da
un dipendente di un ente locale, imputato in un giudizio penale conclusosi con
sentenza di assoluzione, in conseguenza di fatti ed atti connessi direttamente
all'esercizio e a causa della funzione pubblica ricoperta.
Ha precisato, inoltre, che il
riconoscimento del debito fuori bilancio è stato deliberato sulla scorta di
pareri tecnici.
Quanto alla misura degli onorari,
rappresenta che la parcella del legale recava il visto dell'Ordine degli
avvocati, per cui nessuna indagine doveva a tal fine compiere il consiglio
comunale.
L'avvocato De Sensi, nel riportarsi al
contenuto della memoria di costituzione, ha sottolineato, in particolare, come
nella delibera di riconoscimento di debito di cui è controversia, non sia stato
in alcun modo citato un parere di legittimità, ma di sola regolarità tecnica,
reso dal proprio assistito nella sua posizione di responsabile dell’Ufficio
legale.
Ha insistito, in via subordinata, nell’accoglimento
dell’istanza di integrazione del contraddittorio nei confronti del Dirigente
dell'Area Finanziaria del Comune di Pisticci e dei componenti del Collegio dei
Revisori dei conti in relazione ai pareri dai medesimi espressi in relazione
alla deliberazione di riconoscimento di debito.
L'avvocato Tuccino, ha posto in
risalto la rilevanza del parere reso dal D'Angella ai fini dell'approvazione
della richiamata delibera.
Tutti i difensori hanno concluso per
il rigetto della domanda attrice.
In tale stato la causa è stata
trattenuta per la decisione.
Considerato in
DIRITTO
1.
In via pregiudiziale vengono
in rilievo le eccezioni sollevate dal convenuto D’Angella, di integrazione del
contraddittorio nei confronti di soggetti rimasti estranei alla controversia e
di inammissibilità dell’atto di citazione, quest’ultima articolata in relazione
alla sua errata notificazione presso il proprio domicilio e non presso quello
eletto in sede di presentazione delle deduzioni difensive.
1.1.
La prima eccezione, ancorchè
avanzata in via subordinata, investe la regolarità del rapporto processuale,
per cui la sua trattazione precede le altre questioni pregiudiziali.
Il convenuto si duole dell’omessa
evocazione in giudizio del Dirigente dell'Area Finanziaria del Comune di
Pisticci e dei componenti del Collegio dei Revisori dei conti, in relazione ai
pareri, rispettivamente, di regolarità contabile e di legittimità, dagli stessi
rilasciati in relazione alla delibera consiliare di riconoscimento dei debiti
fuori bilancio.
Detti avvisi, risultando quanto meno
sovrapponibili al parere di regolarità tecnica espressa dal convenuto,
avrebbero dovuto determinare l’evocazione in giudizio dei soggetti indicati,
nei cui confronti viene chiesta l’integrazione del contraddittorio.
La legge 14 gennaio 1994, n. 20,
modificata dalla legge 20 dicembre 1996, n. 639, ha introdotto, in via generale
(e fatta eccezione per i casi previsti dalla legge stessa), il principio della
personalità e parziarietà della responsabilità amministrativa, in luogo di
quello previgente della solidarietà, al di fuori delle ipotesi di
litisconsorzio necessario di cui all'art. 102 c.p.c..
L'integrazione “facoltativa” del
contraddittorio (artt. 107 c.p.c. e 47 r.d. n. 1038 del 1933) è rimessa alla
valutazione del Giudice ove si versi in una fattispecie di comunanza di cause,
cioè quando dall'impianto accusatorio (ed entro i limiti dallo stesso imposti,
ai sensi dell'art. 112 c.p.c.) emergano condotte autonome di terzi che abbiano
potuto incidere sul processo di causazione del danno, sovrapponendosi o collegandosi
alla condotta degli evocati in giudizio, in tal modo rendendosi opportuna la
loro chiamata per ragioni di economia processuale, anche al fine di evitare
conflitto di giudicati (Sezione Giurisdizionale Campania, n. 1135/2007; Sezione
III Centrale, n. 419/2007; Sezione II Centrale, n. 234/2007; Sezione
Giurisdizionale Umbria, n. 223/2007).
Al riguardo osserva il Collegio che ai
sensi dell’articolo 49 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 “Su ogni
proposta di deliberazione sottoposta alla giunta ed al consiglio che non sia
mero atto di indirizzo deve essere richiesto il parere in ordine alla sola
regolarita' tecnica del responsabile del servizio interessato e, qualora comporti
impegno di spesa o diminuzione di entrata, del responsabile di ragioneria in
ordine alla regolarita' contabile. I pareri sono inseriti nella deliberazione”.
Il comma 3 dello stesso articolo
prevede la responsabilità in via amministrativa e contabile per i soggetti che
hanno espresso i sopra citati pareri.
Ritiene il Collegio che l’attestazione
di regolarità contabile non determini l’insorgere di responsabilità del
Dirigente che l’ha rilasciata, tranne l’ipotesi di macroscopiche illegittimità
( Sezione giurisdizionale Toscana 3 settembre 2012, n. 415).
In sintesi, almeno in fattispecie, il
parere di regolarità contabile espresso dal Dirigente del settore esercizi
finanziari del Comune di Pisticci in data 25 giugno 2008, è consistito nella
attestazione di copertura della spesa, avulsa dalla valutazione di profili di
legittimità della spesa stessa.
A diversa conclusione si deve giungere
in relazione all’attività del Collegio dei revisori.
Sebbene l’articolo 239 del decreto
legislativo 18 agosto 2000, n. 267, sembri delineare attribuzioni di natura
prettamente contabile, va osservato che, in realtà, detta disciplina intesta
all’organo di revisione compiti di vigilanza sulla gestione dell’ente locale.
E’ pur vero che detto compito viene
esercitato “…anche con tecniche motivate di campionamento” ( articolo 239,
comma 1, lettera c), ma non certo quando venga rassegnata al controllo una
specifica questione, come, in fattispecie, quella attinente al riconoscimento
dei debiti fuori bilancio.
A ciò si aggiunga la delicatezza della
materia che ha richiesto una specifica e rigorosa disciplina, con la
conseguenza che, in tali evenienze, l’esame degli atti esige non solo riscontri
meramente contabili, ma anche un controllo sulla legittimità della spesa, come,
del resto, sembra riconoscere lo stesso verbale del Collegio dei revisori del
22 dicembre 2006 che reca l’intestazione “ Debiti fuori bilancio: parere sul
riconoscimento di legittimità”.
Ritiene, peraltro, il Collegio che la
richiesta integrazione del contraddittorio nei confronti dei membri dell’organo
di revisione, non possa essere accolta.
Ai sensi dell’articolo 1 quater della
legge 14 gennaio 1994, n. 20 “Se il fatto dannoso è causato da più persone, la
Corte dei conti, valutate le singole responsabilità, condanna ciascuno per la
parte che vi ha preso.”.
Detta disposizione non attribuisce al
Giudice la verifica della presenza dei presupposti per la chiamata in giudizio
dei soggetti rimasti estranei alla controversia, ma solo l’indagine sulla
riferibilità agli stessi dell’intero danno, di cui si reclama il risarcimento
con l'atto introduttivo ovvero di altra somma che costituisca (eventualmente) nocumento
per le pubbliche finanze, in rapporto alla condotta tenuta da ciascuno come
fonte della “singola responsabilità” nel senso indicato dalla legge.
In estrema sintesi in caso di
responsabilità concorrenti, come in controversia, la finalità che si propone il
convenuto chiedendo l’estensione del contraddittorio nei confronti di soggetti
non evocati in lite, è soltanto quella di coinvolgerli nel giudizio per
sentirli condannati a parte del danno contestato, il cui risarcimento,
altrimenti, resterebbe interamente, o nelle misure indicate dall’attore, a suo
carico.
Tale corretta pretesa, come accennato,
è disciplinata dalla richiamata disposizione anche in assenza del
coinvolgimento nella controversia dei soggetti nei cui confronti è riconosciuto
dal Giudice l’apporto causale nella produzione del danno, da tenere conto ai
fini della misura del risarcimento addebitabile ai convenuti ( Sezione I
centrale d’appello 5 luglio 2012, n. 356; Sezione II centrale d’appello 1 marzo
2012, n. 119).
Nella quantificazione del danno, pertanto,
il Collegio deve tenere conto della parte di danno ascrivibile ai
soggetti non evocati in lite, scorporandola dal risarcimento richiesto dall’attore.
1.2. Sempre in via pregiudiziale il
convenuto denuncia la inammissibilità dell’atto di citazione sostenendone la
irregolare notificazione presso il suo domicilio, in luogo di quello eletto in
sede di presentazione delle deduzioni difensive.
L'art. 5, comma 1, del decreto legge
15 novembre 1993, convertito con modificazioni dalla legge 14 gennaio 1994, n.
19, come sostituito dall'art. 1 comma 3-bis, della legge 20 dicembre 1996, n.
639, ha individuato, nell’ambito del giudizio di responsabilità amministrativa,
due distinte fasi – una pre-processuale e una processuale – il cui spartiacque
è costituito dall’emissione dell’atto di citazione in giudizio (Corte dei conti,
Sez. III, d’appello n. 267/2007 e Sez. I d’appello, n. 26 del 2010).
La prima, di esclusiva titolarità
della Procura Regionale, si apre con la notifica dell’invito previsto
dall’articolo 5, comma 1, della citata legge n. 19 del 1994 ed è caratterizzata
dalla mancanza del contraddittorio tra Procuratore regionale ed indagato,
stante la prospettiva sostanzialmente collaborativa tra l'organo requirente ed
il presunto responsabile impressa dalla legge, al fine di consentire una
valutazione completa della vicenda potenzialmente produttiva di danno.
Si tratta, quindi, di una
procedimentalizzazione posta a garanzia del diritto dell’intimato a vedere
definita la sua posizione nel tempo prescritto dalla legge (Corte dei conti,
Sez. I d’appello, n. 26 del 2010 cit e Sez. III d’appello 14 marzo 2012, n.
231).
Tanto premesso, osserva il Collegio
che la parte convenuta, senza minimamente porre in dubbio l’effettiva ricezione
dell’atto di cui si denuncia l’inammissibilità, si duole di una “violazione del
contraddittorio” per il mero fatto di essere stato l’atto di citazione
notificato al suo domicilio e non presso quello eletto nella fase pre -
processuale.
Peraltro, come correttamente
evidenziato dall’attore, l’eccezione, nella sua intrinseca consistenza,
concernerebbe la nullità della notifica e non già la inammissibilità dell’atto
introduttivo del giudizio, con la conseguenza che per tale atto sarebbe
configurabile, al massimo, una ipotesi di nullità derivata ai sensi
dell’articolo 159 cpc.
La lamentata “lesione del
contraddittorio” conduce a ritenere che l’eccezione in rassegna scaturisca da
un equivoco di fondo sul regime che il codice di rito, applicabile ai giudizi
innanzi alla Corte dei conti in forza del rinvio dinamico di cui all’art 26 del
r.d. n. 1038/1933, assicura alla notifica presso il “domicilio eletto”, a
termini dell’articolo 141 cpc, rispetto a quello relativo alla notifica presso
il “procuratore costituito” disciplinato dall’articolo 170 cpc.
“L’articolo 141 cpc, con l’espressione
“può”, facoltizza alla notifica “mediante consegna di copia al domiciliatario
(cfr. art. 141 comma 1), in luogo di quella diretta al destinatario dell’atto,
imponendola come “obbligatoria” al domiciliatario stesso solo se “ inserita in
un contratto” (cfr. art. 141 comma 2).L’articolo 170 cpc, invece, non prevede alternative
di sorta alla notifica al “procuratore costituito”, stabilendo che “tutte le
notificazioni e le comunicazioni si fanno – appunto – al procuratore
costituito, salvo che la legge (e solo la legge) disponga altrimenti”.Ciò che,
sul piano teleologico, è perfettamente in linea con gli scopi perseguiti dalle
riferite disposizioni.Entrambe rivolte alla tutela del destinatario dell’atto,
esse mirano, nell’un caso (art. 141 cpc), a “porre in grado la persona presso
la quale il domicilio è stato eletto di informare tempestivamente della
notifica stessa colui che lo ha designato” (cfr. Cass. Civ. Sez. II^ n°6098/
1999), e nell’altro caso (artt. 170 cpc), a rendere effettivo il “ministero del
difensore” (ex art. 84 cpc), al quale vanno notificati gli atti anche se nel
conferimento del mandato a suo favore non vi sia stata alcuna elezione di
domicilio (cfr., in termini, Cass. Civ. n°142/1973).
Insomma, nell’ipotesi della mera
elezione di domicilio, è la figura del destinatario dell’atto che prevale su
quella del domiciliatario, essendo riservato al primo ogni valutazione
sull’atto stesso, anche ai fini della eventuale nomina di un difensore; viceversa,
nell’ipotesi della costituzione in giudizio mediante un legale, è la figura di
quest’ultimo a prevalere, in relazione alle specifiche conoscenze
tecnico-giuridiche richieste dal processo, che portano ad ipotizzare anche una
lesione dei diritti di difesa, connessa ai tempi (piuttosto ristretti) ed alle
formalità (essenziali) del giudizio, in ipotesi di notifica di atti
direttamente all’interessato, atteso che ogni valutazione processuale sul da
farsi è rimessa appunto al predetto legale.
Ben si comprende allora perché, mentre
la notifica al “procuratore costituito” ha valore assoluto e non ammette altra
forma concorrente di notifica, la notifica al domiciliatario invece, per
pacifica giurisprudenza, concorre con quella fatta direttamente all’interessato
(cfr., in termini, Cass. Civ., Sez. Un. n°10245/1994 e Cons. Sta. Sez. VI
n°454/1991), o –se si preferisce – è “alternativa a quella di cui agli artt.
138 e 139 cpc” (cfr. Cass. Civ. n°4097/1988)” ( Sezione Umbria n. 260 del
2001).
D’altronde, se lo scopo della notifica
di cui all’art. 141, comma 1, cpc è – come detto – quello di consentire alla
“persona presso la quale il domicilio è stato eletto di informare
tempestivamente della notifica stessa colui che lo aveva designato come
domiciliatario” (cfr. ancora Cass. Civ. Sez. II^ n°6098/ 1999), la notifica entro
i termini di legge direttamente all’interessato, ex art. 138 e 139 cpc, avrebbe
un effetto sanante, ai sensi dell’art. 156, ultimo comma cpc, espressamente
richiamato dal successivo art. 160, avendo la notifica stessa, comunque,
raggiunto il suo scopo.
Anche la giurisprudenza di appello
della Corte dei conti è pervenuta ad omologhe conclusioni, statuendo che la
fase dell’invito a dedurre rientra nell’attività dell’istruttoria dell’organo
requirente.
La notifica dell’invito, quindi, non
incardina un giudizio “ma, più semplicemente, un dialogo formale con il
convenibile, per una verifica dell’ipotesi di responsabilità, emergente dagli
atti, e per una più completa conoscenza del fatto; una sorta di collaborazione
nell’interesse obiettivo della giustizia, alla quale l’invitato è incentivato
dall’interesse di evitare una chiamata fondata su mere apparenze formali. Essa,
quindi, inizia e si esaurisce prima e fuori del giudizio, e non è
necessariamente seguita da esso” (Sez. II 11 marzo 2003, n. 87).
In tale senso milita anche la
giurisprudenza della Corte costituzionale secondo cui la Corte dei conti è
investita della causa di responsabilità amministrativo-contabile solo con
l’atto di citazione (sentenze nn. 415/1995, 163/1997 e 513/2002).
Di conseguenza, il deposito delle
deduzioni non equivale alla costituzione in giudizio e l’elezione di domicilio,
perfezionata in quella sede, è irrilevante ai fini della notificazione
dell’atto di citazione.
In fattispecie quest’ultima, pertanto,
si appalesa rituale, avendo raggiunto i suoi effetti e, cioè, quello della
legale conoscenza della lite da parte del destinatario e quello di porlo nelle
condizioni di apprestare la propria idonea difesa, come ribadito dalla più
recente giurisprudenza della Corte dei conti ( Sezione Lazio 17 giugno 2011 n.
925; Sezione I giurisdizionale centrale d'appello 15 dicembre 2010, n. 682).
2. La controversia si incentra sulla spettanza ad un dipendente
di un comune del rimborso delle spese legali sostenute per la difesa in un
procedimento penale nel quale era stato imputato in ragione della carica ricoperta.
L’attore richiama a sostegno della
domanda lo specifico settore dell’ordinamento giuridico, che consentirebbe il
rimborso in questione per i dipendenti degli enti locali soltanto ove ricorrano
i presupposti in esso contemplati.
In ogni caso rappresenta che la
liquidazione a tal titolo effettuata, è risultata superiore a quella spettante.
Poiché, inoltre, il Consiglio comunale
ha disposto il pagamento di cui è controversia con delibera di riconoscimento
di debito, evidenzia come sia stata condotta dalle competenti strutture
dell’ente locale una istruttoria insufficiente e l’estrema superficialità con
la quale l’organo consiliare ha deliberato.
La vicenda, come sopra sintetizzata,
pone, due diverse questioni: la prima è relativa alla spettanza del rimborso
delle spese legali sopportate da un dipendente di un ente locale, per fatti addebitati
in ragione della carica rivestita, in un procedimento penale conclusosi con
sentenza di assoluzione; l’altra afferisce alla ratio e alla concreta
applicazione dell’istituto del riconoscimento del debito disciplinato
dall’articolo 194 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, da parte del
Consiglio comunale di Pisticci per erogare all’interessato la parte residua del
rimborso delle richiamate spese legali.
2.1. In relazione al profilo da ultimo citato, e
prima ancora di entrare nel merito della spettanza o meno del rimborso di cui è
controversia, ritiene il Collegio di dover individuare la finalità, i
presupposti e i limiti del riconoscimento del debito disciplinato dall’articolo
194 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267.
La citata normativa stabilisce:
“1. Con deliberazione consiliare di cui all'articolo 193, comma 2, o con
diversa periodicita' stabilita dai regolamenti di contabilita', gli enti locali
riconoscono la legittimita' dei debiti fuori bilancio derivanti da:
a) sentenze esecutive;
b) copertura di disavanzi di consorzi,
di aziende speciali e di istituzioni, nei limiti degli obblighi derivanti da
statuto, convenzione o atti costitutivi, purche' sia stato rispettato l'obbligo
di pareggio del bilancio di cui all'articolo 114 ed il disavanzo derivi da
fatti di gestione;
c) ricapitalizzazione, nei limiti e
nelle forme previste dal codice civile o da norme speciali, di societa' di
capitali costituite per l'esercizio di servizi pubblici locali;
d) procedure espropriative o di
occupazione d'urgenza per opere di pubblica utilita';
e) acquisizione di beni e servizi, in
violazione degli obblighi di cui ai commi 1, 2 e 3 dell'articolo 191, nei
limiti degli accertati e dimostrati utilita' ed arricchimento per l'ente,
nell'ambito dell'espletamento di pubbliche funzioni e servizi di competenza.
2. Per il pagamento, l'ente puo'
provvedere anche mediante un piano di rateizzazione, della durata di tre anni
finanziari compreso quello in corso, convenuto con i creditori.
3. Per il finanziamento delle spese
suddette, ove non possa documentalmente provvedersi a norma dell'articolo 193,
comma 3, l'ente locale può far ricorso a mutui ai sensi degli articoli 202 e
seguenti. Nella relativa deliberazione consiliare viene dettagliatamente
motivata l'impossibilita' di utilizzare altre risorse.”
Si deve subito premettere che la
delibera di cui si tratta non pone limiti alla indagine sulla sussistenza, o
meno, dei presupposti legali del riconoscimento del debito finalizzata
all’accertamento della realizzazione di un danno per l’erario.
L’articolo 1, comma 1, della legge 14
gennaio 1994, n. 20, a termini del quale sono insindacabili nel merito le
scelte discrezionali della pubblica amministrazione, non esclude, infatti, la
verifica giudiziale della sussistenza dei presupposti dell’ingiustizia del
danno, ma solo dell’opportunità della opzione effettuata.
La materia del riconoscimento del
debito di cui al comma 1, lettera e) del richiamato articolo 194, è stata più
volte esaminata dalla giurisprudenza che è pervenuta ai seguenti approdi:
-
“se da un lato il riconoscimento
del debito fuori bilancio è atto discrezionale dell’amministrazione, dall’altro
l’ente pubblico deve fornire puntuale dimostrazione dell’eccezionalità del
ricorso a tale forma di impegno delle risorse pubbliche e dell’utilità della
prestazione ricevuta dal terzo. L’eccezionalità dell’evento e l’utilità della
prestazione, nei limiti oggettivi e soggettivi in cui sono motivati nel
provvedimento di riconoscimento, possono essere oggetto di valutazione da parte
della Corte dei conti al fine di escludere l’irragionevolezza della decisione
assunta, e dunque l’illegittimità del ricorso a tale straordinaria procedura
sotto il profilo dell’eccesso di potere, con dirette conseguenze di
responsabilità amministrativa” (Sezione Lazio 26 ottobre 2010, n. 1990, e in
termini Sez. I Appello n. 115/03, Sez. III Appello n. 192/04);
-
“la violazione degli equilibri di
bilancio – non effettuata nell’ambito dell’espletamento di pubbliche funzioni e
servizi di competenza e non circostanziata dai requisiti dell’accertata nonché
dimostrata utilità ed arricchimento per l’ente – causa un danno che non può che
ricadere necessariamente sul soggetto agente” (Sezione Trentino-Alto Adige n.
26/06);
-
l'istituto del riconoscimento
dell'utilitas dei debiti assunti in violazione dei principi di contabilità
pubblica deve necessariamente essere coniugato con i principi posti a presidio
della corretta gestione delle risorse finanziarie pubbliche e, perciò, va
effettuato solo in presenza di un concreto accertamento dell'utilità scaturente
da oneri contrattuali privi di copertura, con riguardo all'espletamento di
pubbliche funzioni e servizi di competenza dell'ente, da esternare con rigorosa
motivazione nella relativa deliberazione ( Sezione Campania 16 giugno 2009, n.
716);
-
poiché la disciplina vigente in
materia di debito fuori bilancio subordina il riconoscimento all'accertamento
dell'utilità e dell'arricchimento per l'ente locale (art. 37 del d.lg.vo n.
77/95 poi trasfuso nell'art. 194 del d.lg.vo 267/2000), sussiste danno erariale
nel riconoscimento del debito fuori bilancio per il pagamento degli onorari
professionali di progettazione, laddove i progetti non siano stati utilizzati
per difetto del relativo finanziamento (Sezione Calabria 13 febbraio 2006, n.
208);
-
in ipotesi di debito fuori
bilancio per acquisizione di beni o servizi in difetto di impegno contabile
registrato sul competente intervento o capitolo, oggetto di riconoscimento a
termini dell'art. 37, comma 1, lett. a) del d.lg.vo n. 77/1995, a seguito
dell'esecutività, per mancata opposizione, del decreto ingiuntivo emesso, ad
istanza del privato fornitore, per il relativo corrispettivo, l'aggravio di
oneri per spese e competenze legali inerenti alla procedura monitoria - al
contrario dell'aggravio di oneri per interessi - non è ascrivibile
all'amministratore e funzionario che hanno consentito la fornitura, in quanto
conseguente, non all'irregolare ordinazione della prestazione in difetto di
preventivo impegno di spesa, ma alla mancata proposizione dell'opposizione al
decreto ingiuntivo ( Sezione Puglia 20 maggio 2004, n. 469);
-
l’adozione di un atto di
peculiare rilievo e delicatezza sotto il profilo finanziario e contabile quale
il riconoscimento di un debito fuori bilancio impone particolare cautela e
rigore valutativo ( Sezione Terza Centrale d’appello 27 dicembre 2011, n. 888).
In argomento, la Sezione del Controllo
della Corte dei conti, con deliberazione n.101/95, ha enunciato il principio
secondo cui ” Il provvedimento con il quale l’amministrazione riconosce il
proprio debito nei confronti di un privato, a fronte di prestazioni ricevute al
di fuori delle normali forme di contrattazione, ha carattere assolutamente
eccezionale e può ritenersi conforme a legge solo allorché dalla motivazione
dell’atto sia possibile evincere l’assoluta impossibilità di avvalersi, nella
specie, delle normali procedure di contrattazione, nonché l’effettiva e
comprovata utilità delle prestazioni ricevute, non essendo legittimo,
viceversa, il ricorso a tale istituto per consentire il pagamento di
obbligazioni assunte nella consapevolezza della mancanza di fondi sul bilancio
dell’esercizio in corso”.
Questa Sezione, con riferimento alla
deliberazione di riconoscimento di debito e all’interpretazione dell’articolo
194, comma 1, lettera e) del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, ha
statuito che” il Consiglio Comunale deve
valutare l’utilità dell’acquisto o del servizio per l’ente e, solo in caso
positivo, assumere la responsabilità di ricondurre la procedura nella
contabilità, senza che, però, la irregolarità venga rimossa. Da qui la
necessità che il Consiglio proceda ad una valutazione della fattispecie di
spesa irregolarmente posta in essere vagliando tanto l’esistenza delle
condizioni (utilità ed arricchimento), espressamente previste dall’art. 194,
co.1, lett.e, del T.U. del 2000, quanto le ragioni in base alle quali gli
organi di amministrazione dell’ente disattesero le regole per l’assunzione del
regolare e pieno impegno della spesa relativa al servizio in questione, e ciò
al fine di accertare eventuali responsabilità, e di evitare che si ripetano
omologhe situazioni di irregolarità nella gestione della spesa. Ciò vale, ad
avviso del Collegio, soprattutto nella fattispecie “ricognitiva” disciplinata e
contemplata dalla lettera e) del richiamato art. 194 del T.U. Enti Locali del
2000, che impone, nella fase di accollo del debito istituzionalmente contratto,
che i componenti del Consiglio Comunale effettuino una rigorosa verifica dei
presupposti normativi preordinati al valido e regolare riconoscimento del
“debito fuori bilancio”, dandone compiuta contezza nell’impianto motivazionale
del provvedimento. Diversamente operando, l’organo consiliare finirebbe per
assecondare, attraverso una sorta di “automatismo procedimentale” assolutamente
non consentito dall’ordinamento, una serie indiscriminata di iniziative di
spesa autonome e scoordinate, illegittimamente assunte in violazione delle
regole finalizzate al rispetto della programmazione della spesa, scaricandone
le conseguenze in via sistematica sul Comune, in tal modo determinando, sia
pure indirettamente, una situazione di permanente illegittimità e precarietà
finanziaria” (Sezione Basilicata 13 ottobre 2011, n. 180).
Applicando gli enunciati principi alla
fattispecie oggetto di giudizio, si deve rilevare che la deliberazione n. 41
del 30 giugno 2008 del Consiglio Comunale di Pisticci, appare sprovvista dei
presupposti che ne legittimavano l’adozione per i motivi che in seguito
verranno esposti.
2.2. La seconda questione che presenta la controversia
riguarda la legittimità dell’assunzione a carico del bilancio dell’ente del
rimborso delle spese legali in favore di un dipendente.
La restituzione in argomento,
viene censurata e ritenuta illecita dalla parte attrice per i seguenti motivi:
- l’ordinamento contempla l’ipotesi
del rimborso di cui si tratta, nel caso di assoluzione nel procedimento penale
in cui è rimasto coinvolto, per il dipendente la cui condotta non solo sia
connessa all’espletamento del servizio e all’adempimento dei propri doveri di
ufficio, ma anche posta in essere in diretto rapporto con le mansioni
intestategli. La compresenza degli indicati presupposti non sarebbe
registrabile in fattispecie, avuto riguardo all’attività contra legem posta in
essere dalla dipendente che non potrebbe ritenersi connessa con i fini
istituzionali dell’ente;
- presenza di un conflitto di
interessi tra la dipendente e l’ente locale;
- omesso rigoroso esame della parcella
del legale da parte delle strutture dell’ente e del consiglio comunale.
2.2.1. La materia della assunzione da parte degli enti
locali delle spese legali sostenute da propri dipendenti per procedimenti
penali promossi nei loro confronti, è attualmente regolata dall'articolo 28 del
C.C.N.L. per il personale del comparto delle Regioni e delle Autonomie locali
del 14.9.2000, disciplina applicabile anche al personale di qualifica
dirigenziale degli enti locali in virtù dell’articolo 12 del C.C.N.L. della
dirigenza per il biennio 2000 - 2001.
In precedenza, e all’epoca dei fatti,
in termini pressochè analoghi si poneva la disciplina recata dagli articoli 16
del d.P.R 1.6.1979, n. 191, 22 del d.P.R. 25.6.1983, n. 347 e 67 del d.P.R.
13.5.1987, n. 268.
Ai sensi della disposizione da ultimo
richiamata :
“1. L'Ente, anche a tutela dei propri
diritti ed interessi, ove si verifichi l'apertura di un procedimento di
responsabilità civile o penale nei confronti di un suo dipendente per fatti o
atti direttamente connessi all'espletamento del servizio e all'adempimento dei
compiti d'ufficio, assumerà a proprio carico, a condizione che non sussista
conflitto di interessi, ogni onere di difesa sin dall'apertura del procedimento
facendo assistere il dipendente da un legale di comune gradimento.
2. In caso di sentenza di condanna
esecutiva per fatti commessi con dolo o con colpa grave, l'Ente ripeterà dal
dipendente tutti gli oneri sostenuti per la sua difesa in ogni grado di
giudizio.”
La giurisprudenza della Corte dei
conti, nell’interpretazione della suddetta disciplina, ha enunciato i seguenti
principi:
- mentre dall’articolo 16 del d.P.R
1.6.1979, n. 191 poteva dedursi la possibilità di rimborso delle spese legali a
procedimento concluso, l’articolo 67 del menzionato d.P.R. 268/1987 non prevede
tale opzione (Sezione Abruzzo, 17 maggio 2004, n. 428; Sezione Lazio 1
febbraio 2011, n. 141);
- il comma 2 dell’articolo 67 del
d.P.R. 268/1987, pone in risalto la diversità della prospettiva di ausilio ex
ante, giacché se il meccanismo fosse quello del rimborso, in caso di condanna
l’Amministrazione non potrebbe recuperare nulla, non avendo sostenuto oneri.
Del resto la “assistenza” da parte di un legale di comune gradimento ( articolo
67, comma 1), evidenzia nitidamente la necessità di una preventiva valutazione da
parte dell’Amministrazione ( Sezione Lazio n. 141 del 2011 cit.);
- nel sistema “a rimborso”,
caratterizzato, quindi, dal conferimento ex post degli oneri già affrontati dal
dipendente (previsto ad esempio per i dipendenti statali dall’art.18 della legge
21.5.1997, n. 135), l’erogazione da parte dell’ente è consentita esclusivamente
in caso di assoluzione con formula piena che escluda in modo incontrovertibile la
presenza del dolo o della colpa grave. In particolare la liquidazione delle
spese legali può essere legittimamente disposta quando gli imputati –
dipendenti siano stati assolti con la formula più ampia e liberatoria e, cioè,
con una sentenza che abbia riconosciuto la non sussistenza del fatto criminoso
o la non attribuibilità ai medesimi. Diversamente l’esito del giudizio penale “perché
il fatto non costituisce reato”, non implica l’automatico riconoscimento della
insussistenza di fatti dannosi per l’erario. Tale formula assolutoria non
equivale, assiomaticamente, a escludere che le condotte dei dipendenti possano
rilevare sotto il profilo della responsabilità erariale (Sezione Lazio 12
ottobre 2009, n. 1908);
- l’articolo 67 consente l’assunzione
degli oneri di difesa dell’ente “anche a tutela dei propri diritti e
interessi”. “….tale indicazione non può che significare che l’Amministrazione,
nell’accollarsi un onere (qualora, beninteso, non vi sia “conflitto con
l’ente“), si deve anche far carico che la vicenda processuale non abbia esiti
che possano ripercuotersi negativamente sui suoi interessi o sulla sua immagine
pubblica. E’ questa la ragione per cui la disciplina vigente stabilisce che il
legale deve essere di comune gradimento” ( Sezione Lazio n. 141 del 2011 cit.);
- la menzionata disciplina impone
all'Ente, prima di deliberare di assumere a carico del proprio bilancio ogni
onere di difesa in un procedimento di responsabilità civile o penale aperto nei
confronti di un proprio funzionario, di accertare la compresenza delle seguenti
circostanze essenziali:
a. necessità di tutelare i propri
diritti e interessi e la propria immagine;
b. diretta connessione del giudizio
alla posizione rivestita dal dipendente all’interno dell’apparato
tecno-burocratico;
c. inconfigurabilità di conflitto di
interessi tra gli atti compiuti dal dipendente e l'ente (Sezione Lazio n.141
del 2011 cit.);
- l'ente è tenuto a ponderare i propri
interessi nel quadro del pendente procedimento giudiziario, per assicurare una
buona e ragionevole amministrazione delle risorse economiche e a tutela del
proprio decoro e della propria immagine. In tale quadro, l’assunzione delle
spese dei procedimenti penali in cui siano implicati i propri dipendenti o
amministratori è strettamente legato alla circostanza che tali procedimenti
riguardano fatti ed atti in concreto imputabili non ai singoli soggetti che
hanno agito per conto della Pubblica Amministrazione, ma direttamente ad essa
in forza del rapporto di immedesimazione organica. La ponderazione degli
interessi in gioco ai fini della rimborsabilità delle spese legali ai
dipendenti pubblici o amministratori deve assumere particolare rigore (cfr., in
tal senso, tra le tante, C.d.S. Sez, V, dec. n. 2242/2000, Cass., Sez. I, sent.
n. 15724/2000).
2.2.2. Tanto premesso, osserva il Collegio che ai sensi
della disciplina richiamata al precedente paragrafo, l’ente locale, anche a
tutela dei propri diritti e interessi, ove si verifichi l’apertura di un
procedimento di responsabilità civile o penale nei confronti di un suo dipendente
per fatti o atti direttamente connessi all’espletamento del servizio e
all’adempimento dei compiti d’ufficio, assume a carico del proprio bilancio
ogni onere di difesa sin dall’apertura del procedimento, a condizione che non
sussista conflitto di interessi, facendo assistere il dipendente da un legale
di comune gradimento.
Nell’interpretazione della normativa
in questione, la giurisprudenza ha statuito che l’ordinamento non annovera un
principio generale che consenta di affermare la presenza di un generalizzato
diritto al rimborso di tali spese.
L’accollo dell’onere della spesa per
l’assistenza legale ai propri dipendenti non configura un atto dovuto
caratterizzato da automatismo, ma una decisione dell’ente locale basata
sull’accertamento della ricorrenza dei presupposti indicati dalla legge e su
rigorose valutazioni che occorre effettuare, anche ai fini di una trasparente,
efficace ed efficiente amministrazione delle risorse economiche pubbliche.
Nel delineato contesto incombe all’ente
accertare la connessione della vicenda giudiziaria con la funzione rivestita
dal pubblico funzionario, tutelare i suoi diritti ed interessi, verificare l’assenza
di conflitto di interessi tra gli atti compiuti dal funzionario e i propri fini
istituzionali nonchè la conclusione del procedimento penale con una sentenza di
assoluzione ( ex multis: Cass., SS.UU., 29/05/2009, n. 12719; Cass., Sez. Lavoro,
07/06/2010, n. 13675; Corte dei conti, Sezione Lazio 1 febbraio 2011, n. 141).
Con riferimento ai “fatti o atti
direttamente connessi all’espletamento del servizio e all’adempimento dei
compiti di ufficio”, la giurisprudenza amministrativa ha evidenziato che la
ratio sottesa alla norma in parola è quella di tenere indenni i soggetti, che
hanno agito in nome e per conto - oltre che nell’interesse -
dell’Amministrazione, delle spese legali affrontate per i procedimenti
giudiziari strettamente connessi all’espletamento dei loro compiti
istituzionali, con la conseguenza che il requisito essenziale in questione “può
considerarsi sussistente solo quando risulti possibile imputare gli effetti
dell’agire del pubblico dipendente direttamente all’Amministrazione di
appartenenza”.
Non è quindi sufficiente che
l’imputato sia stato prosciolto con formula liberatoria; occorre che il
dipendente sia implicato in fatti che si trovino in diretto rapporto con le
mansioni svolte e che siano connesse all’espletamento del servizio e
all’adempimento dei propri doveri d’ufficio (Corte dei conti, Sezione Lazio 12
ottobre 2009, n. 1908).
Dalla sentenza n. 90 del 4 novembre
2004, pronunciata dal Giudice dell’udienza preliminare presso il Tribunale di
Matera, si evince che la Signora Marrese Rosa è stata imputata del reato di cui
agli artt.110, 323 cp. perché, avendo taluni soggetti “realizzato presso il
fabbricato di loro proprietà ….in zona sottoposta a vincolo paesaggistico,
oltre che in zona individuata come A/1 dal P.R.G. - nella quale è vietato ogni
tipo di intervento urbanistico e architettonico ad alterazione della situazione
preesistente…(e) ammesse opere di restauro nel rispetto volumetrico e formale
delle strutture edilizie attuali con interventi di ristrutturazione organica
(suddivisione funzionale degli spazi interventi e degli impianti
igienico-sanitari)- opere edilizie difformi rispetto a quanto assentito con
concessione edilizia n. 15/2001 del 17/01/2001, rilasciava, quale responsabile
del servizio urbanistica presso il Comune di Pisticci, illegittimamente ai
predetti …….concessione gratuita in sanatoria n. 24/2003 del 03/02/2003, ex
art.13 L. 47/85, così intenzionalmente procurando ai richiedenti l’ingiusto
vantaggio patrimoniale derivante dal mantenimento delle opere abusive”.
L’illegittimità della concessione in
sanatoria consisteva, secondo la prospettazione accusatoria, nella violazione:
1) dell’art. 13 L. 47/85, atteso che
gli abusi sanati non erano conformi alle prescrizioni di P.R.G., avendo
comportato modifiche di sagome e volumi, oltre che modifiche delle superfici
utili;
2) degli artt. 32 L. 47/85 e 1 e ss.
LR n. 50/93, atteso che la concessione in sanatoria veniva rilasciata senza la
preventiva acquisizione del parere dei competenti uffici della Regione
Basilicata….”.
La sentenza stessa ha dichiarato il
non luogo a procedere nei confronti degli imputati, tra gli altri la Signora
Marrese, perche “ il fatto ascritto non costituisce reato”, nella
considerazione che non era rimasta comprovata la collusione illecita tra la
stessa e i beneficiari del provvedimento tale “ da far ragionevolmente ritenere
la sussistenza di una dolosa violazione di norme di legge”.
Orbene, in materia, la giurisprudenza
della Corte dei conti, ha enunciato il principio secondo cui “ la liquidazione
delle spese legali ai convenuti prosciolti in un procedimento penale possa
disporsi quando i medesimi sono stati assolti con la formula più ampia e
liberatoria e cioè con una sentenza che abbia riconosciuto la non sussistenza
del fatto criminoso o la non attribuibilità ai medesimi ( ex multis Sezione
giurisdizionale Lazio 12 ottobre 2009, 1908).
Invero l’assoluzione dell’imputato con
la formula “perché il fatto non costituisce reato”, è riferita alla
inconfigurabilità del reato, ma non attesta la insussistenza di condotte
censurabili ad altro titolo.
La vicenda di cui è controversia pone
in risalto la circostanza che la Signora Marrese, nella qualità di responsabile
del servizio urbanistica del Comune di Pisticci, ha rilasciato una concessione
edilizia in sanatoria a soggetti che non ne avevano titolo, secondo l’attore,
legittima, ad avviso dei convenuti.
In
fattispecie la sentenza n. 90 del 4 novembre 2004, pronunciata dal Tribunale di
Matera, ha escluso la consumazione del reato di abuso d’ufficio, contestato,
tra gli altri, alla Signora Marrese, nella sua posizione di Capo Servizio
Urbanistica del comune di Pisticci, destinataria del rimborso delle spese
legali liquidato dall’ente locale, nella considerazione che “ Nessun atto del
procedimento consente di ritenere provata …. la collusione, né che tra il
pubblico ufficiale e gli altri imputati vi fossero rapporti qualificati tali da
far ragionevolmente ritenere la sussistenza di una dolosa violazione di legge”.
Su tali
basi il Giudice penale ha ritenuto non comprovata la sussistenza del dolo.
Nella
pronuncia in rassegna l’accertamento della sussistenza dell’elemento oggettivo
del reato e, cioè, l’adozione di provvedimenti illegittimi, non è stato
compiuto, stante la carenza di prova in ordine alla ricorrenza del dolo.
L’illegittimità
del provvedimento di concessione edilizia in sanatoria, deve essere valutata
dal Collegio al fine di verificare la presenza o meno di una posizione di
conflitto tra il Capo Settore Urbanistica che lo aveva emesso e l’ente locale ove
era incardinato.
Al
riguardo si deve osservare che entrambi i profili di illegittimità dedotti
dall’attore risultano fondati.
In
merito alla violazione della disciplina recata dall’articolo 13 della legge 28
febbraio 1985, n. 47, correttamente la Procura regionale ha rilevato come gli
abusi oggetto di concessione edilizia in sanatoria, essendo consistiti, tra
l’altro, in modifiche di sagome, aumento di volumetria e variazione delle
superfici utili, si ponessero in antitesi con le prescrizioni del Piano
regolatore generale del comune di Pisticci, secondo cui “è vietato ogni tipo di intervento urbanistico e architettonico ad
alterazione della situazione preesistente…sono ammesse opere di restauro nel
rispetto volumetrico e formale delle strutture edilizie attuali con interventi
di ristrutturazione organica (suddivisione funzionale degli spazi interventi e
degli impianti igienico-sanitari)”.
Nel
delineato contesto appaiono poco comprensibili le difese spiegate sul punto dal
convenuto D’Angella, secondo cui “le lievi difformità” sarebbero state sanate
avuto riguardo alla “conformità” delle opere alle previsioni del P.R.G..
La stessa
descrizione degli interventi effettuata dal convenuto, e che diedero luogo
all’emissione da parte del Settore Urbanistica di ordinanza di demolizione,
evidenzia, senza ombra di dubbio, la realizzazione di incrementi volumetrici,
di superficie utile e modifiche di sagoma del manufatto oggetto di intervento
edilizio, in palese violazione con la riportata previsione del Piano
urbanistico, con la conseguenza che non poteva trovare cittadinanza, nella
fattispecie, l’articolo 13 della legge n. 47 del 1985 che consente il rilascio
della concessione edilizia in sanatoria soltanto se gli abusi compiuti non
alterino volumi, superfici e forme preesistenti, e limitatamente al ”restauro nel rispetto volumetrico e formale delle strutture
edilizie attuali con interventi di ristrutturazione organica (suddivisione
funzionale degli spazi interventi e degli impianti igienico-sanitari). Sotto distinto profilo appare evidente anche la
illegittima mancata acquisizione del parere della Regione Basilicata sul
progetto edilizio.
In proposito il convenuto
D’Angella, ha dedotto che, sulla scorta della normativa regionale di
riferimento, il rilascio del nullaosta del vincolo ambientale e paesaggistico,
è stato rilasciato dagli uffici comunali a termini dell’articolo 7 della legge
Regione Basilicata 2 settembre 1993, n. 50, come modificato dall’articolo 38
della legge Regione Basilicata 8 marzo 1999, n. 7.
Dalla sentenza penale,
peraltro, si evince che detto parere non venne richiesto in quanto “… in data
10.11.2001 è stata eseguita verifica sul posto da parte del geometra…. dei
BB.AA. e Architettonici che non riscontrava alcuna irregolarità e che le stesse
opere rispettavano i vincoli e le prescrizioni in materia….”
E’ venuta meno, quindi, anche
la procedura prescritta dall’articolo 38, comma 3, della legge regionale n. 7
del 1999, che sostituendo l’articolo 7 della legge regionale n. 50 del 1993, ha
previsto la subdelega ai comuni delle funzioni regionali concernenti, tra le
altre, il rilascio del nullaosta per le opere abusive, soggette a condono
edilizio o sanatoria ai sensi della legge n. 47 del 1985, con relativa
valutazione del danno paesaggistico, previo parere della commissione per la
tutela del paesaggio.
L’intervenuto
proscioglimento, fra gli altri, dell’imputata Marrese perché il fatto non
costituisce reato, non avrebbe potuto far venir meno l’esistenza di un
conflitto di interesse con l’ente locale ed avrebbe dovuto indurre gli odierni
convenuti a soprassedere dal rimborso delle spese legali, proprio per la
sussistenza di una condotta oggettivamente contraria ai fini perseguiti
dall’ente.
Il provvedimento di concessione edilizia in sanatoria, in sintesi,
ha configurato atto contrario ai
principi di correttezza, imparzialità e buon andamento della Pubblica
Amministrazione, e, conseguentemente, l’attività del Capo Settore Urbanistica
del Comune di Pisticci ha evidenziato un palese conflitto di interessi con i
fini e con gli interessi dell’ente stesso.
Alla
stregua delle suddette considerazioni la liquidazione delle spese legali non
avrebbe dovuto essere oggetto di delibera ammissiva del Consiglio comunale.
2.2.3. L’atto di citazione radica la responsabilità
dei convenuti anche in ragione dell’omesso rigoroso esame della parcella del
legale da parte delle strutture dell’ente e del consiglio comunale.
Al riguardo è necessario premettere
che l’atto introduttivo del giudizio alle pagine 11 e 12 ha censurato la
misura del rimborso delle spese legali di cui è controversia.
Dopo aver precisato che la tariffa
forense applicabile era quella di cui al d.m. 8 aprile 2004, n. 127, la Procura
regionale ha evidenziato, oltre la mancanza di qualsiasi documentazione agli
atti del Comune, che gli onorari applicati dal legale che aveva rilasciato la
parcella sulla cui base venne disposto il rimborso, “sono stati quantificati
tenendo conto dei massimi, aumentati del 100%, senza fornire alcuna motivazione
in merito alla complessità del caso”.
Osserva il Collegio che dalla
documentazione in atti si evince che il Comune di Pisticci ha corrisposto, a
titolo di rimborso per spese legali quanto richiesto, senza alcuna verifica, in
particolare in relazione alla adeguatezza e alla conformità della parcella alla
tariffa professionale.
Neppure si potrebbe sostenere la
superfluità degli indicati accertamenti tenuto conto che la parcella del legale
risultava munita del parere del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati.
La giurisprudenza, infatti, ha
elaborato da tempo il principio di non vincolatività del parere espresso sulla
parcella dall’organo professionale, costituendo tale strumento un mero
controllo di corrispondenza delle voci indicate nella parcella stessa a quelle
previste nella tariffa forense, che non avvalora in alcun modo i criteri
adottati dal professionista per individuare valore e complessità della
controversia (Cassazione Sezione II, 30 gennaio 1997 n. 932, 27 settembre 2011,
n. 19750).
Come già accennato l’ente pubblico,
prima di farsi carico dell’onere delle spese legali, è chiamato a procedere ad
attente e rigorose valutazioni delle istanze di rimborso, al fine di assicurare
una buona, ragionevole ed imparziale amministrazione delle risorse pubbliche.
In fattispecie tutto ciò è mancato.
Del resto le difese dei convenuti non
hanno contraddetto quanto sostenuto dall’attore, ma, soltanto, precisato che il
rimborso liquidato appariva congruo alla stregua della gravità delle accuse
mosse all’amministratore, della complessità del lavoro compiuto dal legale e
della misura delle parcelle liquidate per analoghi contenziosi.
Si tratta di argomenti di evidente
fragilità rispetto alla prospettazione accusatoria la quale ha nitidamente
dimostrato la inadeguata istruttoria e il superficiale approccio del consiglio
comunale, avuto riguardo alla inidonea e non corretta valutazione circa la
sussistenza dei presupposti necessari per il legittimo riconoscimento del
debito fuori bilancio e per il conseguente pagamento della prestazione
professionale.
3. Ritenuta sussistente la consumazione del nocumento
erariale, il Collegio deve accertare, ai fini della configurazione della
responsabilità amministrativa, la sussistenza del nesso di causalità tra le
condotte poste in essere dai convenuti e l’evento dannoso nonché dell’elemento
psicologico della colpa grave nelle condotte stesse.
3.1. Il nesso di causalità tra l’esborso, configurante
il danno erariale, e l’attività dei convenuti viene ravvisato dalla parte
attrice nell’istruttoria espletata dal responsabile dell’area tecnica del
Comune di Pisticci, il cui esito è costituito dal parere di regolarità dal
medesimo rilasciato e nella votazione della delibera di riconoscimento di
debito.
La riportata impostazione viene
censurata dal convenuto D’Angella, nella parte che lo interessa, nella
considerazione che il parere da lui rilasciato, quale Dirigente dell’Ufficio
legale dell’ente locale, ai sensi e per gli effetti dell’articolo 49 del
decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, non riguarderebbe la legittimità
dell’atto, ma soltanto la verifica della sussistenza dei presupposti che ne
consentirebbero l’adozione.
Ai sensi dell’articolo 49 del decreto
legislativo 18 agosto 2000, n. 267:
“1. Su ogni proposta di deliberazione
sottoposta alla giunta ed al consiglio che non sia mero atto, di indirizzo deve
essere richiesto il parere in ordine alla sola regolarita' tecnica del
responsabile del servizio interessato e, qualora comporti impegno di spesa o
diminuzione di entrata, del responsabile di ragioneria in ordine alla
regolarita' contabile. I pareri sono inseriti nella deliberazione.
2. Nel caso in cui l'ente non abbia i
responsabili dei servizi, il parere e' espresso dal Segretario dell'ente, in
relazione alle sue competenze.
3. I soggetti di cui al comma 1
rispondono in via amministrativa e contabile dei pareri espressi”.
Al riguardo la giurisprudenza
evidenzia i seguenti approdi:
-
“Non è possibile ravvisare una
condizione di ignoranza scusabile, laddove vengano in questione norme che il
pubblico funzionario - soprattutto se appartenente alla qualifica dirigenziale
- è tenuto a conoscere, in quanto strumentali allo svolgimento della propria
attività; e, pertanto, nell'ipotesi di procedura di gara svolta mediante
l'istituto della finanza di progetto (art. 37-bis della L. n. 109/1994 e succ.
modif.), nessuna scriminante, in termini di errore scusabile, può configurarsi
in favore del dirigente del settore tecnico del comune, nonché responsabile
unico del procedimento, per la violazione delle norme che disciplinano la
pubblicità degli avvisi di gara, nonché per l'ulteriore avallo dato alla
prosecuzione della procedura stessa - disposta con delibera
dell'amministrazione comunale - tramite l'adozione del parere favorevole di
regolarità tecnica, ex art. 49 del D.L.vo n. 267/2000”. ( Sezione Campania 6
luglio 2009, n. 750);
-
il parere di regolarità tecnica
ex art. 49 d. lgs. n. 267/2000 è da considerarsi determinante ai fini
dell’adozione della deliberazione. Circa il concreto significato del predetto
“parere” - che, è bene evidenziare, è tutt’altra cosa rispetto al “visto” di
cui all’art. 151 della suddetta norma – si ritiene che esso non possa essere
limitato all’aspetto formale, anche in relazione alla circostanza che
l’estensore ne risponde, ai sensi del 3° comma del citato art. 49, “in via
contabile”. Un diverso orientamento non darebbe concreto contenuto all’attività
posta in essere, dal funzionario, nella formazione di un provvedimento (
Sezione giurisdizionale Toscana 1 dicembre 2010, n. 472; 20 febbraio 2012, n.
85; 3 febbraio 2012, n. 46; 3 settembre 2012, n. 415).
Osserva il Collegio che il citato
articolo 49 ha introdotto una sostanziale responsabilizzazione dei soggetti che
esprimono i pareri ivi previsti, coerente con lo spirito della riforma della
disciplina delle autonomie locali incentrato sulla separazione dell’attività di
gestione (incardinata nell’apparato tecno-burocratico) da quella di direzione
politica ( intestata agli organi rappresentativi della collettività locale), e
delle correlate responsabilità.
In tale prospettiva al parere di
regolarità tecnica fanno riscontro eventuali profili di responsabilità
amministrativo-contabile del soggetto che lo ha rilasciato.
La finalità della riforma, peraltro,
non consiste nell’accentramento della responsabilità in capo al soggetto che ha
espresso il parere di cui si tratta, con conseguente deresponsabilizzazione
dell’organo titolare del potere decisionale, e, quindi, nel ribaltamento delle
responsabilità stesse, ma è ravvisabile nel rafforzamento degli strumenti di
tutela apprestati dall’ordinamento.
In estrema sintesi il parere di
regolarità, ancorché obbligatorio nei casi previsti dalla legge per il
perfezionamento delle procedure amministrative e contabili preordinate alla
fattibilità della deliberazione stessa, non è mai vincolante e non è equiparabile
alla scelta discrezionale di competenza dell’organo competente ( nella specie
quello consiliare che l’ha concretamente esercitata).
L’atto introduttivo del giudizio,
inoltre, ravvisa il nesso eziologico tra la condotta del D’Angella e l’evento
dannoso non solo con riferimento al rilascio del parere di cui all’articolo 49
del d.lg.vo n. 267 del 2000, ma anche per avere il medesimo convenuto curato, altresì,
tutta l’attività istruttoria, finalizzata all’adozione della delibera in
questione (in particolare, la predisposizione delle schede per accertamento e
riconoscimento di ogni singolo debito, ai sensi dell’art. 194, lettera e, con
attestazione della utilità ed arricchimento per l’ente) nonché provveduto ad
adottare i relativi conseguenti atti di liquidazione.
Viene in rilievo, quindi, una attività
complessa ( propositiva e consultiva) che si pone in immediata e diretta
correlazione con la consumazione del danno di cui è controversia.
3.2. In ordine all’indagine sulla colpa grave in capo ai
convenuti, osserva il Collegio che la parte attrice ha fornito ampia e
convincente prova della sua sussistenza.
Le posizioni del convenuto D’Angella e
quelle dei restanti convenuti, componenti del Consiglio comunale, devono essere
distinte, avuto riguardo alla diversa condotta dagli stessi posta in essere.
Come già accennato, l’assunzione di un
atto di peculiare rilievo e delicatezza, sotto il profilo finanziario e
contabile, quale il riconoscimento di un debito fuori bilancio, esige approfonditi
accertamenti in ordine alla compresenza dei presupposti che ne legittimano
l’adozione nonché il loro rigoroso apprezzamento da parte dei soggetti
coinvolti nel procedimento.
3.2.1. La vicenda sottoposta al sindacato di questa Corte
ha evidenziato, invece, una marcata superficialità nell’espletamento della
istruttoria e nella fase decisionale.
Con riferimento alla istruttoria, ha
osservato l’attore come la stessa presentasse vistose lacune in ordine alla
corretta individuazione del contesto normativo di riferimento, alla congruità
della somma richiesta a titolo di rimborso delle spese legali, alla posizione
di conflitto del dipendente destinatario del rimborso delle spese legali con il
comune di Pisticci.
Viene ad emersione, quindi, una
vistosa leggerezza nell’approccio di una vicenda che, al contrario, avrebbe
richiesto un rigoroso esame al fine di fornire una completa informativa
all’organo deliberativo e, soprattutto, a salvaguardia dell’interesse pubblico.
Nel delineato contesto la condotta del
D’Angella appare sicuramente censurabile.
Premesso, come ben puntualizzato
dall’attore, che il convenuto vanta
professionalità specifica e particolare competenza in materia, in quanto preposto
all’ufficio legale del Comune di Pisticci, si deve rilevare che il medesimo non
espletò alcuna verifica in relazione alla all’adeguatezza del compenso
richiesto dal professionista, non solo applicato nella misura massima, ma anche
maggiorato del 100%, senza indicazione alcuna in ordine alla particolare
complessità del caso.
Più che evidente, quindi, risulta la
superficialità dell’istruttoria compiuta dal convenuto il cui esito è
costituito dal parere di regolarità tecnica.
Ancora deve rilevare il Collegio la
lettura superficiale da parte del convenuto della sentenza n. 90 del 4 novembre
2004, pronunciata dal Tribunale di Matera, che lasciava aperta la problematica
del conflitto di interessi, venutosi a creare tra il dipendente e l’ente locale,
agevolmente accertabile sulla base di un mero raffronto tra il provvedimento di
concessione in sanatoria e il contesto normativo di riferimento.
Circostanza, quest’ultima, preclusiva
dell’assunzione a carico dell’ente delle spese di cui era stata chiesta la
restituzione dalla Signora Marrese.
In conclusione il convenuto ha, con
colpa gravissima, tenuto conto della sua professionalità specifica e della sua
preposizione all’Ufficio legale, abdicato ai suoi fondamentali doveri di
diligenza e alla cura degli interessi dell’ente locale ove è incardinato.
3.2.2. Ad omologhe conclusioni, in punto di sussistenza
della colpa grave, il Collegio giunge in relazione alla posizione dei restanti
convenuti, componenti del Consiglio comunale di Pisticci.
La vicenda di cui è controversia
appare connotata, sotto molteplici aspetti, da superficialità e negligenze
particolarmente rilevanti, tenuto conto che la delibera di riconoscimento del
debito presuppone particolare cautela, penetranti accertamenti e rigore
valutativo, al fine di garantire il legittimo, efficiente, efficace ed
economico impiego delle pubbliche risorse in conformità al precetto del buon
andamento e imparzialità contemplato nell’articolo 97 della Costituzione.
In fattispecie la delibera di cui si
tratta è stata votata senza una idonea e corretta valutazione circa la
sussistenza dei presupposti necessari per il legittimo riconoscimento del
debito fuori bilancio e per il conseguente pagamento della prestazione
professionale.
In particolare la scarna
documentazione sottoposta al vaglio del Consiglio comunale e l’esistenza di una
vicenda penale da cui scaturiva la richiesta di rimborso delle spese legali e,
verosimilmente, l’eco della vicenda stessa, avrebbero dovuto indurre i
convenuti, ratione muneris, a richiedere, oltre l’intero carteggio per
verificare la sussistenza dei presupposti per poter procedere al suddetto
rimborso, quanto meno mirati supplementi di istruttoria in ordine alla fondatezza
della richiesta della dipendente, alla congruità della parcella, e,
soprattutto, all’assenza di conflitto di interessi tra la stessa e il comune di
Pisticci.
Tutto ciò nella considerazione che il
riconoscimento del debito fuori bilancio, è di pertinenza del Consiglio
comunale ai sensi dell’articolo 194 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n.
267.
Non viene in rilievo la ratifica o l’approvazione
di un atto della struttura burocratica, ma l’adozione di un provvedimento rientrante
appieno nella propria sfera di competenza e responsabilità del Consiglio
comunale (Sezione terza centrale d’appello 27 dicembre 2011, n. 888).
In siffatto contesto, come evidenziato
dalla giurisprudenza, la sussistenza della colpa grave non viene meno per
l’affidamento riposto dal Consiglio comunale nell’istruttoria condotta
dall’apparato burocratico dell’ente locale, stante la competenza e
responsabilità dell’organo consiliare nel deliberare il riconoscimento di un
debito (Sezione Terza centrale n. 888/2011 cit.; Sezione giurisdizionale
Toscana 3 settembre 2012, n. 415).
4. Il Collegio, infine, deve quantificare il danno di
cui è controversia alla stregua dell’apporto nella sua produzione da parte di
soggetti non evocati in giudizio.
Avuto riguardo ai fatti che hanno
caratterizzato al vicenda, ritiene che il pregiudizio patito dal Comune di
Pisticci debba essere determinato, in via equitativa, nella somma di euro 3.000,00.
Attesa la marcata gravità delle
condotte dei convenuti resta precluso l’esercizio del potere riduttivo dell’addebito.
5. Conclusivamente i convenuti vanno condannati al
pagamento della indicata somma, maggiorata dell’importo per rivalutazione
monetaria, da calcolare dalla data dell’avvenuto pagamento e sino alla
pubblicazione della presente sentenza, e da quello per interessi legali, da
computare da tale ultima data e sino all’integrale soddisfo.
In ordine alla ripartizione del
pregiudizio erariale, deve ritenersi supportata da congrua motivazione la
richiesta dell’attore di addebitarne un terzo a carico del D’Angella, avuto
riguardo alla sua prevalente attività, rispetto agli altri convenuti, che
rimangono onerati dei restanti due terzi.
Il D’Angella, infatti, nella sua
posizione qualificata all’interno dell’ente locale, all’esito di una
istruttoria incompleta e superficiale, espresse il parere di regolarità
tecnica, allegando la scheda di accertamento del debito e attestando l’utilità
e arricchimento dell’ente, e, successivamente, sulla base della delibera di
riconoscimento del debito, provvide ad emettere i provvedimenti di
liquidazione.
Evidente, quindi, si appalesa la
maggiore responsabilità del citato convenuto rispetto alle posizioni dei membri
del Consiglio comunale evocati in giudizio.
Le spese
di giustizia seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte dei conti, Sezione Giurisdizionale
per la Regione Basilicata, ogni contraria domanda ed eccezione respinte:
a)
condanna D’ANGELLA Anio al pagamento in favore del Comune di Pisticci della
somma di euro 1.000,00, oltre rivalutazione monetaria - dalla data del
pagamento costituente danno erariale e sino alla pubblicazione della presente
pronuncia - e interessi legali - da quest’ultima data e sino al soddisfo;
b)
condanna
GALLO Rosa Maria Anna,
RAGO Renato, PANETTA Rosa, IANNUZZIELLO Giuseppe, CALCIANO
Leonardo, DIMO Massimo, GIANNASIO Paolo, SCAZZARIELLO
Leonardo Giuseppe, CARAVITA Mariano, PREZIOSO Rosa, OLIVA
Giovanni, ROMANO Salvatore, GRIECO Rocco Salvatore, al
pagamento in favore del Comune di Pisticci della somma di euro 153,85 ciascuno,
oltre rivalutazione monetaria - dalla data del pagamento costituente danno
erariale e sino alla pubblicazione della presente pronuncia - e interessi
legali - da quest’ultima data e sino al soddisfo;
c)
condanna,
altresì, tutti i convenuti, in via solidale, al pagamento delle spese di giudizio che, sino
all’originale della presente sentenza, vengono liquidate in euro 1.786,21=.
Euro millesettecentottantasei/21=.
Così deciso in Potenza, nella Camera di
consiglio del 13 dicembre 2011 proseguita in data 8 maggio 2012.
Il
Presidente estensore
(dott.
Luciano Calamaro)
F.to Luciano Calamaro
Depositata in Segreteria il -5 DIC. 2012
Il Preposto alla
Segreteria della
Sezione Giurisdizionale
Basilicata
(Maria Anna Catuogno)
F.to Maria Anna Catuogno