lunedì 7 gennaio 2013

Rimborso al dipendente delle spese legali sostenute per la difesa in un procedimento penale: l’accollo del Comune dell’onere della spesa non e' un atto dovuto caratterizzato da automatismo

(Corte dei Conti, Sez. Basilicata, sentenza 5.12.2012, n. 196)
 
                                                         Sent. n. 196/2012



REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA REGIONE BASILICATA
composta dai seguenti Magistrati:
Dott. Luciano CALAMARO              Presidente relatore
Dott. Vincenzo PERGOLA               Consigliere
Dott. Giuseppe TAGLIAMONTE      Consigliere
ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di responsabilità iscritto al n. 7892/EL del Registro di Segreteria, ad istanza della Procura regionale presso questa Sezione
nei confronti di
- GALLO Rosa Maria Anna, nata a Pisticci (MT) il 22/07/1952, RAGO Renato, nato a Pisticci (MT) il 19/05/1957, PANETTA Rosa, nata a Matera il 14/03/1963, IANNUZZIELLO Giuseppe, nato a Matera il 17/10/1956, CALCIANO Leonardo, nato a Pisticci (MT) il 19/06/1945, DIMO Massimo, nato Policoro (MT) il 05/01/1975, GIANNASIO Paolo, nato ad Aliano (MT) il 28/10/1947 e SCAZZARIELLO Leonardo Giuseppe, nato a Matera il 03/11/1975, tutti elettivamente domiciliati in Pisticci, al Corso Umberto I n. 17, presso lo studio dell’avvocato Domenico Padula che li rappresenta e difende;
- D’ANGELLA Anio, nato a Bari il 18/10/1952, rappresentato e difeso dall’avvocato Antonio Maria DE SENSI, elettivamente domiciliato in Potenza, alla Via Ciccotti n. 10, presso Casa Dello Russo Albina
- CARAVITA Mariano, nato a Policoro (MT) il 22/09/1976, PREZIOSO Rosa, nata a Molfetta (BA) il 09/04/1958, OLIVA Giovanni, nato a Pisticci (MT) il 26/06/1961 e ROMANO Salvatore, nato a Pisticci (MT) il 08/11/1958, tutti elettivamente domiciliati in Marconia di Pisticci, alla Via Ippaso n. 23, presso lo studio dell’avvocato Pasquale Tuccino che li rappresenta e difende ;
- GRIECO Rocco Salvatore, nato a Pisticci (MT) il 07/01/1937 ed ivi residente in Contrada Terranova;
 Visto l’atto introduttivo del giudizio ed esaminati tutti gli altri atti e documenti della causa;
Uditi, nella pubblica udienza del 13 dicembre 2011, con l’assistenza del Segretario dott.ssa Angela Micele, il relatore dr. Luciano Calamaro, il Pubblico Ministero nella persona del Vice Procuratore  generale dott. Ernesto Gargano, gli avvocati Padula, De Sensi  e Tuccino per i rispettivi assistiti.
Ritenuto in

F A T T O

Con deliberazione n. 41 del 30.06.2008, il Consiglio Comunale di Pisticci, tra l’altro, provvedeva, ai sensi dell’art. 194, comma 1, lettera e) del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, al riconoscimento del debito fuori bilancio di € 4.789,21, a titolo di rimborso spese legali sostenute per la propria difesa dalla Signora Marrese Rosa, nella sua qualità di dirigente dell’ufficio urbanistica dell’ente locale, in relazione al procedimento penale R.G. n. 832/03 incardinato presso il Tribunale di Matera.
Detto procedimento si era concluso con  sentenza di assoluzione n. 90 del 5 ottobre 2004 “di non luogo a provvedere perché il fatto non costituisce reato per il reato di abuso di ufficio.
In precedenza, l’interessata, con istanza del 18.11.2004 aveva chiesto al Comune di Pisticci il pagamento diretto in favore del proprio legale, avvocato Giovanni D’Onofrio, dell’importo sopra indicato.
La Procura regionale presso questa Sezione giurisdizionale, ritenendo che dalla fattispecie in esame emergessero profili di danno per l’erario, emetteva, in data 15/11/2010, l’invito di cui all’art. 5, comma 1, del d.l. 15/11/1993, n. 453, convertito dalla legge 14/01/1994, n.  19,  come  modificato dal d.l. 23/10/1996, n. 543, convertito con modificazioni nella legge 20/12/1996, n. 639, nei confronti dei consiglieri del Comune di Pisticci, che avevano votato la delibera.
Omologo atto veniva notificato all’avvocato Anio D’Angella, responsabile dell’ufficio legale dello stesso Comune, il quale aveva curato l’istruttoria, espresso parere favorevole di regolarità tecnica sulla proposta della delibera stessa e, nella qualità di responsabile del procedimento, disposto l’adozione dei conseguenti provvedimenti di propria competenza.
In data 13 gennaio 2011 i signori Iannuzziello Giuseppe, Scazzariello Leonardo Giuseppe, Rago Renato, Panetta Rosa, Calciano Leonardo, Giannasio Paolo, Dimo Massimo e Gallo Rosa Maria presentavano le proprie deduzioni, evidenziando la inesistenza nel caso concreto di conflitti di interesse e la natura ampiamente assolutoria della sentenza penale, circostanze che rendevano legittimo il censurato rimborso.
Sostenevano, inoltre, la adeguatezza delle somme corrisposte e la insussistenza di comportamenti connotati da dolo o colpa grave, tenuto anche conto dei pareri tecnici e contabili rilasciati dai competenti uffici comunali.
Omologhe difese venivano spiegate dall’avvocato Rocco Grieco, con deduzioni presentate il 18/01/2011.
Quest’ultimo deduceva che nella sua condotta  non fosse ravvisabile l’elemento psicologico del dolo o della colpa grave, tenuto conto, tra l’altro, dei pareri dei dirigenti dell’ufficio ragioneria e soprattutto dell’ufficio legale dell’ente, competente nella materia.
Soggiungeva, altresì, che il dirigente del predetto ufficio legale, nell’adottare i provvedimenti di liquidazione, non solo aveva fatto riferimento all’indirizzo consolidato della giurisprudenza, affermativo del riconoscimento del diritto al rimborso, ma aveva anche espresso il suo parere sull’arricchimento ed effettivo incremento patrimoniale dell’ente che sarebbe stato pari al 100%.
Infine, dopo  aver fatto cenno all’esistenza del parere del Collegio dei Revisori dei conti, affermava la netta divisione di competenze e delle correlate responsabilità tra organi politici ed organi burocratici.
Nel corso della richiesta audizione, tenutasi il 28/02/2011, l’indagato precisava di aver fatto affidamento sui pareri dei tecnici e sulla deontologia del professionista.
I signori Oliva Giovanni, Romano Salvatore, Caravita Mariano e Prezioso  Rosa, tutti  rappresentati e difesi dagli avvocati Cafasso Carmela e Tuccino Pasquale del foro di Matera, ognuno con distinto atto del 28 dicembre 2010, sostenevano la legittimità del rimborso delle spese legali ad un dipendente del comune, coinvolto in un procedimento penale per fatti inerenti i compiti d’ufficio, laddove sussistano i necessari presupposti della assenza di conflitto di interesse con l’ente, della piena assoluzione in sede penale e della diretta connessione tra contenzioso e carica ricoperta.
Da ultimo, evidenziavano che la delibera in questione era stata supportata da attività istruttoria, con relativi pareri favorevoli, sia da parte dei dirigenti dell’ufficio legale e del servizio ragioneria, sia da parte del Collegio dei Revisori dei conti.
Nell’audizione tenutasi in data 11/02/2011 ribadivano di aver agito in assoluta buona fede, in quanto tutto deponeva nella direzione della assoluta legittimità dell’atto che si andava ad approvare, non mancando di segnalare di aver chiesto recentemente di discutere la revoca della predetta delibera.
L’avvocato Anio D’Angella, rappresentato e difeso dall’avvocato Gaetano Esposito del foro di Matera, depositava nota di chiarimento rappresentando, in primo luogo, la legittimità del disposto rimborso delle spese legali effettuato in favore della dipendente.
Ha, poi, eccepito la carenza dell’elemento soggettivo della colpa grave adducendo di essersi limitato ad esprimere un mero parere di regolarità tecnica, peraltro obbligatorio, ma non vincolante, sulla proposta di deliberazione in questione, la cui adozione rientrava nell’esclusiva competenza del Consiglio comunale.
Ha rappresentato, altresì, che la approvazione della delibera di riconoscimento di debito, si è perfezionata alla stregua del parere di regolarità contabile, espresso dal dirigente del Servizio finanziario, e di quello rilasciato dal Collegio dei Revisori dei conti, atti che renderebbero la sua posizione marginale.
Nella audizione tenutasi il 14/02/2011 ribadiva detti argomenti.
Le deduzioni e gli argomenti svolti dagli invitati non apparivano alla Procura regionale idonei per poter procedere alla archiviazione della vertenza, per cui veniva emesso l’atto introduttivo del giudizio.
Premette l’attore che, in fattispecie, non sono ravvisabili i presupposti richiesti dall’ordinamento per l’assunzione a carico dell’ente di appartenenza delle spese sopportate per gli oneri di difesa da parte di un proprio dipendente, per fatti o atti direttamente connessi all’espletamento del servizio e all’adempimento dei compiti di ufficio.
In proposito rappresenta che la materia è ora regolata dall’art. 28 del C.C.N.L. per il personale del comparto delle Regioni e delle Autonomie locali del 14 settembre 2000, il quale, sostanzialmente, riproduce il testo dell’art. 67 del d.P.R. 13/05/1987, n. 268.
Le suddette disposizioni prevedono che “l’ente, anche a tutela dei propri diritti e interessi, ove si verifichi l’apertura di un procedimento di responsabilità civile o penale nei confronti di un suo dipendente per fatti o atti direttamente connessi all’espletamento del servizio e all’adempimento dei compiti d’ufficio, assumerà a proprio carico, a condizione che non sussista conflitto di interessi, ogni onere di difesa sin dall’apertura del procedimento, facendo assistere il dipendente da un legale di comune gradimento”.
Tale disposizione risulterebbe applicabile anche ai dirigenti degli enti locali alla stregua dell’articolo 12 C.C.N.L. della dirigenza per il biennio 2000 – 2001.
Sostiene la Procura regionale che la giurisprudenza avrebbe più volte messo in luce l’inesistenza nell’ordinamento un principio generale che consenta di poter affermare, indipendentemente dalla forma normativa settoriale ed a prescindere dai limiti in cui il diritto viene conformato, la cittadinanza di un generalizzato diritto al rimborso di tali spese.
L’assunzione dell’onere della spesa per l’assistenza legale ai dipendenti degli enti locali, infatti, non configurerebbe un atto dovuto, né, tanto meno, automatico, ma la conseguenza della presenza di presupposti e di rigorose valutazioni che l’ente è tenuto a fare, anche ai fini di una trasparente, efficace ed efficiente amministrazione delle risorse economiche pubbliche, quali la connessione della vicenda giudiziaria con la funzione rivestita dal pubblico funzionario, la tutela dei diritti ed interessi facenti capo all’ente, l’assenza di conflitto di interessi tra gli atti compiuti dal funzionario e l’ente stesso, la conclusione del procedimento con una sentenza di assoluzione.
A sostegno delle proprie considerazioni, l’attore richiama la giurisprudenza della Corte di cassazione e del Consiglio di Stato.
Con riferimento ai “fatti o atti direttamente connessi all’espletamento del servizio e all’adempimento dei compiti di ufficio”, la giurisprudenza amministrativa avrebbe evidenziato che la ratio sottesa alla previsione in parola sarebbe ravvisabile nell’esigenza di tenere indenni i soggetti, che hanno agito in nome e per conto - oltre che nell’interesse - dell’Amministrazione, delle spese legali affrontate per i procedimenti giudiziari strettamente connessi all’espletamento dei loro compiti istituzionali, con la conseguenza che il requisito essenziale in questione “può considerarsi sussistente solo quando risulti possibile imputare gli effetti dell’agire del pubblico dipendente direttamente all’Amministrazione di appartenenza”.
In tale caratterizzato contesto, non sarebbe sufficiente che l’imputato sia stato prosciolto con formula liberatoria; occorrendo, altresì, che il dipendente sia implicato in fatti che si trovino in diretto rapporto con le mansioni svolte e che siano connessi all’espletamento del servizio e all’adempimento dei propri doveri d’ufficio.
La Signora Rosa Marrese è stata imputata del reato di cui agli artt.110, 323 c.p. per avere rilasciato, quale responsabile del servizio urbanistica presso il Comune di Pisticci, illegittimamente ai richiedenti concessione gratuita in sanatoria n. 24/2003 del 03/02/2003, ex art.13 L. 47/85, così intenzionalmente procurando agli stessi l’ingiusto vantaggio patrimoniale derivante dal mantenimento di opere abusivamente realizzate.
L’illegittimità della concessione in sanatoria derivava dalla violazione dell’art. 13 della legge n. 47 del 1985 - atteso che gli abusi sanati non erano conformi alle prescrizioni di P.R.G., avendo comportato modifiche di sagome e volumi, oltre che modifiche delle superfici utili – e degli artt. 32 della stessa legge e 1 e seguenti della legge Regione Basilicata n. 50 del 1993 - posto che la concessione in sanatoria era stata assentita senza la preventiva acquisizione del parere dei competenti uffici della Regione Basilicata -.
Ad avviso di parte attrice, la Signora Marrese, nella qualità di responsabile del servizio urbanistica, rilasciò una concessione edilizia in sanatoria a soggetti che non ne avevano titolo, ponendo in essere una attività svincolata dai fini dell’ente, e per un interesse proprio, contravvenendo, quindi, all’obbligo di fedeltà e collaborazione.
Sul piano oggettivo, risulterebbe assente il requisito essenziale che legittima l’assistenza legale dell’ente, e, cioè, una attività espressione delle funzioni legittimamente esercitate per assolvere ai doveri d’ufficio.
La condotta censurata, in sintesi, non avrebbe nulla a che vedere con i compiti e i doveri di un responsabile del servizio urbanistica, in quanto  rapportabile unicamente all’interesse personale della Signora Marrese e non del Comune di Pisticci.
Nella descritta situazione, quindi, l’ente locale avrebbe dovuto astenersi dal rimborsare le spese legali.
Nella fattispecie, inoltre, difetterebbe anche l’ulteriore presupposto necessario per legittimamente procedere al rimborso delle spese legali e, cioè, la coincidenza di interessi tra la dipendente e l’amministrazione di appartenenza.
Mancherebbe, infatti, il rapporto di immedesimazione organica, inteso appunto come incardinamento del soggetto quale organo, nella amministrazione di appartenenza.
Il rapporto di immedesimazione organica, infatti, comporterebbe l'imputazione alla Amministrazione degli atti compiuti dall’organo nell'espletamento delle competenze demandategli.
Peraltro, l'operatività di questo meccanismo giuridico di imputazione non sarebbe privo di limiti; posto che il rapporto di immedesimazione organica si interromperebbe allorquando la persona fisica, titolare dell'organo, abbia agito per fini ulteriori rispetto ai compiti affidatigli e, quindi, alla funzione conferita ex lege alla Amministrazione pubblica.
La frattura del nesso organico con l’apparato pubblico renderebbe estranea l’amministrazione alle condotte poste in essere dal dipendente, in quanto verrebbe meno il nesso di strumentalità tra l'adempimento del dovere e il compimento dell'atto.
In altri termini, l’imputazione della signora Marrese sarebbe derivata dal suo comportamento antigiuridico e, quindi, nessun rilievo potrebbero assumere, ai fini del rimborso, comportamenti che, non esprimendo la volontà dell’amministrazione, costituiscono esclusiva ed autonoma manifestazione della personalità dell’agente (cfr. TAR Campania, Sez. Napoli, sent. 737/2005).
Allo stesso modo, avuto riguardo alla fattispecie concreta, il comportamento tenuto dalla Signora Marrese, pur non essendo sufficiente ad integrare il reato ascritto, risulterebbe, tuttavia, contrario ai doveri di un responsabile del servizio urbanistica ed in palese conflitto di interesse con quello dell’amministrazione comunale, atteso che la stessa avrebbe rilasciato una concessione edilizia in sanatoria per abusi edilizi per un intervento che non poteva in alcun modo essere così esitato ed in totale disprezzo non solo delle prescrizione del piano regolatore generale, ma anche senza acquisire i pareri obbligatori e vincolanti dei competenti uffici per la tutela paesaggistica.
La descritta situazione avrebbe posto in risalto un palese contrasto di interessi tra i fini istituzionali dell’ente e l’attività posta in essere dalla Signora Marrese, la quale, abusando della propria posizione, avrebbe sacrificato gli interessi generali a favore di quelli di privati.
Peraltro, l’assoluzione della Signora Marrese, contenuta nella sentenza n. 90/2004 con la formula “perché il fatto non costituisce reato” lascerebbe ampi margini di dubbio sull’effettiva assenza di situazioni di conflitto di interesse, sotto il profilo della violazione dell’interesse dell’ente ad una gestione conforme al principio di buon andamento ed imparzialità di cui all’art. 97 Cost., come statuito dalla giurisprudenza (cfr. Corte dei conti, Sez. Giur.Lazio, sent. n. 1908/2009).
Una valutazione approfondita delle argomentazioni contenute in sentenza consentirebbe di affermare che, pur non essendo stato dimostrato il dolo, tuttavia la condotta complessiva della Funzionaria comunale sarebbe rimasta caratterizzata per il compimento di gravi irregolarità amministrative, irrilevanti sotto il profilo penale, ma illecite sotto il profilo amministrativo, avendo la stessa rilasciato una concessione gratuita in sanatoria in una zona ove vigeva il divieto ogni tipo di intervento urbanistico ed architettonico.
Del resto l’ente pubblico, prima di accollarsi l’onere delle spese legali, sarebbe chiamato a procedere ad attente e rigorose valutazioni delle istanze di rimborso, al fine di assicurare una buona, ragionevole ed  imparziale amministrazione delle risorse pubbliche, contenendo le connesse erogazioni “al massimo”, anche per evitare facili ed ingiustificati esborsi.
Dalla documentazione agli atti di causa risulterebbe, invece, il rimborso a piè di lista di quanto richiesto, senza valutare la veridicità ed adeguatezza delle affermazioni del professionista e senza verificare la conformità della parcella presentata alla tariffa professionale.
Al riguardo, osserva l’attore che:
-     la tariffa applicabile era quella del 2004;
-     agli atti del Comune non è stata trovata alcuna documentazione;
-     gli onorari applicati dal professionista sono quelli massimi, aumentati del 100%, senza alcuna motivazione in ordine alla particolare complessità della causa.
Le somme indebitamente rimborsate, quindi, configurerebbero danno erariale di cui sono stati  chiamati a rispondere tutti coloro che hanno concorso ad adottare la delibera n 41/2008, e più precisamente, i componenti dell’organo collegiale che l’hanno approvata e i dirigenti che hanno curato l’istruttoria, espresso parere favorevole sulla proposta e provveduto ad adottare i provvedimenti conseguenti.
L’intera vicenda, ad avviso del requirente, apparirebbe, sotto molteplici aspetti, connotata da un grado di superficialità e negligenza particolarmente grave e rilevante, dal momento che la delibera più volte citata sarebbe stata votata senza una idonea e corretta valutazione circa la sussistenza dei presupposti necessari per il legittimo riconoscimento del debito fuori bilancio e per il conseguente pagamento della prestazione professionale.
L’attività posta in essere dai convenuti non potrebbe che ritenersi ingiustificabile, approssimativa ed in aperto contrasto con il principio di economicità della spesa e con quello di buon andamento della Pubblica Amministrazione di cui all’art. 97 Cost.
Nella fattispecie risulterebbe pacifico che il Consiglio comunale abbia esercitato un’attribuzione propria intestatagli dall’articolo 194 del d.lgs 18/08/2000, n. 267 e che i pareri di regolarità tecnica e contabile non abbiano natura vincolante per l’organo deliberante.
La giurisprudenza avrebbe chiarito, infatti, che i pareri espressi dai responsabili dell’area tecnica e del servizio finanziario dei Comuni costituiscono atti preparatori che legittimano l’adozione delle deliberazioni per le quali i pareri stessi sono richiesti.
Ciò nonostante, prosegue la Procura regionale, configurerebbe  dovere dell’organo tecnico fornire al soggetto politico, specie su problematiche di grande rilievo, come quella in esame, tutti gli elementi necessari, anche in termini problematici, in base ai quali l’organo deliberante può assumere una decisione consapevole ed informata.
Nella vicenda oggetto di causa, sarebbe mancata del tutto tale prospettazione, pur vertendosi in materia connotata da elevati margini di discrezionalità ed incertezza.
Trattandosi di rimborso di spese legali, il convenuto avvocato D’Angella avrebbe gravemente abdicato ai suoi fondamentali doveri di diligenza e di accortezza, causando così al patrimonio del Comune di Pisticci un danno erariale pari alla somma indebitamente erogata a titolo di rimborso delle spese legali.
Rilievo questo, tanto più marcato, ove si consideri la professionalità specifica e la particolare competenza in materia del citato dipendente, in quanto preposto all’ufficio legale.
La circostanziata natura del parere di regolarità tecnica, proveniente da soggetto altamente qualificato e dotato di specifica competenza, in una materia di particolare contenuto tecnico-giuridico quale il rimborso delle spese legali, ne avrebbe valorizzato il ruolo e la portata.
Conseguentemente, la responsabilità dell’organo elettivo, che pure sussisterebbe (una diversa interpretazione porterebbe infatti ad una sostanziale ed inammissibile irresponsabilità degli organi politici, cfr. Corte conti, Sez. Basilicata, n. 127/2008), resterebbe attenuata ove esso si sia conformato ad un parere tecnicamente formulato, reso da autorevole soggetto, il quale ultimo si atteggerebbe alla stregua di un atto preparatorio ed ausiliario che, sebbene di contenuto non decisorio, fungerebbe da presupposto di diritto preordinato al corretto esercizio della funzione amministrativa e, quindi, influente sul procedimento di formazione della volontà dell’ente.
Soggiunge l’attore che, oltre ad aver espresso il parere favorevole di regolarità tecnica, l’avvocato D’Angella avrebbe curato anche tutta l’attività istruttoria, finalizzata all’adozione della delibera in questione (in particolare, la predisposizione delle schede per accertamento e riconoscimento di ogni singolo debito, ai sensi dell’art. 194, lettera e, con attestazione della utilità ed arricchimento per l’ente), nonché provveduto ad adottare i relativi conseguenti atti di liquidazione.
Al contrario, dovrebbe ritenersi non pertinente la pretesa di attribuire al responsabile dell’area economico – finanziaria valutazioni di legittimità generale, rientrando nelle funzioni del medesimo solo apprezzamenti riferiti alla regolarità contabile, qualora, come nella specie, la deliberazione proposta comporti impegno di spesa o diminuzione di entrata.
Allo stesso modo, il parere favorevole del Collegio dei Revisori dei conti, espresso nel verbale del 22/12/2006, si sarebbe limitato ad accertare la certezza, la liquidità e l’esigibilità dei debiti in questione, sulla base della documentazione trasmessa dal dirigente dell’ufficio legale del Comune.
Considerato, dunque, che l’organo tecnico consultivo che ha indotto quello decidente alla scelta non potrebbe rimanere estraneo alla vicenda produttiva di danno ove esso abbia reso un parere, la cui natura non vincolante resterebbe irrilevante, l’attore ritiene equa, ai fini del riparto di responsabilità tra le condotte di soggetti concorrenti nella causazione del danno, la ripartizione del danno nella misura di  1/3 a carico dell’avvocato D’Angella, e per i restanti 2/3, in parti uguali, a carico dei Consiglieri comunali che hanno votato favorevolmente la delibera di riconoscimento di debito.
Con memoria in data 22 novembre 2011 si sono costituiti in giudizio i convenuti  Iannuzziello Giuseppe, Scazzariello Leonardo Giuseppe, Rago Renato, Panetta Rosa, Calciano Leonardo, Giannasio Paolo, Dimo Massimo e Gallo Rosa Maria contestando la pretesa attrice.
- Infondatezza della pretesa dedotta in giudizio per carenza di prova sulla illegittimità del provvedimento di sanatoria edilizia e sull’esistenza di un conflitto di interessi.
I convenuti contestano la prospettazione della Procura attrice, nella considerazione che il fatto contestato in sede penale, vale a dire il rilascio di una concessione edilizia in sanatoria asseritamente illegittima, si pone in diretta connessione con le mansioni svolte nell'espletamento del rapporto servizio alle dipendenze del Comune di Pisticci.
Circa la pretesa illegittimità della concessione in sanatoria rilevano come la stessa, al pari di ogni atto amministrativo, è assistita da presunzione di legittimità.
Il provvedimento, peraltro, avrebbe dovuto considerarsi tale anche al momento del riconoscimento del debito fuori bilancio concernente il processo penale, tenuto conto, altresì, del fatto che nessun elemento poteva condurre ad un giudizio diverso, tanto meno l'esame della sentenza di assoluzione resa dal GUP presso il Tribunale di Matera.
La riscontrata assenza dell'elemento psicologico (assenza di alcun comportamento doloso di collusione con i beneficiari della concessione), avrebbe inibito al magistrato penale di indagare sulla legittimità della concessione di cui si tratta della quale non è fatta parola nella sentenza in nessuna direzione.
Del resto il Consiglio Comunale, in sede di approvazione dei debiti fuori bilancio, non avrebbe potuto verificare la legittimità della concessione edilizia in sanatoria, ma ritenerne la piena legittimità in quanto un atto da essa Amministrazione Comunale promanante, mai impugnato innanzi al competente TAR e neanche incidentalmente disapplicato dal giudice penale nelle motivazioni della sentenza di assoluzione.
La presunzione di legittimità degli atti amministrativi, caratterizzati dalla esecutorietà, non avrebbe potuto, pertanto, non rilevare anche nella valutazione della legittima richiesta di rimborso delle spese dell'architetto Marrese.
Inoltre, soggiungono i convenuti, la stessa dipendente aveva richiesto, con esito positivo il gradimento da parte dell'Amministrazione Comunale sulla scelta del proprio difensore di talché nell'esame operato a consuntivo della intera vicenda processuale e procedimentale in nessun caso era ravvisabile alcun elemento ostativo al riconoscimento e liquidazione delle spese.
Non sarebbe ravvisabile, quindi, l’avvenuta frattura del nesso organico con l'apparato pubblico che rende estranea l'Amministrazione alle condotte poste in essere dal dipendente.
Tale evenienza ricorrerebbe solo quando la condotta accertata come penalmente rilevante elida il rapporto organico esistente tra datore di lavoro e dipendente.
Occorrerebbe, a tal fine una attività dolosa, e comunque contra legem, non assimilabile o coincidente con i compiti istituzionali rimessi alla cura del settore amministrativo del dipendente infedele.
Diversamente opinando si dovrebbe ritenere che ogni qual volta vi è un atto amministrativo illegittimo viene meno il rapporto organico tra Ente pubblico e dipendente, il che comporterebbe, ad esempio, l'ulteriore corollario della non imputabilità all'Ente delle conseguenze dannose dell'agire amministrativo illegittimo; circostanze tutte escluse ex positivo jure dalla giurisprudenza amministrativa e di legittimità che ammetterebbe lo jatus del rapporto organico solo nelle ipotesi in cui si ravvisa un operato abnorme del pubblico dipendente tale da escludere il nesso di necessaria occasionalità e di immedesimazione organica, come statuito dalla giurisprudenza richiamata nella memoria.
Gli atti di causa non consentirebbero, quindi, di ipotizzare la situazione delineata dall’attore, per cui la condivisibile affermazione secondo cui ai fini del rimborso occorre che le spese legali siano state erogate per la difesa del dipendente per fatti non estranei alla attività lavorativa e riferibili alla P.A. di appartenenza, sarebbe rimasta, nel caso di specie, meramente enunciata e non suffragata da alcun elemento di prova, essendo, come innanzi detto, ricavabile dagli stessi atti la prova positiva della sussistenza delle condizioni legittimanti il rimborso.
Anche il prospettato conflitto di interessi è rimasto sfornito di elementi probatori.
Invero il conflitto menzionato dall'art. 67 dPR 267/1987 atterrebbe ad ipotesi in cui la P.A. ed il dipendente si trovino in posizione antagonista, che non potrebbe essere rinvenuta nella teorica e meramente affermata illegittimità dell'atto.
Osservano i convenuti, in primo luogo, che il Comune è tenuto a ribadire la legittimità amministrativa degli atti promananti dai propri organi: in assenza di eccezionali provvedimenti di autotutela, gli atti amministrativi non potrebbero, neanche incidentalmente, essere sottoposti ad un vaglio continuo di legittimità.
L'esame della legittimità del rimborso delle spese legali in presenza di una sentenza pienamente assolutoria non avrebbe richiesto, dunque, l’analisi della conformità a legge dell'atto la cui adozione aveva originato il processo penale.
Il conflitto di interessi, poi, sarebbe individuabile sulla scorta di  indici fattuali, quali la eventuale costituzione di parte civile contro il dipendente o l'instaurazione per gli stessi fatti oggetto di accusa penale di un procedimento disciplinare.
In assenza di tali elementi il Consiglio Comunale, chiamato al riconoscimento del debito fuori bilancio costituito dal pagamento delle spese processuali del dipendente, non potrebbe invocare alcun conflitto di interessi per disattendere la richiesta di rimborso.
- Insussistenza del presupposto del dolo e/o della colpa grave.
Alla luce delle considerazioni appena sopra svolte, risulterebbe del tutto evidente che difetterebbe nell'ipotesi accusatoria il presupposto fondamentale che può legittimare e sostenere validamente una azione di responsabilità per danno erariale e, cioè, la sussistenza del dolo e/o della colpa grave nella condotta tenuta nella vicenda amministrativa che ha portato all'adozione della deliberazione n. 41 del 30 giugno 2008.
I convenuti avrebbero semplicemente espresso un voto in adempimento del proprio mandato riguardo ad una questione che aveva visto la totale estraneità dell'arch. Marrese rispetto ai fatti contestati.
Tra l'altro, nella fattispecie, il consiglio comunale non avrebbe fatto altro che applicare una prassi già sperimentata e consolidata nel passato - senza conseguenze - facendo completo affidamento nella continuità amministrativa e sui pareri espressi dagli organi tecnici competenti.
Sotto altro profilo non si potrebbe non convenire sul fatto che non sia facile per il consigliere comunale entrare nel merito delle tariffe professionali e controbattere il parere dell'Ordine Professionale e/o dei funzionari incaricati dell'istruttoria.
La quantificazione degli onorari, peraltro, verrebbe censurata dalla Procura regionale senza considerare la complessità in re ipsa della questione penale, che necessariamente avrebbe comportato la applicazione di principi propri sia del diritto penale che del diritto amministrativo, oltre che una complessa attività difensiva svolta con la redazione di memorie corredate dalla normativa di settore e delle prassi adottate dal Comune di Pisticci nella zona nella quale si trovava l'immobile oggetto di concessione in sanatoria.
Sotto tale angolazione si deduce l’inesistenza del necessario elemento costitutivo della responsabilità erariale della colpa grave (escludendo in radice la ricorrenza dei dolo,) non rinvenendosi nella fattispecie la violazione cosciente di leggi e regolamenti o un grado di negligenza e imperizia superiore alla media, considerando, oltretutto, come fosse patrimonio di tutti che la delibera sarebbe stata - per legge - oggetto di controllo da parte della Corte dei conti.
L'adozione di semplici determinazioni dirigenziali o delibere di spesa della Giunta Municipale avrebbero evitato, infatti, il controllo previsto dalle norme del T.U.E.L. in materia di riconoscimento dei debiti fuori bilancio.
La volontaria sottoposizione della delibera in questione all'esame della Procura regionale ai sensi dell' art. 194 del d.lgs n. 267 del 2000 dovrebbe essere valorizzata, quindi, quale indicatore della perfetta buona fede dei convenuti che avrebbero ritenuto di agire per il meglio, nel rispetto delle leggi, nell'interesse della amministrazione e secondo la consolidata prassi del Consiglio Comunale di Pisticci.
In estremo subordine viene ribadita la assoluta assenza di dolo o colpa grave nell'avere riconosciuto la legittimità del rimborso delle spese legali a favore della arch. Marrese.
Il riconoscimento del debito fuori bilanci, oggetto di causa, avvenne previa acquisizione dei pareri favorevoli del Dirigente dell'Ufficio legale e del Collegio dei Revisori dei conti, in presenza di una sentenza assolutoria con formula piena.
Ne conseguirebbe che gli amministratori, odierni convenuti, non potrebbero essere ritenuti responsabili dell' asserito danno erariale quanto meno per assenza di colpa grave, da valutarsi secondo i principi ricavabili dalla Sentenza n. 30/2010 della Corte dei conti Sez. II, secondo cui "Il requisito della gravità della colpa, ai fini previsti dall'art. 1 della legge n. 20 del 1994 modificato dal d.l. n. 543 del 1996 convertito nella legge n. 639 del 1996,ai fini della configurazione della responsabilità per danno erariale per illegittimità 'dei rimborsi per spese legali, deve escludersi nel caso in cui il comportamento degli amministratori comunali sia stato indotto dall'esito di un procedimento penale e da parere favorevole del segretario comunale alle delibere della Giunta che dispongono tali rimborsi".
- Istruttoria tecnico-contabile. Complessità del giudizio penale. Congruità delle somme rimborsate.
Sulla scorta dell'esame dei documenti amministrativi e degli atti giudiziari allegati alla deliberazione oggetto del presente giudizio, i convenuti, anche sulla base dei pareri di regolarità tecnica e contabile forniti dai responsabili dei rispettivi settori comunali, avrebbero ritenuto che le somme rimborsate ai richiedenti potevano ritenersi adeguate rispetto alla gravità delle accuse rivolte nei riguardi del pubblico amministratore, avuto riguardo alla complessità del lavoro compiuto dai difensori tecnici, all'esito del giudizio, conclusosi con sentenza pienamente assolutoria e senza, ovviamente, effettuare valutazioni comparative con la tariffa professionale, sicuramente non di propria spettanza e competenza, tanto più che tali somme erano in linea, se non inferiori, a quanto la diretta esperienza di casi simili insegnava.
La somma liquidata, infatti, dovrebbe ritenersi congrua soprattutto se raffrontata con le parcelle di molto superiori normalmente praticate.
Tra l'altro si sottolinea come, nella vicenda, siano stati liquidati onorari, in ossequio alla determinazione n. 27 del 4 aprile 2005, già assunta dal Dirigente del Settore 8° del Comune di Pisticci, per un processo conclusosi nel 2003, senza aggravio di interessi o altri oneri connessi all'inutile decorso del tempo, contribuendo a sistemare posizioni debitorie dell’ente locale che, altrimenti, avrebbero potuto sfociare in conflitti con gli ex amministratori.
Conclusivamente viene invocato il rigetto delle pretese avversarie e la liquidazione delle spese e compensi di giudizio.
In data 22 novembre 2011 si è costituito, mediante deposito di memoria, il convenuto D’Angella.
Eccepisce, in via preliminare, l’inammissibilità dell'atto di citazione, per essere stato l’atto introduttivo del giudizio notificato al domicilio anagrafico dell'odierno convenuto a mani proprie anziché al domicilio eletto presso l'avvocato Gaetano Esposito, a cui, in sede di deduzioni difensive, era stato rilasciato dal convenuto mandato di rappresentanza  e difesa.
Risulterebbe, quindi, evidente la lesione del principio del contraddittorio di cui all'art. 101 c.p.c, e l’impedimento, di fatto, all'esercizio del diritto di difesa, tenuto conto della circostanza che rispetto alla prima fase, nel presente giudizio è stato conferito altro mandato a nuovo e diverso procuratore.
Soggiunge il convenuto che, pur volendo annoverare l’invito a dedurre nell’alveo dell’attività non processuale e, quindi, estranea al giudizio, non potrebbe dubitarsi che il conferimento del mandato e l'elezione del domicilio espressi nelle deduzioni presentate, ai sensi dell'art. 84 c.p.c, debbano intendersi rilasciati per l'intero procedimento, e, quindi, con produzione di  effetti vincolanti per tutta l'attività processuale, ivi compresa quella notificatoria.
In linea di principio, ne conseguirebbe che, se pur è riconosciuta la non obbligatorietà della notifica presso il domiciliatario dell'atto di citazione, tuttavia in presenza di un espresso conferimento consacrato in un contratto (art. 141 comma 2 c.p.c.), quale è il mandato ad litem, l'attività notificatoria diventerebbe obbligatoria al domicilio eletto presso il difensore incaricato con regolare mandato; evento che nella fattispecie si sarebbe verificato, essendo stato rilasciato nelle controdeduzioni difensive mandato ad litem e la correlata elezione di domicilio, per cui la notifica dell'atto di citazione non si sarebbe potuta eseguire a mani proprie, come avvenuto, bensì nel domicilio eletto presso il procuratore costituito.
Sempre in via preliminare, ma gradata, viene invocata l'estensione del contraddittorio nei confronti del Dirigente dell'Area Finanziaria del Comune di Pisticci e dei componenti del Collegio dei Revisori dei conti, in relazione ai dei pareri di regolarità contabile e di legittimità, espressi in relazione alla delibera consiliare di riconoscimento dei debiti fuori bilancio.
Nel merito il convenuto contesta la pretesa attrice per i seguenti motivi:
- Legittimità della deliberazione C.C. n. 41 del 30 giugno 2008. Assenza e/o inconfigurabilità del danno erariale.
Sostiene il convenuto che i proprietari dell'immobile, in relazione al quale venne rilasciata la concessione edilizia in sanatoria, nell'anno 2000 avevano presentato istanza al Comune di Pisticci al fine di ottenere il titolo edificatorio per l'esecuzione di lavori di ristrutturazione del fabbricato (consistenti nella demolizione del tetto di copertura e ricostruzione dello stesso con il ricavo di un terrazzino, esecuzione di una scalinata interna e modifica degli spazi interni).
Dopo l’acquisizione della concessione edilizia n. 15/2001, con la quale venivano autorizzate le opere richieste con le prescrizioni indicate nel titolo, in data 22.08.2001, il Comando di Polizia Municipale aveva accertato, a seguito un sopralluogo all'immobile di cui si tratta, l’esecuzione di lavori in difformità dalla concessione edilizia.
In conseguenza, in data 26.11.2001, il Comune di Pisticci notificava l'ordinanza n. 182 di demolizione delle opere abusive.
In data 07.01.2003, poi, i proprietari dell’immobile presentavano istanza di concessione edilizia in sanatoria in relazione alle opere abusive realizzate.
Sulla base del parere favorevole del Servizio Istruttoria Pratiche Edilizie espresso nella seduta del 14.01.2003 ai sensi dell'art. 7 della legge regionale n. 50/93, così come modificato dall'art. 38 della legge Regionale n. 7 dell' 8.03 .1999, Il Capo Servizio Urbanistica del Comune calcolava il danno ambientale in € 516,46 e rilasciava il 3.02.2003 rilasciava agli istanti la concessione edilizia in sanatoria n. 24/03.
Dall'esposizione dei fatti e dalla cronologia degli atti, ad avviso del convenuto si evincerebbe chiaramente come il titolo in sanatoria sia stato assentito in modo del tutto legittimo e con un iter procedurale esente da vizi, dall’Arch. Marrese, quale Responsabile dell'Ufficio Urbanistica.
Soggiunge l’esponente che Il PRG del Comune di Pisticci, all'art. 6, nelle zone A1, stabilisce" ... è vietato ogni tipo di intervento urbanistico e architettonico ad alterazione della situazione preesistente" " ... sono ammesse opere di restauro nel rispetto volumetrico e formale delle strutture edilizie con interventi di ristrutturazione organica (suddivisione funzionali, degli spazi interni e degli impianti igienico-sanitari).
In quest'ultima opzione, garantita dalle norme, si sarebbero inserite la concessione edilizia originaria n. 15/2001 del 17.01.2001, e
la successiva concessione in sanatoria, che avrebbe assentito le conseguenti lievi difformità realizzate secondo la normativa regionale.
Il provvedimento di concessione in sanatoria, emesso in forza dell'art. 13 della legge n. 47/1985, il quale consentiva l'eventuale accertamento di conformità delle opere eseguite alle norme di Piano, previa regolare istruttoria e l'applicazione delle sanzioni a secondo della natura dell'abuso, risulterebbe esente da censura.
Inoltre, l'atto infraprocedimentale di nullaosta del vincolo ambientale e paesaggistico, rimesso al Comune per delega ai sensi della Legge Regionale n. 50/93, come modificata dalla Legge Regionale n. 7/99, risulterebbe legittimamente essere stato rilasciato da parte dell'Ufficio comunale competente, in forza della predetta
normativa.
Le considerazioni che precedono evidenzierebbero l'inconsistenza dell'assunto accusatorio, dal momento che l'Arch. Rosa MARRESE avrebbe conservato integralmente la sua qualificazione di dipendente pubblico e le finalità del servizio pubblico.
Al riguardo il concludente espone che, secondo la giurisprudenza della Corte di cassazione, non è illogico valorizzare l'elemento finalistico della condotta per discriminare gli illeciti commessi dai funzionari e dai dipendenti pubblici, riferibili alla P.A., da quelli che invece producono la frattura del rapporto organico, e perciò restano propri del soggetto che li ha posti in essere (Cassazione Sez. Lav. n. 3370/1996).
Nel tracciato contesto la delibera di c.c. n. 41 del 30.06.2008, di riconoscimento fra i debiti fuori bilancio delle spese legali sostenute
dall'Arch. Rosa MARRESE, si profilerebbe del tutto legittima e priva di qualsivoglia vizio.
-           Assenza di conflitto di interesse tra il dipendente e la P.A.
Dalla presenza dei suddetti requisiti, sia soggettivi che oggettivi, secondo la parte convenuta, risulterebbe agevole riscontrare la continuità delle funzioni esercitate dall'Arch. Marrese nell'espletamento delle proprie competenze in merito al rilascio della concessione in sanatoria, che non costituirebbe un atto a se stante ma “la naturale promanazione dell' atto presupposto quale è la concessione originaria n. 15/2001”.
Conseguentemente risulterebbe inesistente una frattura del rapporto organico, stante la permanenza dell'appartenenza all'Ente del Funzionario incaricato, il quale avrebbe posto in essere un'attività a causa del servizio e, quindi, direttamente connesso all'espletamento del servizio e all'adempimento di compiti d'Ufficio.
In forza della rilevata connessione diretta degli atti e dei comportamenti ai doveri di servizio, l'ente avrebbe assunto l'onere di rimborsare le spese anticipate dalla dipendente.
La giurisprudenza militerebbe nella direzione di ritenere che "il rimborso delle spese legali, sostenute nel procedimento penale svoltosi a carico del dipendente, deve riguardare fatti direttamente connessi all'espletamento di compiti d'ufficio, quale ineliminabile ed imprescindibile presupposto" (Cass. Sez. Unite n. 1111 del 2000).
Nella fattispecie il collegamento diretto tra la funzione svolta dalla dipendente e l'oggetto del processo, sarebbe nitido e provato per tabulas.
Pur prendendo atto che l'assoluzione nel giudizio penale con la formula "perché il fatto non costituisce reato", non consente, in linea di principio, di escludere in modo categorico il conflitto di interessi, tuttavia in fattispecie l'assoluzione per il reato di abuso di ufficio sarebbe stata pronunciata stante l'assenza del dolo, per cui andrebbe escluso l'eventuale conflitto di interessi, attesa la materialità dei fatti da cui non emergerebbe alcun elemento o profilo idoneo a configurare tale impedimento.
Né potrebbe risultare sufficiente il semplice richiamo ai capi di imputazione per dimostrare il presunto conflitto di interessi, occorrendo la rigorosa prova della sussistenza della condotta addebitata, tenuto conto che i fatti in contestazione in sede penale non sono stati esaminati.
Nella prospettazione difensiva, inoltre, l’insussistenza del conflitto di interessi, risulterebbe corroborata e comprovata dalla mancata costituzione di parte civile da parte del Comune di Pisticci.
Soggiunge il convenuto che la giurisprudenza avrebbe chiarito che per integrare il conflitto di interessi, è necessario che il fatto sia addebitato complessivamente e nella sua intrinseca realtà "a prescindere dalla sussistenza o meno della responsabilità" (Cassazione Sez. Lav. n. 2747 del 2006).
Pertanto, il requisito dell'inesistenza del dolo e/o della colpa grave, andrebbero accertati in maniera indipendente l'uno dall'altro, pure nell'ovvia interferenza che può esservi fra di loro.
La situazione di conflitto di interessi, poi, andrebbe accertato ex post, cioè a conclusione del procedimento penale, tenendo conto non solo della formula assolutoria della sentenza, ma anche di tutte le circostanze del caso.
Nella fattispecie assumerebbe rilevante valore la sentenza che chiude il procedimento penale, tenuto conto dell’efficacia di "giudicato" che le è propria, nei giudizi civili o amministrativi, per ciò che attiene alla materialità dei fatti e alla circostanza che l'imputato li abbia commessi o meno (artt. 651 e 652 c.p.p.).
- Mancato esame della conformità della parcella alle tariffe professionali.
Sostiene il convenuto che la parcella posta a base della richiesta di rimborso delle spese legali sostenute dalla dipendente del Comune di Pisticci, non avrebbe potuto essere modificata nel suo importo autonomamente e discrezionalmente da parte dell'Ente, come ritenuto dalla Procura regionale, trattandosi di rimborso ex post eseguito in favore della richiedente.
Lo scrutinio capillare e minuzioso dell'attività processuale, configurerebbe iniziativa impedita all’ amministrazione, posto che si verterebbe in tema di spesa già anticipata e, quindi, pagata.
Controversi, poi, apparirebbero i limiti al sindacato giurisdizionale sul giudizio di congruità in ordine agli oneri di difesa da rimborsare che, per le amministrazioni statali, l'art. 18 del d.l. n. 67/1997 intesta all'Avvocatura dello Stato.
In tale contesto il controllo dell'Avvocatura erariale non consentirebbe la determinazione diretta dell'ammontare del credito del dipendente in sede giurisdizionale (TAR F.V.G. 11 Gennaio 2007 n. 43 e TAR Lazio, Roma, Sez. I, 7 Ottobre 2004 n. 10451).
La suddetta procedura, peraltro, risulterebbe applicabile ai dipendenti dello Stato, ma non anche a quelli degli enti locali.
L'ulteriore sindacato sulla congruità della parcella, di natura tecnica, dovrebbe essere limitato alla valutazione delle prestazioni indicate nella parcella stessa, al numero dei legali officiati e alla complessità della causa.
In definitiva, l'apprezzamento di congruità, che potrebbe essere effettuato dall'Amministrazione, riguarderebbe l'adeguatezza delle spese legali delle quali viene chiesto il rimborso in relazione al parametro costituito dalla tariffa applicata (nella specie quella approvata con d.m. 5.10.1994 n. 585), e tenuto conto della natura e della complessità della causa, dell'importanza delle questioni trattate, della durata del processo, della qualità dell'opera professionale prestata e del vantaggio arrecato al cliente, vale a dire dell'esito del giudizio.
In sintesi mentre l’ordinamento avrebbe riconosciuto all'Avvocatura dello Stato elevata attribuzione di ordine generale tecnico-legale, nessuna norma di ordine generale disciplinerebbe, in modo specifico, il sindacato delle Amministrazioni diverse dallo Stato.
- Inconfigurabilità del danno erariale — Carenza dell'elemento soggettivo - Assenza di colpa grave.
Il richiamato contrasto giurisprudenziale in materia, rileverebbe sotto un diverso (e concorrente) profilo di inconfigurabilità del danno erariale contestato, stante la carenza dell'elemento soggettivo.
Il convenuto richiama, all'uopo, il principio enunciato dalla giurisprudenza secondo cui: "la grave colpevolezza è ravvisabile nel caso di norme strettamente prescrittive, cioè di quelle che non lasciano alcun dubbio sui comportamenti da seguire, nella loro immediata e diretta violazione; nel caso di norme non altrettanto letteralmente cogenti, la colpa grave va ravvisata in macroscopiche violazioni del dettato normativo, ponendosi in palese contrasto con esso, dandone una lettura superficiale "(Corte dei conti, Sezione seconda Centrale, n. 162/03).
La medesima pronuncia, su un caso di responsabilità amministrativa della giunta per l'adozione di una delibera di riconoscimento del rimborso di spese legali, ha aggiunto:                   ".. .sicuramente nel caso in esame, agli interessati non può imputarsi grave trascuratezza nell'applicazione di norme che presentano, comunque, profili di dubbio sulla loro interpretazione o, meglio, sulla loro estensione ".
Assume la parte resistente che al fine di dirimere l'incertezza interpretativa ed il contrasto giurisprudenziale relativo al diritto al rimborso delle spese legali, è intervenuta la Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 12645 del 24 maggio 2010, con la quale è stato ribadito il consolidato principio che "In assenza di un nesso eziologico tra l'adempimento dell'Ufficio e la perdita pecuniaria, non può essere riconosciuto agli amministratori locali il diritto al rimborso delle spese legali sostenute per la difesa in un procedimento penale. Tanto più che il danno risarcibile presuppone un comportamento incolpevole dei ricorrenti".
- Inefficacia e/o inidoneità, in termini eziologici, del visto di regolarità tecnica ai fini della causazione del danno.
Gli estesi argomenti militerebbero per la inconfigurabilità - da un punto di vista oggettivo e soggettivo - del danno contestato.
Tuttavia nell'ipotesi in cui la deliberazione inerente il rimborso delle spese legali dovesse ritenersi illegittima e foriera di danno erariale, occorrerebbe differenziare la posizione dell'avvocato D'Angella - che si sarebbe limitato ad esprimere un mero parere di regolarità tecnica sulla proposta di deliberazione - rispetto a quella dei consiglieri comunali.
Il danno erariale non potrebbe essere ascritto, in termini eziologici, alla condotta dell'esponente, avendo egli agito nella qualità di responsabile dell'Ufficio Affari legali rilasciando un avviso (obbligatorio, ma non vincolante) sulla regolarità tecnica, ex art. 49 del d.lgs. 267/2000.
Tale disposizione si atteggerebbe alla stregua di un corollario (logico prima ancora che giuridico) del principio angolare di separazione funzionale tra sfera politica e sfera gestionale; solo all'organo politico spetterebbe l'attività di indirizzo, e, pertanto, le valutazioni di merito sulle questioni oggetto di delibera.
Conseguentemente la scelta di merito della deliberazione dovrebbe ricondursi soltanto all'organo politico, nella fattispecie il consiglio comunale.
Per contro, il parere di regolarità tecnica non investirebbe la legittimità dell'atto, limitandosi a verificare la sussistenza dei presupposti, a monte, che consentono all'organo politico l'adozione della delibera.
Diversamente opinando, infatti, si ascriverebbero ai funzionari le scelte di merito intestate dalla legge agli organi politici.
A tal fine il convenuto richiama la giurisprudenza secondo cui è stata  affermata  l'insussistenza  della  responsabilità amministrativa a carico del funzionario per l’espressione del parere favorevole di regolarità tecnica su una proposta di deliberazione del Consiglio Comunale di riconoscimento dei debiti fuori bilancio sul rimborso delle spese legali, stante la delimitazione fissata dalla legge per detto parere.
Limitazioni che andrebbero individuate nella verifica di legittimità, in linea tecnica, che la materia in deliberazione rientri nella effettiva competenza dell'organo deliberante e che sul piano della regolarità tecnico-amministrativa sussistano i presupposti di fatto che legittimano il ricorso ad una tale deliberazione, a prescindere da ogni valutazione e sindacato nel merito degli atti prodromici che l’ hanno resa necessaria .
Merito e ragioni le cui valutazioni sarebbero di esclusiva pertinenza dell'organo deliberante, libero di determinarsi in ordine alle stesse, non essendo il parere predetto vincolante.
La riportata prospettazione troverebbe ampia conferma nel dibattito consiliare; nel relativo verbale, infatti, emergerebbe nitidamente l'autonoma espressione di volontà dell'organo collegiale nell'approvazione dell'atto deliberativo di riconoscimento di debito.
I pareri espressi dalle competenti strutture sarebbero stati considerati come presupposti di diritto che "non possono interferire sull'autonomo e corretto esercizio dei poteri spettanti all'organo deliberante" ... "la delibera .... è di esclusiva pertinenza del Consiglio Comunale…. il parere del responsabile dell'area tecnica e del responsabile dell'area economica finanziaria si sono correttamente ispirati, nei confini delle valutazioni tecniche e contabili attribuiti dall'ordinamento, alla verifica della positiva sussistenza dei presupposti legittimanti l'adozione della delibera.... nessun nesso causale corre nella specie tra i pareri espressi e il dedotto danno erariale" (Corte dei conti, Sez. giur. d'appello Sicilia, 13 gennaio 2009 n. 1).
Il convenuto, infine, rappresenta che il parere preventivo di regolarità tecnica non potrebbe assurgere - argomentando dai principi posti dagli artt. 1223 cod. civ., 40 e 41 cod.pen. - a causa immediata e diretta del danno erariale.
Conclusivamente viene richiesto il rigetto delle pretese avversarie.
Con memoria redatta il 10 dicembre 2011 si sono costituiti in giudizio CARAVITA Mariano, PREZIOSO Rosa, OLIVA Giovanni e ROMANO Salvatore.
Rappresentano i convenuti che la deliberazione n.41, adottata in data 30.06.2008 dal Consiglio comunale, risultava supportata da attività istruttoria, con relativi pareri, sia da parte del Dirigente dell'ufficio legale che da parte del Dirigente del servizio ragioneria del Comune.
Questi ultimi, in precedenza, avevano pure adottato (per alcuni difensori) determine di pagamento e corresponsione di acconti.
Attività quest'ultima ritenuta corretta dal Collegio dei Revisori dei conti che ne aveva rilevato l'illegittimità, tanto da consentire il rilascio di un parere favorevole al riconoscimento di legittimità, quale debiti fuori bilancio, sia delle somme già corrisposte a titolo di acconto, che di quelle da corrispondere a saldo ai difensori.
Alla stregua di detti accadimenti la deliberazione n.41 fu votata dai consiglieri comunali con l'assoluta convinzione di porre in essere un atto legittimo, stante gli atti di predisposti e di competenza degli uffici tecnici ed amministrativi dell'Ente.
Nella fattispecie, il controllo esercitato dal consiglio comunale, prima dell'adozione dell'atto, secondo i convenuti, è stato rigoroso, per cui non è ravvisabile alcuna responsabilità.
Il rimborso, poi, non si sarebbe potuto escludere per il sol fatto che la scelta del difensore era stata autonoma e non condivisa.
La sua ammissibilità risulterebbe acconsentita, in giurisprudenza ed in dottrina, anche ex post e nell'ipotesi in cui "il dipendente ( o amministratore) ometta di sottoporre la scelta del difensore alla condivisione da parte dell'ente, quest'ultimo può, sussistendone i presupposti, decurtare la parcella, ma giammai può negare il diritto al rimborso”.
Andrebbe, pertanto, negata l’esistenza sia del dolo che della colpa (grave e lieve) ed emergerebbe chiaramente la circostanza che i consiglieri comunali, nell'adozione della deliberazione n. 41, erano certi di votare un atto perfettamente legittimo.
Pertanto, alla luce delle suesposte considerazioni, accertata la mancanza di responsabilità dei convenuti, si conclude per il rigetto in toto della richiesta avversaria.
All’odierna pubblica udienza il pubblico ministero ha confermato l’impianto accusatorio.
Con riferimento alla eccezione di inammissibilità dell'atto di citazione, sollevata dalla difesa del convenuto D'ANGELLA, ha sostenuto come alcuna censura possa essere avanzata in ordine alla avvenuta notificazione dell'atto di citazione presso la residenza della parte e non presso il domicilio eletto, alla stregua della giurisprudenza della Corte dei conti ( Sez. Campania n.386 del 2009 e Sez. II Centrale d'Appello n. 1 del 2008).
Conclusivamente ha chiesto l’accoglimento della domanda.
L'avvocato Padula, ha rappresentato che la tesi accusatoria risulterebbe affetta da palesi lacune e incongruenze, ribadendo la sussistenza del diritto al rimborso delle spese legali sostenute da un dipendente di un ente locale, imputato in un giudizio penale conclusosi con sentenza di assoluzione, in conseguenza di fatti ed atti connessi direttamente all'esercizio e a causa della funzione pubblica ricoperta.
Ha precisato, inoltre, che il riconoscimento del debito fuori bilancio è stato deliberato sulla scorta di pareri tecnici.
Quanto alla misura degli onorari, rappresenta che la parcella del legale recava il visto dell'Ordine degli avvocati, per cui nessuna indagine doveva a tal fine compiere il consiglio comunale.
L'avvocato De Sensi, nel riportarsi al contenuto della memoria di costituzione, ha sottolineato, in particolare, come nella delibera di riconoscimento di debito di cui è controversia, non sia stato in alcun modo citato un parere di legittimità, ma di sola regolarità tecnica, reso dal proprio assistito nella sua posizione di responsabile dell’Ufficio legale.
Ha insistito, in via subordinata, nell’accoglimento dell’istanza di integrazione del contraddittorio nei confronti del Dirigente dell'Area Finanziaria del Comune di Pisticci e dei componenti del Collegio dei Revisori dei conti in relazione ai pareri dai medesimi espressi in relazione alla deliberazione di riconoscimento di debito.
L'avvocato Tuccino, ha posto in risalto la rilevanza del parere reso dal D'Angella ai fini dell'approvazione della richiamata delibera.
Tutti i difensori hanno concluso per il rigetto della domanda attrice.
In tale stato la causa è stata trattenuta per la decisione.
Considerato in
DIRITTO
1.                        In via pregiudiziale vengono in rilievo le eccezioni sollevate dal convenuto D’Angella, di integrazione del contraddittorio nei confronti di soggetti rimasti estranei alla controversia e di inammissibilità dell’atto di citazione, quest’ultima articolata in relazione alla sua errata notificazione presso il proprio domicilio e non presso quello eletto in sede di presentazione delle deduzioni difensive.
1.1.                 La prima eccezione, ancorchè avanzata in via subordinata, investe la regolarità del rapporto processuale, per cui la sua trattazione precede le altre questioni pregiudiziali.
 Il convenuto si duole dell’omessa evocazione in giudizio del Dirigente dell'Area Finanziaria del Comune di Pisticci e dei componenti del Collegio dei Revisori dei conti, in relazione ai pareri, rispettivamente, di regolarità contabile e di legittimità, dagli stessi rilasciati  in relazione alla delibera consiliare di riconoscimento dei debiti fuori bilancio.
Detti avvisi, risultando quanto meno sovrapponibili al parere di regolarità tecnica espressa dal convenuto, avrebbero dovuto determinare l’evocazione in giudizio dei soggetti indicati, nei cui confronti viene chiesta  l’integrazione del contraddittorio.
La legge 14 gennaio 1994, n. 20, modificata dalla legge 20 dicembre 1996, n. 639, ha introdotto, in via generale (e fatta eccezione per i casi previsti dalla legge stessa), il principio della personalità e parziarietà della responsabilità amministrativa, in luogo di quello previgente della solidarietà, al di fuori delle ipotesi di litisconsorzio necessario di cui all'art. 102 c.p.c..
L'integrazione “facoltativa” del contraddittorio (artt. 107 c.p.c. e 47 r.d. n. 1038 del 1933) è rimessa alla valutazione del Giudice ove si versi in una fattispecie di comunanza di cause, cioè quando dall'impianto accusatorio (ed entro i limiti dallo stesso imposti, ai sensi dell'art. 112 c.p.c.) emergano condotte autonome di terzi che abbiano potuto incidere sul processo di causazione del danno, sovrapponendosi o collegandosi alla condotta degli evocati in giudizio, in tal modo rendendosi opportuna la loro chiamata per ragioni di economia processuale, anche al fine di evitare conflitto di giudicati (Sezione Giurisdizionale Campania, n. 1135/2007; Sezione III Centrale, n. 419/2007; Sezione II Centrale, n. 234/2007; Sezione Giurisdizionale Umbria, n. 223/2007).
Al riguardo osserva il Collegio che ai sensi dell’articolo 49 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 “Su ogni proposta di deliberazione sottoposta alla giunta ed al consiglio che non sia mero atto di indirizzo deve essere richiesto il parere in ordine alla sola regolarita' tecnica del responsabile del servizio interessato e, qualora comporti impegno di spesa o diminuzione di entrata, del responsabile di ragioneria in ordine alla regolarita' contabile. I pareri sono inseriti nella deliberazione”.
Il comma 3 dello stesso articolo prevede la responsabilità in via amministrativa e contabile per i soggetti che hanno espresso i sopra citati  pareri.
Ritiene il Collegio che l’attestazione di regolarità contabile non determini l’insorgere di responsabilità del Dirigente che l’ha rilasciata,  tranne l’ipotesi di macroscopiche illegittimità ( Sezione giurisdizionale Toscana 3 settembre 2012, n. 415).
In sintesi, almeno in fattispecie, il parere di regolarità contabile espresso dal Dirigente del settore esercizi finanziari del Comune di Pisticci in data 25 giugno 2008, è consistito nella attestazione di copertura della spesa, avulsa dalla valutazione di profili di legittimità della spesa stessa.
A diversa conclusione si deve giungere in relazione all’attività del Collegio dei revisori.
Sebbene l’articolo 239 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, sembri delineare attribuzioni di natura prettamente contabile, va osservato che, in realtà, detta disciplina intesta all’organo di revisione compiti di vigilanza sulla gestione dell’ente locale.
E’ pur vero che detto compito viene esercitato “…anche con tecniche motivate di campionamento” ( articolo 239, comma 1, lettera c), ma non certo quando venga rassegnata al controllo una specifica questione, come, in fattispecie, quella attinente al riconoscimento dei debiti fuori bilancio.
A ciò si aggiunga la delicatezza della materia che ha richiesto una specifica e rigorosa disciplina, con la conseguenza che, in tali evenienze, l’esame degli atti esige non solo riscontri meramente contabili, ma anche un controllo sulla legittimità della spesa, come, del resto, sembra riconoscere lo stesso verbale del Collegio dei revisori del 22 dicembre 2006 che reca l’intestazione “ Debiti fuori bilancio: parere sul riconoscimento di legittimità”.
Ritiene, peraltro, il Collegio che la richiesta integrazione del contraddittorio nei confronti dei membri dell’organo di revisione, non possa essere accolta.
Ai sensi dell’articolo 1 quater della legge 14 gennaio 1994, n. 20 “Se il fatto dannoso è causato da più persone, la Corte dei conti, valutate le singole responsabilità, condanna ciascuno per la parte che vi ha preso.”.
Detta disposizione non attribuisce al Giudice la verifica della presenza dei presupposti per la chiamata in giudizio dei soggetti rimasti estranei alla controversia, ma solo l’indagine sulla riferibilità agli stessi dell’intero danno, di cui si reclama il risarcimento con l'atto introduttivo ovvero di altra somma che costituisca (eventualmente) nocumento per le pubbliche finanze, in rapporto alla condotta tenuta da ciascuno come fonte della “singola responsabilità” nel senso indicato dalla legge.
In estrema sintesi in caso di responsabilità concorrenti, come in controversia, la finalità che si propone il convenuto chiedendo l’estensione del contraddittorio nei confronti di soggetti non evocati in lite, è soltanto quella di coinvolgerli nel giudizio per sentirli condannati a parte del danno contestato, il cui risarcimento, altrimenti, resterebbe interamente, o nelle misure indicate dall’attore, a suo carico.
Tale corretta pretesa, come accennato, è disciplinata dalla richiamata disposizione anche in assenza del coinvolgimento nella controversia dei soggetti nei cui confronti è riconosciuto dal Giudice l’apporto causale nella produzione del danno, da tenere conto ai fini della misura del risarcimento addebitabile ai convenuti ( Sezione I centrale d’appello 5 luglio 2012, n. 356; Sezione II centrale d’appello 1 marzo 2012, n. 119).
Nella quantificazione del danno, pertanto, il Collegio deve tenere conto della parte di danno ascrivibile ai soggetti non evocati in lite, scorporandola dal risarcimento richiesto dall’attore.
1.2. Sempre in via pregiudiziale il convenuto denuncia la inammissibilità dell’atto di citazione sostenendone la irregolare notificazione presso il suo domicilio, in luogo di quello eletto in sede di presentazione delle deduzioni difensive.
L'art. 5, comma 1, del decreto legge 15 novembre 1993, convertito con modificazioni dalla legge 14 gennaio 1994, n. 19, come sostituito dall'art. 1 comma 3-bis, della legge 20 dicembre 1996, n. 639, ha individuato, nell’ambito del giudizio di responsabilità amministrativa, due distinte fasi – una pre-processuale e  una processuale – il cui spartiacque è costituito dall’emissione dell’atto di citazione in giudizio (Corte dei conti, Sez. III, d’appello n. 267/2007 e Sez. I d’appello, n. 26 del 2010).
La prima, di esclusiva titolarità della Procura Regionale, si apre con la notifica dell’invito previsto dall’articolo 5, comma 1, della citata legge n. 19 del 1994 ed è caratterizzata dalla mancanza del contraddittorio tra Procuratore regionale ed indagato, stante la prospettiva sostanzialmente collaborativa tra l'organo requirente ed il presunto responsabile impressa dalla legge, al fine di consentire una valutazione completa della vicenda potenzialmente produttiva di danno.
Si tratta, quindi, di una procedimentalizzazione posta a garanzia del diritto dell’intimato a vedere definita la sua posizione nel tempo prescritto dalla legge  (Corte dei conti, Sez. I d’appello, n. 26 del 2010 cit  e Sez. III d’appello 14 marzo 2012, n. 231).
Tanto premesso, osserva il Collegio che la parte convenuta, senza minimamente porre in dubbio l’effettiva ricezione dell’atto di cui si denuncia l’inammissibilità, si duole di una “violazione del contraddittorio” per il mero fatto di essere stato l’atto di citazione notificato al suo domicilio e non presso quello eletto nella fase pre - processuale.
Peraltro, come correttamente evidenziato dall’attore, l’eccezione, nella sua intrinseca consistenza, concernerebbe la nullità della notifica e non già la inammissibilità dell’atto introduttivo del giudizio, con la conseguenza che per tale atto sarebbe configurabile, al massimo, una ipotesi di nullità derivata ai sensi dell’articolo 159 cpc.
La lamentata “lesione del contraddittorio” conduce a ritenere che l’eccezione in rassegna scaturisca da un equivoco di fondo sul regime che il codice di rito, applicabile ai giudizi innanzi alla Corte dei conti in forza del rinvio dinamico di cui all’art 26 del r.d. n. 1038/1933, assicura alla notifica presso il “domicilio eletto”, a termini dell’articolo 141 cpc, rispetto a quello relativo alla notifica presso il “procuratore costituito” disciplinato dall’articolo 170 cpc.
“L’articolo 141 cpc, con l’espressione “può”, facoltizza alla notifica “mediante consegna di copia al domiciliatario (cfr. art. 141 comma 1), in luogo di quella diretta al destinatario dell’atto, imponendola come “obbligatoria” al domiciliatario stesso solo se “ inserita in un contratto” (cfr. art. 141 comma 2).L’articolo 170 cpc, invece, non prevede alternative di sorta alla notifica al “procuratore costituito”, stabilendo che “tutte le notificazioni e le comunicazioni si fanno – appunto – al procuratore costituito, salvo che la legge (e solo la legge) disponga altrimenti”.Ciò che, sul piano teleologico, è perfettamente in linea con gli scopi perseguiti dalle riferite disposizioni.Entrambe rivolte alla tutela del destinatario dell’atto, esse mirano, nell’un caso (art. 141 cpc), a “porre in grado la persona presso la quale il domicilio è stato eletto di informare tempestivamente della notifica stessa colui che lo ha designato” (cfr. Cass. Civ. Sez. II^ n°6098/ 1999), e nell’altro caso (artt. 170 cpc), a rendere effettivo il “ministero del difensore” (ex art. 84 cpc), al quale vanno notificati gli atti anche se nel conferimento del mandato a suo favore non vi sia stata alcuna elezione di domicilio (cfr., in termini, Cass. Civ. n°142/1973).
Insomma, nell’ipotesi della mera elezione di domicilio, è la figura del destinatario dell’atto che prevale su quella del domiciliatario, essendo riservato al primo ogni valutazione sull’atto stesso, anche ai fini della eventuale nomina di un difensore; viceversa, nell’ipotesi della costituzione in giudizio mediante un legale, è la figura di quest’ultimo a prevalere, in relazione alle specifiche conoscenze tecnico-giuridiche richieste dal processo, che portano ad ipotizzare anche una lesione dei diritti di difesa, connessa ai tempi (piuttosto ristretti) ed alle formalità (essenziali) del giudizio, in ipotesi di notifica di atti direttamente all’interessato, atteso che ogni valutazione processuale sul da farsi è rimessa appunto al predetto legale.
Ben si comprende allora perché, mentre la notifica al “procuratore costituito” ha valore assoluto e non ammette altra forma concorrente di notifica, la notifica al domiciliatario invece, per pacifica giurisprudenza, concorre con quella fatta direttamente all’interessato (cfr., in termini, Cass. Civ., Sez. Un. n°10245/1994 e Cons. Sta. Sez. VI n°454/1991), o –se si preferisce – è “alternativa a quella di cui agli artt. 138 e 139 cpc” (cfr. Cass. Civ. n°4097/1988)” ( Sezione Umbria n. 260 del 2001).
D’altronde, se lo scopo della notifica di cui all’art. 141, comma 1, cpc è – come detto – quello di consentire alla “persona presso la quale il domicilio è stato eletto di informare tempestivamente della notifica stessa colui che lo aveva designato come domiciliatario” (cfr. ancora Cass. Civ. Sez. II^ n°6098/ 1999), la notifica entro i termini di legge direttamente all’interessato, ex art. 138 e 139 cpc, avrebbe un effetto sanante, ai sensi dell’art. 156, ultimo comma cpc, espressamente richiamato dal successivo art. 160, avendo la notifica stessa, comunque, raggiunto il suo scopo.
Anche la giurisprudenza di appello della Corte dei conti è pervenuta ad omologhe conclusioni, statuendo che la fase dell’invito a dedurre rientra nell’attività dell’istruttoria dell’organo requirente.
La notifica dell’invito, quindi, non incardina un giudizio “ma, più semplicemente, un dialogo formale con il convenibile, per una verifica dell’ipotesi di responsabilità, emergente dagli atti, e per una più completa conoscenza del fatto; una sorta di collaborazione nell’interesse obiettivo della giustizia, alla quale l’invitato è incentivato dall’interesse di evitare una chiamata fondata su mere apparenze formali. Essa, quindi, inizia e si esaurisce prima e fuori del giudizio, e non è necessariamente seguita da esso” (Sez. II 11 marzo 2003, n. 87).
In tale senso milita anche la giurisprudenza della Corte costituzionale secondo cui la Corte dei conti è investita della causa di responsabilità amministrativo-contabile solo con l’atto di citazione (sentenze nn. 415/1995, 163/1997 e 513/2002).
Di conseguenza, il deposito delle deduzioni non equivale alla costituzione in giudizio e l’elezione di domicilio, perfezionata in quella sede, è irrilevante ai fini della notificazione dell’atto di citazione.
In fattispecie quest’ultima, pertanto, si appalesa rituale, avendo raggiunto i suoi effetti e, cioè, quello della legale conoscenza della lite da parte del destinatario e quello di porlo nelle condizioni di apprestare la propria idonea difesa, come ribadito dalla più recente giurisprudenza della Corte dei conti ( Sezione Lazio 17 giugno 2011  n. 925; Sezione I giurisdizionale centrale d'appello 15 dicembre 2010, n. 682).
2. La controversia si incentra sulla spettanza ad un dipendente di un comune del rimborso delle spese legali sostenute per la difesa in un procedimento penale nel quale era stato imputato in ragione della carica ricoperta.
L’attore richiama a sostegno della domanda lo specifico settore dell’ordinamento giuridico, che consentirebbe il rimborso in questione per i dipendenti degli enti locali soltanto ove ricorrano i presupposti in esso contemplati.
In ogni caso rappresenta che la liquidazione a tal titolo effettuata, è risultata superiore a quella spettante.
Poiché, inoltre, il Consiglio comunale ha disposto il pagamento di cui è controversia con delibera di riconoscimento di debito, evidenzia come sia stata condotta dalle competenti strutture dell’ente locale una istruttoria insufficiente e l’estrema superficialità con la quale l’organo consiliare ha deliberato.
La vicenda, come sopra sintetizzata, pone, due diverse questioni: la prima è relativa alla spettanza del rimborso delle spese legali sopportate da un dipendente di un ente locale, per fatti addebitati in ragione della carica rivestita, in un procedimento penale conclusosi con sentenza di assoluzione; l’altra  afferisce alla ratio e alla concreta applicazione dell’istituto del riconoscimento del debito disciplinato dall’articolo 194 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, da parte del Consiglio comunale di Pisticci per erogare all’interessato la parte residua del rimborso delle richiamate spese legali.
2.1. In relazione al profilo da ultimo citato, e prima ancora di entrare nel merito della spettanza o meno del rimborso di cui è controversia, ritiene il Collegio di dover individuare la finalità, i presupposti e i limiti del riconoscimento del debito disciplinato dall’articolo 194 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267.
La citata normativa stabilisce:
1. Con deliberazione consiliare di cui all'articolo 193, comma 2, o con diversa periodicita' stabilita dai regolamenti di contabilita', gli enti locali riconoscono la legittimita' dei debiti fuori bilancio derivanti da:
a) sentenze esecutive;
b) copertura di disavanzi di consorzi, di aziende speciali e di istituzioni, nei limiti degli obblighi derivanti da statuto, convenzione o atti costitutivi, purche' sia stato rispettato l'obbligo di pareggio del bilancio di cui all'articolo 114 ed il disavanzo derivi da fatti di gestione;
c) ricapitalizzazione, nei limiti e nelle forme previste dal codice civile o da norme speciali, di societa' di capitali costituite per l'esercizio di servizi pubblici locali;
d) procedure espropriative o di occupazione d'urgenza per opere di pubblica utilita';
e) acquisizione di beni e servizi, in violazione degli obblighi di cui ai commi 1, 2 e 3 dell'articolo 191, nei limiti degli accertati e dimostrati utilita' ed arricchimento per l'ente, nell'ambito dell'espletamento di pubbliche funzioni e servizi di competenza.
2. Per il pagamento, l'ente puo' provvedere anche mediante un piano di rateizzazione, della durata di tre anni finanziari compreso quello in corso, convenuto con i creditori.
3. Per il finanziamento delle spese suddette, ove non possa documentalmente provvedersi a norma dell'articolo 193, comma 3, l'ente locale può far ricorso a mutui ai sensi degli articoli 202 e seguenti. Nella relativa deliberazione consiliare viene dettagliatamente motivata l'impossibilita' di utilizzare altre risorse.”
Si deve subito premettere che la delibera di cui si tratta non pone limiti alla indagine sulla sussistenza, o meno, dei presupposti legali del riconoscimento del debito finalizzata all’accertamento della realizzazione di un danno per l’erario.
L’articolo 1, comma 1, della legge 14 gennaio 1994, n. 20, a termini del quale sono insindacabili nel merito le scelte discrezionali della pubblica amministrazione, non esclude, infatti, la verifica giudiziale della sussistenza dei presupposti dell’ingiustizia del danno, ma solo dell’opportunità della opzione effettuata.
La materia del riconoscimento del debito di cui al comma 1, lettera e) del richiamato articolo 194, è stata più volte esaminata dalla giurisprudenza che è pervenuta ai seguenti approdi:
-     “se da un lato il riconoscimento del debito fuori bilancio è atto discrezionale dell’amministrazione, dall’altro l’ente pubblico deve fornire puntuale dimostrazione dell’eccezionalità del ricorso a tale forma di impegno delle risorse pubbliche e dell’utilità della prestazione ricevuta dal terzo. L’eccezionalità dell’evento e l’utilità della prestazione, nei limiti oggettivi e soggettivi in cui sono motivati nel provvedimento di riconoscimento, possono essere oggetto di valutazione da parte della Corte dei conti al fine di escludere l’irragionevolezza della decisione assunta, e dunque l’illegittimità del ricorso a tale straordinaria procedura sotto il profilo dell’eccesso di potere, con dirette conseguenze di responsabilità amministrativa” (Sezione Lazio 26 ottobre 2010, n. 1990, e in termini Sez. I Appello n. 115/03, Sez. III Appello n. 192/04);
-     “la violazione degli equilibri di bilancio – non effettuata nell’ambito dell’espletamento di pubbliche funzioni e servizi di competenza e non circostanziata dai requisiti dell’accertata nonché dimostrata utilità ed arricchimento per l’ente – causa un danno che non può che ricadere necessariamente sul soggetto agente” (Sezione Trentino-Alto Adige n. 26/06);
-     l'istituto del riconoscimento dell'utilitas dei debiti assunti in violazione dei principi di contabilità pubblica deve necessariamente essere coniugato con i principi posti a presidio della corretta gestione delle risorse finanziarie pubbliche e, perciò, va effettuato solo in presenza di un concreto accertamento dell'utilità scaturente da oneri contrattuali privi di copertura, con riguardo all'espletamento di pubbliche funzioni e servizi di competenza dell'ente, da esternare con rigorosa motivazione nella relativa deliberazione ( Sezione Campania 16 giugno 2009, n. 716);
-     poiché la disciplina vigente in materia di debito fuori bilancio subordina il riconoscimento all'accertamento dell'utilità e dell'arricchimento per l'ente locale (art. 37 del d.lg.vo n. 77/95 poi trasfuso nell'art. 194 del d.lg.vo 267/2000), sussiste danno erariale nel riconoscimento del debito fuori bilancio per il pagamento degli onorari professionali di progettazione, laddove i progetti non siano stati utilizzati per difetto del relativo finanziamento (Sezione Calabria 13 febbraio 2006, n. 208);
-    in ipotesi di debito fuori bilancio per acquisizione di beni o servizi in difetto di impegno contabile registrato sul competente intervento o capitolo, oggetto di riconoscimento a termini dell'art. 37, comma 1, lett. a) del d.lg.vo n. 77/1995, a seguito dell'esecutività, per mancata opposizione, del decreto ingiuntivo emesso, ad istanza del privato fornitore, per il relativo corrispettivo, l'aggravio di oneri per spese e competenze legali inerenti alla procedura monitoria - al contrario dell'aggravio di oneri per interessi - non è ascrivibile all'amministratore e funzionario che hanno consentito la fornitura, in quanto conseguente, non all'irregolare ordinazione della prestazione in difetto di preventivo impegno di spesa, ma alla mancata proposizione dell'opposizione al decreto ingiuntivo ( Sezione Puglia 20 maggio 2004, n. 469);
-     l’adozione di un atto di peculiare rilievo e delicatezza sotto il profilo finanziario e contabile quale il riconoscimento di un debito fuori bilancio impone particolare cautela e rigore valutativo ( Sezione Terza Centrale d’appello 27 dicembre 2011, n. 888).
In argomento, la Sezione del Controllo della Corte dei conti, con deliberazione n.101/95, ha enunciato il principio secondo cui ” Il provvedimento con il quale l’amministrazione riconosce il proprio debito nei confronti di un privato, a fronte di prestazioni ricevute al di fuori delle normali forme di contrattazione, ha carattere assolutamente eccezionale e può ritenersi conforme a legge solo allorché dalla motivazione dell’atto sia possibile evincere l’assoluta impossibilità di avvalersi, nella specie, delle normali procedure di contrattazione, nonché l’effettiva e comprovata utilità delle prestazioni ricevute, non essendo legittimo, viceversa, il ricorso a tale istituto per consentire il pagamento di obbligazioni assunte nella consapevolezza della mancanza di fondi sul bilancio dell’esercizio in corso”.
Questa Sezione, con riferimento alla deliberazione di riconoscimento di debito e all’interpretazione dell’articolo 194, comma 1, lettera e) del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, ha statuito che” il Consiglio Comunale deve valutare l’utilità dell’acquisto o del servizio per l’ente e, solo in caso positivo, assumere la responsabilità di ricondurre la procedura nella contabilità, senza che, però, la irregolarità venga rimossa. Da qui la necessità che il Consiglio proceda ad una valutazione della fattispecie di spesa irregolarmente posta in essere vagliando tanto l’esistenza delle condizioni (utilità ed arricchimento), espressamente previste dall’art. 194, co.1, lett.e, del T.U. del 2000, quanto le ragioni in base alle quali gli organi di amministrazione dell’ente disattesero le regole per l’assunzione del regolare e pieno impegno della spesa relativa al servizio in questione, e ciò al fine di accertare eventuali responsabilità, e di evitare che si ripetano omologhe situazioni di irregolarità nella gestione della spesa. Ciò vale, ad avviso del Collegio, soprattutto nella fattispecie “ricognitiva” disciplinata e contemplata dalla lettera e) del richiamato art. 194 del T.U. Enti Locali del 2000, che impone, nella fase di accollo del debito istituzionalmente contratto, che i componenti del Consiglio Comunale effettuino una rigorosa verifica dei presupposti normativi preordinati al valido e regolare riconoscimento del “debito fuori bilancio”, dandone compiuta contezza nell’impianto motivazionale del provvedimento. Diversamente operando, l’organo consiliare finirebbe per assecondare, attraverso una sorta di “automatismo procedimentale” assolutamente non consentito dall’ordinamento, una serie indiscriminata di iniziative di spesa autonome e scoordinate, illegittimamente assunte in violazione delle regole finalizzate al rispetto della programmazione della spesa, scaricandone le conseguenze in via sistematica sul Comune, in tal modo determinando, sia pure indirettamente, una situazione di permanente illegittimità e precarietà finanziaria” (Sezione Basilicata 13 ottobre 2011, n. 180).
Applicando gli enunciati principi alla fattispecie oggetto di giudizio, si deve rilevare che la deliberazione n. 41 del 30 giugno 2008 del Consiglio Comunale di Pisticci, appare sprovvista dei presupposti che ne legittimavano l’adozione per i motivi che in seguito verranno esposti.
2.2. La seconda questione che presenta la controversia riguarda la legittimità dell’assunzione a carico del bilancio dell’ente del rimborso delle spese legali in favore di un dipendente.
La restituzione in argomento, viene censurata e ritenuta illecita dalla parte attrice per i seguenti motivi:
- l’ordinamento contempla l’ipotesi del rimborso di cui si tratta, nel caso di assoluzione nel procedimento penale in cui è rimasto coinvolto, per il dipendente la cui condotta non solo sia connessa all’espletamento del servizio e all’adempimento dei propri doveri di ufficio, ma anche posta in essere in diretto rapporto con le mansioni intestategli. La compresenza degli indicati presupposti non sarebbe registrabile in fattispecie, avuto riguardo all’attività contra legem posta in essere dalla dipendente che non potrebbe ritenersi connessa con i fini istituzionali dell’ente;
- presenza di un conflitto di interessi tra la dipendente e l’ente locale;
- omesso rigoroso esame della parcella del legale da parte delle strutture dell’ente e del consiglio comunale.
2.2.1. La materia della assunzione da parte degli enti locali delle spese legali sostenute da propri  dipendenti per procedimenti penali promossi nei loro confronti, è attualmente regolata dall'articolo 28 del C.C.N.L. per il personale del comparto delle Regioni e delle Autonomie locali del 14.9.2000, disciplina applicabile anche al personale di qualifica dirigenziale degli enti locali in virtù dell’articolo 12 del C.C.N.L. della dirigenza per il biennio 2000 - 2001.
In precedenza, e all’epoca dei fatti, in termini pressochè analoghi si poneva la disciplina recata dagli articoli 16 del d.P.R 1.6.1979, n. 191, 22 del d.P.R. 25.6.1983, n. 347 e 67 del d.P.R. 13.5.1987, n. 268.
Ai sensi della disposizione da ultimo richiamata :
“1. L'Ente, anche a tutela dei propri diritti ed interessi, ove si verifichi l'apertura di un procedimento di responsabilità civile o penale nei confronti di un suo dipendente per fatti o atti direttamente connessi all'espletamento del servizio e all'adempimento dei compiti d'ufficio, assumerà a proprio carico, a condizione che non sussista conflitto di interessi, ogni onere di difesa sin dall'apertura del procedimento facendo assistere il dipendente da un legale di comune gradimento.
2. In caso di sentenza di condanna esecutiva per fatti commessi con dolo o con colpa grave, l'Ente ripeterà dal dipendente tutti gli oneri sostenuti per la sua difesa in ogni grado di giudizio.”
La giurisprudenza della Corte dei conti, nell’interpretazione della suddetta disciplina, ha enunciato i seguenti principi:
-  mentre dall’articolo 16 del d.P.R 1.6.1979, n. 191 poteva dedursi la possibilità di rimborso delle spese legali a procedimento concluso, l’articolo 67 del menzionato d.P.R. 268/1987 non prevede tale opzione (Sezione  Abruzzo, 17 maggio 2004, n. 428; Sezione Lazio 1 febbraio 2011, n. 141);
- il comma 2 dell’articolo 67 del d.P.R. 268/1987, pone in risalto la diversità della prospettiva di ausilio ex ante, giacché se il meccanismo fosse quello del rimborso, in caso di condanna l’Amministrazione non potrebbe recuperare nulla, non avendo sostenuto oneri. Del resto la “assistenza” da parte di un legale di comune gradimento ( articolo 67, comma 1), evidenzia nitidamente la necessità di una preventiva valutazione da parte dell’Amministrazione ( Sezione Lazio n. 141 del 2011 cit.);
- nel sistema “a rimborso”, caratterizzato, quindi, dal conferimento ex post degli oneri già affrontati dal dipendente (previsto ad esempio per i dipendenti statali dall’art.18 della legge 21.5.1997, n. 135), l’erogazione da parte dell’ente è consentita esclusivamente in caso di assoluzione con formula piena che escluda in modo incontrovertibile la presenza del dolo o della colpa grave. In particolare la liquidazione delle spese legali può essere legittimamente disposta quando gli imputati – dipendenti siano stati assolti con la formula più ampia e liberatoria e, cioè, con una sentenza che abbia riconosciuto la non sussistenza del fatto criminoso o la non attribuibilità ai medesimi. Diversamente l’esito del giudizio penale “perché il fatto non costituisce reato”, non implica l’automatico riconoscimento della insussistenza di fatti  dannosi per l’erario. Tale formula assolutoria non equivale, assiomaticamente, a escludere che le condotte dei dipendenti possano rilevare sotto il profilo della responsabilità erariale (Sezione Lazio 12 ottobre 2009, n. 1908);
- l’articolo 67 consente l’assunzione degli oneri di difesa dell’ente “anche a tutela dei propri diritti e interessi”. “….tale indicazione non può che significare che l’Amministrazione, nell’accollarsi un onere (qualora, beninteso, non vi sia “conflitto con l’ente“), si deve anche far carico che la vicenda processuale non abbia esiti che possano ripercuotersi negativamente sui suoi interessi o sulla sua immagine pubblica. E’ questa la ragione per cui la disciplina vigente stabilisce che il legale deve essere di comune gradimento” ( Sezione Lazio n. 141 del 2011 cit.);
- la menzionata disciplina impone all'Ente, prima di deliberare di assumere a carico del proprio bilancio ogni onere di difesa in un procedimento di responsabilità civile o penale aperto nei confronti di un proprio funzionario, di accertare la compresenza delle seguenti circostanze essenziali:
a. necessità di tutelare i propri diritti e interessi e la propria immagine;
b. diretta connessione del giudizio alla posizione rivestita dal dipendente all’interno dell’apparato tecno-burocratico;
c. inconfigurabilità di conflitto di interessi tra gli atti compiuti dal dipendente e l'ente (Sezione Lazio n.141 del 2011 cit.);
- l'ente è tenuto a ponderare i propri interessi nel quadro del pendente procedimento giudiziario, per assicurare una buona e ragionevole amministrazione delle risorse economiche e a tutela del proprio decoro e della propria immagine. In tale quadro, l’assunzione delle  spese dei procedimenti penali in cui siano implicati i propri dipendenti o amministratori è strettamente legato alla circostanza che tali procedimenti riguardano fatti ed atti in concreto imputabili non ai singoli soggetti che hanno agito per conto della Pubblica Amministrazione, ma direttamente ad essa in forza del rapporto di immedesimazione organica. La ponderazione degli interessi in gioco ai fini della rimborsabilità delle spese legali ai dipendenti pubblici o amministratori deve assumere particolare rigore (cfr., in tal senso, tra le tante, C.d.S. Sez, V, dec. n. 2242/2000, Cass., Sez. I, sent. n. 15724/2000).
2.2.2. Tanto premesso, osserva il Collegio che ai sensi della disciplina richiamata al precedente paragrafo, l’ente locale, anche a tutela dei propri diritti e interessi, ove si verifichi l’apertura di un procedimento di responsabilità civile o penale nei confronti di un suo dipendente per fatti o atti direttamente connessi all’espletamento del servizio e all’adempimento dei compiti d’ufficio, assume a carico del proprio bilancio ogni onere di difesa sin dall’apertura del procedimento, a condizione che non sussista conflitto di interessi, facendo assistere il dipendente da un legale di comune gradimento.
Nell’interpretazione della normativa in questione, la giurisprudenza ha statuito che l’ordinamento non annovera un principio generale che consenta di affermare la presenza di un generalizzato diritto al rimborso di tali spese.
L’accollo dell’onere della spesa per l’assistenza legale ai propri dipendenti non configura un atto dovuto caratterizzato da automatismo, ma una decisione dell’ente locale basata sull’accertamento della ricorrenza dei presupposti indicati dalla legge e su rigorose valutazioni che occorre effettuare, anche ai fini di una trasparente, efficace ed efficiente amministrazione delle risorse economiche pubbliche.
Nel delineato contesto incombe all’ente accertare la connessione della vicenda giudiziaria con la funzione rivestita dal pubblico funzionario, tutelare i suoi diritti ed interessi, verificare l’assenza di conflitto di interessi tra gli atti compiuti dal funzionario e i propri fini istituzionali nonchè la conclusione del procedimento penale con una sentenza di assoluzione ( ex multis: Cass., SS.UU., 29/05/2009, n. 12719; Cass., Sez. Lavoro, 07/06/2010, n. 13675; Corte dei conti, Sezione Lazio 1 febbraio 2011, n. 141).
Con riferimento ai “fatti o atti direttamente connessi all’espletamento del servizio e all’adempimento dei compiti di ufficio”, la giurisprudenza amministrativa ha evidenziato che la ratio sottesa alla norma in parola è quella di tenere indenni i soggetti, che hanno agito in nome e per conto - oltre che nell’interesse - dell’Amministrazione, delle spese legali affrontate per i procedimenti giudiziari strettamente connessi all’espletamento dei loro compiti istituzionali, con la conseguenza che il requisito essenziale in questione “può considerarsi sussistente solo quando risulti possibile imputare gli effetti dell’agire del pubblico dipendente direttamente all’Amministrazione di appartenenza”.
Non è quindi sufficiente che l’imputato sia stato prosciolto con formula liberatoria; occorre che il dipendente sia implicato in fatti che si trovino in diretto rapporto con le mansioni svolte e che siano connesse all’espletamento del servizio e all’adempimento dei propri doveri d’ufficio (Corte dei conti, Sezione Lazio 12 ottobre 2009, n. 1908).
Dalla sentenza  n. 90 del 4 novembre 2004, pronunciata dal Giudice dell’udienza preliminare presso il Tribunale di Matera, si evince che la Signora Marrese Rosa è stata imputata del reato di cui agli artt.110, 323 cp. perché, avendo taluni soggetti “realizzato presso il fabbricato di loro proprietà ….in zona sottoposta a vincolo paesaggistico, oltre che in zona individuata come A/1 dal P.R.G. - nella quale è vietato ogni tipo di intervento urbanistico e architettonico ad alterazione della situazione preesistente…(e) ammesse opere di restauro nel rispetto volumetrico e formale delle strutture edilizie attuali con interventi di ristrutturazione organica (suddivisione funzionale degli spazi interventi e degli impianti igienico-sanitari)- opere edilizie difformi rispetto a quanto assentito con concessione edilizia n. 15/2001 del 17/01/2001, rilasciava, quale responsabile del servizio urbanistica presso il Comune di Pisticci, illegittimamente ai predetti …….concessione gratuita in sanatoria n. 24/2003 del 03/02/2003, ex art.13 L. 47/85, così intenzionalmente procurando ai richiedenti l’ingiusto vantaggio patrimoniale derivante dal mantenimento delle opere abusive”.
L’illegittimità della concessione in sanatoria consisteva, secondo la prospettazione accusatoria, nella violazione:
1) dell’art. 13 L. 47/85, atteso che gli abusi sanati non erano conformi alle prescrizioni di P.R.G., avendo comportato modifiche di sagome e volumi, oltre che modifiche delle superfici utili;
2) degli artt. 32 L. 47/85 e 1 e ss. LR n. 50/93, atteso che la concessione in sanatoria veniva rilasciata senza la preventiva acquisizione del parere dei competenti uffici della Regione Basilicata….”.
La sentenza stessa ha dichiarato il non luogo a procedere nei confronti degli imputati, tra gli altri la Signora Marrese, perche “ il fatto ascritto non costituisce reato”, nella considerazione che non era rimasta comprovata la collusione illecita tra la stessa e i beneficiari del provvedimento tale “ da far ragionevolmente ritenere la sussistenza di una dolosa violazione di norme di legge”.
Orbene, in materia, la giurisprudenza della Corte dei conti, ha enunciato il principio secondo cui “ la liquidazione delle spese legali ai convenuti prosciolti in un procedimento penale possa disporsi quando i medesimi sono stati assolti con la formula più ampia e liberatoria e cioè con una sentenza che abbia riconosciuto la non sussistenza del fatto criminoso o la non attribuibilità ai medesimi ( ex multis Sezione giurisdizionale Lazio 12 ottobre 2009, 1908).
Invero l’assoluzione dell’imputato con la formula “perché il fatto non costituisce reato”, è riferita alla inconfigurabilità del reato, ma non attesta la insussistenza di condotte censurabili ad altro titolo.
La vicenda di cui è controversia pone in risalto la circostanza che la Signora Marrese, nella qualità di responsabile del servizio urbanistica del Comune di Pisticci, ha rilasciato una concessione edilizia in sanatoria a soggetti che non ne avevano titolo, secondo l’attore, legittima, ad avviso dei convenuti.
In fattispecie la sentenza n. 90 del 4 novembre 2004, pronunciata dal Tribunale di Matera, ha escluso la consumazione del reato di abuso d’ufficio, contestato, tra gli altri, alla Signora Marrese, nella sua posizione di Capo Servizio Urbanistica del comune di Pisticci, destinataria del rimborso delle spese legali liquidato dall’ente locale, nella considerazione che “ Nessun atto del procedimento consente di ritenere provata …. la collusione, né che tra il pubblico ufficiale e gli altri imputati vi fossero rapporti qualificati tali da far ragionevolmente ritenere la sussistenza di una dolosa violazione di legge”.
Su tali basi il Giudice penale ha ritenuto non comprovata la sussistenza del dolo.
Nella pronuncia in rassegna l’accertamento della sussistenza dell’elemento oggettivo del reato e, cioè, l’adozione di  provvedimenti illegittimi, non è stato compiuto,  stante la carenza di prova in ordine alla ricorrenza del dolo.
L’illegittimità del provvedimento di concessione edilizia in sanatoria, deve essere valutata dal Collegio al fine di verificare la presenza o meno di una posizione di conflitto tra il Capo Settore Urbanistica che lo aveva emesso e l’ente locale ove era incardinato.
Al riguardo si deve osservare che entrambi i profili di illegittimità dedotti dall’attore risultano fondati.
In merito alla violazione della disciplina recata dall’articolo 13 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, correttamente la Procura regionale ha rilevato come gli abusi oggetto di concessione edilizia in sanatoria, essendo consistiti, tra l’altro, in modifiche di sagome, aumento di volumetria e variazione delle superfici utili, si ponessero in antitesi con le prescrizioni del Piano regolatore generale del comune di Pisticci, secondo cui è vietato ogni tipo di intervento urbanistico e architettonico ad alterazione della situazione preesistente…sono ammesse opere di restauro nel rispetto volumetrico e formale delle strutture edilizie attuali con interventi di ristrutturazione organica (suddivisione funzionale degli spazi interventi e degli impianti igienico-sanitari)”.
Nel delineato contesto appaiono poco comprensibili le difese spiegate sul punto dal convenuto D’Angella, secondo cui “le lievi difformità” sarebbero state sanate avuto riguardo alla “conformità” delle opere alle previsioni del P.R.G..
La stessa descrizione degli interventi effettuata dal convenuto, e che diedero luogo all’emissione da parte del Settore Urbanistica di ordinanza di demolizione, evidenzia, senza ombra di dubbio, la realizzazione di incrementi volumetrici, di superficie utile e modifiche di sagoma del manufatto oggetto di intervento edilizio, in palese violazione con la riportata previsione del Piano urbanistico, con la conseguenza che non poteva trovare cittadinanza, nella fattispecie, l’articolo 13 della legge n. 47 del 1985 che consente il rilascio della concessione edilizia in sanatoria soltanto se gli abusi compiuti non alterino  volumi, superfici e forme preesistenti, e limitatamente al ”restauro nel rispetto volumetrico e formale delle strutture edilizie attuali con interventi di ristrutturazione organica (suddivisione funzionale degli spazi interventi e degli impianti igienico-sanitari).  Sotto distinto profilo appare evidente anche la illegittima mancata acquisizione del parere della Regione Basilicata sul progetto edilizio.
In proposito il convenuto D’Angella, ha dedotto che, sulla scorta della normativa regionale di riferimento, il rilascio del nullaosta del vincolo ambientale e paesaggistico, è stato rilasciato dagli uffici comunali a termini dell’articolo 7 della legge Regione Basilicata 2 settembre 1993, n. 50, come modificato dall’articolo 38 della legge Regione Basilicata 8 marzo 1999, n. 7.
Dalla sentenza penale, peraltro, si evince che detto parere non venne richiesto in quanto “… in data 10.11.2001 è stata eseguita verifica sul posto da parte del geometra…. dei BB.AA. e Architettonici che non riscontrava alcuna irregolarità e che le stesse opere rispettavano i vincoli e le prescrizioni in materia….”
E’ venuta meno, quindi, anche la procedura prescritta dall’articolo 38, comma 3, della legge regionale n. 7 del 1999, che sostituendo l’articolo 7 della legge regionale n. 50 del 1993, ha previsto la subdelega ai comuni delle funzioni regionali concernenti, tra le altre, il rilascio del nullaosta per le opere abusive, soggette a condono edilizio o sanatoria ai sensi della legge n. 47 del 1985, con relativa valutazione del danno paesaggistico, previo parere della commissione per la tutela del paesaggio.
L’intervenuto proscioglimento, fra gli altri, dell’imputata Marrese perché il fatto non costituisce reato, non avrebbe potuto far venir meno l’esistenza di un conflitto di interesse con l’ente locale ed avrebbe dovuto indurre gli odierni convenuti a soprassedere dal rimborso delle spese legali, proprio per la sussistenza di una condotta oggettivamente contraria ai fini perseguiti dall’ente.
Il provvedimento di concessione edilizia in sanatoria, in sintesi,  ha configurato atto contrario ai principi di correttezza, imparzialità e buon andamento della Pubblica Amministrazione, e, conseguentemente, l’attività del Capo Settore Urbanistica del Comune di Pisticci ha evidenziato un palese conflitto di interessi con i fini   e con gli interessi dell’ente stesso.
Alla stregua delle suddette considerazioni la liquidazione delle spese legali non avrebbe dovuto essere oggetto di delibera ammissiva del Consiglio comunale.
2.2.3. L’atto di citazione radica la responsabilità dei convenuti anche in ragione dell’omesso rigoroso esame della parcella del legale da parte delle strutture dell’ente e del consiglio comunale.
Al riguardo è necessario premettere che l’atto introduttivo del giudizio alle pagine 11 e 12  ha censurato la misura del rimborso delle spese legali di cui è controversia.
Dopo aver precisato che la tariffa forense applicabile era quella di cui al d.m. 8 aprile 2004, n. 127, la Procura regionale ha evidenziato, oltre la mancanza di qualsiasi documentazione agli atti del  Comune, che gli onorari applicati dal legale che aveva rilasciato la parcella sulla cui base venne disposto il rimborso, “sono stati quantificati tenendo conto dei massimi, aumentati del 100%, senza fornire alcuna motivazione in merito alla complessità del caso”.
Osserva il Collegio che dalla documentazione in atti si evince  che il Comune di Pisticci ha corrisposto, a titolo di rimborso per spese legali quanto richiesto, senza alcuna verifica, in particolare in relazione alla adeguatezza e alla conformità della parcella alla tariffa professionale.
Neppure si potrebbe sostenere la superfluità degli indicati accertamenti tenuto conto che la parcella del legale risultava munita del parere del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati.
La giurisprudenza, infatti, ha elaborato da tempo il principio di non vincolatività del parere espresso sulla parcella dall’organo professionale, costituendo tale strumento un mero controllo di corrispondenza delle voci indicate nella parcella stessa a quelle previste nella tariffa forense, che non avvalora in alcun modo i criteri adottati dal professionista per individuare valore e complessità della controversia (Cassazione Sezione II, 30 gennaio 1997 n. 932, 27 settembre 2011, n. 19750). 
Come già accennato l’ente pubblico, prima di farsi carico dell’onere delle spese legali, è chiamato a procedere ad attente e rigorose valutazioni delle istanze di rimborso, al fine di assicurare una buona, ragionevole ed  imparziale amministrazione delle risorse pubbliche.
In fattispecie tutto ciò è mancato.
Del resto le difese dei convenuti non hanno contraddetto quanto sostenuto dall’attore, ma, soltanto, precisato che il rimborso liquidato appariva congruo alla stregua della gravità delle accuse mosse all’amministratore, della complessità del lavoro compiuto dal legale e della misura delle parcelle liquidate per analoghi contenziosi.
Si tratta di argomenti di evidente fragilità rispetto alla prospettazione accusatoria la quale ha nitidamente dimostrato la inadeguata istruttoria e il superficiale approccio del consiglio comunale, avuto riguardo alla inidonea e non corretta valutazione circa la sussistenza dei presupposti necessari per il legittimo riconoscimento del debito fuori bilancio e per il conseguente pagamento della prestazione professionale.
3. Ritenuta sussistente la consumazione del nocumento erariale, il Collegio deve accertare, ai fini della configurazione della responsabilità amministrativa, la sussistenza del nesso di causalità tra le condotte poste in essere dai convenuti e l’evento dannoso nonché dell’elemento psicologico della colpa grave nelle condotte stesse.
3.1. Il nesso di causalità tra l’esborso, configurante il danno erariale, e l’attività dei convenuti viene ravvisato dalla parte attrice  nell’istruttoria espletata dal responsabile dell’area tecnica del Comune di Pisticci, il cui esito è costituito dal parere di regolarità dal medesimo rilasciato e nella votazione della delibera di riconoscimento di debito.
La riportata impostazione viene censurata dal convenuto D’Angella,  nella parte che lo interessa, nella considerazione che il parere da lui rilasciato, quale Dirigente dell’Ufficio legale dell’ente locale, ai sensi e per gli effetti dell’articolo 49 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, non riguarderebbe la legittimità dell’atto, ma soltanto la verifica della sussistenza dei presupposti che ne consentirebbero l’adozione.
Ai sensi dell’articolo 49 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267:
“1. Su ogni proposta di deliberazione sottoposta alla giunta ed al consiglio che non sia mero atto, di indirizzo deve essere richiesto il parere in ordine alla sola regolarita' tecnica del responsabile del servizio interessato e, qualora comporti impegno di spesa o diminuzione di entrata, del responsabile di ragioneria in ordine alla regolarita' contabile. I pareri sono inseriti nella deliberazione.
2. Nel caso in cui l'ente non abbia i responsabili dei servizi, il parere e' espresso dal Segretario dell'ente, in relazione alle sue competenze.
3. I soggetti di cui al comma 1 rispondono in via amministrativa e contabile dei pareri espressi”.
Al riguardo la giurisprudenza evidenzia i seguenti approdi:
-     “Non è possibile ravvisare una condizione di ignoranza scusabile, laddove vengano in questione norme che il pubblico funzionario - soprattutto se appartenente alla qualifica dirigenziale - è tenuto a conoscere, in quanto strumentali allo svolgimento della propria attività; e, pertanto, nell'ipotesi di procedura di gara svolta mediante l'istituto della finanza di progetto (art. 37-bis della L. n. 109/1994 e succ. modif.), nessuna scriminante, in termini di errore scusabile, può configurarsi in favore del dirigente del settore tecnico del comune, nonché responsabile unico del procedimento, per la violazione delle norme che disciplinano la pubblicità degli avvisi di gara, nonché per l'ulteriore avallo dato alla prosecuzione della procedura stessa - disposta con delibera dell'amministrazione comunale - tramite l'adozione del parere favorevole di regolarità tecnica, ex art. 49 del D.L.vo n. 267/2000”. ( Sezione Campania 6 luglio 2009, n. 750);
-     il parere di regolarità tecnica ex art. 49 d. lgs. n. 267/2000 è da considerarsi determinante ai fini dell’adozione della deliberazione. Circa il concreto significato del predetto “parere” - che, è bene evidenziare, è tutt’altra cosa rispetto al “visto” di cui all’art. 151 della suddetta norma – si ritiene che esso non possa essere limitato all’aspetto formale, anche in relazione alla circostanza che l’estensore ne risponde, ai sensi del 3° comma del citato art. 49, “in via contabile”. Un diverso orientamento non darebbe concreto contenuto all’attività posta in essere, dal funzionario, nella formazione di un provvedimento ( Sezione giurisdizionale Toscana 1 dicembre 2010, n. 472; 20 febbraio 2012, n. 85; 3 febbraio 2012, n. 46; 3 settembre 2012, n. 415).
Osserva il Collegio che il citato articolo 49 ha introdotto una sostanziale responsabilizzazione dei soggetti che esprimono i pareri ivi previsti, coerente con lo spirito della riforma della disciplina delle autonomie locali incentrato sulla separazione dell’attività di gestione (incardinata nell’apparato tecno-burocratico) da quella di direzione politica ( intestata agli organi rappresentativi della collettività locale), e delle correlate responsabilità.
In tale prospettiva al parere di regolarità tecnica fanno riscontro eventuali profili di responsabilità amministrativo-contabile del soggetto che lo ha rilasciato.
La finalità della riforma, peraltro, non consiste nell’accentramento della responsabilità in capo al soggetto che ha espresso il parere di cui si tratta, con conseguente deresponsabilizzazione dell’organo titolare del potere decisionale, e, quindi, nel ribaltamento delle responsabilità stesse, ma è ravvisabile nel rafforzamento degli strumenti di tutela apprestati dall’ordinamento.
In estrema sintesi il parere di regolarità, ancorché obbligatorio nei casi previsti dalla legge per il perfezionamento delle procedure amministrative e contabili preordinate alla fattibilità della deliberazione stessa, non è mai vincolante e non è equiparabile alla scelta discrezionale di competenza dell’organo competente ( nella specie quello consiliare che l’ha concretamente esercitata).
L’atto introduttivo del giudizio, inoltre, ravvisa il nesso eziologico tra la condotta del D’Angella e l’evento dannoso non solo con riferimento al rilascio del parere di cui all’articolo 49 del d.lg.vo n. 267 del 2000, ma anche per avere il medesimo convenuto curato, altresì, tutta l’attività istruttoria, finalizzata all’adozione della delibera in questione (in particolare, la predisposizione delle schede per accertamento e riconoscimento di ogni singolo debito, ai sensi dell’art. 194, lettera e, con attestazione della utilità ed arricchimento per l’ente) nonché provveduto ad adottare i relativi conseguenti atti di liquidazione.
Viene in rilievo, quindi, una attività complessa ( propositiva e consultiva) che si pone in immediata e diretta correlazione con la consumazione del danno di cui è controversia.
3.2. In ordine all’indagine sulla colpa grave in capo ai convenuti, osserva il Collegio che la parte attrice ha fornito ampia e convincente prova della sua sussistenza.
Le posizioni del convenuto D’Angella e quelle dei restanti convenuti, componenti del Consiglio comunale, devono essere distinte, avuto riguardo alla diversa condotta dagli stessi posta in essere.
Come già accennato, l’assunzione di un atto di peculiare rilievo e delicatezza, sotto il profilo finanziario e contabile, quale il riconoscimento di un debito fuori bilancio, esige approfonditi accertamenti in ordine alla compresenza dei presupposti che ne legittimano l’adozione nonché il loro rigoroso apprezzamento da parte dei soggetti coinvolti nel procedimento.
3.2.1. La vicenda sottoposta al sindacato di questa Corte ha evidenziato, invece, una marcata superficialità nell’espletamento della istruttoria e nella fase decisionale.
Con riferimento alla istruttoria, ha osservato l’attore come la stessa presentasse vistose lacune in ordine alla corretta individuazione del contesto normativo di riferimento, alla congruità della somma richiesta a titolo di rimborso delle spese legali, alla posizione di conflitto del dipendente destinatario del rimborso delle spese legali con il comune di Pisticci.
Viene ad emersione, quindi, una vistosa leggerezza nell’approccio di una vicenda che, al contrario, avrebbe richiesto un rigoroso esame al fine di fornire una completa informativa all’organo deliberativo e, soprattutto, a salvaguardia dell’interesse pubblico.
Nel delineato contesto la condotta del D’Angella appare sicuramente censurabile.
Premesso, come ben puntualizzato dall’attore, che il convenuto vanta professionalità specifica e particolare competenza in materia, in quanto preposto all’ufficio legale del Comune di Pisticci, si deve rilevare che il medesimo non espletò alcuna verifica in relazione alla all’adeguatezza del compenso richiesto dal professionista, non solo applicato nella misura massima, ma anche maggiorato del 100%, senza indicazione alcuna in ordine alla particolare complessità del caso.
Più che evidente, quindi, risulta la superficialità dell’istruttoria compiuta dal convenuto il cui esito è costituito dal parere di regolarità tecnica.
Ancora deve rilevare il Collegio la lettura superficiale da parte del convenuto della sentenza n. 90 del 4 novembre 2004, pronunciata dal Tribunale di Matera, che lasciava aperta la problematica del conflitto di interessi, venutosi a creare tra il dipendente e l’ente locale, agevolmente accertabile sulla base di un mero raffronto tra il provvedimento di concessione in sanatoria e il contesto normativo di riferimento.
Circostanza, quest’ultima, preclusiva dell’assunzione a carico dell’ente delle spese di cui era stata chiesta la restituzione dalla Signora Marrese.
In conclusione il convenuto ha, con colpa gravissima, tenuto conto della sua professionalità specifica e della sua preposizione all’Ufficio legale, abdicato ai suoi fondamentali doveri di diligenza e alla cura degli interessi dell’ente locale ove è incardinato.
3.2.2. Ad omologhe conclusioni, in punto di sussistenza della colpa grave, il Collegio giunge in relazione alla posizione dei restanti convenuti, componenti del Consiglio comunale di Pisticci.
La vicenda di cui è controversia appare connotata, sotto molteplici aspetti, da superficialità e negligenze particolarmente rilevanti, tenuto conto che la delibera di riconoscimento del debito presuppone particolare cautela, penetranti accertamenti e rigore valutativo, al fine di garantire il legittimo, efficiente, efficace ed economico impiego delle pubbliche risorse in conformità al precetto del buon andamento e imparzialità contemplato nell’articolo 97 della Costituzione.
In fattispecie la delibera di cui si tratta è stata votata senza una idonea e corretta valutazione circa la sussistenza dei presupposti necessari per il legittimo riconoscimento del debito fuori bilancio e per il conseguente pagamento della prestazione professionale.
In particolare la scarna documentazione sottoposta al vaglio del Consiglio comunale e l’esistenza di una vicenda penale da cui scaturiva la richiesta di rimborso delle spese legali e, verosimilmente, l’eco della vicenda stessa, avrebbero dovuto indurre i convenuti, ratione muneris, a richiedere, oltre l’intero carteggio per verificare la sussistenza dei presupposti per poter procedere al suddetto rimborso, quanto meno  mirati supplementi di istruttoria in ordine alla  fondatezza della richiesta della dipendente, alla congruità della parcella, e, soprattutto, all’assenza di conflitto di interessi tra la stessa e il comune di Pisticci.
Tutto ciò nella considerazione che il riconoscimento del debito fuori bilancio, è di pertinenza del Consiglio comunale ai sensi dell’articolo  194 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267.
Non viene in rilievo la ratifica o l’approvazione di un atto della struttura burocratica, ma l’adozione di un provvedimento rientrante appieno nella propria sfera di competenza e responsabilità del Consiglio comunale (Sezione terza centrale d’appello 27 dicembre 2011, n. 888).
In siffatto contesto, come evidenziato dalla giurisprudenza, la sussistenza della colpa grave non viene meno per l’affidamento riposto dal Consiglio comunale nell’istruttoria condotta dall’apparato burocratico dell’ente locale, stante la competenza e responsabilità dell’organo consiliare nel deliberare il riconoscimento di un debito (Sezione Terza centrale n. 888/2011 cit.; Sezione giurisdizionale Toscana 3 settembre 2012, n. 415).
4. Il Collegio, infine, deve quantificare il danno di cui è controversia alla stregua dell’apporto nella sua produzione da parte di soggetti non evocati in giudizio.
Avuto riguardo ai fatti che hanno caratterizzato al vicenda, ritiene che il pregiudizio patito dal Comune di Pisticci debba essere determinato, in via equitativa, nella somma di euro 3.000,00.
Attesa la marcata gravità delle condotte dei convenuti resta precluso l’esercizio del potere riduttivo dell’addebito.
5. Conclusivamente i convenuti vanno condannati al pagamento della indicata somma, maggiorata dell’importo per rivalutazione monetaria, da calcolare dalla data dell’avvenuto pagamento e sino alla pubblicazione della presente sentenza, e da quello per interessi legali, da computare da tale ultima data e sino all’integrale soddisfo.
In ordine alla ripartizione del pregiudizio erariale, deve ritenersi supportata da congrua motivazione la richiesta dell’attore di addebitarne un terzo a carico del D’Angella, avuto riguardo alla sua prevalente attività, rispetto agli altri convenuti, che rimangono onerati dei restanti due terzi.
Il D’Angella, infatti, nella sua posizione qualificata all’interno dell’ente locale, all’esito di una istruttoria incompleta e superficiale, espresse il parere di regolarità tecnica, allegando la scheda di accertamento del debito e attestando l’utilità e arricchimento dell’ente, e, successivamente, sulla base della delibera di riconoscimento del debito, provvide ad emettere i provvedimenti di liquidazione.
Evidente, quindi, si appalesa la maggiore responsabilità del citato convenuto rispetto alle posizioni dei membri del Consiglio comunale evocati in giudizio.
Le spese di giustizia seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
La  Corte  dei  conti,  Sezione  Giurisdizionale  per  la Regione Basilicata, ogni contraria domanda ed eccezione respinte:
a)                       condanna D’ANGELLA Anio al pagamento in favore del Comune di Pisticci della somma di euro 1.000,00, oltre rivalutazione monetaria - dalla data del pagamento costituente danno erariale e sino alla pubblicazione della presente pronuncia - e interessi legali - da quest’ultima data e sino al soddisfo;
b)                       condanna GALLO Rosa Maria Anna, RAGO Renato, PANETTA Rosa, IANNUZZIELLO Giuseppe, CALCIANO Leonardo, DIMO Massimo, GIANNASIO Paolo, SCAZZARIELLO Leonardo Giuseppe, CARAVITA Mariano, PREZIOSO Rosa, OLIVA Giovanni, ROMANO Salvatore, GRIECO Rocco Salvatore, al pagamento in favore del Comune di Pisticci della somma di euro 153,85 ciascuno, oltre rivalutazione monetaria - dalla data del pagamento costituente danno erariale e sino alla pubblicazione della presente pronuncia - e interessi legali - da quest’ultima data e sino al soddisfo;
c)      condanna, altresì, tutti i convenuti, in via solidale, al pagamento delle spese di giudizio che, sino all’originale della presente sentenza, vengono liquidate in euro 1.786,21=.
Euro millesettecentottantasei/21=.
Così   deciso    in    Potenza,    nella    Camera   di  consiglio del 13 dicembre 2011 proseguita in data 8 maggio 2012.
                                               Il Presidente estensore
                                             (dott. Luciano Calamaro)
                       F.to Luciano Calamaro


Depositata in Segreteria il -5 DIC. 2012
Il Preposto alla Segreteria della
Sezione Giurisdizionale Basilicata
(Maria Anna Catuogno)
F.to Maria Anna Catuogno