La disciplina contenuta negli artt. 30 e 31 della legge sulla caccia (l. n. 157/92), in tema di attività venatoria di frodo esercitata dal cacciatore in possesso di licenza – ipotesi diversa dal bracconaggio in assenza di licenza - esclude la possibilità di applicare il c.d. ‘furto venatorio’ che tra origine dalle norme del codice penale che puniscono il furto (Cassazione, sentenza 25728/12).
Il Tribunale di Campobasso applicava la pena pattuita ex art. 444 c.p.p. ad un cacciatore che si era reso responsabile dei reati di furto aggravato, maltrattamento di animali e abusiva uccellagione. Il condannato proponeva allora ricorso per cassazione lamentando il mancato proscioglimento ex art. 129 c.p.p..
Le regole della caccia. Il giudice di legittimità osserva preliminarmente che la legge sulla caccia (l. n. 157/92) prevede l’esclusione dell’applicabilità del c.d. furto venatorio solo nei casi previsti dagli artt. 30 e 31 – ossia quelli in cui il cacciatore munito di licenza abbatta animali di frodo - tra i quali non rientrano però tutti i casi di apprensione illecita di fauna. Pertanto, il furto aggravato di fauna selvatica, appartenente secondo l’art 1 l. n. 157/92 al patrimonio indisponibile dello Stato, sarebbe applicabile solo quando la caccia sia stata esercitata da soggetto non munito di licenza.
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