mercoledì 21 novembre 2012

Il Parlamento boccia il taglio degli stipendi, ancora intatti i costi della politica

Esubero, che brutta parola.Mi viene il voltastomaco solo a sentirla nominare.Eppure comincia a entrare nel linguaggio comune come è già successo col termine spending review, esodati ecc.ecc. come se fosse normalità mandare a casa  dei padri di famiglia.
Qualche giorno fa  il sole 24 ore ha anche pubblicato un dossier estendendo la materia degli esuberi anche agli Enti locali (clicca qui)

E mentre il nostro carissimo e beneamato Ministro della Funzione Pubblica Patroni Griffi si diverte  a "cinguettare", annunciando con assoluta nonchalance le eccedenze di personale,  il nostro Parlamento boccia il taglio degli stipendi ai parlamentari.
E certo, mentre chiedono sacrifici agli italiani, i nostri onorevoli mantengono il loro stipendio intatto, e i costi della politica non cambiano. Ci mancherebbe altro!!!! (della serie: chi predica bene  razzola male....).
 Mario serio


Riporto l'interessante articolo pubblicato poche ore fa da Angela Iannone:

Il Parlamento boccia il taglio degli stipendi, ancora intatti i costi della politica


Ce l'hanno fatta anche stavolta. Mentre chiedono sacrifici agli italiani, gli onorevoli mantengono il loro stipendio intatto, e i costi della politica non cambiano. Perchè è stato dichiarato "inammissibile" l'emendamento al decreto sviluppo che proponeva di ridurre gli stipendi dei parlamentari, investendo questo notevole taglio nelle opere di sviluppo e crescita.

Invece l'istanza, portata avanti dalla senatrice Pd Leana Pignedoli, è stata cassata dalla Commissione industria del Senato, che sta vagliando l’ammissibilità o meno dei circa 1.800 emendamenti presentati.
I parlamentari votano no, negando al Paese la possibilità di investire una quota sulla crescita e l'occupazione giovanile. Era quanto deciso dall'emendamento bocciato: "Al fine di reperire, attraverso la riduzione del costo della rappresentanza politica nazionale, maggiori risorse da destinare al sostegno delle politiche per la crescita e l'occupazione giovanile, il trattamento economico omnicomprensivo annualmente corrisposto ai membri della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica non può superare la media ponderata rispetto al Pil degli analoghi trattamenti economici percepiti annualmente dai membri dei Parlamenti nazionali dei sei principali Stati dell'Area Euro".

Non è la prima volta che il Parlamento riesce a dribblare simili proposte di legge che tentano di mettere mano nelle loro onorevoli tasche: già lo scorso anno, a luglio, quando ancora era in piedi il governo Berlusconi, la Commissione Bilancio del Senato aveva bocciato - durante una votazione notturna e segreta - i provvedimenti da adottare per ridurre i costi della politica, annunciati dall'allora ministro dell'economia Giulio Tremonti. Un notevole dimezzamento dei costi, se mai ci fosse stato: da quasi 12 mila euro a "soli" 6 mila euro, adeguandosi al livello medio degli altri paesi europei. Nulla di fatto.

La situazione non è cambiata sotto Monti: sfumata l'idea della riforma costituzionale per ridurre il numero dei deputati e senatori, così come i numerosi dietrofront del governo sul tema del taglio dei costi della politica, affidando la decisione direttamente all'esecutivo, cioè al Parlamento, cioè ai diretti interessati. Contraddittorio, oltre che beffardo.
Così come il bluff del taglio dello stipendio, annunciato a inizio anno. La decurtazione dell'indennità parlmentare di 1.300 euro lordi al mese - 700 euro netti - di cui si vantarono parlamentari di destra e sinistra era in realtà il taglio di un aumento automatico dovuto al cambio di regime pensionistico. Una rinuncia ad un aumento, in buona sostanza, lasciando la situazione esattamente come prima.