giovedì 8 novembre 2012

E' Peculato d'uso la condotta di violazione degli obblighi, imposti con Il sequestro amministrativo, da parte del custode non proprietario,

La Cassazione Penale -Sez Unite- aveva affermato il principio di diritto che " la condotta di chi circola abusivamente con il veicolo sottoposto a sequestro amministrativo integra esclusivamente l'illecito previsto e sanzionato dall'art. 213 c.p., comma 4, perché il concorso tra la nonna penale di cui all'art. 334 c,p. e quella amministrativa costituita dal medesimo art, 213 cod . strada va giudicato solo apparente, la seconda essendo normia speciale rispetto alla prima, limitatamente, appunto, alla sola circolazione abusiva(Sez. un. 28 ottobre 2010, dep. 21 gennaio n.1963)".


"La fattispecie sottoposta all'esame delle Sezioni unite era appunto relativa,in un contesto che avrebbe altrimenti sollecitato l'applicazione dell'art. 334 c.p. e cioè una situazione nella quale rileva la condotta o del proprietario o di soggetto che in qualche modo agisca con il consenso o nell'interesse del primo, sottraendo alla custodia il bene mediante la circolazione abusiva".


Nel caso di specie, invece, con sentenza 8 novembre 2012 n. 43474, depositata in cancelleria l'8 novembre 2012, la Corte di Cassazione - Sezione VI penale – ha riaffermato il principio di diritto che "la fattispecie di impossessamento, consumata dal custode che non sia proprietario del mezzo o che non agisca in suo concorso o nel suo Interesse e che si realizzi con la condotta di abusiva circolazione di mezzo sottoposto a sequestro, configura il delitto di peculato d'uso( Sez. VI, 15 giugno 2011, dep. 6 luglio 2011, n. 26812)".

Mario Serio
© RIPRODUZIONE RISERVATA






Cass. pen., Sez. Unite, ud. 28 ottobre 2010 - dep. 21 gennaio 2011, n. 1963 LEGGE PENALE - SANZIONI
Svolgimento del processo

1. Il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte d’Appello di Napoli ha proposto ricorso avverso la sentenza 14 ottobre 2009 del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere che ha dichiarato non doversi procedere, nei confronti di D.L.P., in ordine al delitto di cui all’art. 334 c.p., con la formula perché il fatto non è previsto dalla legge come reato.
Il giudice, con la sentenza indicata, aveva ritenuto che la condotta dell’imputato (avere circolato abusivamente alla guida di un veicolo sottoposto a sequestro amministrativo ai sensi dell’art. 213 C.d.S.) integrasse esclusivamente l’illecito amministrativo previsto dal medesimo art. 213, comma 4, e non anche l’indicata ipotesi di reato (art. 334) prevista dal codice penale.
Il ricorrente contesta la correttezza della tesi accolta dalla sentenza e - deducendo il vizio di inosservanza ed erronea applicazione della legge penale - richiama la prevalente giurisprudenza di legittimità che esclude che possa ravvisarsi un concorso apparente di norme tra l’art. 334 c.p., e l’art. 213 C.d.S..
Questa costruzione del quadro normativo risulterebbe confermata sia dalla diversità dei soggetti attivi che possono commettere il reato sia dalla diversità delle condotte descritte nelle norme indicate.

2. La Sesta sezione di questa Corte, con ordinanza del 23 settembre 2010, ha trasmesso il ricorso a queste Sezioni unite.
Nell’ordinanza di rimessione si riassumono i due orientamenti che si sono formati nella giurisprudenza di legittimità. Uno, minoritario, secondo cui la condotta del soggetto sorpreso alla guida di un veicolo sottoposto a sequestro amministrativo risponde soltanto dell’ipotesi di violazione amministrativa prevista dall’art. 213 C.d.S., comma 4; l’altro, maggioritario, che ritiene che questa condotta realizzi anche l’ipotesi di reato prevista dall’art. 334 c.p..
Si sottolinea come l’orientamento prevalente - che esclude ci si trovi in presenza di concorso apparente e quindi ammette il concorso tra le due ipotesi di illecito - abbia in realtà dato luogo a pronunce non sempre uniformi rilevando come, in alcuni casi, la giurisprudenza di legittimità abbia ritenuto sufficiente, ad integrare la sottrazione del veicolo, la semplice amotio del medesimo mentre, in altre decisioni, si è sottolineata l’esigenza di verificare l’effettiva offensività della condotta accertando se la condotta posta in essere sia idonea ad eludere il vincolo di indisponibilità del bene.
Ancora, con riferimento all’ipotesi del deterioramento (prevista dal medesimo art. 334), si è escluso che il semplice uso del veicolo sia sufficiente ad integrare tale condotta dovendosi verificare in concreto se tale deterioramento sia avvenuto. In queste ipotesi sarebbe da escludere il concorso apparente purché la messa in circolazione sia sintomatica della volontà di sottrarre il bene al fine di eludere il vincolo di indisponibilità.
Motivi della decisione

1. La questione sottoposta all’esame delle sezioni unite riguarda la soluzione del quesito se sia configurabile - nella condotta del custode del veicolo oggetto di sequestro amministrativo, ai sensi dell’art. 213 C.d.S., che circoli abusivamente con lo stesso - oltre alla violazione amministrativa prevista dal medesimo art. 213, comma 4, anche il reato di sottrazione o danneggiamento di cose sottoposte a sequestro (art. 334 c.p.). Con l’avvertenza preliminare che il problema si pone esclusivamente quando l’agente sia anche proprietario o custode (o abbia entrambe le qualità) del veicolo; diversamente il problema del concorso non si pone perche le ipotesi disciplinate dal codice penale si riferiscono solo a chi riveste queste qualità (reato proprio).
All’esame del tema proposto vanno premesse alcune brevi considerazioni riguardanti il principio di specialità: sia in generale per quanto riguarda le fattispecie penali sia con riferimento al concorso tra norme penali e violazioni di natura amministrativa. Questo tema, sotto il primo profilo, si inserisce nel problema più generale del concorso di reati - che può essere materiale (pluralità di condotte) o formale (unicità della condotta) - ipotizzabile quando una persona è chiamata a rispondere di più reati. In entrambe le ipotesi il concorso può essere omogeneo o eterogeneo a seconda che vengano violate una sola o più norme incriminatici.
Se questi reati sono disciplinati - come nel caso in esame - da una o più leggi che regolano la stessa materia si pone il problema se ci si trovi in presenza di concorso di reati ovvero se il concorso sia soltanto apparente nel senso che solo una delle ipotesi di reato può essere ritenuta esistente evitandosi il rischio di incorrere nel c.d. ne bis in idem sostanziale. Questo tema - per quanto riguarda il concorso tra norme penali - è disciplinato dall’art. 15 c.p. (principio di specialità) secondo cui, in queste ipotesi, la legge o la disposizione di legge speciale deroga a quella generale salvo che sia altrimenti stabilito.
Trattasi di una definizione assai generica che dottrina e giurisprudenza hanno cercato di rendere più determinata anzitutto con una serie di distinzioni che consentono un inquadramento più preciso del principio e una sua più agevole applicazione ai casi concreti.

1.1. La specialità può anzitutto riguardare una soltanto delle fattispecie penalmente sanzionate; si parla in questo caso di specialità unilaterale che può assumere carattere di specificazione o di aggiunta; queste ipotesi si realizzano:
- con la specificazione dei requisiti dell’altra fattispecie (specialità per specificazione); per es. violenza sessuale e violenza privata;
- con l’aggiunta di elementi rispetto all’altra fattispecie (specialità per aggiunta); per es. sequestro di persona e sequestro di persona a scopo di estorsione.
La specialità unilaterale si caratterizza perché - se si elimina la specificazione o l’aggiunta - si ricade nell’ipotesi generale. In questi casi la soluzione dei casi specifici è agevole e l’applicazione del principio di specialità non trova ostacoli; nella specialità per specificazione l’ipotesi speciale è addirittura già ricompresa in quella generale per cui sarebbe comunque punibile in base all’ipotesi generale; ma anche nell’ipotesi per aggiunta (nella quale l’ipotesi speciale non era già prevista dall’ipotesi generale) la condotta posta in essere ricade comunque in quella generale perché sono presenti tutti gli elementi della fattispecie tipica generale.
Nel caso di specialità unilaterale non sorgono dunque problemi per l’applicazione del principio di specialità od ostacoli per ritenere apparente il concorso di reati.

1.2. La specialità può essere invece bilaterale o reciproca e ciò si verifica quando l’aggiunta o la specificazione si verificano con riferimento sia all’ipotesi generale che a quella specifica (per es. rapporto tra artt. 610 e 611 c.p.: la prima norma prevede anche il tollerare o l’omettere che non sono previsti dalla seconda che, a sua volta, ha in più che la violenza o la minaccia devono essere dirette a far commettere un fatto costituente reato).
È evidente, nel caso di specialità bilaterale, la maggior difficoltà di applicare il principio di specialità perché non esistono criteri, se non di ordine logico, idonei a spiegare in modo inequivoco che cosa si intenda per norma speciale. Su questo punto è da osservare che, per rendere concretamente applicabile il principio di specialità in questi casi più complessi, sono stati proposti il criterio di sussidiarietà e quello di consunzione (detto anche di assorbimento).
Il criterio di sussidiarietà (è sussidiaria la norma che tutela un grado inferiore dello stesso bene tutelato dalla norma generale in grado inferiore: per. es. atti contrari alla pubblica decenza e atti osceni) può peraltro essere agevolmente riportato al principio di specialità (per rimanere all’esempio fatto: l’atto osceno ha, in aggiunta, il riferimento alla sessualità). E alla medesima conclusione è pervenuta parte della dottrina per quanto riguarda il criterio di consunzione o assorbimento (si è affermato che è “consumante la norma, il cui fatto comprende in sè il fatto previsto dalla norma consumata, e che perciò esaurisce l’intero disvalore del fatto concreto”).
È comunque da rilevare che entrambi questi criteri - sussidiarietà e consunzione (o assorbimento) - sono stati ritenuti, dalle Sezioni unite di questa Corte, tendenzialmente in contrasto con il principio di legalità (v. sentenza 20 dicembre 2005 n. 47164, Marino, rv. 232302-4) perché, così si esprimono le sezioni unite, “i giudizi di valore che i criteri di assorbimento e di consunzione richiederebbero sono tendenzialmente in contrasto con il principio di legalità, in particolare con il principio di determinatezza e tassatività, perché fanno dipendere da incontrollabili valutazioni intuitive del giudice l’applicazione di una norma penale”. Resta dunque fermo che l’unico criterio normativamente certo è quello di specialità.
Ma questa conclusione non basta a risolvere i problemi perché la norma non chiarisce se la specialità debba intendersi in concreto (applicando il trattamento più grave) o in astratto anche se dottrina e giurisprudenza propendono per questa seconda ipotesi perché, si è osservato, “non ha senso fare dipendere da un fatto concreto l’instaurarsi di un rapporto di genere a specie tra norme.
La specialità o esiste già in astratto o non esiste neppure in concreto”. 1.3. L’art. 15 c.p., fa riferimento alla “stessa materia” ma non chiarisce che cosa si intenda con l’uso di questa locuzione. Inutile dire che, anche su questo aspetto, si sono creati contrasti in dottrina: c’è chi la intende nel senso di stesso fatto “materiale” ma altra parte della dottrina ha messo in evidenza come esistano ipotesi certamente riconducibili al concorso di reati in cui il fatto è unico (per es. violenza sessuale e incesto); c’è invece chi fa riferimento all’identità del bene protetto.
Ma nei confronti di quest’ultima ricostruzione - l’identità del bene protetto - è stato obiettato che ciò condurrebbe a ritenere il concorso di reati anche nel caso di specialità unilaterale (per es. sequestro di persona e sequestro di persona a scopo di estorsione perché, in questo secondo caso, bene protetto è anche il patrimonio; e così variano i beni protetti nel caso di ingiuria e oltraggio a magistrato in udienza e in quello di violenza privata e violenza a p.u.; tutti casi per i quali per i quali non sono mai sorti dubbi sulla natura apparente del concorso).
È dunque da ritenere che per “stessa materia” debba intendersi la stessa fattispecie astratta, lo stesso fatto tipico di reato nel quale si realizza l’ipotesi di reato. Tesi confermata dalle sezioni unite di questa Corte che hanno ritenuto (v. sentenza 19 aprile 2007 n. 16568, Carchivi, rv. 235962) che “il riferimento all’interesse tutelato dalle norme incriminatrici non ha immediata rilevanza ai fini dell’applicazione del principio di specialità, perché si può avere identità di interesse tutelato tra fattispecie del tutto diverse, come il furto e la truffa, offensive entrambe del patrimonio, e diversità di interesse tutelato tra fattispecie in evidente rapporto di specialità, come l’ingiuria, offensiva dell’onore, e l’oltraggio a magistrato in udienza, offensivo del prestigio dell’amministrazione della giustizia”.
È da rilevare che l’identità di materia si ha sempre nel caso di specialità unilaterale per specificazione perché l’ipotesi speciale è ricompresa in quella generale; ciò si verifica anche nel caso di specialità reciproca per specificazione (si veda per es. il rapporto tra artt. 581 e 572 c.p.) ed è compatibile anche con la specialità unilaterale per aggiunta (per es. artt. 605 e 630) e con la specialità reciproca parte per specificazione e parte per aggiunta (art. 641 c.p., e L. Fall., art. 218). L’identità di materia è invece da escludere nella specialità reciproca bilaterale per aggiunta nei casi in cui ciascuna delle fattispecie presenti, rispetto all’altra, un elemento aggiuntivo eterogeneo (per es. violenza sessuale e incesto: violenza e minaccia nel primo caso; rapporto di parentela o affinità nel secondo).

1.4. Precisato che cosa si intende per “stessa materia” occorre stabilire che cosa sia speciale.
Come si è già accennato la soluzione è agevole nel caso di specialità unilaterale. È il caso più semplice perché caratterizzato dalla circostanza che tutti gli elementi della fattispecie c.d. generale siano ricompresi in quella c.d. speciale che ne prevede di ulteriori. In questo caso ci troviamo certamente nell’ipotesi del “concorso apparente” per cui deve ritenersi applicabile soltanto la fattispecie speciale.
Ma perché possa ritenersi applicabile l’art. 15 ricordato è necessario che i reati abbiano la stessa obiettività giuridica nel senso che deve trattarsi di reati che devono disciplinare tutti la medesima materia ed avere identità di struttura. Tale è, per es., il rapporto tra le fattispecie criminose previste dagli artt. 610 e 611 c.p., o tra quelle previste dagli artt. 624 e 626 c.p..
Si è già visto invece che, nel caso di specialità bilaterale o reciproca, il problema è di meno agevole soluzione proprio perché entrambe le fattispecie (ma potrebbero essere anche più di due) presentano, rispetto all’altra, elementi di specialità.
Giurisprudenza e dottrina si rifanno a indici diversi che possono così indicativamente riassumersi:
- i diversi corpi normativi in cui le norme sono ricomprese (per es. cod. civ. e legge fall.);
- specialità tra soggetti (per es. artt. 616 e 619 c.p.);
- la fattispecie dotata del maggior numero di elementi specializzanti.
Nei casi di specialità reciproca spesso è la stessa legge a indicare quale sia la norma prevalente con una clausola di riserva che può essere:
- determinata (al di fuori delle ipotesi previste dall’art……);
- relativamente determinata (si individua una categoria: per es.: se il fatto non costituisce un più grave reato);
- indeterminata (quando il rinvio è del tipo se il fatto non è previsto come reato da altra disposizione di legge).

2. Il concorso di norme tra fattispecie penali e violazioni amministrative (e quello tra norme che prevedono violazioni amministrative) è invece disciplinato dalla L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 9, in base al quale se uno stesso fatto è punito da una disposizione penale e da una disposizione che prevede una sanzione amministrativa si applica la disposizione speciale. Si tratta di una norma innovativa perché, in precedenza, il principio generalmente accolto era quello del normale concorso tra sanzione penale e violazione amministrativa.
Per ovvie ragioni il concorso tra disposizione penale e violazione amministrativa ha natura di concorso “eterogeneo” di norme.
La prima considerazione da fare, su questa norma, è che la stessa non prevede la “clausola di riserva”. La diversa formulazione, rispetto all’art. 15 c.p., non preclude comunque al legislatore di prevedere espressamente la clausola nei singoli casi: v., per es., l’art. 214 C.d.S., comma 8) ma vale sicuramente a dettare un criterio interpretativo restrittivo in quelli che potrebbero essere considerati casi di riserva implicita ampliando inevitabilmente l’area del concorso apparente in un percorso di valorizzazione di questo principio che certamente il legislatore ha voluto perseguire con l’eliminazione del riferimento alla clausola di riserva. Anche se non può condividersi l’orientamento (di cui è espressione Cass., sez. 3^, 4 aprile 2008 n. 19124, Palmieri e altro, n.m.) secondo le norme del codice della strada sono sempre speciali rispetto a quelle del codice penale nulla vietando che una specificazione o aggiunta sia prevista solo dal secondo.
Altrettanto rilevante è, nel testo dell’art. 9, la differenza rispetto all’art. 15 c.p., laddove, invece di parlare di “stessa materia”, si fa riferimento allo “stesso fatto”. Non è però da ritenere che con questa formula il legislatore abbia inteso fare riferimento alla specialità in concreto dovendosi al contrario ritenere che il richiamo sia fatto alla fattispecie tipica prevista dalle norme che vengono in considerazione evitando quella genericità che caratterizza l’art. 15 c.p., con il riferimento alla materia.
Valgono infatti, nel caso di concorso tra fattispecie penali e violazioni di natura amministrativa, le medesime considerazioni in precedenza espresse sulla necessità che il confronto avvenga tra le fattispecie tipiche astratte e non tra le fattispecie concrete. Il che, del resto, è confermato dal tenore dell’art. 9 che, facendo riferimento al “fatto punito”, non può che riferirsi a quello astrattamente previsto come illecito dalla norma e non certo al fatto naturalisticamente inteso. Orientamento condiviso anche dalla Corte costituzionale che, nella sentenza 3 aprile 1987, n. 97 - pronunziata proprio sul tema del concorso tra fattispecie di reato e violazione di natura amministrativa e con riferimento alla disciplina prevista dalla L. n. 689 del 1981, art. 9, comma 1, - ebbe ad osservare che per risolvere il problema del concorso apparente “vanno confrontate le astratte, tipiche fattispecie che, almeno a prima vista, sembrano convergere su di un fatto naturalisticamente inteso”. 3. Fatte queste premesse si osserva che, per risolvere il caso proposto alle sezioni unite, occorre preliminarmente esaminare la struttura del reato e della violazione amministrativa del cui concorso si discute. Il problema del concorso apparente richiede infatti la previa verifica dell’esistenza di un’area, comune e sovrapponibile, tra le condotte descritte nelle norme concorrenti;
diversamente, se le condotte tipiche fossero diverse, neppure si porrebbe il problema di cui ci stiamo occupando perché si tratterebbe di una mera “interferenza” che può verificarsi, per esempio, nei casi in cui non si è in presenza di un medesimo fatto ma soltanto di una comune condotta.
L’art. 334 c.p., disciplina diverse ipotesi. Quella prevista dal comma 1, può essere commessa solo da chi ha in custodia la cosa e si realizza con condotte alternative analiticamente indicate (sottrazione, soppressione, distruzione, dispersione, deterioramento); si tratta di un’ipotesi che richiede in capo all’agente l’esistenza del dolo specifico (lo scopo di favorire il proprietario della cosa).
L’ipotesi che viene maggiormente in considerazione è quella prevista dall’art. 334, comma 2, nella quale le condotte tipiche già descritte sono realizzate dal proprietario che sia anche custode.
Entrambe le ipotesi previste dall’art. 334 (ma anche l’ipotesi colposa disciplinata nell’art. 335 c.p.) sono caratterizzate, rispetto all’ipotesi prevista dal codice della strada, dalla circostanza che si tratta di reati “propri” che possono essere commessi esclusivamente dal custode (comma 1; ma anche l’ipotesi colposa prevista dall’art. 335) o dal proprietario custode (comma 2);
questa è una prima rilevante differenza con l’illecito di carattere amministrativo perché la condotta prevista dall’art. 213 C.d.S., comma 4, può essere realizzata da “chiunque”.
A loro volta gli elementi specializzanti contenuti nell’art. 213 sono costituiti dalle circostanze che la norma si riferisce al solo sequestro amministrativo previsto dal medesimo articolo e che non ogni condotta prevista dall’art. 334 integra l’ipotesi di illecito amministrativo ma esclusivamente la condotta di chi “circola abusivamente”.
La verifica che va compiuta è dunque quella rivolta ad accertare se una delle condotte descritte dalla norma del codice penale sia sovrapponibile alla condotta di chi circola abusivamente.; se cioè la circolazione abusiva realizzi anche uno dei fatti tipici descritti nell’art. 334. Questa verifica consente di affermare che, tra le condotte descritte nell’art. 334 c.p., l’unica per la quale può affermarsi una corrispondenza e sovrapposizione tra i fatti descritti nelle due norme è la sottrazione.
Il problema del concorso apparente neppure si pone quindi per quanto riguarda le altre condotte previste dalla norma codicistica: soppressione, distruzione e dispersione nulla hanno a che vedere con la circolazione del veicolo.

3.1. Ritengono le Sezioni unite che il problema non si ponga neppure per l’ipotesi del deterioramento che alcune decisioni di legittimità hanno invece preso in considerazione.
Circolare abusivamente costituisce un fatto tipico ben distinto dal deteriorare che può costituire una conseguenza indiretta della condotta illecita ma non realizza la condotta descritta anche perché l’usura che può conseguire alla circolazione non è equiparabile al deterioramento e la circolazione può addirittura servire ad evitare il deterioramento del motore del veicolo.
Si aggiunga che, nell’ipotesi del deterioramento la condotta dell’agente deve essere caratterizzata, sotto il profilo soggettivo, dal dolo (l’ipotesi colposa prevista dall’art. 335 c.p., non prevede il deterioramento) che appare difficilmente ipotizzabile nel caso della abusiva circolazione.

3.2. Si può invece convenire con la prevalente giurisprudenza di legittimità secondo cui anche la sola amotio del veicolo può realizzare la sottrazione. La condotta di sottrazione non implica l’impossessamento della cosa e può realizzarsi con la semplice elusione del vincolo cui il bene è sottoposto. Si è infatti condivisibilmente osservato (da parte di Cass., sez. 6^, 28 novembre 2007 n. 2163, Ferreri, rv. 238477) che “lo spostamento non più controllabile dal luogo di custodia, integra la condotta di “sottrazione”, perché il bene esce dalla sfera giuridica propria della procedura ablatoria ed entra in quella di fatto e privatistica dell’utilizzatore, sia esso il proprietario o il custode, con conseguente incidenza negativa sulla regolarità della procedura”.
Va però precisato che deve trattarsi di una condotta effettivamente caratterizzata da offensività che valga a far ritenere esistente una reale sottrazione, eventualmente anche temporanea, non soltanto alla disponibilità del bene ma altresì all’esercizio dei poteri di controllo esercitati dall’autorità giudiziaria o dall’autorità amministrativa (non deve dunque trattarsi del semplice spostamento del veicolo da un luogo ad un altro senza che lo stesso venga sottratto alla possibilità di esercizio di questi poteri ma si deve trattare di un uso incompatibile con le finalità del sequestro).

3.3. Fatte queste considerazioni ritengono le Sezioni unite che nel caso proposto vada ritenuta l’esistenza della sola violazione amministrativa prevista dall’art. 213 C.d.S..
Va premesso, da un punto di vista logico, che il già ricordato percorso normativo - espresso dal più volte menzionato art. 9 - diretto a privilegiare la specialità (e quindi l’apparenza del concorso) costituisce un’importante chiave di lettura in tutti i casi in cui, ad una condotta penalmente sanzionata, si aggiunga (soprattutto se ciò avvenga in tempi successivi rispetto all’entrata in vigore della prima norma) una disciplina normativa che la preveda anche come violazione di natura amministrativa.
A meno che non risulti (da una previsione espressa o da ragioni logiche implicite o da altre considerazioni) che il legislatore abbia inteso affiancare la sanzione amministrativa a quella penale l’interprete deve privilegiare l’interpretazione che valorizza la specialità ritenendo la depenalizzazione della condotta in precedenza costituente reato che sia presa in considerazione dalla nuova normativa e, nel caso inverso, optando per la sola ipotesi penalmente sanzionata.
A maggior ragione si impone l’applicazione del principio di specialità quando la violazione amministrativa, come nel caso in esame, costituiva precedentemente reato (la depenalizzazione è avvenuta in forza del D.Lgs. 30 dicembre 1999, n. 507, art. 19, comma 5) perché, in questo caso, è ancor più evidente l’intenzione del legislatore di affidare la disciplina del caso alle sole norme che disciplinano l’illecito amministrativo.

3.4. Fatta questa premessa di ordine logico l’esame della struttura delle due ipotesi di illecito in considerazione conferma l’ipotesi della sola apparenza del concorso; in particolare questo esame consente di escludere che il concorso di norma possa essere inquadrato nella fattispecie della specialità bilaterale o reciproca. Infatti tutti gli elementi specializzanti qualificanti l’illecito sono contenuti nell’art. 213: la circolazione abusiva e la natura amministrativa del sequestro.
Si tratta di elementi specializzanti per specificazione perché entrambi sono già ricompresi nella fattispecie tipica dell’art. 334 c.p., e non si aggiungono al fatto descritto nella norma codicistica.
Se la sottrazione si realizza anche con la sola amotio del veicolo questa condotta è prevista dalla norma del codice penale che, sotto il diverso profilo indicato, prevede espressamente anche il sequestro disposto dall’autorità amministrativa.
C’è però, nell’art. 213, un ulteriore elemento specializzante: la circostanza che la violazione amministrativa possa essere commessa da “chiunque” e questo elemento può essere ritenuto specializzante “per aggiunta” (l’illecito può essere commesso - in aggiunta ai soggetti indicati nell’art. 334 c.p. - anche da persone che non hanno quelle qualità).
Se così è la soluzione del quesito proposto è obbligata: gli elementi specializzanti sono tutti contenuti nell’art. 213 C.d.S., comma 4, e dunque questa norma deve essere ritenuta speciale ai sensi della L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 9, comma 1, (ma lo sarebbe anche con l’applicazione dell’art. 15 c.p.) con la conseguenza che il concorso con l’art. 344 c.p. limitatamente alla condotta di chi circola abusivamente con il veicolo sottoposto a sequestro amministrativo in base alla medesima norma - deve essere ritenuto apparente.
Né l’identità del fatto può essere negata in considerazione della (peraltro parziale) diversità dell’oggetto giuridico della tutela nel caso in esame per le considerazioni già svolte sull’irrilevanza di questo criterio che porterebbe ad escludere la specialità nei casi già indicati per i quali specificamente da sempre riconosciuta l’apparenza del concorso.

4. Deve dunque concludersi che nel caso esaminato il concorso tra le norme ricordate sia solo apparente e che sia applicabile all’ipotesi in esame soltanto la violazione amministrativa prevista dall’art. 213 C.d.S., comma 4.
Dal che consegue il rigetto del ricorso. La questione di legittimità costituzionale - proposta dal difensore del ricorrente subordinatamente all’accoglimento del ricorso - deve ritenersi assorbita.