giovedì 4 ottobre 2012

Resistenza a Pubblico Ufficiale

Con sentenza della Corte di Cassazione n. 37104, depositata il 26 settembre 2012, è stato respinto il ricorso e condannata una Sig.ra alla guida di un'autoveicolo (che si era ricolta a degli agenti con la seguente colorita espressione:"vabbene sono ubriaca e sono venuta contromano, ma siete voi che mi siete venuti addosso e adesso mi volete incastrare; non mi dovete rompere il cazzo, perché voi siete dei pezzi di merda, ho anche io amici in polizia e vi rovino"), "essendo sufficiente l'uso della minaccia per opporsi all'atto di ufficio, indipendentemente dal raggiungimento dell'intento da parte del prevenuto ovvero dalla circostanza che il soggetto passivo si sia in concreto sentito minacciato, in tal modo correttamente interpretando e applicando i principi più volte espressi dalla giurisprudenza di legittimità in materia"


Mario Serio

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Si riporta il testo della sentenza e il dispositivo aggiornato  dell'art. 337  del C.P.(tratto da http://www.brocardi.it)

Dispositivo dell'art. 337 Codice Penale

Chiunque usa violenza o minaccia (1) (2) per opporsi a un pubblico ufficiale o ad un incaricato di un pubblico servizio, mentre compie un atto di ufficio o di servizio, o a coloro che, richiesti, gli prestano assistenza, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni [339] (3) (4).

Note

(1) Non è necessario che la violenza o minaccia sia esercitata direttamente sulla persona del pubblico ufficiale o sull'incaricato del pubblico servizio, ma è sufficiente che essa si estrinsechi su cose o anche su privati, purché sia idonea ad impedire, a turbare e ad ostacolare l'esercizio della pubblica funzione.
Si pensi alla fattispecie in cui l'autore del reato aveva minacciato di ferirsi con i vetri di una bottiglia per ottenere che gli agenti di custodia del carcere ove egli era detenuto non compissero l'atto di consegna della sua persona ai carabinieri incaricati della traduzione presso altro istituto penitenziario.
(2) Non integra né violenza né minaccia la cd. resistenza meramente passiva (ad esempio, buttarsi a terra, rifiutarsi di obbedire etc.) e quindi essa non integra il delitto in esame neppure nel caso in cui il funzionario sia costretto ad usare la forza per vincerla. Dunque è necessario che la resistenza abbia il carattere di comportamento attivo, ed in particolare, aggressivo e non difensivo.
Discusso è il problema se e quando la fuga possa configurare resistenza al pubblico ufficiale.
Pacifico è che la semplice fuga a piedi non può mai configurare il reato in esame, in quanto in essa non è ravvisabile né violenza né minaccia; a meno che la fuga, come afferma la giurisprudenza, non sia stata agevolata da spintoni che il soggetto dà all'agente di polizia al fine di liberarsene dalla presa. La giurisprudenza ha precisato, comunque, che costituisce resistenza a pubblico ufficiale: la fuga in auto per forzare un posto di blocco; la fuga in auto attuata con fulminei testa-coda per costringere gli inseguitori a manovre ritardatrici onde evitare l'urto; la fuga in auto attuata con modalità tali da porre in pericolo l'incolumità degli inseguitori, come, ad esempio, il fatto di sterzare improvvisamente, una volta raggiunto dall'auto inseguitrice, per spingere quest'ultima fuori strada; la fuga in auto mentre il complice spara sugli agenti attraverso il finestrino; la fuga per vincere una resistenza del pubblico ufficiale, come ad esempio, nel caso di chi metta improvvisamente in moto l'autovettura al fine di costringere l'agente che si era aggrappato allo sportello a desistere dalla sua azione di inseguimento.
(3) È ritenuta sussistente la fattispecie nel caso di aggressioni perpetrate al termine di una partita di calcio dai tifosi della squadra di casa ai pullmans che trasportavano quelli della squadra ospite e alle pattuglie di scorta della polizia.
È altresì configurabile il reato di resistenza a un pubblico ufficiale nel caso in cui il soggetto agente, prendendo per un braccio l'ufficiale giudiziario procedente e portandolo fuori della porta, si opponga allo stesso nel compimento di un atto del suo ufficio -- nella specie un pignoramento -- poiché in tale condotta sono ravvisabili gli estremi della violenza (fattispecie relativa a rigetto di ricorso nel quale l'imputato aveva sostenuto che la corte di merito, nel qualificare «violento» un mero atto di scorrettezza, aveva erroneamente «dislargato» l'ambito di operatività dell'art. 337 (Cass. 17-2-1989, n. 2659).
(4) Si applica anche al delitto in esame la scriminante di cui all'art. 4, d.lgs.lgt. 14-9-1944, n. 288, riportato sub art. 336 nota [v. Libro II, Titolo II, Capo II].