Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 17 aprile – 17 luglio 2012, n. 28701
Presidente Ippolito – Relatore Carcano
Ritenuto in fatto
1.La Corte d'appello di Lecce, Sezione minorenni, con sentenza 5 maggio 2010, ha confermato la decisione 23 aprile 2009 di primo grado, resa all'esito di giudizio abbreviato, con la quale F.R. fu dichiarato responsabile del reato di cui all'art. 336 c.p. poiché, in concorso con altro minore A..T. , minacciava l'agente di polizia municipale A..P. allo scopo evidente di costringerlo a omettere il fermo amministrativo e l'affidamento in custodia del ciclomotore, a bordo del quale i due ragazzi stavano viaggiando insieme al minore M.G. . Il giudice di primo grado convettiva la pena di quattro mesi di reclusione, nella sanzione della libertà controllata per la durata di otto mesi.
A fronte del'impugnazione proposta dal difensore con la quale fu richiesta l'insussistenza del fatto o l'estinzione del reato per esito positivo della messa alla prova,nonché la concessione del perdono giudiziale, l'applicazione dell'indulto e la concessione delle attenuanti generiche, la Corte d'appello ha rilevato che l'episodio oggetto di imputazione è risultato provato dalle dichiarazione del vigile A..P. .
Non rileva, ad avviso della Corte di merito, che la condotta fu realizzata ancor prima che fossero completate le operazioni relative al fermo amministrativo, poiché l'atto contrario costituisce oggetto del dolo specifico e non elemento oggettivo del reato.
Il giudice d'appello rileva che nei confronti di F.R. è stata applicata già in due occasioni la messa alla prova, conclusosi con esito negativo per la mancata esecuzione del progetto educativo e per tale ragione non avrebbe potuto essere accolta la declaratoria di estinzione del reato ex art. 29 d.p.r. n. 448 del 1988.
Non ricorrono le condizioni per il perdono giudiziale, in considerazione della gravità della condotta e tenuto conto della prognosi negativa dovuta anche all'esito della messa alla prova. Per le stesse ragioni, non possono essere concesse le attenuanti generiche.
2. R..F. propone ricorso personalmente e deduce:
- Nullità della sentenza per violazione di legge consistente nella mancata indicazione dei motivi per i quali è stata affermata la responsabilità per il reato contestato. Erronea applicazione dell'art. 336 c.p..
Per il ricorrente, l'elemento oggettivo del reato è l'usare violenza o minaccia nei confronti del pubblico ufficiale affinché tenga un comportamento diverso da quello voluto. Ne discende che la minaccia e la violenza devono essere tali da incidere sull'autodeterminazione del pubblico ufficiale nel senso che debbano avere l'effettiva idoneità a costringere e ciò comporta che l'agente deve rappresentarsi tale idoneità e finalizzarla alla costrizione.
Una analisi del fatto esclude che ciò possa essere accaduto, poiché l'attività del pubblico ufficiale ebbe un regolare svolgimento senza impedimento alcuno.
La minaccia o la violenza devono precedere il compimento dell'atto, mentre quando la condotta dell'agente è usata a causa dell'atto già compiuto o sia offensiva dell'onore o del prestigio del pubblico ufficiale ricorre l'ipotesi dell'oltraggio non più previsto dalla legge come reato.
Potrebbe al più configurarsi la condotta di resistenza che richiede una condotta di intimidazione o di violenza, mentre il pubblico ufficiale compie l'atto d'ufficio, come è accaduto nel caso concreto in cui la condotta è stata posta in essere durante l'espletamento della procedura di fermo amministrativo.
Per tali ragioni, vi è una carenza di motivazione in ordine alle modalità esecutive del fatto indispensabili per qualificare correttamente la condotta realizzata.
- Mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione poiché non vi è stata una valutazione critica degli elementi indiziari che non può essere soddisfatta con il mero rinvio alle risultanze processuali.
- Mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione con riferimento alla mancata declaratoria di estinzione del reato ex art. 29 d.p.r. n.448 del 1988 e mancata concessione delle attenuanti generiche.
Su tali questioni, la Corte d'appello non esprime alcuna valutazione, rinviando alla gravità del fatto e ad altri elementi che non hanno alcun riferimento all'inopportunità di intervenire sul minore con una sanzione penale.
Non vi sono stati gli interventi richiesti per consentire al minore di comprendere la gravità del fatto e la ragione etico-sociale della decisione.
Anche il diniego del perdono giudiziario è privo di una motivazione caratterizzata da apprezzamenti critici specifici e concreti.
Non risulta altrettanto una specifica motivazione sull'esito negativo della messa alla prova e per quale ragione non vi sia stato un risultato favorevole, nonostante il minore abbia rispettato quattro punti su cinque del progetto.
Non si chiarisce la mancata applicazione dell'indulto e la ragione per la quale la Corte d'appello abbia rinviato alla fase dell'esecuzione l'applicazione.
Considerato in diritto
Il ricorso è fondato.
La ricostruzione dei fatti effettuata dalla Corte di merito rende evidente che la condotta realizzata da F. , con il concorso dell'altro correo T. , non integra il delitto di minaccia a pubblico ufficiale, bensì quello di oltraggio non più previsto dalla legge come reato, perché abrogato dall'art.18 delle legge n.205 del 1999.
Come noto, per la configurabilità del delitto previsto dall'art. 336 e. p., la violenza o la minaccia deve essere diretta a costringere il pubblico ufficiale a fare un atto contrario ai propri doveri o ad omettere un atto dell'ufficio e devono precedere il compimento dell'atto.
La condotta realizzata dai due giovani, F. e T. , per come emerge dalla sentenza impugnata, appare all'evidenza espressione di volgarità ingiuriosa e di atteggiamento parolaio e genericamente minaccioso e usata a causa dell'atto già in parte compiuto, senza alcuna finalizzazione ad incidere sull'attività che in realtà ebbe a concludersi con il sequestro da parte del agente di polizia municipale (Sez. VI, 2 dicembre 2008, dep. 8 gennaio 2009, n. 335).
Allorché il comportamento di aggressione all'incolumità fisica del pubblico ufficiale non sia diretta a costringere il soggetto a fare un atto contrario ai propri doveri o ad omettere un atto dell'ufficio, ma sia solo espressione di volgarità ingiuriosa e di atteggiamento genericamente minaccioso, senza alcuna finalizzazione a incidere sull'attività dell'ufficio o del servizio, la condotta violenta non integra il delitto di cui all'art. 336 c.p., ma - una volta abrogato il delitto di oltraggio di cui all'art. 341 c.p. - i più generali reati di ingiuria e di minaccia, aggravati dalla qualità delle persone offese, per la cui procedibilità è necessaria la querela (Sez. VI, 3 febbraio 2005, dep. 29 febbraio 2005, n. 12188).
La sentenza impugnata va annullata senza rinvio poiché il fatto oggetto dell'imputazione non sussiste.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata senza rinvio perché il fatto non sussiste.
Presidente Ippolito – Relatore Carcano
Ritenuto in fatto
1.La Corte d'appello di Lecce, Sezione minorenni, con sentenza 5 maggio 2010, ha confermato la decisione 23 aprile 2009 di primo grado, resa all'esito di giudizio abbreviato, con la quale F.R. fu dichiarato responsabile del reato di cui all'art. 336 c.p. poiché, in concorso con altro minore A..T. , minacciava l'agente di polizia municipale A..P. allo scopo evidente di costringerlo a omettere il fermo amministrativo e l'affidamento in custodia del ciclomotore, a bordo del quale i due ragazzi stavano viaggiando insieme al minore M.G. . Il giudice di primo grado convettiva la pena di quattro mesi di reclusione, nella sanzione della libertà controllata per la durata di otto mesi.
A fronte del'impugnazione proposta dal difensore con la quale fu richiesta l'insussistenza del fatto o l'estinzione del reato per esito positivo della messa alla prova,nonché la concessione del perdono giudiziale, l'applicazione dell'indulto e la concessione delle attenuanti generiche, la Corte d'appello ha rilevato che l'episodio oggetto di imputazione è risultato provato dalle dichiarazione del vigile A..P. .
Non rileva, ad avviso della Corte di merito, che la condotta fu realizzata ancor prima che fossero completate le operazioni relative al fermo amministrativo, poiché l'atto contrario costituisce oggetto del dolo specifico e non elemento oggettivo del reato.
Il giudice d'appello rileva che nei confronti di F.R. è stata applicata già in due occasioni la messa alla prova, conclusosi con esito negativo per la mancata esecuzione del progetto educativo e per tale ragione non avrebbe potuto essere accolta la declaratoria di estinzione del reato ex art. 29 d.p.r. n. 448 del 1988.
Non ricorrono le condizioni per il perdono giudiziale, in considerazione della gravità della condotta e tenuto conto della prognosi negativa dovuta anche all'esito della messa alla prova. Per le stesse ragioni, non possono essere concesse le attenuanti generiche.
2. R..F. propone ricorso personalmente e deduce:
- Nullità della sentenza per violazione di legge consistente nella mancata indicazione dei motivi per i quali è stata affermata la responsabilità per il reato contestato. Erronea applicazione dell'art. 336 c.p..
Per il ricorrente, l'elemento oggettivo del reato è l'usare violenza o minaccia nei confronti del pubblico ufficiale affinché tenga un comportamento diverso da quello voluto. Ne discende che la minaccia e la violenza devono essere tali da incidere sull'autodeterminazione del pubblico ufficiale nel senso che debbano avere l'effettiva idoneità a costringere e ciò comporta che l'agente deve rappresentarsi tale idoneità e finalizzarla alla costrizione.
Una analisi del fatto esclude che ciò possa essere accaduto, poiché l'attività del pubblico ufficiale ebbe un regolare svolgimento senza impedimento alcuno.
La minaccia o la violenza devono precedere il compimento dell'atto, mentre quando la condotta dell'agente è usata a causa dell'atto già compiuto o sia offensiva dell'onore o del prestigio del pubblico ufficiale ricorre l'ipotesi dell'oltraggio non più previsto dalla legge come reato.
Potrebbe al più configurarsi la condotta di resistenza che richiede una condotta di intimidazione o di violenza, mentre il pubblico ufficiale compie l'atto d'ufficio, come è accaduto nel caso concreto in cui la condotta è stata posta in essere durante l'espletamento della procedura di fermo amministrativo.
Per tali ragioni, vi è una carenza di motivazione in ordine alle modalità esecutive del fatto indispensabili per qualificare correttamente la condotta realizzata.
- Mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione poiché non vi è stata una valutazione critica degli elementi indiziari che non può essere soddisfatta con il mero rinvio alle risultanze processuali.
- Mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione con riferimento alla mancata declaratoria di estinzione del reato ex art. 29 d.p.r. n.448 del 1988 e mancata concessione delle attenuanti generiche.
Su tali questioni, la Corte d'appello non esprime alcuna valutazione, rinviando alla gravità del fatto e ad altri elementi che non hanno alcun riferimento all'inopportunità di intervenire sul minore con una sanzione penale.
Non vi sono stati gli interventi richiesti per consentire al minore di comprendere la gravità del fatto e la ragione etico-sociale della decisione.
Anche il diniego del perdono giudiziario è privo di una motivazione caratterizzata da apprezzamenti critici specifici e concreti.
Non risulta altrettanto una specifica motivazione sull'esito negativo della messa alla prova e per quale ragione non vi sia stato un risultato favorevole, nonostante il minore abbia rispettato quattro punti su cinque del progetto.
Non si chiarisce la mancata applicazione dell'indulto e la ragione per la quale la Corte d'appello abbia rinviato alla fase dell'esecuzione l'applicazione.
Considerato in diritto
Il ricorso è fondato.
La ricostruzione dei fatti effettuata dalla Corte di merito rende evidente che la condotta realizzata da F. , con il concorso dell'altro correo T. , non integra il delitto di minaccia a pubblico ufficiale, bensì quello di oltraggio non più previsto dalla legge come reato, perché abrogato dall'art.18 delle legge n.205 del 1999.
Come noto, per la configurabilità del delitto previsto dall'art. 336 e. p., la violenza o la minaccia deve essere diretta a costringere il pubblico ufficiale a fare un atto contrario ai propri doveri o ad omettere un atto dell'ufficio e devono precedere il compimento dell'atto.
La condotta realizzata dai due giovani, F. e T. , per come emerge dalla sentenza impugnata, appare all'evidenza espressione di volgarità ingiuriosa e di atteggiamento parolaio e genericamente minaccioso e usata a causa dell'atto già in parte compiuto, senza alcuna finalizzazione ad incidere sull'attività che in realtà ebbe a concludersi con il sequestro da parte del agente di polizia municipale (Sez. VI, 2 dicembre 2008, dep. 8 gennaio 2009, n. 335).
Allorché il comportamento di aggressione all'incolumità fisica del pubblico ufficiale non sia diretta a costringere il soggetto a fare un atto contrario ai propri doveri o ad omettere un atto dell'ufficio, ma sia solo espressione di volgarità ingiuriosa e di atteggiamento genericamente minaccioso, senza alcuna finalizzazione a incidere sull'attività dell'ufficio o del servizio, la condotta violenta non integra il delitto di cui all'art. 336 c.p., ma - una volta abrogato il delitto di oltraggio di cui all'art. 341 c.p. - i più generali reati di ingiuria e di minaccia, aggravati dalla qualità delle persone offese, per la cui procedibilità è necessaria la querela (Sez. VI, 3 febbraio 2005, dep. 29 febbraio 2005, n. 12188).
La sentenza impugnata va annullata senza rinvio poiché il fatto oggetto dell'imputazione non sussiste.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata senza rinvio perché il fatto non sussiste.