In
tema di risarcimento danni da circolazione stradale, come noto, l’art.
145 Cod. Ass. Priv. subordina la proponibilità della domanda giudiziaria
di risarcimento del danno alla persona, riportato in conseguenza di
sinistro stradale, al decorso del c.d. spatium deliberandi di 90
giorni a partire dal momento in cui il danneggiato abbia presentato
all’impresa di assicurazione un’istanza di risarcimento del danno, a
mezzo lettera raccomandata con avviso di ricevimento, “avendo osservato le modalità e i contenuti previsti dall’articolo 148”.
L’art. 148, in particolare, prevede che la richiesta di risarcimento
1) deve contenere:
l’indicazione del codice fiscale degli aventi diritto al risarcimento;
la descrizione delle circostanze nelle quali si è verificato il sinistro;
2) deve essere accompagnata:
dai dati relativi all’età, all’attività del danneggiato, al suo reddito, all’entità delle lesioni subite;
da attestazione medica comprovante l’avvenuta guarigione con o senza postumi permanenti;
dalla dichiarazione ai sensi dell’articolo 142, comma 2, del decreto legislativo n. 209 del 2005, o, in caso di decesso, dallo stato di famiglia della vittima.
Una richiesta risarcitoria che non risponda a tutti i requisiti formali
di indicazione, descrizione e allegazione richiesti dall’art. 148,
presenta un vizio di contenuto di per sé idoneo ad impedire il decorso
dello spatium deliberandi previsto dall’art. 145 e determina, pertanto, l’improponibilità dell’azione risarcitoria e della domanda giudiziale.
Lo ha confermato la Corte Costituzionale nella sentenza 3 maggio 2012,
n. 111 in cui la Consulta ha inteso precisare che l’istituto
dell’improponibilità della domanda così inteso, rigorosamente risultante
dal combinato disposto degli artt. 145 co. 1 e 148 co. 2 C.d.S., è
pienamente conforme al dettato della Costituzione e della Convenzione
Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà
Fondamentali.
Secondo i Giudici, l’onere di conformazione della richiesta
risarcitoria non menoma in alcun modo, né sul piano sostanziale né sul
piano processuale, la tutela del danneggiato, ma al contrario, ponendosi
in rapporto funzionale con l’obbligo – posto dalla medesima normativa a
carico dell’assicuratore – di formulare una congrua offerta
risarcitoria in tempi prestabiliti – ha la funzione di rafforzare le
possibilità di difesa offerte al danneggiato.
L’onere di diligenza preteso dal danneggiato, in altri termini, si
raccorda coerentemente con l’obbligo di cooperazione imposto
all’assicuratore.
La Corte Costituzionale, per altro verso, evidenzia come la previsione
normativa in esame – in ogni caso – non produce alcuna restrizione di
tutela sul piano sostanziale, essendo destinata ad esaurire
completamente i suoi effetti sul piano processuale. La declaratoria di
improponibilità dell’azione ex artt. 145 e 148 Cod. Ass. Priv., infatti,
non preclude al danneggiato la possibilità di riproporre la domanda
risarcitoria, nel rispetto delle predette disposizioni ed entro i
termini di prescrizione del diritto, curando di sottolineare che,
trattandosi di pronuncia di rito, la domanda dichiarata improponibile
interrompe i termini di prescrizione, che però iniziano subito a
decorrere nuovamente, senza che possa realizzarsi l’effetto
“interruttivo/sospensivo” previsto dall’art. 2945 co. 2 c.c.
I principi giuridici autorevolmente espressi in Corte Costituzionale 3
maggio 2012, n. 111 sono destinati ad incidere sensibilmente sugli
orientamenti della giurisprudenza di merito, in special modo dei giudici
di pace, quotidianamente chiamata a decidere sulle eccezioni di
improponibilità sollevate dalle compagnie di assicurazione e, molto
spesso, propensi a fare propria un’interpretazione piuttosto elastica e
non formalistica dei precetti normativi in esame.
In questa prospettiva, non va sottovalutato che la Consulta, nella
fattispecie, ha deciso la questione di legittimità con una “semplice”
sentenza di rigetto, non ricorrendo allo strumento della sentenza
interpretativa.
I Giudici costituzionali, in parole povere, hanno ritenuto:
a) che l’art. 145 co. 1 Cod. Ass. Priv., letto in combinato disposto
con il successivo art. 148 co. 2, debba essere interpretato secondo il
significato letterale delle norme, nel senso che la violazione
dell’onere di conformazione della richiesta risarcitoria a tutti i
requisiti formali richiesti comporta l’improponibilità della domanda
giudiziale;
b) che la disposizione, così rigorosamente interpretata, non contrasta con principi di rango costituzionale.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Alfonso QUARANTA Presidente
- Franco GALLO Giudice
- Luigi MAZZELLA ”
- Sabino CASSESE ”
- Giuseppe TESAURO ”
- Paolo Maria NAPOLITANO ”
- Giuseppe FRIGO ”
- Paolo GROSSI ”
- Giorgio LATTANZI ”
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Sergio MATTARELLA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel
giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo 145, comma 1, del
decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209 (Codice delle assicurazioni
private), promosso dal Giudice di pace di Roma, nel procedimento civile
vertente tra C. Renato e l’Axa Assicurazioni s.p.a. ed altra, con
ordinanza del 18 maggio 2010, iscritta al n. 226 del registro ordinanze
2011 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 46, prima
serie speciale, dell’anno 2011.
Visto l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 21 marzo 2012 il Giudice relatore Mario Rosario Morelli.
Ritenuto in fatto
1.―
In giudizio civile risarcitorio, promosso da un pedone nei confronti
della società assicuratrice del veicolo dal quale assumeva di essere
stato investito, subendo lesioni personali, l’adito Giudice di pace di
Roma – al fine del decidere sulla eccezione pregiudiziale della
convenuta di improponibilità della domanda per vizi di contenuto della
richiesta stragiudiziale di cui all’articolo 145, comma 1, in relazione
alle prescrizioni del successivo articolo 148, comma 2, del decreto
legislativo 7 settembre 2005, n. 209 (Codice delle assicurazioni
private) – ha sollevato questione di legittimità costituzionale del
combinato disposto delle predette disposizioni del c.d.a., in
riferimento agli articoli 2, 3, 24, 32, 76, 111 e 117, primo comma,
della Costituzione, in relazione anche agli articoli 6, paragrafo 1, e
13 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e
delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950,
ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, e
all’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione
europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000, nel testo consolidato
con le modifiche apportate dal Trattato di Lisbona il 13 dicembre 2007,
ratificato con legge 2 agosto 2008, n. 130 ed entrato in vigore il 1°
dicembre 2009.
2.― È intervenuto il Presidente del Consiglio dei
ministri, con il patrocinio dell’Avvocatura generale dello Stato,
eccependo l’inammissibilità della questione per la omessa previa
verifica di una possibile interpretazione costituzionalmente orientata
della normativa denunciata, nel senso che la correlativa finalità di
incentivare la conclusione della vicenda in sede stragiudiziale «non
comprime le possibilità di difesa offerte al soggetto danneggiato, ma
anzi le incrementa».
Nel merito, l’Autorità intervenuta ha
concluso per la non fondatezza, per ogni aspetto, della questione
sollevata, sostanzialmente sul rilievo che «non può ritenersi lesiva dei
diritti costituzionali d’azione e difesa in giudizio una disciplina che
a contrario preveda un condizionamento della tutela giurisdizionale
alla congruità dell’offerta di liquidazione da parte dell’assicuratore»
come quella prevista nel comma 1 dello stesso denunciato articolo 148
c.d.a.
Considerato in diritto
1.― Il
Giudice di pace di Roma dubita della legittimità costituzionale
dell’articolo 145 del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209
(Codice delle assicurazioni private, di seguito c.d.a.) nella parte in
cui, al comma 1, subordina la proponibilità della domanda giudiziaria di
risarcimento del danno alla persona, riportato in conseguenza di
sinistro stradale, al decorso del c.d. spatium deliberandi di 90 giorni
in capo all’assicuratore, decorrente dal giorno in cui il danneggiato
abbia presentato all’impresa di assicurazione un’istanza di risarcimento
del danno, a mezzo lettera raccomandata con avviso di ricevimento,
«avendo osservato le modalità e i contenuti previsti dall’articolo 148
c.d.a.». Il quale, a sua volta, appunto, al comma 2, prescrive che «la
richiesta deve contenere l’indicazione del codice fiscale degli aventi
diritto al risarcimento e la descrizione delle circostanze nelle quali
si è verificato il sinistro ed essere accompagnata, ai fini
dell’accertamento e della valutazione del danno da parte dell’impresa,
dai dati relativi all’età, all’attività del danneggiato, al suo reddito,
all’entità delle lesioni subite, da attestazione medica comprovante
l’avvenuta guarigione con o senza postumi permanenti, nonché dalla
dichiarazione ai sensi dell’articolo 142, comma 2, del decreto
legislativo n. 209 del 2005, o, in caso di decesso, dallo stato di
famiglia della vittima».
La questione è sollevata in riferimento
agli articoli 2, 3, 24, 32, 76, 111 e 117, primo comma, della
Costituzione, in relazione anche agli articoli 6, paragrafo 1, e 13
della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e
delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950,
ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, ed
all’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione
europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000, nel testo consolidato
con le modifiche apportate dal Trattato di Lisbona il 13 dicembre 2007,
ratificato con legge 2 agosto 2008, n. 130 ed entrato in vigore il 1°
dicembre 2009.
Sostiene, infatti, in premessa, il giudice a quo
che, dal combinato disposto delle due riferite disposizioni, derivi «un
indubbio svantaggio per il danneggiato, su cui grava un maggior onere di
allegazione e di prova ai fini dell’accesso alla giurisdizione», che,
ai sensi del previgente articolo 22 della legge 24 dicembre 1969, n. 990
(Assicurazione obbligatoria della responsabilità civile derivante dalla
circolazione dei veicoli a motore e dei natanti), gli era viceversa
consentito sulla base di una previa richiesta risarcitoria anche
incompleta o di meri atti equipollenti.
Ed in ragione di ciò,
appunto, dubita il rimettente che l’«inasprimento del filtro all’azione
giudiziaria», così, a suo dire immotivatamente, operato dal legislatore
delegato, violi:
– l’articolo 76 della Costituzione, in quanto
non rispondente ai criteri della delega di cui agli articoli 1 e 4 della
legge 29 luglio 2003, n. 229 (Interventi in materia di qualità della
regolazione, riassetto normativo e codificazione. Legge di
semplificazione 2001), ed anzi in contrasto con i principi, da essa
recepiti, finalizzati alla tutela del soggetto debole nelle procedure di
liquidazione, di cui alla direttiva 11 maggio 2005, n. 2005/14/CE
(Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica le
direttive del Consiglio 72/166/CEE, 84/5/CEE, 88/357/CEE e 90/232/CEE e
la direttiva 2000/26/CE del Parlamento europeo e del Consiglio
sull’assicurazione della responsabilità civile risultante dalla
circolazione di autoveicoli), oltreché non sorretto da parere, né
preventivo né successivo, del Consiglio di Stato;
– l’art. 117,
primo comma, Cost., per contrasto con i canoni dell’equo processo e
della effettività della tutela giurisdizionale, in relazione agli
articoli 6, paragrafo 1, e 13 della CEDU e all’art. 47 della Carta
dell’Unione europea;
– gli artt. 2, 24, 32 e 111 Cost.,
risultandone compromesso il diritto di azione e di difesa nel giudizio, a
tutela del diritto alla salute;
– l’art. 3 Cost., per la
disparità di trattamento che ne conseguirebbe, per un verso, tra
danneggiato e impresa assicuratrice (la seconda «automaticamente
avvantaggiata dagli oneri di richiesta imposti al primo»); e, per altro
verso, tra soggetti danneggiati, secondo che esercitino (come nella
specie) l’azione nei confronti della compagnia di assicurazione del
responsabile del sinistro, ovvero esercitino le azioni per «risarcimento
diretto» (nei confronti della propria assicuratrice o di quella del
trasportante) di cui agli artt. 144 e 141 c.d.a., ovvero ancora agiscano
nei confronti del Fondo di garanzia per le vittime della strada, ai
sensi degli artt. 283 e 287 dello stesso codice, per essere solo i
primi, e non anche gli altri, tenuti al rispetto delle prescrizioni di
cui all’art. 148 c.d.a. nella formulazione dell’istanza risarcitoria
stragiudiziale.
2.― La questione, rilevante (in quanto – come
osservato dal rimettente – dalla applicazione, ove non rimossa, della
normativa denunciata deriverebbe, in concreto, l’improponibilità della
domanda al suo esame) ed ammissibile (poiché quel che, in via di
eccezione, l’Avvocatura deduce omessa dal giudice a quo non è, in
realtà, una possibile diversa «interpretazione», bensì una diversa
«valutazione», sul piano della conformità a Costituzione, delle
disposizioni di cui trattasi, in ragione della ratio, che le ispira, di
maggiore tutela del danneggiato), è però, nel merito, non fondata.
I
numerosi profili di censura, in relazione ai molteplici parametri
evocati dal rimettente, ruotano tutti, infatti, intorno alla medesima
argomentazione: quella, cioè, per cui l’onere di conformazione della
previa richiesta risarcitoria ex art. 145 ai contenuti prescritti
dall’art. 148 c.d.a. menomi, sul piano sostanziale e processuale, la
tutela del danneggiato.
Da qui, invero, a cascata, l’ipotizzata
contrarietà del denunciato disposto al disegno ispiratore della delega
per il settore delle assicurazioni, nel suo carattere rafforzativo della
tutela del soggetto più debole, ed il vulnus a tutti i parametri (anche
europei, richiamati in correlazione all’art. 117, primo comma, Cost.),
posti a presidio del diritto di azione e del sottostante diritto alla
salute del danneggiato da sinistro stradale.
Ma è proprio tale
premessa di fondo, comune ad ogni sub-articolazione della
sostanzialmente unica questione sollevata, che non risulta
condivisibile.
Trascura, infatti, il rimettente di adeguatamente
considerare il nesso funzionale che, all’interno della normativa
denunciata, lega le prescrizioni formali, a carico del richiedente,
all’«offerta congrua» che, sulla base della richiesta così formulata, è
fatto obbligo all’assicuratore di presentare al danneggiato, in
prospettiva di una satisfattiva soluzione della controversia già in fase
stragiudiziale, ed anche ai fini di razionalizzazione del contenzioso
giudiziario, notoriamente inflazionato, nella materia dei sinistri
stradali, anche da liti bagatellari.
Vale a dire che – non
venendo in discussione il condizionamento ex se dell’accesso alla
giurisdizione, la cui compatibilità con il precetto dell’art. 24 Cost.,
ove giustificato da esigenze di ordine generale, è stata,
reiteratamente, riconosciuta dalla giurisprudenza di questa Corte (ex
plurimis, sentenze n. 276 del 2000, n. 82 del 1992, n. 46 del 1974;
ordinanze n. 355 del 2007, n. 436 del 2006, n. 67 del 2005, n. 251 del
2003), anche con specifico riferimento al testo della disposizione,
oggetto di riassetto, di cui al previgente art. 22 della legge n. 990
del 1969 (sentenze n. 128 del 2004, n. 251 del 2003, n. 24 del 1973;
ordinanze n. 25 del 1975, n. 19 del 1975 e n. 9 del 1973) – quel che il
rimettente denuncia come irragionevole, ed eccessivamente oneroso per
l’interessato, e cioè l’“irrigidimento del filtro all’accesso alla
giurisdizione”, si rivela come un meccanismo la cui ratio è, in realtà,
quella di rafforzare, e non già quella di indebolire, le possibilità di
difesa offerte al danneggiato, attraverso il raccordo, come detto,
dell’onere di diligenza, a suo carico, con l’obbligo di cooperazione
imposto all’assicuratore. Il quale, proprio in ragione della prescritta
specificità di contenuto della istanza risarcitoria, non potrà
agevolmente o pretestuosamente disattenderla, essendo tenuto alla
formulazione di una proposta adeguata nel quantum.
Il che –
oltre, e prima ancora, che alla razionalizzazione dell’accesso alla
giurisdizione ed alla sua funzionalizzazione, nel settore, ad una tutela
di qualità – è volto, appunto, a rendere possibile una anticipata e
satisfattiva tutela del danneggiato già nella fase stragiudiziale.
3.―
Risultano, per ciò, non fondate le censure di violazione (sul piano
sostanziale) dell’art. 32 e (sul piano processuale) degli artt. 24, 111 e
117, primo comma, Cost., in relazione agli articoli 6, paragrafo 1, e
13 della CEDU, per i profili (dal rimettente, per altro, solo
genericamente, evocati) del giusto processo e della effettività della
tutela giurisdizionale.
E ciò anche in considerazione del fatto
che l’eventuale pronuncia di improponibilità della domanda per vizi di
contenuto (come per mancato rispetto dello spatium deliberandi per
l’assicuratore) di cui agli artt. 145 e 148 c.d.a. esaurisce i suoi
effetti sul piano processuale (non investendo il merito della
controversia) e non preclude la reiterabilità della domanda nel rispetto
delle condizioni di cui alle predette disposizioni, mediante autonoma
vocatio in ius, senza che la durata del precedente giudizio rilevi ai
fini del decorso del termine di prescrizione (articolo 2945, secondo
comma, in relazione all’articolo 2943, primo comma, del codice civile).
Mentre,
in relazione al pure evocato articolo 47 della Carta di Nizza, la
censura è, prima ancora che infondata, inammissibile, per carenza di
ogni motivazione sulla non diretta applicabilità della norma europea (da
ultimo, ordinanza n. 298 del 2011).
4.― Priva di fondamento è
poi, di conseguenza, anche l’ipotesi di violazione dell’art. 76 Cost.,
per il profilo di contrasto con la ratio della delega (sub articoli 1 e 4
della legge 29 luglio 2003, n. 229) e con i principi, da essa recepiti,
della direttiva 2005/14/CE sulla tutela del danneggiato, quale soggetto
debole nelle procedure di liquidazione, stante la verificata coerenza,
invece, delle disposizioni impugnate a quella ratio ed a quei principi.
Mentre, in relazione al procedimento di formazione legislativa, non è
motivatamente prospettata la necessità di un nuovo parere del Consiglio
di Stato su uno schema di decreto legislativo al quale nell’esercizio di
una delega di “riassetto” della materia siano state, come nella specie,
apportate modifiche migliorative che non abbiano prodotto radicali
mutamenti.
5.― Neppure, infine, sussiste, in alcuno dei prospettati profili, un contrasto della disposizione impugnata con l’art. 3 Cost.
Per
un verso, infatti, le formalità di cui all’art. 148 c.d.a. non sono
volte ad «avvantaggiare l’impresa assicuratrice del responsabile nei
confronti del danneggiato», bensì al contrario, a realizzare, come già
evidenziato, una più tempestiva ed efficace tutela di quest’ultimo.
Per
altro verso, del tutto impropriamente si postula dal rimettente una
parità di disciplina tra l’azione nei confronti dell’assicuratore del
responsabile civile e quelle per «risarcimento diretto» (a carico del
proprio assicuratore o dell’assicuratore del trasportante) di cui agli
artt. 141, 144, 149 dello stesso codice, una volta che dette ultime
azioni, rispetto alla prima, non sono alternative, ma rappresentano un
rimedio in più a disposizione del danneggiato (sentenza n. 180 del 2009; ordinanze n. 85 del 2010, n. 201 e n. 191 del 2009, n. 440 e n. 205 del 2008).
E,
per analoghe ragioni, neppure può invocarsi a parametro di riferimento
il combinato disposto degli artt. 283 e 287 c.d.a., che disciplinano la
diversa e peculiare fattispecie in cui, per mancata identificazione del
veicolo investitore o per sua mancata copertura assicurativa, l’istanza
risarcitoria va rivolta all’impresa designata dal Fondo di garanzia per
le vittime della strada ed alla Concessionaria servizi assicurativi
pubblici S.p.a. – CONSAP (ordinanza n. 73 del 2012).
Per cui resta, conclusivamente, sotto ogni profilo, esclusa la fondatezza della sollevata questione di costituzionalità.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
1)
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell’articolo 145, comma 1, del decreto legislativo 7 settembre 2005, n.
209 (Codice delle assicurazioni private), sollevata, in riferimento
agli articoli 2, 3, 24, 32, 76, 111 e 117, primo comma, della
Costituzione, in relazione agli articoli 6, paragrafo 1, e 13 della
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle
libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e
resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, dal Giudice di pace di
Roma, con l’ordinanza di cui in epigrafe;
2) dichiara
inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’articolo
145, comma 1, del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209 (Codice
delle assicurazioni private), sollevata, in riferimento all’articolo 47
della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, proclamata a
Nizza il 7 dicembre 2000, nel testo consolidato con le modifiche
apportate dal Trattato di Lisbona il 13 dicembre 2007, ratificato con
legge 2 agosto 2008, n. 130, ed entrato in vigore il 1° dicembre 2009,
dal Giudice di pace di Roma, con la medesima ordinanza.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 aprile 2012.
F.to:
Alfonso QUARANTA, Presidente
Mario Rosario MORELLI, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 3 maggio 2012.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Gabriella MELATTI
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Alfonso QUARANTA Presidente
- Franco GALLO Giudice
- Luigi MAZZELLA ”
- Sabino CASSESE ”
- Giuseppe TESAURO ”
- Paolo Maria NAPOLITANO ”
- Giuseppe FRIGO ”
- Paolo GROSSI ”
- Giorgio LATTANZI ”
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Sergio MATTARELLA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
Alfonso QUARANTA, Presidente
Mario Rosario MORELLI, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 3 maggio 2012.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Gabriella MELATTI