24 Aprile 2012 -Su incarico della Confederazione, il Prof. Avv. Valerio Onida, Presidente emerito della Corte Costituzionale, ha redatto un parere pro veritate sulla questione della legittimità costituzionale e compatibilità comunitaria dell’articolo 31, comma 1 del decreto legge “Salva Italia” (Dl 201/2011) con cui, come noto, sono stati liberalizzati gli orari e i tempi di chiusura degli esercizi commerciali.
Il parere mette in luce le ragioni per le quali la realizzazione di una deregolamentazione totale e “selvaggia” (così viene testualmente definita) degli orari, unitamente alla mancata previsione di un qualunque adattamento che tenga conto della peculiarità dei territori e delle caratteristiche degli operatori, contrasta con le norme e i diritti fondamentali garantiti dalla Carta Costituzionale e dai Trattati europei.
In particolare, ricostruisce, attraverso l’approfondita disamina di una copiosa, quanto consolidata, giurisprudenza costituzionale e comunitaria, il corretto significato e la reale portata del principio di “tutela della concorrenza” - sul quale il legislatore ha ritenuto di poter fondare il proprio titolo di intervento - giungendo alla conclusione che la misura comporta una “clamorosa” violazione sia dell’attuale sistema costituzionale – anche, e non solo, sotto il profilo del riparto di competenze - che dei Trattati europei.
La “tutela della concorrenza”, come principio costituzionale e del diritto comunitario, non equivale a “libertà di concorrenza”, a (sola) libertà di competizione sul mercato. Non si identifica con l’assenza di prescrizioni e di regole: è piuttosto una situazione “dinamica” volta a soddisfare al meglio gli interessi dei soggetti, che partecipano con diversi ruoli all’attività economica, e dei destinatari finali, cioè i consumatori. Come tale deve essere promossa e regolata in modo da renderla idonea ai suoi “fini sociali”.
L’esercizio di libertà senza regole può anzi determinare, come nel caso in esame, effetti anti-concorrenziali e contrari agli interessi essenziali dei consumatori nella misura in cui produce la tendenziale, inevitabile, espulsione dal mercato di una categoria importante di operatori, quali sono quelli di piccole dimensioni. Viene così meno l’importante funzione sociale che gli stessi svolgono, anche in modo differenziato nelle diverse aree territoriali, in relazione alle esigenze dei consumatori sotto il profilo della accessibilità degli esercizi (“di vicinato”, appunto), della varietà e qualità complessiva dell’offerta e, nel lungo periodo, della stessa politica dei prezzi.
Vi è di più. L’assenza di regole determina una violazione di altri interessi, anch’essi di rilievo costituzionale, che invece dovrebbero essere adeguatamente presi in considerazione in quel necessario bilanciamento che solo può garantire la compatibilità comunitaria e la legittimità costituzionale di una norma. Si tratta, in particolare, dei diritti fondamentali della persona: dei titolari degli esercizi (il diritto del lavoratore al riposo) e dei loro clienti, ma anche dell’intera collettività (diritto alla sicurezza urbana, alla tranquillità pubblica, ad un ordinato assetto territoriale).
E’ anche alla luce di queste considerazioni che, nel contesto europeo, non è dato rinvenire alcun vincolo di deregolamentazione degli orari, ma, al contrario, consolidata giurisprudenza della Corte di giustizia afferma che la disciplina nazionale o regionale degli orari di apertura e chiusura festiva obbligatoria degli esercizi commerciali risponde ad interessi generali protetti dal diritto dell’Unione Europea.
Come si vede, dunque, il Prof. Valerio Onida, nel parere in questione, con pluralità di argomenti, ha ritenuto giuridicamente fondata la posizione politica che la Confederazione ha sostenuto al Tavolo con il Governo, con le altre parti sociali e con i partiti.
Il parere mette in luce le ragioni per le quali la realizzazione di una deregolamentazione totale e “selvaggia” (così viene testualmente definita) degli orari, unitamente alla mancata previsione di un qualunque adattamento che tenga conto della peculiarità dei territori e delle caratteristiche degli operatori, contrasta con le norme e i diritti fondamentali garantiti dalla Carta Costituzionale e dai Trattati europei.
In particolare, ricostruisce, attraverso l’approfondita disamina di una copiosa, quanto consolidata, giurisprudenza costituzionale e comunitaria, il corretto significato e la reale portata del principio di “tutela della concorrenza” - sul quale il legislatore ha ritenuto di poter fondare il proprio titolo di intervento - giungendo alla conclusione che la misura comporta una “clamorosa” violazione sia dell’attuale sistema costituzionale – anche, e non solo, sotto il profilo del riparto di competenze - che dei Trattati europei.
La “tutela della concorrenza”, come principio costituzionale e del diritto comunitario, non equivale a “libertà di concorrenza”, a (sola) libertà di competizione sul mercato. Non si identifica con l’assenza di prescrizioni e di regole: è piuttosto una situazione “dinamica” volta a soddisfare al meglio gli interessi dei soggetti, che partecipano con diversi ruoli all’attività economica, e dei destinatari finali, cioè i consumatori. Come tale deve essere promossa e regolata in modo da renderla idonea ai suoi “fini sociali”.
L’esercizio di libertà senza regole può anzi determinare, come nel caso in esame, effetti anti-concorrenziali e contrari agli interessi essenziali dei consumatori nella misura in cui produce la tendenziale, inevitabile, espulsione dal mercato di una categoria importante di operatori, quali sono quelli di piccole dimensioni. Viene così meno l’importante funzione sociale che gli stessi svolgono, anche in modo differenziato nelle diverse aree territoriali, in relazione alle esigenze dei consumatori sotto il profilo della accessibilità degli esercizi (“di vicinato”, appunto), della varietà e qualità complessiva dell’offerta e, nel lungo periodo, della stessa politica dei prezzi.
Vi è di più. L’assenza di regole determina una violazione di altri interessi, anch’essi di rilievo costituzionale, che invece dovrebbero essere adeguatamente presi in considerazione in quel necessario bilanciamento che solo può garantire la compatibilità comunitaria e la legittimità costituzionale di una norma. Si tratta, in particolare, dei diritti fondamentali della persona: dei titolari degli esercizi (il diritto del lavoratore al riposo) e dei loro clienti, ma anche dell’intera collettività (diritto alla sicurezza urbana, alla tranquillità pubblica, ad un ordinato assetto territoriale).
E’ anche alla luce di queste considerazioni che, nel contesto europeo, non è dato rinvenire alcun vincolo di deregolamentazione degli orari, ma, al contrario, consolidata giurisprudenza della Corte di giustizia afferma che la disciplina nazionale o regionale degli orari di apertura e chiusura festiva obbligatoria degli esercizi commerciali risponde ad interessi generali protetti dal diritto dell’Unione Europea.
Come si vede, dunque, il Prof. Valerio Onida, nel parere in questione, con pluralità di argomenti, ha ritenuto giuridicamente fondata la posizione politica che la Confederazione ha sostenuto al Tavolo con il Governo, con le altre parti sociali e con i partiti.
Fonte:http://www.confcommercio.re.it
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PARERE SU: «LA ILLEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE E LA INCOMPATIBILITÀ COMUNITARIA DELLA DISPOSIZIONE LEGISLATIVA STATALE TENDENTE ALLA SOPPRESSIONE DI TUTTI I LIMITI E LE PRESCRIZIONI IN TEMA DI ORARI DI APERTURA E CHIUSURA, OBBLIGO DI CHIUSURA DOMENICALE E FESTIVA E DI MEZZA GIORNATA DI CHIUSURA INFRASETTIMANALE DEGLI ESERCIZI COMMERCIALI E DI SOMMINISTRAZIONE DI ALIMENTI E BEVANDE (ART. 31, COMMA 1, D.L. N. 201 DEL 2011, CONVERTITO DALLA LEGGE N. 214 DEL 2011)>>
SOMMARIO: 1. La recente disciplina in tema di orari delle attività commerciali e il quadro normativo anteriore. - 2. Le competenze legislative e amministrative in materia di orari di apertura delle attività commerciali. - 3. La competenza statale in materia di tutela della concorrenza e i suoi limiti. - 4. Irragionevolezza e non proporzionalità deU'intervento di totale deregolamentazione degli
orari e della chiusura festiva. Conseguente violazione della competenza regionale. - 5. Significato e portata del principio di tutela della concorrenza. Tutela non equivale a (sola) libertà di competizione sul mercato. - 6. Necessità di una disciplina differenziata in relazione alle peculiarità dei territori e alle caratteristiche degli operatori. - 7. Le finalità di un mercato concorrenziale aperto in rapporto ai bisogni e alle esigenze dei consumatori. - 8. Libertà di concorrenza e altri interessi protetti rilevanti in materia: diritto al riposo, sicurezza e tranquillità pubblica, tutela dell'ambiente. - 9. I profili di diritto comunitario e la loro coincidenza con i profili costituzionali. Regolamentazione degli orari delle attività commerciali, regole comunitarie sul mercato interno e sulla concorrenza e motivi imperativi di interesse generale. - 10. Incompatibilità della deregolamentazione con i principi comunitari sulla concorrenza. -11. Uno sguardo alla disciplina degli orari del commercio in Europa. - 12. Conclusioni in ordine alla applicabilità e alla legittimità della disposizione legislativa statale considerata.
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PARERE SU: «LA ILLEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE E LA INCOMPATIBILITÀ COMUNITARIA DELLA DISPOSIZIONE LEGISLATIVA STATALE TENDENTE ALLA SOPPRESSIONE DI TUTTI I LIMITI E LE PRESCRIZIONI IN TEMA DI ORARI DI APERTURA E CHIUSURA, OBBLIGO DI CHIUSURA DOMENICALE E FESTIVA E DI MEZZA GIORNATA DI CHIUSURA INFRASETTIMANALE DEGLI ESERCIZI COMMERCIALI E DI SOMMINISTRAZIONE DI ALIMENTI E BEVANDE (ART. 31, COMMA 1, D.L. N. 201 DEL 2011, CONVERTITO DALLA LEGGE N. 214 DEL 2011)>>
SOMMARIO: 1. La recente disciplina in tema di orari delle attività commerciali e il quadro normativo anteriore. - 2. Le competenze legislative e amministrative in materia di orari di apertura delle attività commerciali. - 3. La competenza statale in materia di tutela della concorrenza e i suoi limiti. - 4. Irragionevolezza e non proporzionalità deU'intervento di totale deregolamentazione degli
orari e della chiusura festiva. Conseguente violazione della competenza regionale. - 5. Significato e portata del principio di tutela della concorrenza. Tutela non equivale a (sola) libertà di competizione sul mercato. - 6. Necessità di una disciplina differenziata in relazione alle peculiarità dei territori e alle caratteristiche degli operatori. - 7. Le finalità di un mercato concorrenziale aperto in rapporto ai bisogni e alle esigenze dei consumatori. - 8. Libertà di concorrenza e altri interessi protetti rilevanti in materia: diritto al riposo, sicurezza e tranquillità pubblica, tutela dell'ambiente. - 9. I profili di diritto comunitario e la loro coincidenza con i profili costituzionali. Regolamentazione degli orari delle attività commerciali, regole comunitarie sul mercato interno e sulla concorrenza e motivi imperativi di interesse generale. - 10. Incompatibilità della deregolamentazione con i principi comunitari sulla concorrenza. -11. Uno sguardo alla disciplina degli orari del commercio in Europa. - 12. Conclusioni in ordine alla applicabilità e alla legittimità della disposizione legislativa statale considerata.
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