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LAVORI PUBBLICI:
Per la definizione di “strada”, assume
rilievo, ai sensi dell’art. 2, comma primo, del codice della
strada, la destinazione di una determinata superficie ad uso
pubblico, e non la titolarità pubblica o privata della
proprietà.
L’art. 14 del codice della strada assegna all’ente comunale il compito di provvedere alla manutenzione, gestione e pulizia della sede stradale, ma tale obbligo non si estende alle aree estranee circostanti, in particolare alle ripe site nei fondi laterali alle strade. Le ripe, ai sensi dell’art. 31 del codice della strada, devono essere mantenute dai proprietari delle medesime in modo da impedire e prevenire situazioni di pericolo connesse a franamenti e cedimenti del corpo stradale o delle opere di sostegno, l’ingombro delle pertinenze e della sede stradale, nonché la caduta di massi o altro materiale, qualora siano immediatamente sovrastanti o sottostanti, in taglio o in riporto nel terreno preesistente alla strada, la scarpata del corpo stradale. In ordine alle connotazione dei luoghi effettuata dal ricorrente, va considerato come, per la definizione di “strada”, assuma rilievo, ai sensi dell’art. 2, comma primo, del codice della strada, la destinazione di una determinata superficie ad uso pubblico, e non la titolarità pubblica o privata della proprietà (cfr., Cass. Sez. II, sent. 17350 del 25.06.2008). Quanto sopra premesso, l’ordinanza gravata è volta a precisare e ad imporre gli obblighi manutentivi, ordinari e straordinari, previsti ai fini della sicurezza, che incombono sui proprietari e gli aventi titolo dei terreni confinanti con il “corpo stradale”. In tesi del ricorrente, poiché l’art. 3, punto 10, del d. leg.vo n. 285 del 1992 stabilisce che, qualora non vi siano atti di acquisizione o fasce di esproprio di progetto, come nel suo caso, il “confine stradale” è identificato “nel piede della scarpata se la strada è in rilevato o dal ciglio superiore della scarpata se la strada è in trincea”, gli obblighi manutentivi ed il taglio dei sensi insistenti sulla strada e involgenti le scarpate non sono legittimamente addossabili ai privati. Va considerato che l’atto impugnato, nell’imporre ai confinanti gli obblighi ivi previsti, nel richiamare esplicitamente la normativa vigente al riguardo, non appare adottato in violazione della suddetta normativa. Invero, l’ordinanza impone gli obblighi e l’esecuzione dei lavori, relativamente a coloro che siano proprietari o abbiano comunque titolo nei terreni “confinanti” con il corpo stradale. Al riguardo l’art. 14 del codice della strada assegna all’ente comunale il compito di provvedere alla manutenzione, gestione e pulizia della sede stradale, ma tale obbligo non si estende alle aree estranee circostanti, in particolare alle ripe site nei fondi laterali alle strade. Le ripe, ai sensi dell’art. 31 del codice della strada, devono essere mantenute dai proprietari delle medesime in modo da impedire e prevenire situazioni di pericolo connesse a franamenti e cedimenti del corpo stradale o delle opere di sostegno, l’ingombro delle pertinenze e della sede stradale, nonché la caduta di massi o altro materiale, qualora siano immediatamente sovrastanti o sottostanti, in taglio o in riporto nel terreno preesistente alla strada, la scarpata del corpo stradale. Tale impianto normativo non è contraddetto dall’ordinanza in questione, diretta a soggetti responsabili di terreni privati posti oltre il confine stradale, mentre rimangono a carico del Comune gli interventi riguardanti le strade in quanto tali, comprese le fasce di rispetto e le scarpate, ferma rimanendo, ovviamente, l’eventuale responsabilità del confinante che abbia illecitamente operato sulla sede stradale medesima (Consiglio di Stato, Sez. I, parere 09.05.2012 n. 2158 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
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EDILIZIA
PRIVATA:
Accertamento della natura di strada
pubblica o privata. Autorizzazione edilizia per
l’installazione di una barra di accesso ad una strada.
L’accertamento giurisdizionale dell’effettiva esistenza della servitù di pubblico passaggio compete all’autorità giudiziaria ordinaria, trattandosi di materia di diritto soggettivo e non di interesse legittimo. Il Giudice amministrativo può invece esercitare, al riguardo, esclusivamente una cognizione incidentale sulla questione (ex art. 8, comma 1, c.p.a.), senza poter fare stato sulla medesima con la propria decisione, e al solo fine di pronunciarsi sulla legittimità di un provvedimento che riguarda la strada (nella specie è stata ritenuta sussistente la giurisdizione amministrativa, atteso che la controversia riguardava il diniego di autorizzazione per l’installazione di una sbarra automatizzata destinata a regolare il traffico di una strada, rispetto al quale la determinazione della natura -privata o pubblica- della strada costituiva accertamento incidentale). Costituisce una strada pubblica quel tratto viario che non è cieco, ma assume una esplicita finalità di collegamento, essendo destinato al transito di un numero indifferenziato di persone (1). Il connotato di interclusione dell'area servita, infatti, esclude che vi possa sorgere un uso stradale in favore di una collettività indeterminata, e fa invece concludere per un'utilità limitata ai soli proprietari frontisti (2). Un'area privata può ritenersi assoggettata ad uso pubblico di passaggio quando l'uso avvenga ad opera di una collettività indeterminata di soggetti considerati uti cives, ossia quali titolari di un pubblico interesse di carattere generale, e non uti singuli, ossia quali soggetti che si trovano in una posizione qualificata rispetto al bene gravato; oppure quando vi sia stato, con la cosiddetta dicatio ad patriam, l'asservimento del bene da parte del proprietario all'uso pubblico, analogamente, di una comunità indeterminata di soggetti considerati sempre uti cives, di talché il bene stesso viene ad assumere caratteristiche analoghe a quelle di un bene demaniale (3). E’ illegittimo un provvedimento con cui un dirigente comunale ha negato l’assenso all’installazione di una sbarra automatizzata destinata a regolare il traffico in entrata e in uscita da una strada privata appartenente a un condominio, limitandosi ad affermare che si tratta di una strada pubblica, senza argomentare ulteriormente dagli indici che la giurisprudenza ha da tempo individuato per dedurre la natura pubblica di una via, atteso peraltro che nella specie il terreno destinato a via consente l’accesso ed il recesso da alcuni condomini alla via pubblica, e non risulta provato che sia stato destinato all’uso pubblico indifferenziato da tempo immemore. --------------- (1) Cfr. Cons. Stato, Sez. V, 07.12.2010, n. 8624 (2) Cfr. Cons. Stato, Sez. V, 18.12.2006, n. 7601 (3) Cfr. Cass. civile, sez. II, 21.05.2001, n. 6924; v. anche Cass. civ., II, 13.02.2006, n. 3075 secondo cui, ai fini della dicatio ad patriam, occorre pur sempre il requisito dell’idoneità intrinseca del bene a soddisfare un’esigenza comune della collettività dei consociati uti cives. V. inoltre Cass. civ., II, 23.05.1995, n. 5637, secondo cui, perché un'area privata possa ritenersi sottoposta ad una servitù pubblica di passaggio, è necessario, oltre all'intrinseca idoneità del bene, che l'uso avvenga ad opera di una collettività indeterminata di persone e per soddisfare un pubblico, generale interesse. Ne consegue che deve escludersi l'uso pubblico quando il passaggio venga esercitato unicamente dai proprietari di determinati fondi in dipendenza della particolare ubicazione degli stessi, o da coloro che abbiano occasione di accedere ad essi per esigenze connesse alla loro privata utilizzazione, oppure, infine, rispetto a strade destinate al servizio di un determinato edificio o complesso di edifici (Cass. civ., I, 22.06.1985, n. 3761). In applicazione del principio nella specie è stato escluso l’uso pubblico della strada, trattandosi di strada per la quale l’unico uso possibile era quello funzionale alla mera utilità dei residenti dei condomini interessati; tale strada, infatti, non era mai proseguita oltre tali edifici, nel collegamento dei quali alla strada pubblica ha dunque sempre visto esaurita la propria concreta funzione. Mancavano quindi i presupposti perché sulla strada potesse effettivamente svolgersi un uso generale, facendo difetto, in particolare, il requisito dell’idoneità intrinseca del bene a soddisfare un’esigenza comune della collettività dei consociati. In senso contrario, secondo la sentenza in rassegna, non valeva opporre l’inclusione della previsione della strada nell’ambito dell’antica lottizzazione, in quanto i relativi piani possono prevedere anche strade private non soggette a transito pubblico, quali sono, appunto, tutte quelle che abbiano il mero scopo di dare accesso solo a singoli edifici privati (massima tratta da www.regione.piemonte.it - Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 14.02.2012 n. 728 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
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EDILIZIA
PRIVATA - LAVORI PUBBLICI:
Caratteri distintivi che consentono di
qualificare una strada come "strada pubblica" o "strada
privata sottoposta a servitù di passaggio pubblico".
La giurisprudenza insegna che costituisce una strada pubblica quel tratto viario che non è cieco, ma assume una esplicita finalità di collegamento, essendo destinato al transito di un numero indifferenziato di persone: C.d.S., V, 07.12.2010, n. 8624; che il connotato di interclusione dell'area servita esclude che vi possa sorgere un uso stradale in favore di una collettività indeterminata, e fa invece concludere per un'utilità limitata ai soli proprietari frontisti: C.d.S., V, 18.12.2006, n. 7601; che un'area privata può ritenersi assoggettata ad uso pubblico di passaggio quando l'uso avvenga ad opera di una collettività indeterminata di soggetti considerati uti cives, ossia quali titolari di un pubblico interesse di carattere generale, e non uti singuli, ossia quali soggetti che si trovano in una posizione qualificata rispetto al bene gravato; oppure quando vi sia stato, con la cosiddetta dicatio ad patriam, l'asservimento del bene da parte del proprietario all'uso pubblico, analogamente, di una comunità indeterminata di soggetti considerati sempre uti cives, di talché il bene stesso viene ad assumere caratteristiche analoghe a quelle di un bene demaniale: Cassazione civile, sez. II, 21.05.2001, n. 6924; che ai fini della dicatio ad patriam occorre pur sempre il requisito dell’idoneità intrinseca del bene a soddisfare un’esigenza comune della collettività dei consociati uti cives: Cass. Civ., II, 13.02.2006, n. 3075. In coerenza con gli enunciati appena esposti, la giurisprudenza afferma in definitiva che, perché un'area privata possa ritenersi sottoposta ad una servitù pubblica di passaggio, è necessario, oltre all'intrinseca idoneità del bene, che l'uso avvenga ad opera di una collettività indeterminata di persone e per soddisfare un pubblico, generale interesse. Ne consegue che deve escludersi l'uso pubblico quando il passaggio venga esercitato unicamente dai proprietari di determinati fondi in dipendenza della particolare ubicazione degli stessi, o da coloro che abbiano occasione di accedere ad essi per esigenze connesse alla loro privata utilizzazione (Cass. Civ., II, 23.05.1995, n. 5637), oppure, infine, rispetto a strade destinate al servizio di un determinato edificio o complesso di edifici (Cass. civ., I, 22.06.1985, n. 3761) (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 14.02.2012 n. 728 - massima tratta da www.gazzettaamministrativa.it - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
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anno 2011 | |
LAVORI PUBBLICI:
Pavimentazione di marciapiedi comprendenti porzioni di suolo
privato.
Non risulta possibile eseguire la pavimentazione di marciapiedi comprendenti porzioni di suolo privato senza procedere alla preventiva acquisizione di tali beni, atteso che l'intervento comunale si tradurrebbe -con riferimento a dette porzioni- in un'indebita spesa pubblica. Inoltre, l'assenza del titolo non consentirebbe, al Comune, di provvedere alla manutenzione dei predetti tratti di marciapiede. --------------- Il Comune rappresenta che: · negli anni 1970-1980 ha posto in opera le cordonate stradali lungo alcune strade comunali, ma non ha ancora provveduto alla pavimentazione dei marciapiedi; · lo spazio sterrato utilizzato quale marciapiede è compreso tra le predette cordonate ed i recinti privati, alcuni dei quali, però, sono stati costruiti in arretramento rispetto al confine di proprietà; · non risulta evidente, in loco, quale sia il limite tra proprietà pubblica e proprietà privata[1], cosicché la collettività utilizza lo spazio nella sua totalità; · l'Amministrazione comunale intende procedere alla pavimentazione anche dei predetti spazi sterrati, al fine di renderli più decorosi, sicuri e conformi alla norme sul superamento delle barriere architettoniche. Pur avendo già fatto ricorso, in altre circostanze, alla procedura semplificata per l'accorpamento al demanio stradale delle porzioni di terreno utilizzate ad uso pubblico, prevista dall'art. 31, commi 21 e 22, della legge 23.12.1998, n. 448, il Comune chiede di conoscere se possa eseguire la pavimentazione suddetta, che insisterebbe anche su porzioni di suolo privato utilizzate da illo tempore quale viabilità pedonale pubblica, senza dover procedere alla preventiva acquisizione di tali porzioni e, conseguentemente, al frazionamento catastale, in quanto questo risulterebbe oneroso per l'Amministrazione e materialmente difficoltoso. Al quesito si ritiene di dover fornire risposta negativa, atteso che, pur risultando necessario provvedere all'integrale pavimentazione dei marciapiedi, in relazione alle preminenti necessità di garantire la sicurezza degli utenti e di provvedere al superamento delle barriere architettoniche, l'intervento comunale non preceduto dall'acquisizione delle aree si tradurrebbe -quanto alla porzione di opera ricadente sul suolo privato- in un'indebita spesa pubblica, alla quale potrebbero far seguito ulteriori esborsi a carico del bilancio dell'Ente, anche a seguito dell'instaurazione di possibili contenziosi, sia da parte dei soggetti catastalmente titolari della proprietà, quanto dei pedoni che ritengano di vantare indennizzi per lesioni subite in tali tratti privati (ma apparentemente di proprietà pubblica). Inoltre, l'assenza del titolo non consentirebbe, all'Ente, di provvedere alla manutenzione dei predetti tratti di marciapiede. --------------- [1] Mentre esso risulta rilevabile dai rilievi catastali eseguiti dal Comune (19.08.2011 - link a www.regione.fvg.it). |
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EDILIZIA
PRIVATA:
I beni demaniali non sono suscettibili
di usucapione in mancanza di previa sdemanializzazione.
I beni demaniali, in quanto inalienabili ai sensi dell'articolo 823, c.c. non sono suscettibili di usucapione, in mancanza di previa sdemanializzazione, e sono tutelabili mediante i poteri di autotutela possessoria. In particolare, il disuso prolungato di una strada vicinale da parte della collettività e l'inerzia dell'amministrazione nella cura della stessa e/o nell'intervento riguardo ad occupazioni o usi da parte di privati incompatibili con la destinazione pubblica, non bastano a comprovare inequivocamente la cessata destinazione del bene (anche solo potenziale) all'uso pubblico (c.d. sdemanializzazione tacita), occorrendo che detti indizi siano accompagnati da fatti concludenti e da circostanze tali da non lasciare adito ad altre ipotesi, salva quella che la stessa abbia definitivamente rinunciato al ripristino dell'uso stradale pubblico (cfr. Cons. Stato, IV, 07.09.2006, n. 5209; V, 06.10.2009, n. 6095; TAR Lombardia, Brescia, I, 08.07.2009, n. 1450; TAR Abruzzo, Pescara, I, 20.06.2009, n. 445; TAR Emilia Romagna, Parma, 25.05.2005, n. 291) (TAR Umbria, sentenza 11.07.2011 n. 199 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
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EDILIZIA
PRIVATA - LAVORI PUBBLICI:
Servitù di uso pubblico.
Domanda. In quali modi può costituirsi la servitù di uso pubblico? Risposta. La servitù di uso pubblico può costituirsi con un regolare atto negoziale di costituzione da parte del proprietario del terreno, ma anche mediante l'effettivo uso pubblico dell'area di pertinenza stradale per un tempo immemorabile e, comunque, almeno pari ad un ventennio, oppure mediante l'istituto della c.d. dicatio ad patriam. Orbene, siffatto istituto, quale titolo costitutivo di una servitù di uso pubblico, consiste nel comportamento del proprietario che, se pur non intenzionalmente diretto a dar vita al diritto di uso pubblico, metta volontariamente, con carattere di continuità e non di precarietà e tolleranza, un proprio bene a disposizione della collettività, assoggettandolo al correlativo uso, che ne perfeziona l'esistenza, senza che occorra un congruo periodo di tempo o un atto negoziale od ablatorio, al fine di soddisfare un'esigenza comune ai membri di tale collettività quali cittadini (07.07.2011 - commento tratto da www.ipsoa.it). |
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EDILIZIA
PRIVATA:
La costituzione su una strada privata di
una servitù di uso pubblico può avvenire, alternativamente,
a mezzo della cd. dicatio ad patriam -costituita dal
comportamento del proprietario di un bene che metta
spontaneamente ed in modo univoco il bene a disposizione di
una collettività indeterminata di cittadini, producendo
l'effetto istantaneo della costituzione della servitù di uso
pubblico-, ovvero attraverso l'uso del bene da parte della
collettività indifferenziata dei cittadini, protratto per il
tempo necessario all'usucapione.
L'accertamento in ordine alla natura pubblica di una strada presuppone necessariamente l'esistenza di un atto o di un fatto in base al quale la proprietà del suolo su cui essa sorge sia di proprietà di un ente pubblico territoriale, ovvero che a favore del medesimo ente sia stata costituita una servitù di uso pubblico, e che la stessa sia destinata all'uso pubblico con una manifestazione di volontà espressa o tacita dell'ente medesimo, senza che sia sufficiente a tal fine l'esplicarsi di fatto del transito del pubblico, né la mera previsione programmatica della sua destinazione a strada pubblica, o l'intervento di atti di riconoscimento da parte dell'amministrazione medesima circa la funzione da essa assolta. La costituzione su una strada privata di una servitù di uso pubblico può avvenire, alternativamente, a mezzo della cd. dicatioad patriam -costituita dal comportamento del proprietario di un bene che metta spontaneamente ed in modo univoco il bene a disposizione di una collettività indeterminata di cittadini, producendo l'effetto istantaneo della costituzione della servitù di uso pubblico-, ovvero attraverso l'uso del bene da parte della collettività indifferenziata dei cittadini, protratto per il tempo necessario all'usucapione (cfr. C.d.S., sez. V, 24.05.2007, n. 2618). L'accertamento in ordine alla natura pubblica di una strada presuppone necessariamente l'esistenza di un atto o di un fatto in base al quale la proprietà del suolo su cui essa sorge sia di proprietà di un ente pubblico territoriale, ovvero che a favore del medesimo ente sia stata costituita una servitù di uso pubblico, e che la stessa sia destinata all'uso pubblico con una manifestazione di volontà espressa o tacita dell'ente medesimo, senza che sia sufficiente a tal fine l'esplicarsi di fatto del transito del pubblico, né la mera previsione programmatica della sua destinazione a strada pubblica, o l'intervento di atti di riconoscimento da parte dell'amministrazione medesima circa la funzione da essa assolta (Cassazione civile, sez. II, 07.04.2006 , n. 8204) (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 28.06.2011 n. 3868 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
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EDILIZIA
PRIVATA:
Una servitù di uso pubblico può
costituirsi, oltre che con un regolare atto negoziale di
costituzione da parte del proprietario del terreno, anche
mediante altre forme ed in particolare, per l’effettivo uso
pubblico dell’area di pertinenza stradale per un tempo
immemorabile e, comunque, almeno pari ad un ventennio oppure
mediante l’istituto della dicatio ad patriam.
A tale riguardo, la costituzione di una servitù di uso pubblico su un’area stradale privata per passaggio del tempo presuppone l’uso pubblico ovverosia la concreta idoneità a soddisfare (anche per il collegamento con la pubblica via) esigenze di interesse generale e che la stessa sia di fatto accessibile al pubblico, "jure servitutis publicae", da parte di una collettività di persone qualificate dall'appartenenza ad una comunità territoriale.. E’ inoltre necessario dimostrare la protrazione dell'uso stesso da tempo immemorabile, almeno ultraventennale. Il diritto di uso pubblico può altresì costituirsi tramite dicatio ad patriam, che consiste nel mero fatto giuridico del comportamento del proprietario che, se pur non intenzionalmente diretto a dar vita al diritto di uso pubblico, metta volontariamente, con carattere di continuità e anche tramite condotte omissive, un proprio bene a disposizione della collettività, assoggettandolo al correlativo uso, che ne perfeziona l'esistenza, senza che occorra un congruo periodo di tempo o un atto negoziale, al fine di soddisfare un'esigenza comune ai membri di tale collettività "uti cives", indipendentemente dai motivi per i quali detto comportamento venga tenuto, dalla sua spontaneità o meno e dallo spirito che lo anima. Per quanto riguarda una strada privata, l’assoggettamento ad uso pubblico può derivare: a) dall’inserimento, ricollegabile alla volontà del proprietario e palesatosi nel mutamento della situazione dei luoghi, della strada nella rete viaria cittadina, come può accadere per varie ragioni e situazioni; b) da un immemorabile uso pubblico (a sua volta indice di un comportamento del proprietario verificatosi in epoca remota e imprecisabile); tale uso deve essere inteso come comportamento della collettività contrassegnato dalla convinzione -pur essa palesata da una situazione dei luoghi che non consente di distinguere la strada in questione da una qualsiasi altra strada della rete viaria pubblica- di esercitare il diritto di uso della strada. Con i motivi nn. 1 del ricorso e 5 dei motivi aggiunti, il ricorrente espone le censure portanti del gravame, con le quali si insiste sulla proprietà privata del cortile e si nega l’esistenza d’una servitù pubblica di passaggio. In quest’ottica, pertanto, le censure inerenti il carattere abusivo o meno dei cancelli passano in secondo piano, degradando a mera variabile dipendente della questione principale. Sul punto occorre precisare che, dagli atti dell’istruttoria procedimentale (verbale di contravvenzione n. 2 del 10/09/2010) risulta che la polizia municipale, dietro segnalazione di alcuni cittadini residenti in San Fele, effettuava un sopralluogo a seguito del quale accertava che “il tratto di strada di via Francesco Stia che si collega con Vico II La Vista è stato interdetto al transito pedonale dal signor D’Onofrio Gerardo, Michele, Pietro, mediante l’apposizione di due cancelli abusivi, di cui uno in ferro, apposto a monte del fabbricato di sua proprietà e l’altro in legno, a valle del medesimo fabbricato, ubicato al civico 4 della strada de quo, in assenza di relative autorizzazioni da parte del Comune di San Fele, trattandosi di strada pubblica come confermato dagli accertamenti eseguiti sia presso l’ufficio tecnico comunale, giusta nota di riscontro prot. n. 6748 del 23/08/2010…….sia presso i competenti Uffici Regionali del Territorio”. La difesa dell’amministrazione ha depositato quest’ultima nota alla quale sono allegate planimetrie catastali dalle quali, secondo il responsabile del procedimento, risulterebbe che l’area è di proprietà comunale. Tutto ciò esposto occorre anzitutto rilevare che il ricorrente non fornisce prova della proprietà dell’area di cui si discute. In allegato alla perizia giurata depositata l’08.10.2010 esiste un rogito del 1926 con cui il padre dell’attuale ricorrente acquistava la proprietà e il possesso di alcune case dirute fra cui Palazzo Stia ma tale atto, di per sé, non prova in modo specifico la proprietà dell’area di cui si discute. La restante documentazione depositata dal ricorrente mira a risalire alla prova della proprietà delle aree attraverso alcuni elementi di fatto minori (la denominazione di vico, ritenuta, ad avviso del Collegio, erroneamente equivalente a strada cieca e quindi priva di accesso sulla pubblica via, la numerazione civica posta sul piedritto destro del portale, la diversa pavimentazione presente nell’androne rispetto a quella di via Stia e dal fatto che la muratura che contiene il portale di ingresso è della stessa altezza del palazzo) palesemente insufficienti a fondare tale prova. Quanto agli altri elementi, alla luce delle planimetrie depositate dall’amministrazione e della speculare, precisa descrizione dei luoghi riportata nella relazione in data 10/11/2010 del settore tecnico comunale (sub n. 15), va anzitutto smentita la configurazione e la definizione di “cortile” (ancorché ripresa in mappe presentate dal dante causa del ricorrente nel 1939) attribuita dall’istante a quello che invece è un vero e proprio “slargo” su cui via Francesco Stia, dopo un tratto rettilineo di circa 150 metri si apre all’interno d’uno spazio in concreto non definibile cortile (pertinenziale a Palazzo Stia) sia perché sullo stesso si affaccia non solo Palazzo Stia, ma anche Palazzo Lubrino e sia per l’evidente, fisica appartenenza dello stesso al tracciato di via Francesco Stia, come peraltro confermato dal fatto che nelle mappe catastali fornite al Comune dall’Agenzia del Territorio di Potenza la parola Stia (della dicitura Via Federico Stia), ricade proprio su detto slargo. Il transito lungo di esso introduce poi a un passaggio ricadente sotto Palazzo Stia indicato con segni tratteggiati nella mappa catastale ora citata e denominato, nel gergo locale, “supporto” e di lì, dopo breve percorso, a Vico II Luigi La Vista e, percorso quest’ultimo, si giunge a via Luigi La Vista. Ora, secondo il Collegio, le aree “de quibus”, in quanto spazi, interni all’abitato e adiacenti e/o aperti sul suolo pubblico (vedi art. 22, co. 3, allegato F della legge 20/03/1865 n. 2248) e in comunicazione diretta con esso, sono assistiti da una presunzione legale di demanialità cioè, appunto, di appartenenza al demanio di detti spazi. Nella specie, la prova contraria, che pur potrebbe vincere la presunzione “de qua”, non risulta essere stata resa dal ricorrente dato che non è stato prodotto alcun titolo valido, certificante, per così dire, la titolarità di precisi diritti, anche di solo godimento, sulle aree in questione (e tale non potendosi ritenere neppure la documentazione allegata al ricorso). Oltretutto, come osservato dalla difesa dell’amministrazione, nella mappa catastale allegata alla relazione tecnica (all. 2 del doc. n. 15) e in quella rilasciata dall’Agenzia del Territorio di Potenza figura il corpo principale dell’immobile nell’area di colore chiaro (particella n. 76) che presenta solo il giardino come sola pertinenza aggraffata alla particella in questione mentre l’area di collegamento fra le due strade non ha numeri identificativi a livello catastale e non appare riferibile quale pertinenza della particella 76. Ma anche a voler prescindere da questioni inerenti la prova della proprietà e l’evidente idoneità dei sopra specificati percorsi a formare un sistema unico di circolazione pedonale che congiunge via Stia, per il tramite del passaggio a Vico II Stia e in tal modo a via Luigi la Vista, c’è da dire che lo stesso ricorrente, con la nota inviata al Sindaco di San Fele in data 27/08/2010, a pochi giorni dal sopralluogo effettuato dai vigili, dopo aver dichiarato che “il cancello” sarebbe stato apposto circa 25 anni fa, pur insistendo sulla proprietà privata del cortile antistante Palazzo Stia, fa espresso riferimento al “diritto di passaggio del popolo, che gli attuali proprietari tollerano, tant’è che i cancelli sono apribili da parte di chicchessia”. Tali riferimenti, al di là di ogni altra considerazione, convalidano pertanto l’affermazione del Comune secondo cui i tratti di collegamento fra via Stia e Vico II sono stati da sempre o comunque da lungo tempo utilizzati per il libero passaggio pedonale (vedi relazione tecnica sub-15 della produzione comunale). Il Collegio ritiene cioè comunque esistente una servitù di uso pubblico, essendosi la stessa costituita a seguito di prolungato esercizio del diritto d’uso pubblico o, quantomeno, per dicatio ad patriam e che la stessa è, pertanto, opponibile al ricorrente. Come di recente ricordato in giurisprudenza (cfr. TAR Friuli Venezia Giulia cit.), una servitù di uso pubblico può costituirsi, oltre che con un regolare atto negoziale di costituzione da parte del proprietario del terreno, anche mediante altre forme ed in particolare, per l’effettivo uso pubblico dell’area di pertinenza stradale per un tempo immemorabile e, comunque, almeno pari ad un ventennio oppure mediante l’istituto della dicatio ad patriam. A tale riguardo, la costituzione di una servitù di uso pubblico su un’area stradale privata per passaggio del tempo presuppone l’uso pubblico ovverosia la concreta idoneità a soddisfare (anche per il collegamento con la pubblica via) esigenze di interesse generale e che la stessa sia di fatto accessibile al pubblico, "jure servitutis publicae", da parte di una collettività di persone qualificate dall'appartenenza ad una comunità territoriale (Cons. Stato, Sez. V - sentenza 24.05.2007 n. 2618; TAR Lombardia Milano, Sez. II - 18.04.2008 n. 1229 ). E’ inoltre necessario dimostrare la protrazione dell'uso stesso da tempo immemorabile (cfr. ex plurimis, C.d.S., Sez. V, 04.02.2004, n. 373; C.d.S., Sez. V, 01.12.2003, n. 7831; TAR Abruzzo, Pescara, 04.03.2006, n. 144; TAR Toscana, sez. III, 19.07.2004, n. 2637; TAR Lazio, sez. II, 29.03.2004, n. 2922; TAR Campania–Napoli, Sez. VIII - sentenza 01.06.2007, n. 5906), almeno ultraventennale (Cons. Stato, Sez. V – sentenza 04.02.2004 n. 373; Cons. Stato, Sez.. V - sentenza 04.02.2004, n. 373; TAR Puglia-Lecce, Sez. I - sentenza 09.01.2008 n. 48). Il diritto di uso pubblico può altresì costituirsi tramite dicatio ad patriam, che consiste nel mero fatto giuridico del comportamento del proprietario che, se pur non intenzionalmente diretto a dar vita al diritto di uso pubblico, metta volontariamente, con carattere di continuità e anche tramite condotte omissive, un proprio bene a disposizione della collettività, assoggettandolo al correlativo uso, che ne perfeziona l'esistenza, senza che occorra un congruo periodo di tempo o un atto negoziale, al fine di soddisfare un'esigenza comune ai membri di tale collettività "uti cives", indipendentemente dai motivi per i quali detto comportamento venga tenuto, dalla sua spontaneità o meno e dallo spirito che lo anima. (Cass. Civ., Sez. II, sent. n. 12167 del 12-08-2002; Sez. II, sent. n. 7481 del 04-06-2001; Cass. Civ., Sez. II, sent. n. 10574 del 10-12-1994; Cons. Stato, Sez. V - sentenza 24.05.2007 n. 2618). Per quanto riguarda una strada privata, l’assoggettamento ad uso pubblico può derivare: a) dall’inserimento, ricollegabile alla volontà del proprietario e palesatosi nel mutamento della situazione dei luoghi, della strada nella rete viaria cittadina, come può accadere per varie ragioni e situazioni; b) da un immemorabile uso pubblico (a sua volta indice di un comportamento del proprietario verificatosi in epoca remota e imprecisabile); tale uso deve essere inteso come comportamento della collettività contrassegnato dalla convinzione -pur essa palesata da una situazione dei luoghi che non consente di distinguere la strada in questione da una qualsiasi altra strada della rete viaria pubblica- di esercitare il diritto di uso della strada (Cons. Stato, Sez. V - sentenza 09.06.2008 n. 2864). Nel caso di specie il Collegio ritiene che sussistano tutti i requisiti affinché possa ritenersi essere venuta in esistenza una servitù di uso pubblico per uso ultraventennale o, in ogni caso, per dicatio ad patriam. Risulta cioè maturato secondo il collegio un periodo di pubblico uso ultraventennale tale da aver determinato, per quanto in precedenza indicato, la costituzione di una servitù di uso pubblico sulle aree in questione (TAR Basilicata, sentenza 22.06.2011 n. 370 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
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COMPETENZE
GESTIONALI:
L'ordinanza di ripristino del pubblico
transito di una strada, nella specie nel ripristino d’un
passaggio di uso pubblico su di una strada che si assume
utilizzata dalla collettività, si connota sicuramente come
atto gestionale di spettanza della dirigenza comunale senza
che vengano in rilievo le specifiche problematiche di
competenza sollevate per l’art. 378 della legge n. 2248 del
1865, allegato F.
In ogni caso, anche con riguardo al potere specificamente previsto dal suddetto art. 378, è da ritenere che tale competenza si sia trasferita in capo alla dirigenza comunale a seguito del principio introdotto dall’art. 107 del D.Lgs. n. 267 del 2000, che ha devoluto ai dirigenti l’adozione di tutti gli di gestione e dei provvedimenti amministrativi già spettanti agli organi di governo dell’ente, salvo le ipotesi ivi previste. L’esercizio del potere di cui all’art. 378 della legge n. 2248 del 1865, allegato F, da un lato, difatti, si qualifica come atto gestionale, a tutela dell’uso dei beni pubblici, scevro da profili di indirizzo e controllo politico-amministrativo e come tale attribuito alla competenza generale della dirigenza comunale, dall’altro non rientra nelle ipotesi previste dagli indicati artt. 50, comma 3, e 54. A quest’ultimo riguardo il potere attribuito dall’art. 378 non rientra tra i compiti conferiti al sindaco quale ufficiale del Governo di cui all’art. 54. Inoltre, alla luce dell’indicata natura del potere attribuito ai sensi dello stesso art. 378 -che risulta volto non alla stretta salvaguardia della circolazione stradale bensì in modo più ampio a tutela delle strade pubbliche e quindi non è limitato al profilo della loro fruibilità- si ritiene comunque che lo stesso non rientri nelle leggi in materia di ordine e sicurezza pubblica legge, di cui all’art. 54 del D.Lgs. 18-08-2000, n. 267. Il D.Lgs. n. 267 del 2000 ha, come è noto, sancito, nell’art. 107, un criterio di ripartizione delle attribuzioni di competenza in ambito comunale che affida alla dirigenza gli atti gestionali e lascia agli organi di governo, quale il Sindaco, solo gli atti attinenti alle funzioni di indirizzo e controllo politico-amministrativo degli organi comunali. A norma del principio sancito dall'art. 107 del citato D.Lgs., la competenza ad adottare provvedimenti amministrativi, consistenti in atti autoritativi posti in essere dalla p.a. nell'espletamento di una potestà amministrativa e aventi rilevanza esterna, è stata devoluta ai dirigenti degli enti locali -fatti salvi solo l’esercizio dei poteri di indirizzo e controllo politico-amministrativo spettanti agli organi di governo– con l’attribuzione ai dirigenti dei compiti non compresi espressamente dalla legge o dallo statuto fra le funzioni degli organi di governo o fra quelle del segretario comunale o del direttore generale. L’art. 107 del D.Lgs. in questione prevede altresì che, a decorrere dalla data di sua entrata in vigore, le disposizioni che conferiscono agli organi di governo dell’ente "l'adozione di atti di gestione e di atti o provvedimenti amministrativi, si intendono nel senso che la relativa competenza spetta ai dirigenti, salvo quanto previsto dall'articolo 50, comma 3, e dall'articolo 54". L'articolo 50, comma 3, prevede che, salvo quanto previsto dall'articolo 107, il sindaco e il presidente della provincia "esercitano le funzioni loro attribuite dalle leggi, dallo statuto e dai regolamenti e sovrintendono altresì all'espletamento delle funzioni statali e regionali attribuite o delegate al comune e alla provincia". L’articolo 54 descrive le attribuzioni del sindaco nei servizi di competenza statale indicando che lo stesso sovraintende, quale ufficiale del Governo: "a) all'emanazione degli atti che gli sono attribuiti dalla legge e dai regolamenti in materia di ordine e sicurezza pubblica; b) allo svolgimento delle funzioni affidategli dalla legge in materia di pubblica sicurezza e di polizia giudiziaria; c) alla vigilanza su tutto quanto possa interessare la sicurezza e l'ordine pubblico, informandone preventivamente il prefetto". Alla luce di tale premessa la censura si rivela infondata, come evidenziato di recente in giurisprudenza (cfr. TAR Friuli Venezia Giulia, I, 08/04/2011 n. 184). In primo luogo, il Collegio ritiene che l’Amministrazione abbia agito in virtù di un più ampio potere di autotutela amministrativa spettante alla stessa sui beni demaniali ex art. 823 cod. civ. (ed in forza dell’art. 825 cod. civ. anche sui diritti reali che spettano allo Stato, alle province e ai comuni su beni appartenenti ad altri soggetti quando sono stati costituiti per l'utilità di beni demaniali o per il conseguimento di fini di pubblico interesse) che esula dallo stretto disposto dell’art. 378 della legge n. 2248 del 1865, allegato F, riallacciandosi, nel caso in esame, l’azione dell’amministrazione al più ampio potere di tutela dei beni demaniali e dei diritti reali ad uso pubblico. In questo senso, pertanto, l’atto posto in essere si connota sicuramente come atto gestionale di spettanza della dirigenza comunale senza che vengano in rilievo le specifiche problematiche di competenza sollevate per l’art. 378 della legge n. 2248 del 1865, allegato F. In ogni caso, anche con riguardo al potere specificamente previsto dal suddetto art. 378, è da ritenere che tale competenza si sia trasferita in capo alla dirigenza comunale a seguito del principio introdotto dall’art. 107 del D.Lgs. n. 267 del 2000, che ha devoluto ai dirigenti l’adozione di tutti gli di gestione e dei provvedimenti amministrativi già spettanti agli organi di governo dell’ente, salvo le ipotesi ivi previste. L’esercizio del potere di cui all’art. 378 della legge n. 2248 del 1865, allegato F, da un lato, difatti, si qualifica come atto gestionale, a tutela dell’uso dei beni pubblici, scevro da profili di indirizzo e controllo politico-amministrativo e come tale attribuito alla competenza generale della dirigenza comunale, dall’altro non rientra nelle ipotesi previste dagli indicati artt. 50, comma 3, e 54. A quest’ultimo riguardo il potere attribuito dall’art. 378 non rientra tra i compiti conferiti al sindaco quale ufficiale del Governo di cui all’art. 54. Inoltre, alla luce dell’indicata natura del potere attribuito ai sensi dello stesso art. 378 -che risulta volto non alla stretta salvaguardia della circolazione stradale bensì in modo più ampio a tutela delle strade pubbliche e quindi non è limitato al profilo della loro fruibilità- si ritiene comunque che lo stesso non rientri nelle leggi in materia di ordine e sicurezza pubblica legge, di cui all’art. 54 del D.Lgs. 18-08-2000, n. 267 (TAR Basilicata, sentenza 22.06.2011 n. 370 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
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EDILIZIA
PRIVATA:
L’esercizio del potere sindacale
contemplato dall’art. 378 l. n. 2248/1865, all. F, configura
non già un provvedimento repressivo in materia edilizia,
bensì un’ipotesi di autotutela possessoria iuris publici in
tema di strade di uso pubblico, che, in quanto tale, trova
il suo unico presupposto nella necessità di ripristinare
l’uso pubblico della strada senza necessità di ulteriori
motivazioni.
- L'art. 378, L. 20.03.1865 n. 2248, all. F, attribuisce al sindaco un potere di autotutela di carattere possessorio, volto alla conservazione dello stato di fatto dei beni demaniali comunali e delle strade comunali soggette ad uso pubblico. Con la conseguenza che, a prescindere dall'effettiva esistenza di un diritto reale di servitù pubblica di passaggio o dall'esistenza di una pubblica via vicinale (che tra l'altro prescinde anche dall'inclusione della via stessa dagli elenchi comunali), sussiste il potere dell'amministrazione comunale di rimuovere i materiali ostativi al libero transito con le modalità esistenti anteriormente e, quindi, di ripristinare lo stato dei luoghi, quando sussista una situazione di fatto di oggettivo pregiudizio del pubblico passaggio. Per l’Amministrazione Comunale appellante, l’esercizio del potere sindacale contemplato dall’art. 378 l. n. 2248/1865, all. F, configura non già un provvedimento repressivo in materia edilizia, bensì un’ipotesi di autotutela possessoria iuris publici in tema di strade di uso pubblico, che, in quanto tale, trova il suo unico presupposto nella necessità di ripristinare l’uso pubblico della strada senza necessità di ulteriori motivazioni (cfr. Consiglio Stato n. 25/2009). Nel caso, la qualificazione pubblica della via sarebbe stata dimostrata in particolare: dalle ripetute nel tempo asfaltature da parte del Comune; dall’apposizione di un cartello “fine divieto di sosta” da oltre dieci anni, e dalle dichiarazioni scritte di dieci cittadini sull’uso pubblico da tempo immemorabile. --------------- Come la concorde giurisprudenza ha sempre riconosciuto l'art. 378, L. 20.03.1865 n. 2248, all. F, attribuisce al sindaco un potere di autotutela di carattere possessorio, volto alla conservazione dello stato di fatto dei beni demaniali comunali e delle strade comunali soggette ad uso pubblico. Con la conseguenza che, a prescindere dall'effettiva esistenza di un diritto reale di servitù pubblica di passaggio o dall'esistenza di una pubblica via vicinale (che tra l'altro prescinde anche dall'inclusione della via stessa dagli elenchi comunali), sussiste il potere dell'amministrazione comunale di rimuovere i materiali ostativi al libero transito con le modalità esistenti anteriormente e, quindi, di ripristinare lo stato dei luoghi, quando sussista una situazione di fatto di oggettivo pregiudizio del pubblico passaggio (cfr. Consiglio Stato, sez. V, 08.01.2009, n. 25; Consiglio Stato, sez. IV, 07.09.2006, n. 5209; Consiglio Stato, sez. IV, 06.04.2000, n. 1975) (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 08.06.2011 n. 3509 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
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LAVORI PUBBLICI:
Il non tempestivo esercizio dei poteri
pubblicistici di gestione e tutela della strada vicinale non
comporta affatto il mutamento di destinazione.
Seppure è consolidato l’orientamento giurisprudenziale che annette all’iscrizione delle strade nell’elenco di quelle vicinali un effetto meramente dichiarativo e non costitutivo, è altresì pacifico che la mancata utilizzazione di essa da parte della generalità degli utenti, protrattasi anche per un lungo lasso di tempo, non depone ex se per la cessata destinazione all’uso pubblico (cfr., Cons. St., sez. IV, 07.09.2006 n. 5209). Alla medesima stregua, anche il non tempestivo esercizio dei poteri pubblicistici di gestione e tutela della strada vicinale non comporta affatto il mutamento di destinazione. È semmai rilevante la situazione di fatto, consolidatasi per un lungo tempo, che palesi in modo univoco l’impossibilità da parte della collettività di utilizzare la strada. Impossibilità di fatto che, -è bene sottolineare- con specifico riguardo a quanto ne occupa, non deve essere imputabile all’esecuzione di opere abusive realizzate dal privato avente interesse contrario all’utilizzazione pubblica. Proprio alla luce di questi parametri oggettivi risulta che la strada per cui si discute va annoverata fra quelle vicinali: in primo luogo, detta strada fa parte della rete viaria che dalla strada comunale via Mareschino conduce in località Fratin, funzionale al transito di mezzi agricoli per il trasporto di legnami e generi vari (cfr., dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà), né, ad ulteriore testimonianza della permanenza attuale e concreta dell’interesse pubblico all’utilizzazione di essa da parte della collettività, va passato sotto silenzio il fatto che la strada in questione, inclusa negli itinerari del CAI, è altresì funzionale alla pratica turistico-alpina; in secondo luogo, la preclusione all’attuale utilizzo pubblico scaturisce non già da fattori naturali, sedimentatisi nel tempo, bensì esclusivamente dai lavori abusivi eseguiti ricorrente: quali la duplice apposizione di congegni preordinati a precludere l’accesso sia a monte che a valle della strada e la pavimentazione di parte del suolo di transito. La realizzazione di tale opere pregiudica l’uso pubblico, la cui tutela è presidiata dal potere pubblicistico di cui all’art. 14 l. 20.03.1865 n. 2248, correttamente esercitato dal Comune resistente (ex multis, Tar Liguria, sez. II, 08.01.2003 n. 23). Infine la natura vincolata del potere esercitato dal Comune, in ragione degli interessi in gioco, depone nel senso che il contenuto del provvedimento impugnato non avrebbe potuto essere diverso da quello adottato anche qualora fosse stato preceduto dal contraddittorio con il ricorrente, sollecitato a mezzo della comunicazione d’avvio del procedimento (TAR Liguria, Sez. II, sentenza 19.05.2011 n. 799 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
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EDILIZIA
PRIVATA - LAVORI PUBBLICI:
La classificazione ufficiale delle
strade ha efficacia presuntiva e dichiarativa, ma non
costitutiva della pubblicità o meno del passaggio.
Una strada può rientrare nella nozione di strada vicinale di uso pubblico quando sussistono alcuni elementi, quali: - le condizioni effettive della via, atte a dimostrare la sussistenza dei requisiti del generale passaggio, direttamente collegato e non limitato da vincoli di proprietà o condominio, nonché esercitato “iure servitutis publicae” da una collettività indeterminata di persone in assenza di restrizioni all’accesso; - la concreta idoneità della strada a soddisfare, attraverso il collegamento anche indiretto alla pubblica via, esigenze di interesse generale; - la sussistenza di titoli validi ad affermare il diritto di uso pubblico, identificabili anche nella protrazione dell'uso stesso da tempo immemorabile; - l’effettuazione di interventi di manutenzione della via o l’installazione sopra o sotto di essa di infrastrutture di servizio da parte dell’ente pubblico. Ai sensi dell’art. 20 della L. 20/03/1865, n. 2248, parte 2^, la classificazione ufficiale delle strade ha efficacia presuntiva e dichiarativa, ma non costitutiva della pubblicità o meno del passaggio. Al riguardo deve ricordarsi come una strada può rientrare nella nozione di strada vicinale di uso pubblico quando sussistono alcuni elementi, quali: - le condizioni effettive della via, atte a dimostrare la sussistenza dei requisiti del generale passaggio, direttamente collegato e non limitato da vincoli di proprietà o condominio, nonché esercitato “iure servitutis publicae” da una collettività indeterminata di persone in assenza di restrizioni all’accesso; - la concreta idoneità della strada a soddisfare, attraverso il collegamento anche indiretto alla pubblica via, esigenze di interesse generale; - la sussistenza di titoli validi ad affermare il diritto di uso pubblico, identificabili anche nella protrazione dell'uso stesso da tempo immemorabile; - l’effettuazione di interventi di manutenzione della via o l’installazione sopra o sotto di essa di infrastrutture di servizio da parte dell’ente pubblico (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 24.02.2011 n. 1240 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
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anno 2010 | |
LAVORI PUBBLICI:
Quali rimedi ha il cittadino nel caso in cui il Comune non
provveda a eseguire la manutenzione delle strade?
Distinzione tra strade normali e strade vicinali.
Ci giungono frequentemente quesiti riguardanti i rimedi a disposizione del cittadino nel caso in cui il Comune non provveda a effettuare la manutenzione delle strade. Pubblichiamo una nota dell'avv. Marta Bassanese, che approfondisce la questione, distinguendo a seconda che si tratti delle normali strade pubbliche oppure delle strade vicinali (private oppure di uso pubblico), dato che vengono in rilievo normative differenti (link a http://venetoius.myblog.it). |
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EDILIZIA
PRIVATA:
La semplice indicazione di una strada
nell’elenco delle strade comunali non è sufficiente a
comprovarne la natura pubblica o privata.
La complessa vicenda processuale di cui ci occupiamo trae origine dal ricorso proposto dagli appellanti, proprietari di immobili interessati da una determinata strada, contro la Deliberazione del Consiglio Comunale di un Comune piemontese avente ad oggetto: la costituzione di un Consorzio sulla stessa. Invero, ad avviso degli appellanti, la strada in questione avrebbe natura comunale e, pertanto, risulterebbe illegittima la costituzione del Consorzio in questione, in quanto esclusivamente in ipotesi di strade vicinali l’istituzione di un Consorzio per la loro manutenzione, sistemazione e ricostruzione sarebbe ammissibile. Il Comune, invece, sostiene, di aver dimostrato, nel corso del giudizio di primo grado, la natura privata della strada in questione e la conseguente legittimità della costituzione del Consorzio, ribadendo che la strada in menzione, oltre a non essere mai stata inclusa negli elenchi delle vie comunali (essendo stata, al contrario, inserita nelle liste delle vie private), non possiede le caratteristiche ed i requisiti richiesti dalla normativa e dalla giurisprudenza formatasi in materia al fine di tale qualificazione. Ma a tale riguardo, i giudici del Consiglio di Stato osservano che la semplice indicazione di una strada nell’elenco delle strade comunali (o vicinali) non risulta dirimente, considerato che tali elenchi hanno natura meramente dichiarativa, e non costitutiva, per cui detta inclusione non è di per sé sufficiente a comprovare la natura pubblica o privata di una strada. In tal senso, infatti, ricordano i giudici d’appello, si è espressa recentemente la Corte di Cassazione, secondo cui "L’iscrizione di una strada nell'elenco delle vie pubbliche o gravate da uso pubblico non ha natura costitutiva e portata assoluta, ma riveste funzione puramente dichiarativa della pretesa del Comune, ponendo una semplice presunzione di pubblicità dell’uso, superabile con la prova contraria della natura della strada e dell’inesistenza di un diritto di godimento da parte della collettività mediante un’azione negatoria di servitù” (Cass. Civ., Sez. Un., 27.01.2010, n. 1624). Considerata la natura meramente dichiarativa degli elenchi in questione, la giurisprudenza ha elencato ulteriori requisiti da valutarsi al fine dell’accertamento della natura di una strada, quali l’uso pubblico (inteso come l’utilizzo da parte di un numero indeterminato di persone), l’ubicazione della strada all’interno di luoghi abitati, nonché il comportamento tenuto dalla Pubblica Amministrazione nel settore dell’edilizia e dell’urbanistica. Di recente, inoltre, un’ulteriore pronuncia della Suprema Corte ha affermato che “L’appartenenza di una strada ad un ente pubblico territoriale può essere desunta da una serie di elementi presuntivi aventi i requisiti di gravità, precisione e concordanza prescritti dall’art. 2729 c.c., non potendo reputarsi, a tal fine, elemento da solo sufficiente l’inclusione o meno della strada stessa nel relativo elenco, già previsto dall’art. 8 della legge n. 126 del 1958, avente natura dichiarativa e non costitutiva, ed avendo carattere relativo la presunzione di demanialità di cui all’art. 22 della legge n. 2248 del 1865, all. F” (nella specie, la Suprema Corte ha confermato la sentenza di merito che aveva riconosciuto ad una strada natura comunale in forza di plurime circostanze e, segnatamente, dall’inclusione nelle mappe catastali, dalla classificazione come comunale da parte del Consiglio dell’ente territoriale, dall’attività di manutenzione effettuata dall’ente, dall’inclusione nella top onomastica cittadina con attribuzione di numerazione civica e, infine, dalla mancanza di elementi validi a sostegno del contrario assunto sulla natura privata della strada medesima: Cass. Civ., Sez. II, 09.11.2009, n. 23705) (commento tratto da www.documentazione.ancitel.it - Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 07.12.2010 n. 8624 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
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EDILIZIA
PRIVATA:
Nel costituire una servitù di uso
pubblico il requisito della protrazione dell’uso stesso da
tempo immemorabile deve essere rigorosamente dimostrato.
Come ripetutamente rilevato in giurisprudenza, affinché su di un’area possa dirsi costituita una servitù di uso pubblico, devono sussistere i tre requisiti del passaggio esercitato iure servitutis publicae da una collettività di persone qualificate dall’appartenenza ad una comunità territoriale, della concreta idoneità dell’area a soddisfare esigenze di interesse generale e di un titolo valido a sorreggere l’affermazione del diritto di uso pubblico, potendo tale ultimo requisito identificarsi nell’acquisto per usucapione (per decorso del termine ventennale) ovvero nella protrazione dell’uso stesso da tempo immemorabile –la quale tuttavia deve essere rigorosamente dimostrata–, onde si rende necessaria la prova specifica di un effettivo e pacifico uso dell’area da parte della generalità dei cittadini e dell’acquiescenza del proprietario, per non essere sufficiente che le singole utilizzazioni dedotte a prova dell’esistenza della servitù si risolvano in sporadici episodi svoltisi in maniera discontinua e per tolleranza del legittimo proprietario, tanto più che anche la costituzione di una servitù di uso pubblico mediante dicatio ad patriam postula un comportamento del proprietario univocamente rivolto, con carattere di continuità e non di precarietà e tolleranza, a porre a disposizione del pubblico una cosa propria oggettivamente idonea al soddisfacimento di un’esigenza comune alla collettività (v. in questi termini, TAR Lombardia, Brescia, n. 1365/2005 cit.). Nella fattispecie, però, l’Amministrazione comunale non ha fornito elementi che dimostrino l’uso continuativo del bene da parte della comunità locale per un periodo di tempo utile alla costituzione dell’invocata servitù di uso pubblico, essendosi la stessa limitata a richiamare tale circostanza senza fornire riscontri oggettivi di alcun tipo, salva l’esibizione di fotografie che evidenzierebbero sì il pregresso libero accesso all’area ma non anche la risalenza e l’ininterrotto protrarsi nel tempo di tale situazione, e neppure risulta documentato, o in altro modo comprovato, l’asserito ripetersi degli interventi di manutenzione e delle altre attività che, a dire dell’ente locale, contraddistinguerebbero l’uso pubblico del bene. E’ pur vero, poi, che la ricorrente aveva dato il proprio assenso ai lavori comunali di riqualificazione della zona comprendenti l’area in esame, ma non aveva ella in tal modo inteso anche prestare acquiescenza ad una destinazione pubblica del bene, rispetto al quale anzi aveva comunicato all’Amministrazione la volontà di “…conservazione dei diritti di utilizzazione della piazza come attualmente esistenti e/o esercitati, senza alcuna rinuncia al riguardo …” (v. nota del 04.02.2004) (TAR Emilia Romagna-Parma, sentenza 10.11.2010 n. 487 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
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EDILIZIA
PRIVATA - LAVORI PUBBLICI:
OSSERVATORIO VIMINALE/ Strade vicinali.
Quale disciplina è applicabile ai consorzi di strade vicinali, già esistenti, in considerazione dell'abrogazione del dlgs n. 1446/1918, disposta dall'art. 2 del dl n. 200/2008? La Corte dei conti, sezione regionale Emilia Romagna, con deliberazione n. 244/2009, ha affermato che «l'abrogazione della norma sopra citata (dlgs n. 1446/1918) non può aver influito sulla sorte dei soggetti già esistenti», proprio in considerazione della particolare connotazione formale che caratterizza i consorzi riguardanti le strade vicinali di uso pubblico, quali soggetti dotati di personalità giuridica (articolo ItaliaOggi del 17.09.2010, pag. 37). |
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EDILIZIA
PRIVATA:
L'installazione di un cancello su una
strada privata soggetta a uso pubblico è assimilabile alla
costruzione su aree di proprietà del Comune ai sensi
dell'art. 32, commi 5 e 6, L. 28.02.1985 n. 47.
Conseguentemente, l'amministrazione comunale, nel corso dell'istruttoria, come avviene per il rilascio della concessione edilizia, anche se l’atto autorizzativo è rilasciato facendo salvi i diritti dei terzi, deve verificare che esista il titolo per intervenire sulla proprietà su cui si chiede di realizzare il manufatto. Tuttavia deve escludersi un obbligo del Comune di effettuare complessi accertamenti diretti a ricostruire tutte le vicende riguardanti la titolarità dell'immobile, con particolare riferimento all'inesistenza di servitù o di altri diritti reali da parte di terzi che potrebbero essere limitati dal manufatto a realizzarsi. L'installazione di un cancello su una strada privata soggetta a uso pubblico è assimilabile alla costruzione su aree di proprietà del Comune ai sensi dell'art. 32, commi 5 e 6, L. 28.02.1985 n. 47 (TAR Lombardia Brescia, 13.09.2005, n. 833). Ne consegue che l'amministrazione comunale, nel corso dell'istruttoria, come avviene per il rilascio della concessione edilizia, anche se l’atto autorizzativo è rilasciato facendo salvi i diritti dei terzi, deve verificare che esista il titolo per intervenire sulla proprietà su cui si chiede di realizzare il manufatto. Tuttavia deve escludersi un obbligo del Comune di effettuare complessi accertamenti diretti a ricostruire tutte le vicende riguardanti la titolarità dell'immobile, con particolare riferimento all'inesistenza di servitù o di altri diritti reali da parte di terzi che potrebbero essere limitati dal manufatto a realizzarsi, atteso che il provvedimento autorizzativo in discorso è un atto amministrativo che rende legittima l'attività autorizzata nell'ordinamento pubblicistico e regola il rapporto che, in relazione a quell'attività, si genera tra l'autorità amministrativa che lo emette ed il soggetto a favore del quale è emesso. Ne discende che, non essendo tale atto amministrativo suscettibile di attribuire al beneficiario diritti soggettivi in conseguenza all'attività stessa, eventuali situazioni di contitolarità del diritto, ovvero di diritti tra loro configgenti, devono essere fatte valere alla stregua della disciplina fissata dal diritto comune dovendosi escludere, in tal senso, un’attività ulteriore dell’amministrazione che ad essa non compete (arg. ex Cons. Stato, sez. V, 07.09.2009, n. 5223; anche TAR Lombardia Milano, sez. II, 06.02.2009, n. 1157). Appartengono, infatti, alla giurisdizione ordinaria le controversie in tema di proprietà, pubblica o privata, delle strade, nonché circa l'esistenza di diritti di uso pubblico ovvero di servitù in favore di fondi privati su strade private, in quanto tali questioni hanno ad oggetto l'accertamento dell'esistenza e dell'ampiezza di diritti soggettivi, sia dei privati che della P.A. (cfr. TAR Emilia Romagna Parma, 12.07.2005, n. 383) (TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 16.06.2010 n. 1863 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
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EDILIZIA
PRIVATA:
Affinché una strada privata possa essere
considerata ad uso pubblico non basta che essa possa servire
da collegamento con una via pubblica e sia adibita al
transito di persone diverse dal proprietario, ma è anche
necessario che la strada sia posta al servizio di una
collettività indeterminata di cittadini portatori di un
interesse generale.
In mancanza di espressa classificazione di una strada privata nell'elenco delle strade vicinali, per considerare assoggettata ad uso pubblico una strada privata è necessario che la stessa sia oggettivamente idonea all'attuazione di un pubblico interesse consistente nella necessità di uso per le esigenze della circolazione o per raggiungere edifici di interesse collettivo (chiese, edifici pubblici). Affinché una strada privata possa essere considerata ad uso pubblico non basta che essa possa servire da collegamento con una via pubblica e sia adibita al transito di persone diverse dal proprietario, ma è anche necessario che la strada sia posta al servizio di una collettività indeterminata di cittadini portatori di un interesse generale. Non è, quindi, da considerare ad uso pubblico una strada che: 1) è utilizzata prevalentemente dagli abitanti dei comparti edilizi che su essa prospettano; 2) è priva di marciapiedi e, pertanto, non si presenta destinata alla circolazione dei pedoni come richiede, invece, l'art. 2 del codice della strada allorché definisce il concetto di strada; 3) è a vicolo cieco e, dunque, per essa non può valere il principio della presunzione di uso pubblico che opera solo qualora il tratto di strada colleghi due strade pubbliche (TAR Veneto Venezia, sez. II, 24.01.2008, n. 169). Peraltro, costituisce jus receptum che, in mancanza di espressa classificazione di una strada privata nell'elenco delle strade vicinali, per considerare assoggettata ad uso pubblico una strada privata è necessario che la stessa sia oggettivamente idonea all'attuazione di un pubblico interesse consistente nella necessità di uso per le esigenze della circolazione o per raggiungere edifici di interesse collettivo (chiese, edifici pubblici). Deve quindi essere verificato: a) il requisito del passaggio esercitato da una collettività di persone qualificate dall'appartenenza ad un gruppo territoriale; b) la concreta idoneità della strada a soddisfare, anche per il collegamento con la via pubblica, esigenze di generale interesse; c) un titolo valido a sorreggere l'affermazione del diritto di uso pubblico, che può anche identificarsi nella protrazione dell'uso stesso da tempo immemorabile (cfr. TAR Calabria Catanzaro, sez. II, 10.06.2008, n. 643) (TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 16.06.2010 n. 1863 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
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EDILIZIA
PRIVATA - LAVORI PUBBLICI:
Strade pubbliche e private - strade
vicinali - uso pubblico - polizia demaniale - autotutela -
limite.
In materia di polizia demaniale, ex art. 823 c.c., l'amministrazione dispone di un potere alternativo sia ai mezzi ordinari di difesa della proprietà sia ai mezzi ordinari di difesa del possesso, e può qualificarsi tanto come possessore dei beni demaniali quanto come proprietario degli stessi (ovvero come titolare dei diritti demaniali), con facoltà, in questa seconda ipotesi, di adottare e far eseguire provvedimenti che mirano al recupero dei beni, o alla tutela dei diritti, senza incontrare i limiti temporali e sostanziali previsti per le azioni possessorie: il vero limite dell'autotutela da parte della pubblica amministrazione è costituito dalla sdemanializzazione tacita (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 11.01.2010 n. 1 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
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anno 2009 | |
PATRIMONIO:
Demanio e patrimonio -
Sdemanializzazione - Non determina di per sé il
trasferimento al patrimonio della P.A. di ciò che era e
rimane di proprietà privata ancorché gravato dall'uso
pubblico dismesso.
Il procedimento di sdemanializzazione muta il regime giuridico di ciò che è già di proprietà pubblica, dismettendo la destinazione all'uso pubblico del bene o dell'area pubblica o gravata da servitù di uso pubblico, ma non determina, di per sé, il trasferimento al patrimonio della P.A. di ciò che era e rimane di proprietà privata ancorché gravato dall'uso pubblico dismesso (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 16.12.2009 n. 5365 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
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COMPETENZE
GESTIONALI:
La disciplina della circolazione sulle
strade comunali rientra nelle competenze della dirigenza
comunale anche se il Codice della Strada del 1992 afferma il
contrario, in quanto dalla data di entrata in vigore del
nuovo T.U. degli enti locali l'adozione di atti di gestione
e di atti o provvedimenti amministrativi spetta ai
dirigenti.
Deve, preliminarmente, stabilirsi quale potere il Sindaco abbia inteso esercitare nell’emanare l’impugnata ordinanza. Ad avviso del Collegio sussistono pochi dubbi sul fatto che questa sia stata emanata ai sensi dell’art. 7 del D. Lgs. 30/04/1992 n.285 (nuovo codice della strada) e non, invece, ex art. 54, comma 4 del D. Lgs. 18/08/2000 n.267, come pretendono tanto il comune quanto il consorzio. Ed invero, nell’ordinanza è esplicitamente richiamata la norma di cui al citato art. 7 e, del resto, l’atto manifesta i contenuti tipici del provvedimento descritto nella suddetta disposizione, dettando prescrizioni volte a regolare la circolazione stradale nella zona considerata. Sono assenti, invece, indizi che manifestino l’intendimento del Sindaco di agire con un provvedimento extra ordinem. Manca, difatti, qualunque indicazione circa l’esistenza di un pericolo incombente non altrimenti fronteggiabile con gli ordinari strumenti. E del resto, le prescrizioni date hanno il carattere della continuità e stabilità, mentre le ordinanze contingibili ed urgenti hanno, per loro natura, efficacia temporalmente limitata. Il che induce ad escludere, in mancanza di elementi ermeneutici di segno contrario, che il Sindaco abbia agito ai sensi dell’art. 54, comma 4, del citato D. Lgs. n. 267/2000. Ciò premesso, deve ritenersi che spettasse al dirigente competente per settore provvedere. Infatti, in tema di disciplina della circolazione sulle strade comunali, rientrano nelle competenze della dirigenza comunale i provvedimenti che siano diretti a regolamentare la circolazione su singole strade del centro abitato, a nulla rilevando, in contrario, che il combinato disposto di cui agli articoli 6 e 7 del codice della strada, precedentemente emanato, attribuisca al sindaco la regolamentazione della circolazione nei centri abitati e che i provvedimenti in questione non risultino specificamente tra quelli enumerati dall'articolo 107, terzo comma, del d.lgs. n. 267 del 2000, atteso che: a) il quinto comma del citato art. 107 stabilisce espressamente che, a decorrere dalla data di entrata in vigore del testo unico in cui la norma è contenuta, le disposizioni che conferiscono agli organi di governo degli enti l'adozione di atti di gestione e di atti o provvedimenti amministrativi, “si intendono nel senso che la relativa competenza spetta ai dirigenti”; b) l’elenco delle competenze dirigenziali contenuto nella disposizione ha natura meramente esemplificativa (TAR Calabria–Catanzaro 23/09/2003 n. 2730; TAR Lombardia–Brescia 28/04/2003 n. 464; TAR Piemonte 27/11/2002 n. 2000; Cass. Sez. II, 06/11/2006 n. 23622). Occorre, infine, rilevare che, contrariamente a quanto le controparti sostengono, nessun rilievo può avere il fatto che le strade interne al comprensorio siano private, atteso che è incontroverso che le stesse siano adibite ad uso pubblico; del resto, ove così non fosse, il Consorzio non avrebbe avuto alcuna necessità di rivolgersi al Sindaco per regolare il traffico veicolare nelle aree in contestazione; gli sarebbe bastato avvalersi della ordinaria facoltà di cui all’art. 841 cod. civ., che consente al proprietario di chiudere il fondo in qualunque momento (TAR Sardegna, Sez. I, sentenza 28.07.2009 n. 1391 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
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LAVORI PUBBLICI:
Strade vicinali e spese dei consorzi obbligatori.
Pubblichiamo una nota dell'avvocato Marta Bassanese del foro di Vicenza sulle spese per la manutenzione delle strade vicinali. La nota segnala la differenza tra le strade vicinali a uso pubblico e quelle non a uso pubblico e spiega quali sono i presupposti per la formazione di un consorzio obbligatorio per la manutenzione delle strade vicinali (http://venetoius.myblog.it). |
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LAVORI PUBBLICI:
Parere richiesto dal Sindaco del Comune di Castel San Pietro
Terme riguardante gli effetti del D.L.
22.12.2008 n. 200, convertito nella legge nella legge
18.02.2009 n. 9, che ha abrogato il D.L. Lgt. 1446/1918, con
il quale era stato stabilito che i Comuni dovessero
concorrere alle spese per la manutenzione, sistemazione e
ricostruzione delle strade vicinali di uso pubblico
(Corte
dei Conti, Sez. regionale di controllo Emilia Romagna,
parere 26.06.2009 n. 244).
... la materia dei consorzi per la manutenzione e ricostruzione delle strade vicinali, era stata organicamente disciplinata dal citato decreto legge luogotenenziale del 1918, che aveva stabilito la competenza dell’autorità comunale, sia per la costituzione dei consorzi, che per la sovrintendenza nelle varie fasi della loro esistenza. Per i casi in cui le strade vicinali fossero destinate all’uso pubblico, era inoltre prescritto l’obbligo del Comune di accollarsi una quota degli oneri necessari alla loro manutenzione e ricostruzione. A tale disciplina era seguita nel 1958 la legge n. 126, in materia di classificazione e manutenzione delle strade destinate ad uso pubblico, che, nell’art. 14, ribadiva l’obbligatorietà della costituzione dei consorzi previsti dal D.L. Lgt. 1446/1918, e stabiliva che, in caso assenza di iniziativa degli utenti o dei comuni, la costituzione poteva essere disposta d’ufficio dal Prefetto. Quest’ultima norma, a differenza di quanto accaduto al D.L. Lgt. di cui qui si tratta, non risulta espressamente abrogata dal D.L. 22.12.2008 n. 200, convertito nella legge nella legge 18.02.2009 n. 9. Prescindendo comunque dall’attuale incongruo assetto normativo, e venendo al quesito posto dal Sindaco di Castel San Pietro Terme, si chiarisce che l’abrogazione del D.L. Lgt. 1446/1918 non comporta, a parere di questo Collegio, la eliminazione dei consorzi già costituiti in base a tale antica normativa. Ciò in considerazione dl fatto che l’atto costitutivo del Consorzio, quale originaria manifestazione della volontà dei proprietari delle strade vicinali (approvata, secondo l’art. 2 del citato D.L. Lgt. 1446/1918, con delibera del Consiglio comunale), non ha perso il suo valore a seguito dell’abrogazione della norma che ab origine disciplinò gli effetti di tale legittima manifestazione di volontà. Va detto, inoltre, che per i consorzi riguardanti le strade vicinali di uso pubblico che, per consolidato orientamento giurisprudenziale, sono dotati di personalità giuridica pubblica, tale ultimo elemento di carattere formale, avvalora ancor più l’opinione che l’abrogazione della norma sopracitata non possa avere influito sulla sorte di soggetti già esistenti. Va considerato, infine, che il fondamento per un eventuale sostegno finanziario comunale a favore dei consorzi già costituiti, che a suo tempo era indicato espressamente nelle disposizioni del D.L. Lgt. 1446/1918, può oggi rinvenirsi nella qualità riconosciuta ai Comuni di enti esponenziali degli interessi della comunità locale, e quindi abilitati anche a garantire, con adeguati interventi finanziari, l’efficienza della viabilità minore di uso pubblico. |
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EDILIZIA
PRIVATA:
Strumenti legittimi per la tutela delle
strade ad uso pubblico.
In caso di realizzazione di una recinzione che ostruisce il pubblico uso di un percorso, è legittimo l’esercizio del potere sindacale contemplato dall’art. 378 della legge 20.03.1865 n. 2248 all. F, il quale configura, non già un provvedimento repressivo in materia edilizia, bensì una ipotesi di autotutela possessoria iuris publici in tema di strade sottoposte all’uso pubblico, che, in quanto tale, trova il suo unico presupposto nella necessità di ripristinare l’uso pubblico della strada senza necessità di ulteriori motivazioni (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 08.01.2009 n. 25 - link a www.altalex.com). |
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anno 2008 | |
EDILIZIA
PRIVATA:
Interventi su area privata.
Il sindaco del Comune di XXX, chiede se sia possibile acquisire, per soddisfare un pubblico interesse, al patrimonio comunale una strada agro-silvo-pastorale, con stipula di atto pubblico di compravendita; oppure se, in alternativa, il Comune possa “acquisire” esclusivamente l’uso pubblico al transito, mantenendo il sedime privato. In questa seconda evenienza il sindaco chiede parere sulla legittimità di interventi a cura del Comune su area privata (Regione Piemonte, parere n. 167/2008 - link a www.regione.piemonte.it). |
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LAVORI PUBBLICI:
Viabilità agro-silvo-pastorale - Strada
vicinale - Manutenzione - Oneri a carico dei Comuni -
Soggezione a pubblico transito - Soggezione a uso pubblico -
Differenze.
La misura della partecipazione dei comuni agli oneri di manutenzione ordinaria e straordinaria delle strade vicinali va definita sulla base dell'art. 3 del DLLgt. 1446/1918, il quale prevede una misura variabile da 1/5 fino a metà della spesa a seconda dell'importanza delle strade. Condizione essenziale perché possa sorgere l'obbligo di contribuzione è che le vicinali siano soggette a pubblico transito. Se una strada vicinale può essere percorsa indistintamente da tutti i cittadini per una molteplicità di usi e con una pluralità di mezzi, non può essere negata la presenza del pubblico transito solo perché materialmente la strada si presenta disagevole in alcuni tratti e poco frequentata nel complesso. L'uso pubblico, assimilabile a una servitù collettiva, legittima i comuni a introdurre alcune limitazioni al traffico, ad esempio vietando l'uso di alcuni mezzi (specie di quelli molto impattanti) in modo continuativo o in particolari periodi, come per il resto della viabilità comunale ma l'apposizione di limiti e divieti non fa venire meno la caratteristica del pubblico transito e quindi non esime i comuni dall'obbligo di contribuire alla manutenzione. L’esistenza dell’obbligo in capo ai comuni è indipendente dalla formazione di un consorzio tra gli utenti, sia nella forma facoltativa di cui all’art. 2 del DLLgt. 1446/1918 sia nella forma obbligatoria di cui all’art. 14 della legge 12.02.1958 n. 126. La costituzione del consorzio è necessaria per imporre la ripartizione delle spese tra i privati, mentre nei confronti del comune competente per territorio l’obbligo di finanziamento è una conseguenza automatica del diritto di uso pubblico secondo il principio generale dell’art. 1069 cc. in materia di opere necessarie per la conservazione della servitù. Poiché l’uso pubblico è il risultato di un insieme di comportamenti omogenei ripetuti nel tempo, il contenuto del diritto ha un’estensione mediana e riflette l’utilità collettiva e non quella di ogni singolo utente. Pertanto i comuni non sono tenuti a introdurre nelle strade vicinali caratteristiche tecniche idonee a soddisfare speciali esigenze di transito di alcuni utenti. Tuttavia la manutenzione deve tenere conto degli interessi pubblici collegati alla viabilità, e in particolare dell’utilizzazione della strada per il servizio antincendio, le emergenze sanitarie e gli interventi di protezione civile. Queste considerazioni riassumono i criteri con cui deve avvenire il riparto della spesa tra i comuni e i privati. Un ulteriore criterio è costituito dalla presenza di un “consumo notevole” della strada da parte di un singolo utente o un gruppo ristretto ai sensi dell’art. 9 del DLLgt. 1446/1918. In effetti se vi è uno squilibrio nell’utilizzazione, nel senso che la strada è di fatto al servizio di pochi anziché della collettività, l’onere economico deve gravare in misura proporzionale su questi ultimi, a prescindere dalla formale istituzione di un consorzio (TAR Lombardia-Brescia, sentenza 11.11.2008 n. 1602 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
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EDILIZIA
PRIVATA:
1. Provvedimento di rifiuto di rilascio
di autorizzazione edilizia - Chiusura con cancelli carrai di
una piazza privata - Servitù pubblica di passaggio su una
strada privata - Prova - Non sussiste.
2. Provvedimento di rifiuto di rilascio di autorizzazione edilizia - Chiusura con cancelli carrai di una piazza privata - Motivi di pubblica sicurezza - Limitazione del diritto di proprietà - Illegittimità. 1. L'esistenza di una servitù pubblica di passaggio su una strada o una piazza privata, non si suppone, ma va dimostrata attraverso la prova dell'uso e dell'utilità pubblica di detta strada. In particolare non emergendo dagli atti, e non avendo il Comune fornito in giudizio ulteriori elementi in tal senso, se la transitabilità della piazza in questione si sia protratta nel tempo per una durata almeno ultraventennale, il provvedimento di diniego di autorizzazione edilizia per la chiusura con cancelli carrai della piazza, motivato sull'esistenza di un diritto di uso pubblico (non dimostrato), è illegittimo. 2. L'esigenza inerente a motivi di pubblica sicurezza di non interrompere un tratto di viabilità (per il passaggio dei mezzi di soccorso) si può porre come limitativa del diritto di proprietà del privato solo qualora fatta valere tramite adeguati strumenti di carattere pubblicistico, che ben l'amministrazione può adottare, volti ad imporre vincoli o limitazioni al diritto dominicale con le modalità e forme previste dalla legge, ma in assenza di tali provvedimenti, la mera sussistenza di esigenze riconducibili ad interesse pubblico non è motivo da solo sufficiente per rifiutare l'autorizzazione edilizia a chiudere l'accesso ad una piazza privata (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 16.07.2008 n. 2926). |
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URBANISTICA:
Richiesta di parere del Sindaco del Comune di Segrate (Mi)
circa la necessità che l’Ente debba agire giuridicamente
per il riconoscimento dell’uso pubblico di strade ed opere
inserite in un piano di lottizzazione scaduto, per le quali
era prevista una cessione al Comune, mai avvenuta, a titolo
di urbanizzazione primaria, ma che ad oggi sono da ritenersi
di uso pubblico; e se le spese ordinarie e straordinarie, di
tali opere, debbano ritenersi a carico della pubblica
amministrazione (Corte dei Conti, Sez. regionale di
controllo Lombardia,
parere
11.06.2008 n. 42).
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EDILIZIA
PRIVATA:
Interclusione a strade soggette a
servitù di pubblico transito - È illegittima - Esigenza dei
requisiti del passaggio, della concreta idoneità della
strada a soddisfare esigenze di generale interesse e del
titolo valido a sorreggere l'affermazione del diritto di uso
pubblico - Sussiste.
È illegittima ogni interclusione a strade, anche private o vicinali, soggette a servitù di pubblico transito. A tal fine si richiede la sussistenza dei requisiti del passaggio (esercitato iure servitutis publicae da una collettività di persone qualificate dall'appartenenza ad un comunità territoriale), della concreta idoneità della strada a soddisfare esigenze di generale interesse (anche per il collegamento con la pubblica via) e del titolo valido a sorreggere l'affermazione del diritto di uso pubblico, che può identificarsi anche nella protrazione dell'uso stesso da tempo immemorabile (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 18.04.2008 n. 1229 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
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EDILIZIA
PRIVATA:
La classificazione delle strade comunali
ha valore solo dichiarativo, con la conseguenza che i
provvedimenti di autotutela possessoria delle strade stesse
non presuppongono necessariamente che la strada tutelata sia
iscritta nei registri del Comune, sicché ove manchi
l'iscrizione, o essa sia stata annullata per illegittimità,
l'esercizio del relativo potere da parte del sindaco è
solamente condizionato al preventivo e rigoroso accertamento
dell'uso pubblico della strada.
La preesistenza -di fatto- dell'uso pubblico di una strada, anche se questa sia del tutto privata, è uno dei presupposti che legittimano l'esercizio dei poteri di autotutela possessoria delle strade vicinali, attribuito al Sindaco dall'art. 15 D.L. Lgt. n. 1446 cit. (C.g.a. 18.06.2003, n. 244; Cons. St., Sez. V, 12.08.1998, n. 1250; 07.04.1995, n. 522; 23.01.1991, n. 64; TAR Lazio, Latina, 15.05.2004, n. 332; TAR Lazio, Roma, 29.03.2004, n. 2922; TAR Calabria, Catanzaro, 15.01.2002, n. 17; TAR Calabria Catanzaro, 02.03.1999, n. 255; TAR Sicilia, Catania, 29.09.1994, n. 2147). La stessa classificazione delle strade comunali ha valore solo dichiarativo, con la conseguenza che i provvedimenti di autotutela possessoria delle strade stesse non presuppongono necessariamente che la strada tutelata sia iscritta nei registri del Comune, sicché ove manchi l'iscrizione, o essa sia stata annullata per illegittimità, l'esercizio del relativo potere da parte del sindaco è solamente condizionato al preventivo e rigoroso accertamento dell'uso pubblico della strada (cfr. TAR Piemonte, Torino con sentenza n. 22 del 13.01.2000). Nello stesso senso è stato osservato in giurisprudenza che il potere di ordinanza in materia di polizia demaniale si configura come una forma di autotutela di carattere possessorio da parte della P.A. per la conservazione dello stato di fatto dei beni demaniale o dei beni soggetti a servitù pubbliche e tale potere si pone su di un piano di parallelismo con le azioni possessorie, di guisa che il potere ex art. 15 D.L. Lgt. 1446/1918 deve intendersi finalizzato al ripristino dello stato di fatto preesistente in ordine all'uso pubblico della strada, indipendentemente dalla natura e spettanza dei diritti reali sulla strada medesima (cfr. TAR Umbria, Perugia, 22.09.1994, n. 562) (TAR Sicilia-Palermo, Sez. II, sentenza 07.03.2008 n. 311 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
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EDILIZIA
PRIVATA:
Convenzione per realizzazione strade da
parte di privati.
Il sindaco del Comune XXX pone un quesito che interessa molte amministrazioni locali: strade realizzate da privati, in ambito di convenzione edilizia, gravate da uso pubblico. I proprietari del sedime stradale chiedono al Comune di farsi carico della manutenzione ordinaria e straordinaria, nonché di assumersi la responsabilità per eventuali danni a terzi (Regione Piemonte, parere n. 79/2008 - link a www.regione.piemonte.it). |
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LAVORI PUBBLICI:
Strada privata, destinata ad uso pubblico -
Realizzazione della rete pubblica di illuminazione e la posa
di asfalto - Inversione del possesso - Esclusione -
Fondamento - Occupazione usurpativa - Esclusione - Art. 43
t.u. n. 327/2001.
La realizzazione della rete pubblica di illuminazione e la posa di asfalto (interventi che non possono essersi tradotti in una occupazione della strada privata da parte della p.a. ma più semplicemente a delle attività di manutenzione e sistemazione di una strada privata, destinata ad uso pubblico; attività necessarie al fine di scongiurare pericoli per la pubblica incolumità), costituiscono delle utilità per il proprietario ricorrente e, oltre a non essere idonee a stravolgere l'identità del bene, sono conformi al contenuto del diritto di uso pubblico, con l'ulteriore conseguenza che non costituiscono opere pubbliche tali da determinare un'inversione del possesso, da contenuto del diritto reale pubblico di passaggio a diritto reale di proprietà pubblica. Nella specie, non si è verificata, alcuna ipotesi di occupazione usurpativa (la quale, tra l'altro, ex articolo 43 del t.u. n. 327 del 2001, non determinerebbe da sola il trasferimento alla p.a. del diritto di proprietà, in difetto di un atto formale, benché postumo, di trasferimento da parte dell'Autorità amministrativa o giurisdizionale). Servitù pubblica di passaggio - Elementi per l’esistenza - Fattispecie: diritto reale d'uso pubblico ultraventennale. Ai fini dell'esistenza di una servitù pubblica di passaggio, non è determinante l'inclusione negli elenchi delle strade pubbliche, atteso che, perché una strada possa rientrare nella categoria delle vie vicinali pubbliche, devono sussistere i requisiti del passaggio (esercitato "iure servitutis pubblicae" da una collettività di persone qualificate dall'appartenenza ad una comunità territoriale); della concreta idoneità della strada a soddisfare esigenze di generale interesse (anche per il collegamento con la pubblica via); nonché il titolo valido a sorreggere l'affermazione del diritto di uso pubblico (che può identificarsi anche nella protrazione dell'uso stesso da tempo immemorabile) (Consiglio di Stato 24/10/2002, n. 5692). Nella specie, il comune deve ritenersi titolare di un diritto reale d'uso pubblico ultraventennale delle aree in questione che ne legittimano l'utilizzo e la manutenzione da parte dello stesso per soddisfare specifici interessi pubblicistici di cui è portatore (garantire la sicurezza della viabilità) e primario responsabile (Consiglio di Stato, sentenza n. 373 del 2004) (TAR Puglia-Lecce, Sez. I, sentenza 09.01.2008 n. 48 - link a www.ambientediritto.it). |
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anno 2007 | |
EDILIZIA
PRIVATA:
Autorizzazione passo carraio.
Il Comune XXX ha formulato al Servizio di consulenza regionale un quesito attinente alla possibilità di autorizzare l’apertura di un passo carraio caratterizzato dalla particolarità data dal fatto che il passo carraio medesimo consente l’accesso non già direttamente su di una strada o piazza pubblica, bensì su di un’area di proprietà di terzi asservita all’uso pubblico, e più specificatamente a parcheggio pubblico (Regione Piemonte, parere n. 69/2007 - link a www.regione.piemonte.it). |
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anno 2006 | |
EDILIZIA
PRIVATA:
Strada - Servitù di passaggio -
Presupposti - Limiti - Dicatio ad patriam - Fattispecie.
Affinché una strada possa ricondursi fra quelle gravate da servitù anche di solo passaggio, è necessario che l’uso risponda alla necessità o alla utilità di una collettività di persone (C.d.S. Sezione V, 28.01.1998, n. 102). Nella specie, il carattere “interno” dell’area esclude il presupposto in esame facendo concludere per una utilità limitata ai soli proprietari frontisti (quando l’uso avvenga in favore di soggetti considerati uti singuli, e non uti cives, non può darsi uso pubblico di passaggio né per usucapione di servitù, né per dicatio ad patriam: Cass. 21.05.2001, n. 6924; 13.02.2006, n. 3075) (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 18.12.2006 n. 7601 - link a www.ambientediritto.it). |
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EDILIZIA
PRIVATA - LAVORI PUBBLICI:
Strada vicinale: circostanze e requisiti per
l’attribuzione del carattere pubblico.
La iscrizione di una strada vicinale nell’elenco delle strade di uso pubblico del Comune comporta una presunzione di pubblicità della strada stessa che può essere superata solo con l’accertamento in sede giudiziaria civile della sua natura privata. In primo luogo si deve precisare che l’utilizzo della strada sia per il transito pedonale che con mezzi a motore, anche se si ritiene che sia necessario percorrerla con fuoristrada o con mezzi agricoli, non esclude la transitabilità e anche se la strada, ove sottoposta ad idonei interventi di manutenzione, potrebbe consentire il suo utilizzo anche con autoveicoli ordinari. In secondo luogo, la strada vicinale consente un collegamento più breve, anche se al momento come si è detto non agevole ma pur sempre alternativo. La circostanza che alcuni appezzamenti di terreno di proprietà di terzi siano raggiungibili con la vicinale depone ulteriormente per il suo carattere pubblico (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 01.12.2006 n. 7081 - link a www.altalex.com). |