venerdì 20 aprile 2012

STUDI E PUBBLICAZIONI:CENNI SUI POTERI DELLE REGIONI IN MATERIA DI POLIZIA LOCALE

ASSEMBLEA REGIONALE SICILIANA
XV LEGISLATURA
CENNI SUI POTERI DELLE REGIONI IN MATERIA DI POLIZIA LOCALE
di Maria Cristina Pensovecchio consigliere parlamentare assegnato al Servizio Studi e affari europei
Ottobre 2010

CENNI SUI POTERI DELLE REGIONI IN MATERIA DI POLIZIA LOCALE

1. Le competenze delle Regioni ordinarie in materia di polizia locale

Antecedentemente alla riforma del titolo V della Costituzione, operata nel 2001, la Costituzione italiana non conteneva alcun espresso richiamo alla nozione di “ordine pubblico”. Sebbene infatti tale espressione fosse da tempo presente nella legislazione italiana (ad esempio nel codice civile del 1865) il costituente aveva deliberatamente evitato di adoperarla, in considerazione dell’uso distorto che di essa era stato fatto durante il fascismo, quando in nome delle ragioni di “ordine pubblico” erano state varate numerose leggi di carattere repressivo e illiberale.1Tanto meno si era avvertita, da parte del costituente, l’esigenza di riservare espressamente allo Stato la competenza legislativa nella materia “ordine pubblico e sicurezza pubblica”, che tuttavia era di sicura ed esclusiva spettanza statale, non comparendo tra quelle, enumerate nell’art. 117 della Costituzione, attribuite alla competenza Stato-Regione.
Tuttavia, lo stesso costituente ritenne opportuno riconoscere un ruolo delle Regioni nella disciplina della polizia locale: l’art. 117 della Costituzione, nella sua originaria versione, deferiva infatti alla competenza legislativa concorrente Stato-Regioni la disciplina della “polizia locale, urbana e rurale”, con la conseguente devoluzione alla legge statale del compito di stabilire norme di principio, che la legge regionale avrebbe provveduto ad integrare.
Il D.P.R. N. 616 del 24 luglio 1977, con in quale si procedeva al trasferimento di competenze dallo Stato alle Regioni ordinarie, dopo aver sancito la riserva allo Stato in tema, tra l’altro, di pubblica sicurezza (art. 4) attribuiva alle Regioni, ai Comuni, alle Province, alle comunità montane le funzioni di polizia amministrativa “nelle materie ad essi rispettivamente attribuite o trasferite” (art. 9)2. Successivamente, l’art. 158 del d. lgs. n. 112 del 1998 ribadiva che “le Regioni e gli enti locali sono titolari delle funzioni e dei compiti di polizia amministrativa nelle materie ad essi

1 Francesca Angelini, Ordine pubblico, in Dizionario di diritto pubblico diretto da Sabino Cassese, vol. IV, Milano 2006, la quale, comunque, nota che il concetto di ordine pubblico era implicitamente presente in varie disposizioni costituzionali, soprattutto in quelle che facevano riferimento a locuzioni quali, ad esempio, l’incolumità o la sicurezza pubblica nazionale.
2 La Corte costituzionale nella sentenza n. 740 del 1988 ha rilevato che, per effetto della riconduzione, operata dal d.p.r. n. 616 del 1977, della polizia amministrativa alle funzioni di amministrazione attiva delle Regioni, dei Comuni e delle Province, sia possibile rinvenire il contenuto della stessa polizia amministrativa in “quella regolazione limitativa (ma anche orientativa) e in quella superiore vigilanza che si esplicano sull’attività dei privati nelle materie oggetto delle suddette funzioni mediante previsioni regolamentari (di obblighi, facoltà, modi procedimentali, sanzioni amministarive) e mediante provvedimenti dispositivi concreti (di licenza, autorizzazione, concessione, revoca, decadenza, applicazione di sanzioni amministrative)”.

rispettivamente trasferite o attribuite”3 e che “la delega di funzioni amministrative dallo Stato alle Regioni e da queste ultime agli enti locali, anche per quanto attiene alla subdelega, ricomprende anche l’esercizio delle connesse funzioni e compiti di polizia amministrativa”4.
E’ noto peraltro come nel corso del tempo le funzioni di polizia amministrativa venissero affidate dalla legge essenzialmente agli organi e alle strutture della polizia locale ( in particolare alla polizia comunale), cui veniva deferito lo svolgimento di una serie di funzioni inerenti alla vigilanza del commercio, del traffico, dell’edilizia, dell’ambiente, ecc., nonché vari compiti previsti dal t.u. delle leggi di pubblica sicurezza, con facoltà di rilascio di licenze e autorizzazioni5. Ciò faceva sì che, come rilevato dalla dottrina, l’ambito delle competenze regionali in tema di polizia locale risultasse assai limitato “riducendosi, in sostanza, alla disciplina legislativa regionale dell’istituzione e dell’organizzazione dei servizi di polizia municipale (oltre che di rapporti ricadenti in altre materie di competenza regionale)”, disciplina da stabilire, peraltro, in linea con quanto disposto dalla normativa statale6.
Sulla materia intervenne la legge 7 marzo 1986, n. 65 “Legge-quadro sull’ordinamento della polizia municipale” la quale, oltre a disciplinare vari profili dell’assetto organizzativo della stessa polizia, attribuì al relativo personale anche funzioni di polizia giudiziaria, di polizia stradale, e funzioni ausiliarie di pubblica sicurezza (con conseguente possibilità, a seguito di apposito conferimento da parte del Prefetto, di assumere la qualità di agente di pubblica sicurezza)7. La stessa legge espressamente afferma (art. 6) che i principi in essa contenuti, fatte salve le competenze delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome di Trento e Bolzano, si impongono alla legislazione regionale. A quest’ultima viene peraltro deferita una serie di compiti inerenti alla

3 L’art. 162 dello stesso decreto dispone anche, al primo comma, il trasferimento alle Regioni di taluni compiti, quali il rilascio dell’autorizzazione per l’espletamento di gare con autoveicoli, motoveicoli, ciclomotori su strade di carattere interprovinciale situate nel territorio regionale. Lo stesso articolo, al secondo comma, sancisce che “il servizio di polizia regionale e locale è disciplinato dalle leggi regionali e dai regolamenti degli enti locali, nel rispetto dei principi di cui al titolo V della Costituzione e della legislazione statale nelle materie alla stessa riservate.
4 E’ stato notato come in realtà le funzioni di polizia amministrativa si concretizzino in poteri di carattere accessorio, che vanno ad integrare la più ampia competenza della polizia di interesse locale e che ciò “pone problemi non indifferenti sotto il profilo della costruzione organica della materia, palesemente destinata a frantumarsi in tanti filoni quante sono le altre materie di competenza regionale suscettibili di interessare l’attività di polizia e, quindi, destinata per così dire ad essere risucchiata, filone per filone, nel quadro organico di ciascuna di queste materie”(v. Commentario della Costituzione, a cura di Giuseppe Branca, tomo I, Le Regioni, le Province, i Comuni (artt. 114-120), Bologna 1985).
Livio Paladin, Diritto regionale, Padova, 1992, p. 136, cita in proposito l’esempio della polizia forestale rispetto all’agricoltura, della polizia venatoria rispetto alla caccia, della polizia edilizia rispetto all’urbanistica, ecc.; rileva inoltre come tale carattere accessorio delle funzioni di polizia locale risulti confermato dalla formulazione dell’art. 9 del DPR n. 616 del 1977..
5 Luciano Vandelli, Il sistema delle autonomie locali, ed. il Mulino, Bologna, 2005, pp.141-142.
6 Paladin, Diritto regionale, cit., p. 138.
7 E’ stato notato come tale legge, pur non priva di elementi positivi, non apparisse del tutto appagante sotto il profilo della complessiva definizione del ruolo e delle funzioni della polizia municipale, e soprattutto della distinzione della sfera di competenza di quest’ultima rispetto alle attribuzioni della polizia di sicurezza (Luca Mezzetti, Polizia locale, in Dizionario giuridico delle autonomie locali, a cura di L. Mezzetti, Padova, 1999, pp.837 ss.).

regolamentazione della polizia municipale, ossia di stabilire le norme generali per la istituzione del servizio, di promuovere servizi e iniziative per la formazione e l’aggiornamento del personale, nonchè forme associative tra i comuni, di determinare le caratteristiche delle uniformi e dei segni distintivi, oltre che dei mezzi e degli strumenti operativi . In conformità a tali indicazioni contenute nella legge statale, varie Regioni adottarono proprie leggi in materia.
Una significativa estensione della competenza legislativa regionale sulla polizia locale si è avuta in seguito alla riforma del titolo V della Costituzione. L’art. 117 della Costituzione, come riformulato dalla legge costituzionale n. 3 del 2001, ha espressamente sancito, al secondo comma, la competenza legislativa esclusiva dello Stato (lett. h) in tema di “ordine pubblico e sicurezza”, procedendo peraltro ad escludere espressamente da tale riserva “la polizia amministrativa locale”. E’ pertanto evidente che tale ultima materia, non compresa tra quelle di competenza esclusiva, ma non rientrante nemmeno tra quelle di competenza concorrente di cui al terzo comma dell’art. 117 Cost., sia ormai da annoverarsi tra quelle di competenza “residuale” di cui allo stesso art. 117, comma 4, ai sensi del quale “spetta alle Regioni la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato”8. E’ noto come nell’esercizio di tale competenza la potestà legislativa regionale non incontri limiti ulteriori rispetto a quelli che si impongono al legislatore ordinario9.
Successivamente alla riforma del 2001, il tema dell’attribuzione alle Regioni di poteri in materia di polizia è tornato prepotentemente di attualità nel dibattito che si è sviluppato intorno alle proposte relative alla c.d. “devolution”, ed alle vicende politico-istituzionali che ne sono seguite. Nel disegno di legge costituzionale che il Governo presentava al Senato il 17 ottobre 2003 figurava, tra le materie che si prevedeva di “devolvere” alla competenza esclusiva delle Regioni, la polizia locale. E’ peraltro noto come tale proposta di riforma costituzionale, dopo essere stata approvata con diverse modifiche sia dalla Camera dei deputati che dal Senato , sia stata bocciata dai cittadini in seguito al referendum costituzionale tenutosi il 25 e 26 giugno 2006.
Tuttavia le Regioni non hanno cessato di cogliere ogni buona occasione per avocare a sè un ruolo più incisivo in tema di polizia. Così, in primo luogo, la maggior parte di esse ha usufruito dell’estensione della competenza legislativa regionale in tema di “polizia amministrativa locale” conseguente alla riforma del 2001 per adottare nuove leggi in materia, le quali hanno in genere

8 Bartole, Bin, Falcon., Tosi, Diritto regionale, ed. Il Mulino, Bologna, 2002, p.164.
Può tuttavia rilevarsi come uno spazio di intervento residui al legislatore statale attraverso la competenza esclusiva, attribuitagli dall’art. 117, secondo comma, Cost., in materia di “funzioni fondamentali di Comuni, Province e città metropolitane”. Tra queste funzioni, definite dalla legge n. 131 del 2003 come quelle “connaturate alle caratteristiche proprie di ciascun tipo di ente, essenziali e imprescindibili per il funzionamento dell’ente e per il soddisfacimento di bisogni primari della comunità di riferimento, tenuto conto, in via prioritaria, per Comuni e Province, delle funzioni storicamente svolte”, potrebbe ritenersi compresa l’attività della polizia locale, quantomeno nei suoi aspetti più essenziali e funzionali al soddisfacimento delle basilari esigenze della comunità locale.
9 Idem, p.175

ampliato i poteri delle Regioni stesse, investendo queste ultime di funzioni di indirizzo, coordinamento, supporto tecnico e monitoraggio nei confronti dell’attività dei diversi corpi di polizia locale, oltre che di cura e gestione della formazione e dell’aggiornamento del personale. A tal fine sono state in genere istituite all’interno degli organi dell’Amministrazione regionale apposite strutture variamente denominate .

2. Le attribuzioni della Regione siciliana in materia di polizia locale

Per quanto specificamente attiene alla Sicilia, può osservarsi che la speciale autonomia riconosciuta alla nostra Regione non è stata significativamente utilizzata in materia di polizia, per cui in tale settore l’ambito della competenza regionale ha finito per coincidere con quello attribuito alle Regioni ordinarie. E ciò a dispetto della circostanza che nel nostro Statuto regionale venne introdotto un titolo IV dedicato alla “polizia”, composto da un unico articolo, l’art. 31, dal contenuto assai singolare. Tale articolo, dopo aver sancito nel primo comma che “al mantenimento dell’ ordine pubblico provvede il “Presidente della Regione a mezzo della polizia dello Stato, la quale nella Regione dipende disciplinarmente, per l’impiego e l’utilizzazione, dal Governo regionale e che “il Presidente della Regione può chiedere l’impiego delle forze armate dello Stato”10, aggiunge, nel quarto comma, che “il Governo regionale può organizzare corpi speciali di polizia amministrativa per la tutela di particolari servizi e interessi”11.
E’ noto che lo Statuto regionale siciliano vide la luce in un momento storico antecedente, sia pur di poco, rispetto alla nascita della Costituzione repubblicana e che l’urgenza di approvare quest’ultima in tempi rapidi impedì di procedere, così come era stato previsto, al necessario coordinamento di quest’ultimo con il nuovo testo costituzionale. Fu così che presto si evidenziarono incongruenze tra talune disposizioni statutarie e le norme della Costituzione.

10 Tale disposizione, come rilevato da La Barbera, individuerebbe non già una competenza delegata dallo Stato, bensì una competenza propria, istituzionale, del Presidente della Regione (La Barbera, Lo Statuto della Regione siciliana, Palermo, 1953, p. 224). Tuttavia si tratterebbe di una competenza nel cui esercizio il Presidente della Regione agirebbe come organo di decentramento statale (M.Immordino, F. Teresi, La Regione Sicilia, Milano, 1988).
11 Va invero segnalato come anche altri statuti speciali facciano riferimento a poteri della Regione in materia di ordine pubblico. Così, l’art .49 dello Statuto della Regione Sardegna prevede che “il Governo della Repubblica può delegare alla Regione le funzioni di tutela dell’ordine pubblico” e che “queste saranno esercitate, nell’ambito delle direttive fissate dal governo, dal Presidente della Regione che, a tale scopo, potrà richiedere l’impiego delle forze armate”.
L’art. 44 dello Statuto della Valle D’Aosta prevede che “Il Presidente della Regione, per delegazione del Governo della Repubblica provvede al mantenimento dell’ordine pubblico, secondo le disposizioni del Governo, verso il quale è responsabile, mediante reparti di polizia dello Stato e di polizia locale. In casi eccezionali, quando la sicurezza dello Stato lo richieda, il Governo assume direttamente la tutela dell’ordine pubblico”.

Uno di questi casi riguardò proprio la previsione, contenuta nell’art. 31 dello Statuto, dei poteri del Presidente della Regione in materia di polizia. Fu presto chiaro come tali poteri mal si conciliassero con la attribuzione agli organi dello Stato della competenza relativa alla tutela dell’ordine pubblico e della sicurezza.
La Corte costituzionale, in particolare, ebbe modo di evidenziare (nella nota sentenza n. 131 del 1963) le difficoltà connesse all’attuazione di tali norme statutarie, dichiarando l’illegittimità costituzionale di alcune disposizioni legislative adottate dalla Regione, con le quali si procedeva all’affidamento alla Presidenza della Regione delle attribuzioni in tema di polizia e alla creazione di apposite strutture nell’ambito dell’Amministrazione regionale.12
In effetti, le norme dello Statuto di cui ora si discorre non hanno mai trovato applicazione, tanto da condurre ad una loro sostanziale decadenza per desuetudine.
Invero, non essendo contenuta nell’art. 14 dello Statuto regionale siciliano alcuna specifica menzione della materia “polizia locale” tra quelle attribuite alla competenza esclusiva della Regione, si finì per ritenere, come prima si accennava, che la relativa competenza fosse sostanzialmente analoga a quella, concorrente, attribuita alle altre Regioni. Fu così approvata, nel rispetto dei principi stabiliti dalla legge n. 65/86, la legge regionale 1 agosto 1990, n. 17 recante “Norme in materia di polizia municipale”, nella quale si deferivano alla Regione compiti inerenti alla formazione e all’addestramento del personale, alla promozione e coordinamento degli interventi degli enti locali in materia di protezione civile a mezzo delle forze di polizia municipale, alla salvaguardia dell’uniformità dell’ordinamento, dell’organizzazione e della gestione dei servizi di polizia municipale, all’adeguamento dei mezzi e delle strutture necessari per lo svolgimento dei compiti istituzionali della stessa polizia.

12 Nella sentenza n. 131 del 1963 la Corte costituzionale fu chiamata a pronunciarsi in merito ad un ricorso promosso dal Commissario dello Stato nei confronti degli articoli 2 e 7 della legge approvata dall’Assemblea regionale siciliana il 20 novembre 1962, recante norme sull’ordinamento del Governo dell’Amministrazione centrale della Regione. Si trattava in particolare dell’art. 2, ove si elencavano le attribuzioni del Presidente della Regione e si diceva che questi “provvede al mantenimento dell’ordine pubblico nel territorio della Regione a norma dell’art. 31 dello Statuto e svolge ogni altra attribuzione conferitagli dallo Statuto e da disposizioni legislative e regolamentari”, e dell’art. 7, ove si comprendeva tra gli uffici nei quali è ordinata la Presidenza della Regione un Ispettorato regionale di polizia, con compiti di collaborazione all’attività del Presidente per quanto concerne l’esercizio delle funzioni indicate nella lettera q dell’art.2 e di “polizia amministrativa”. La Corte dichiarava le illegittime le norme impugnate in quanto lesive dei limiti della competenza legislativa ficcati dagli artt. 14 e 17 dello Statuto siciliano. La Corte osservava che alla Presidenza della Regione, intesa come organo regionale, non potevano essere affidate funzioni attribuite al Presidente della Regione in qualità di organo dello Stato, e riteneva inoltre i poteri indicati nell’art. 31 dello Statuto dovessero essere svolti attraverso l’uso della polizia di Stato, rispetto al cui ordinamento la Regione non ha competenza, e che pertanto si trattasse di materia riservata alla legge statale
Va peraltro segnalato come, in merito alla disposizione relativa alla polizia amministrativa, la Corte non negasse la possibilità della Regione di procedere alla organizzazione di corpi speciali, destinati alla tutela di particolari servizi od interessi, ma si limitasse a censurare la generica attribuzione delle funzioni di polizia amministrativa all’Ispettorato regionale.

Anche la Regione Sicilia ha beneficiato, in virtù della c.d. “clausola di maggior favore” introdotta dall’art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 200113, dell’estensione della competenza legislativa operata dal titolo V della Costituzione a favore delle Regioni ordinarie. Dal combinato disposto di tale norma con la previsione dell’art. 117, co. 4 della Costituzione, prima ricordata, secondo cui le Regioni comuni esercitano la potestà esclusiva in tutte le materie non espressamente inserite negli elenchi costituzionali (c.d. “competenza residuale”) consegue che tale tipo di competenza viene altresì attribuita alle Regioni a statuto speciale, sempre che essa riguardi settori che non siano già considerati dai rispettivi statuti come materie di competenza esclusiva regionale14. Nel caso specifico della polizia locale può osservarsi come tale materia, non essendo compresa nell’ambito della potestà esclusiva statale né della competenza concorrente Stato-Regione, ed essendo dunque da considerare come rientrante nella potestà residuale delle Regioni ordinarie, vada ormai considerata come devoluta anche alla competenza legislativa delle Regioni speciali.
Deve peraltro segnalarsi come la nostra Regione, a differenza di quanto ricordato a proposito delle Regioni ordinarie, non ha ancora profittato di tale opportunità per dotarsi di una nuova organica legge in materia.

3. Le indicazioni della Corte costituzionale sui possibili poteri delle Regioni e degli enti locali in tema di polizia (e le loro applicazioni nella legislazione statale e regionale) .

Interessanti indicazioni, ai fini di una estensione della competenza degli enti territoriali in materia di polizia, sono state fornite dalla Corte costituzionale in talune pronunce nelle quali quest’ultima ha avuto modo di osservare che la riserva alla competenza esclusiva dello Stato dell’ordine pubblico e della sicurezza pubblica va intesa in senso restrittivo, ossia come limitata alle sole misure inerenti alla prevenzione dei reati o al mantenimento dell’ordine pubblico. Essa, secondo la Corte, “riguarda le funzioni primariamente dirette a tutelare beni fondamentali, quali l’integrità fisica o psichica della persona, la sicurezza dei possessi ed ogni altro bene che assume prioritaria importanza per l’ordinamento” (v. sentenza n. 290 del 2001).
In particolare, già nella sentenza n. 218 del 1988 la Corte costituzionale, in ordine alla distinzione tra le competenze relative alla pubblica sicurezza, riservate in via esclusiva allo Stato, e quelle relative alla polizia amministrativa, aveva chiarito che mentre le prime riguardano le misure preventive e repressive dirette al mantenimento dell’ordine pubblico e, pertanto, si riferiscono alle

13 Tale articolo, come è noto, stabilisce che “sino all’adeguamento dei rispettivi Statuti” le disposizioni della stessa legge costituzionale “si applicano anche alle Regioni a Statuto speciale ed alle province autonome di Trento e Bolzano per le parti in cui prevedono forme di autonomia più ampie rispetto a quelle già attribuite”.
14 Carmela Salazar, Elenchi di materie e riforme del titolo V della Costituzione, Atti del seminario di Palermo del 15 aprile 2002, a cura di Giuseppe Verde, Giappichelli, torino, 2003, pp.34 ss.

attività tradizionalmente ricomprese nei concetti di polizia giudiziaria e di pubblica sicurezza, le altre “concernono le attività di prevenzione o di repressione dirette a evitare danni o pregiudizi che possono essere arrecati alle persone o alle cose nello svolgimento di attività ricomprese nelle materie sulle quali si esercitano le competenze regionali (…) senza che ne risultino lesi o messi in pericolo i beni o gli interessi tutelati in nome dell’ordine pubblico”.
Da tali precisazioni della Corte la dottrina15 ha tratto spunto per distinguere da una nozione di pubblica sicurezza “in senso stretto”, coincidente con l’ordine pubblico, la cui tutela è deferita alla polizia statale, una nozione di pubblica sicurezza “in senso lato”, intesa come “un insieme di riferimento cui attengono profili concernenti fenomeni e fattispecie di natura patologica concentrati sul territorio comunale, ma comunque tali – per lo spessore che li connota - da pregiudicare, quanto meno potenzialmente, la sicurezza delle città, l’ordinata convivenza civile, il decoro dell’ambiente di vita, in ultima istanza, come si è più volte osservato in precedenza, la qualità della vita locale”. Sulla base di queste indicazioni, si è in effetti da tempo fatta strada l’idea di ritenere quantomeno ammissibile una competenza degli enti locali in materia di “sicurezza urbana” . Quest’ultima nozione, come è stato osservato, rimanda ad attività non elusivamente pertinenti alle funzioni di ordine e sicurezza pubblica rimesse in via esclusiva allo Stato, ma anche ad attività pertinenti a funzioni di spettanza regionale e locale quali, ad esempio, l’integrazione sociale, la qualità e il decoro urbano, la fruizione e l’utilizzo degli spazi pubblici, l’esercizio di attività commerciali, la disciplina dei mestieri e l’esercizio di attività lavorative”.16 Si tratta, come ben si comprende, di aspetti delicati, tali da coinvolgere problemi che vengono quotidianamente vissuti dalle nostre città quali, ad esempio, la lotta alla prostituzione, al commercio abusivo, l’inserimento degli immigrati, delle comunità di nomadi, ecc..
La “sicurezza urbana” viene richiamata nel decreto-legge 23 maggio 2008, n. 92 convertito, con modificazioni, in legge 24 luglio 2008, n. 125 (“misure urgenti in materia di sicurezza pubblica”) il quale, apportando rilevanti modifiche all’art. 54 del Testo Unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, ha ampliato notevolmente i poteri del Sindaco in materia di sicurezza e ordine pubblico, prevedendo tra l’altro la facoltà di quest’ultimo di adottare provvedimenti anche contingibili e urgenti, nei casi in cui occorra prevenire ed eliminare gravi pericoli che minacciano l’incolumità pubblica e la sicurezza urbana, come pure di modificare gli orari degli esercizi commerciali, dei pubblici esercizi e dei servizi pubblici per motivi, tra l’altro, di sicurezza urbana. Per la definizione di quest’ultima il provvedimento legislativo rinvia ad un successivo decreto ministeriale: a tal fine è intervenuto il decreto del Ministero dell’Interno 5 agosto 2008 (G.U. del 9 agosto 2008), il quale

15 L. Mezzetti, Polizia locale, cit., p.849
16 Alfredo Corsaci, Sui nuovi poteri dei Sindaci in materia di sicurezza: un rafforzamento delle autonomie locali?, in Le Regioni, 3/2008, pp.465 ss..

ha chiarito che la sicurezza urbana consiste in un “bene pubblico da tutelare attraverso attività poste a difesa, nell’ambito delle comunità locali, del rispetto delle norme che regolano la vita civile, per migliorare le condizioni di vivibilità nei centri urbani, la convivenza civile e la coesione sociale”.
Il ricordato decreto-legge n. 92 è stato peraltro considerato, al di là delle apparenze, come un’occasione mancata ai fini della promozione di un più ampio ruolo degli enti locali in tema di sicurezza: si è infatti osservato come i nuovi poteri vengano attribuiti al Sindaco, piuttosto che nella qualità di organo dell’Amministrazione locale, nella veste di ufficiale di Governo, ossia in definitiva di rappresentante dello Stato. E’ stata soprattutto osservata la “parzialità e l’insufficienza della soluzione data dal d.l. n. 92, “sotto il profilo della mancata previsione di una partecipazione delle Regioni, che pure avrebbero titolo per svolgere un ruolo attivo nell’esercizio di quelle, tra le predette attività, che presentino un collegamento con l’esercizio di talune competenze regionali”17.
Va segnalato che in qualche caso anche la legislazione regionale ha adottato delle funzioni di polizia locale un’interpretazione particolarmente ampia, estesa alla promozione di condizioni di vivibilità e sicurezza urbana, prevedendo in proposito un ruolo attivo della Regione. Interessanti spunti in questa direzione possono essere rinvenuti, ad esempio, nella legge della Regione Emilia Romagna n. 24 del 4 dicembre 2003 recante il significativo titolo di “Disciplina della polizia amministrativa locale e promozione di un servizio integrato di sicurezza”, la quale si propone, oltre che di disciplinare l’esercizio delle funzioni di polizia amministrativa locale, di dettare “norme per la promozione di un sistema integrato di sicurezza delle città e del territorio regionale”. Pur riconoscendo la fondamentale spettanza delle relative funzioni agli enti locali, si attribuiscono alla Regione, oltre che le consuete attività di indirizzo, coordinamento e supporto dell’attività dei corpi di polizia locale, anche autonome funzioni di promozione di iniziative e progetti nel settore. Si dispone infatti che “la Regione promuove, d'intesa con i soggetti di cui all'articolo 5, comma 1, la realizzazione di progetti di rilievo regionale, volti al miglioramento di rilevanti problemi di sicurezza o di disordine urbano diffuso, o alla qualificazione dei corpi di polizia locale, caratterizzati da una pluralita' di interventi e da un adeguato sistema di valutazione dei risultati”.
Si afferma dunque, nella legislazione regionale, un concetto di sicurezza come obiettivo complessivo di qualità di vita dei cittadini: un obiettivo che può essere conseguito soltanto con la cooperazione, integrando l’azione di tutte le istituzioni interessate, statali, regionali e locali.

17 Alfredo Corsaci, Sui nuovi poteri…, cit., p.465 ss.. Tali rilievi vanno però riletti alla luce di una recente sentenza della Corte costituzionale (sentenza n. 196 del 2009) nella quale la stessa Corte, nel dichiarare non fondata la questione di legittimità del decreto n. 92 del 2008 con riferimento a talune disposizioni dello Statuto speciale del Trentino Alto-Adige, ha avuto modo di puntualizzare che i richiamati poteri esercitabili dai Sindaci sono esclusivamente quelli finalizzati alla attività di prevenzione e repressione dei reati e non i poteri concernenti lo svolgimento di funzioni di polizia amministrativa nelle materie di competenza delle Regioni e delle Province autonome.

Nel quadro dell’attuale riparto di competenze tra lo Stato e gli altri enti territoriali, una delle strade più corrette e conducenti ai fini di un proficuo coinvolgimento delle Regioni nella materia di cui ora ci occupiamo è stata in effetti individuata, da parte della giurisprudenza costituzionale, nell’attivazione di forme di collaborazione e cooperazione tra le Regioni stesse e gli organi dello Stato preposti alla tutela della sicurezza e dell’ordine pubblico.
Particolarmente interessante e suscettibile di potenziali e significativi sviluppi, sotto questo profilo, appare l’indicazione della Corte costituzionale (v. sentenze n. 55 del 2001, n. 105 del 2006, 222/2006) favorevole alla attivazione di forme di coordinamento tra Stato ed enti territoriali in materia di ordine e sicurezza pubblica, anche attraverso “accordi tra gli enti interessati”, oltre che sulla base della legge statale (v. sentenza n. 134 del 2004).
In proposito possiamo ricordare come una preziosa base normativa ai fini dell’avvio di una collaborazione tra amministrazioni centrali e Regioni sia fornita dalla legge finanziaria del 2007 (legge 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, comma 439), la quale autorizza il Ministro dell’interno e, per sua delega, i prefetti, a stipulare convenzioni con le regioni e gli enti locali per la realizzazione di programmi straordinari di incremento dei servizi di polizia e per la sicurezza dei cittadini.
Nel “Patto per la sicurezza”, sottoscritto tra il Ministero dell’Interno e l’ANCI il 20 marzo 2007 si è preso atto dell’avvio di “una proficua attività di collaborazione tra amministrazioni centrali e autonomie locali che, nel rispetto delle reciproche competenze e responsabilità, ha dato vita sul territorio a un efficace processo di partecipazione al governo della sicurezza capace di assicurare un rinnovato rapporto di fiducia tra istituzioni e cittadini”.
Ulteriori spazi di intervento a favore degli enti territoriali sono stati individuati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 105 del 2006, nella quale il giudice delle leggi, dopo aver definito “auspicabile” l’attivazione di forme di coordinamento tra Stato ed enti territoriali in materia di ordine e sicurezza pubblica, ha ritenuto funzionale alla realizzazione di tale auspicio il riconoscimento della “possibilità, in capo all’ente locale, di apprezzamento – attraverso l’attività di rilevazione, di studio e di ricerca applicata – delle situazioni concrete e storiche riguardanti la sicurezza sul territorio regionale, alla luce delle peculiarità dei dati e delle condizioni che esso offre”. La Corte ha in particolare ritenuto legittima la previsione, da parte di una legge della Regione Abruzzo, di un “Comitato scientifico regionale”, quale organo consultivo della Giunta regionale preposto, tra l’altro, a svolgere “attività di studio e ricerca dei sistemi avanzati di sicurezza nel campo nazionale e dell’Unione europea” e a presentare alla Giunta regionale una “relazione annuale sullo stato di sicurezza del territorio della Regione Abruzzo”. A giudizio della stessa Corte, infatti, le attività in questione, per la loro natura prevalentemente conoscitiva, non
sarebbero suscettibili di essere collocate nell’ambito della nozione di “sicurezza pubblica”, così come strettamente interpretata dalla prima ricordata giurisprudenza costituzionale.
Anche nella sentenza n. 222 del 2006, prima citata, la Corte costituzionale si è pronunciata per la legittimità dello svolgimento, da parte di un ente locale, “di attività di rilevazione, di studio e di ricerca applicata delle situazioni concrete e storiche riguardanti la sicurezza sul territorio regionale”.

4. Conclusioni

Alla luce della trattazione sinora svolta prendiamo atto che, nonostante la sussistenza di una riserva di competenza statale in tema di ordine pubblico e sicurezza, l’evoluzione dell’assetto costituzionale delle competenze, le ricordate “aperture” della giurisprudenza costituzionale, nonchè diverse interessanti previsioni contenute nella legislazione regionale in materia di polizia locale offrono oggi alle Regioni e ai diversi enti territoriali l’opportunità di assumere un ruolo più attivo e partecipe in tale settore.
Sembra da evitare che la Regione svolga in prima persona le attività inerenti alla polizia locale, ad esempio attraverso la creazione di propri autonomi corpi di polizia regionale, sembrando preferibile che dette attività restino di fondamentale competenza degli enti locali, ed in particolare dei Comuni, che nel nuovo disegno costituzionale introdotto con la riforma costituzionale del 2001, vengono investiti in prima istanza dello svolgimento delle funzioni amministrative riguardanti il proprio territorio. Anche in dottrina sono state espresse perplessità in merito ad una eventuale “regionalizzazione” della polizia locale, la quale rischierebbe di provocare una sovrapposizione di livelli in contrasto con il principio di economia amministrativa, nonché con i criteri di allocazione delle funzioni amministrative desumibili dalla Costituzione18.
Appare possibile, tuttavia, pensare, sul modello di quanto è stato fatto in altre Regioni, come l’Emilia-Romagna, ad un superamento delle logiche sottostanti alla vecchia legge-quadro nazionale (legge n. 65 del 1986) basate su un’organizzazione della polizia locale incentrata esclusivamente a livello locale, per adottare una diversa organizzazione “a rete” di dimensione regionale, articolata in polizie municipali e provinciali. Si tratterebbe non già dell’istituzione di una polizia regionale, bensì della costituzione di un sistema regionale strutturato ed organico di polizie locali19.

18 L.Mezzetti, Polizia locale, cit., p.864.
19 Vedi la presentazione di Luciano Vandelli (assessore all’innovazione amministrativa e istituzionale e autonomie locali) alla legge della Regione Emilia-Romagna n. 24 del 4 dicembre 2003.

In tale modello, alla Regione spetterebbero anzitutto una importante funzione di indirizzo a livello regionale, volta a regolare in modo omogeneo alcuni elementi caratterizzanti dell’attività di polizia locale (tra cui criteri di accesso ai servizi, formazione, sistemi informativi, rapporto con i cittadini, segni distintivi), una funzione di coordinamento del sistema, consistente nell’organizzazione delle attività, nel reclutamento del personale, nell’interpretazione normativa, strumentazione operativa, ecc., ed una funzione di progettazione e di ricerca.
Attraverso l’esercizio di tali attività, la Regione dovrebbe tendere, tra l’altro, a definire gli indirizzi di un’azione preventiva, da coordinare opportunamente con quella svolta dagli enti locali, volta ad individuare e a rimuovere le condizioni di degrado che spesso caratterizzano il nostro territorio, e in particolare a rendere più vivibili gli agglomerati urbani, eliminando quelle situazioni di rischio che costituiscono il terreno fertile nel quale si alimentano l’illegalità ed il crimine.
La Regione, a tal fine, potrebbe attivare forme di collaborazione e di coordinamento con lo Stato nel settore della sicurezza che consentano, pur nel rispetto delle rispettive sfere di competenza, un costante scambio di informazioni e una proficua sinergia di azione tra i rispettivi competenti organi20.
E’ auspicabile che soprattutto in Sicilia il Legislatore ed il Governo regionale sfruttino adeguatamente, pur nel rispetto dei limiti costituzionali, le possibilità di cui già dispongono in questa delicata materia, e che sia sempre crescente il livello di attenzione della Regione sui temi della polizia, il che si rende tanto più necessario se si tiene conto delle peculiari situazioni di disagio e di emergenza che purtroppo ancora affliggono la nostra Isola sotto il profilo della sicurezza e del rispetto della legalità.

20 Da questo punto di vista, ci sarà consentito osservare come, ancora una volta, il nostro Statuto autonomistico, prevedendo nell’art. 31 forme di collaborazione tra organi statali e regionali in materia di polizia, abbia mostrato una buona dose di lungimiranza, introducendo una norma che pur con i suoi limiti, i suoi profili di contrasto con i principi costituzionali e le sue difficoltà applicative, risulta oggi non priva di spunti di attualità e di interesse.