Consiglio di Stato, Sezione Quarta
Sentenza numero 1956 del 2 aprile 2012
(estensore Migliozzi, preseidente Giaccardi)
Sentenza numero 1956 del 2 aprile 2012
(estensore Migliozzi, preseidente Giaccardi)
(...)
L’appello è fondato e va accolto per quanto di seguito si va ad esporre.
La questione giuridica sottoposta al giudizio della Sezione riguarda la legittimità della sanzione disciplinare della perdita del grado per rimozione inflitta all’appellante in relazione a fatti per i quali il medesimo è stato sottoposto a procedimento penale conclusosi con sentenza dichiarativa di prescrizione . Ebbene, ritiene il Collegio che sia fondata la censura , già formulata in primo grado, erroneamente respinta dal Tar e qui reiterata secondo cui il procedimento disciplinare cui accede l’irrogata sanzione risulta affetto da vizio in procedendo, per inosservanza del termine iniziale entro il quale occorreva attivare l’esercizio dell’azione disciplinare. Pare doveroso al Collegio rammentare in via preliminare l’orientamento di questo Consiglio di Stato, espresso in ordine al carattere perentorio od ordinatorio dei termini di inizio e conclusione dei procedimenti disciplinari, secondo cui deve senz’altro propendersi per la natura perentoria degli stessi ( ex multis, Sez. IV 19/6/2001n.5365 ).
L’assunto interpretativo in parola si allinea peraltro a quanto in materia statuito dalla Corte Costituzionale (cfr sentenza n.1128/988) secondo cui l’azione disciplinare deve essere promossa senza ritardi , a garanzia dell’incolpato per evitare una sorta di sperimentabilità sine die del procedimento disciplinare. Tanto premesso, il regime dei termini che nella specie viene in rilievo è quello disciplinato rispettivamente dall’art.5 della legge n.97 del 2001 secondo cui il procedimento disciplinare deve essere avviato nel termine di 90 giorni dalla comunicazione della sentenza irrevocabile di condanna e dall’art.97 del DPR n.3 del 1957 per il quale l’azione disciplinare deve essere avviata entro 180 giorni dalla comunicazione della sentenza irrevocabile emessa a carico dell’impiegato.
Per il vero, parte appellante ritiene nella specie debba farsi riferimento al termine dei 90 giorni, ma il Tar ha statuito che invece è quello di 180 giorni che si applica al caso de quo: nondimeno, rileva il Collegio che sia che si faccia riferimento al termine c.d. breve (ex lege n.97/2001) o si prende in considerazione quello “ lungo” (di cui al DPR n.3/57) lo spatium temporis messo a disposizione in entrambe le ipotesi suindicate risulta inutilmente trascorso, se è vero che l’atto iniziale del procedimento disciplinare costituito dalla contestazione di addebiti è stato notificato all’interessato solamente il 3 ottobre 2003, data che oggettivamente si appalesa “tardiva” Invero, il primo giudice individua il dies a quo dal quale computare il termine iniziale dei 180 giorni ( il più contiene il meno ) dal 19 giugno 2003 , data in cui l’Amministrazione avrebbe avuto “cognizione della conclusione del processo con la pronuncia della Cassazione del 16 aprile 2003”, senza però considerare che tale ultima decisione riguarda unicamente la misura accessoria della confisca della somma di denaro cui si accennava in fatto , lì dove l’interessato aveva impugnato in Cassazione per questa sola parte la sentenza della Corte d’Appello di Bari n.1152/2001, mentre per la parte relativa al merito della responsabilità connessa al reato ascritto, la decisione di merito non era oggetto di gravame innanzi al giudice di legittimità.
A ciò si aggiunga la circostanza che la sentenza della Corte di Appello di Bari relativamente alla dichiarata prescrizione del reato è divenuta irrevocabile, come da attestazione della cancelleria in data 2 luglio 2001 e, per ciò che qui rileva, è stata conosciuta ( sul punto non v’è contestazione dell’Amministrazione ) dal Comando Regionale della Puglia della G.d. F in data 20 luglio 2001. Il Tar sempre sul punto fa presente che la copia della sentenza di proscioglimento della Corte d’Appello del 21 luglio 2001 reca l’annotazione “non irrevocabile” e tale attestazione sarebbe sufficiente a far rinviare all’esito del giudizio di Cassazione la definitività della sentenza cui collegare il dies a quo per calcolare il termine entro cui iniziare il procedimento disciplinare. Sul punto, il ragionamento del giudice di primo grado non convince, atteso che era preciso onere dell’Amministrazione procedere alle opportune verifiche per accorgersi che la non irrevocabilità si riferiva solo a parte della sentenza gravata ( la confisca della somma di danaro ) mentre le statuizioni relative alla prescrizione del reato erano già divenute inoppugnabili tempo prima, il 2 luglio del 2001 e la sentenza che le conteneva era stata conosciuta il quello stesso mese.
Da quanto sopra esposto, l’azione disciplinare risulta essere stata attivata tardivamente rispetto ai termini iniziali sopra indicati, sì da essersi inverata l’ipotesi di decadenza dall’esercizio del relativo potere. La fondatezza del vizio in procedendo dedotto dalla parte interessata per la sua assorbente valenza comporta l’accoglimento del proposto atto d’appello, con riforma dell’impugnata sentenza e conseguente annullamento del provvedimento sanzionatorio gravato in prime cure. Sussistono peraltro giusti motivi, avuto riguardo alla peculiarità della vicenda all’esame, per compensare tra le parti le spese e competenze del doppio grado del giudizio.
L’appello è fondato e va accolto per quanto di seguito si va ad esporre.
La questione giuridica sottoposta al giudizio della Sezione riguarda la legittimità della sanzione disciplinare della perdita del grado per rimozione inflitta all’appellante in relazione a fatti per i quali il medesimo è stato sottoposto a procedimento penale conclusosi con sentenza dichiarativa di prescrizione . Ebbene, ritiene il Collegio che sia fondata la censura , già formulata in primo grado, erroneamente respinta dal Tar e qui reiterata secondo cui il procedimento disciplinare cui accede l’irrogata sanzione risulta affetto da vizio in procedendo, per inosservanza del termine iniziale entro il quale occorreva attivare l’esercizio dell’azione disciplinare. Pare doveroso al Collegio rammentare in via preliminare l’orientamento di questo Consiglio di Stato, espresso in ordine al carattere perentorio od ordinatorio dei termini di inizio e conclusione dei procedimenti disciplinari, secondo cui deve senz’altro propendersi per la natura perentoria degli stessi ( ex multis, Sez. IV 19/6/2001n.5365 ).
L’assunto interpretativo in parola si allinea peraltro a quanto in materia statuito dalla Corte Costituzionale (cfr sentenza n.1128/988) secondo cui l’azione disciplinare deve essere promossa senza ritardi , a garanzia dell’incolpato per evitare una sorta di sperimentabilità sine die del procedimento disciplinare. Tanto premesso, il regime dei termini che nella specie viene in rilievo è quello disciplinato rispettivamente dall’art.5 della legge n.97 del 2001 secondo cui il procedimento disciplinare deve essere avviato nel termine di 90 giorni dalla comunicazione della sentenza irrevocabile di condanna e dall’art.97 del DPR n.3 del 1957 per il quale l’azione disciplinare deve essere avviata entro 180 giorni dalla comunicazione della sentenza irrevocabile emessa a carico dell’impiegato.
Per il vero, parte appellante ritiene nella specie debba farsi riferimento al termine dei 90 giorni, ma il Tar ha statuito che invece è quello di 180 giorni che si applica al caso de quo: nondimeno, rileva il Collegio che sia che si faccia riferimento al termine c.d. breve (ex lege n.97/2001) o si prende in considerazione quello “ lungo” (di cui al DPR n.3/57) lo spatium temporis messo a disposizione in entrambe le ipotesi suindicate risulta inutilmente trascorso, se è vero che l’atto iniziale del procedimento disciplinare costituito dalla contestazione di addebiti è stato notificato all’interessato solamente il 3 ottobre 2003, data che oggettivamente si appalesa “tardiva” Invero, il primo giudice individua il dies a quo dal quale computare il termine iniziale dei 180 giorni ( il più contiene il meno ) dal 19 giugno 2003 , data in cui l’Amministrazione avrebbe avuto “cognizione della conclusione del processo con la pronuncia della Cassazione del 16 aprile 2003”, senza però considerare che tale ultima decisione riguarda unicamente la misura accessoria della confisca della somma di denaro cui si accennava in fatto , lì dove l’interessato aveva impugnato in Cassazione per questa sola parte la sentenza della Corte d’Appello di Bari n.1152/2001, mentre per la parte relativa al merito della responsabilità connessa al reato ascritto, la decisione di merito non era oggetto di gravame innanzi al giudice di legittimità.
A ciò si aggiunga la circostanza che la sentenza della Corte di Appello di Bari relativamente alla dichiarata prescrizione del reato è divenuta irrevocabile, come da attestazione della cancelleria in data 2 luglio 2001 e, per ciò che qui rileva, è stata conosciuta ( sul punto non v’è contestazione dell’Amministrazione ) dal Comando Regionale della Puglia della G.d. F in data 20 luglio 2001. Il Tar sempre sul punto fa presente che la copia della sentenza di proscioglimento della Corte d’Appello del 21 luglio 2001 reca l’annotazione “non irrevocabile” e tale attestazione sarebbe sufficiente a far rinviare all’esito del giudizio di Cassazione la definitività della sentenza cui collegare il dies a quo per calcolare il termine entro cui iniziare il procedimento disciplinare. Sul punto, il ragionamento del giudice di primo grado non convince, atteso che era preciso onere dell’Amministrazione procedere alle opportune verifiche per accorgersi che la non irrevocabilità si riferiva solo a parte della sentenza gravata ( la confisca della somma di danaro ) mentre le statuizioni relative alla prescrizione del reato erano già divenute inoppugnabili tempo prima, il 2 luglio del 2001 e la sentenza che le conteneva era stata conosciuta il quello stesso mese.
Da quanto sopra esposto, l’azione disciplinare risulta essere stata attivata tardivamente rispetto ai termini iniziali sopra indicati, sì da essersi inverata l’ipotesi di decadenza dall’esercizio del relativo potere. La fondatezza del vizio in procedendo dedotto dalla parte interessata per la sua assorbente valenza comporta l’accoglimento del proposto atto d’appello, con riforma dell’impugnata sentenza e conseguente annullamento del provvedimento sanzionatorio gravato in prime cure. Sussistono peraltro giusti motivi, avuto riguardo alla peculiarità della vicenda all’esame, per compensare tra le parti le spese e competenze del doppio grado del giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo Accoglie e, per l’effetto, in riforma dell’impugnata sentenza, accoglie il ricorso di primo grado.
Compensa tra le parti le spese e competenze del doppio grado del giudizio.Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Depositata in segreteria il 2 aprile 2012.