giovedì 26 aprile 2012

Non è anticostituzionale che nella regione umbra possono essere utilizzate, per l’attività agrituristica, soltanto le strutture esistenti

LA CORTE COSTITUZIONALE, con sentenza n. 96, depositata il 18 aprile u.s.,   dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 3, comma 3, della legge della Regione Umbria 14 agosto 1997 n. 28 (Disciplina delle attività agrituristiche), nella parte in cui prevede che possono essere utilizzate per l’attività agrituristica soltanto le strutture esistenti nell’azienda prima dell’entrata in vigore della legge medesima.

SENTENZA N. 96
ANNO 2012

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Alfonso                    QUARANTA                                                  Presidente
- Franco                     GALLO                                                             Giudice
- Luigi                        MAZZELLA                                                          
- Gaetano                   SILVESTRI                                                           
- Sabino                     CASSESE                                                             
- Giuseppe                 TESAURO                                                            
- Paolo Maria             NAPOLITANO                                                    
- Giuseppe                 FRIGO                                                                  
- Paolo                       GROSSI                                                                
- Giorgio                    LATTANZI                                                           
- Aldo                        CAROSI                                                               
- Marta                      CARTABIA                                                          
- Sergio                      MATTARELLA                                                    
- Mario Rosario          MORELLI                                                             
ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo 3, comma 3, della legge della Regione Umbria 14 agosto 1997, n. 28 (Disciplina delle attività agrituristiche), promosso dal Tribunale amministrativo regionale dell’Umbria nel procedimento vertente tra la ditta Conforti Aldo e la Comunità montana Orvietano-Narnese-Amerino-Tuderte ed altri, con ordinanza del 31 gennaio 2011, iscritta al n. 72 del registro ordinanze 2011, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 18, prima serie speciale, dell’anno 2011.
  Visti gli atti di costituzione della ditta Conforti Aldo, della Comunità montana Orvietano-Narnese-Amerino-Tuderte e l’atto di intervento della Regione Umbria;
  udito nell’udienza pubblica del 20 marzo 2012 il Giudice relatore Gaetano Silvestri;

            uditi gli avvocati Beniamino Caravita di Toritto per la ditta Conforti Aldo, Paola Manuali per la Regione Umbria e Roberto Baldoni per la Comunità montana Orvietano-Narnese-Amerino-Tuderte.

Ritenuto in fatto

1. – Con ordinanza del 31 gennaio 2011, il Tribunale amministrativo regionale dell’Umbria ha sollevato, in riferimento agli articoli 3, 9, secondo comma, e 41, primo comma, della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 3, comma 3, della legge della Regione Umbria 14 agosto 1997, n. 28 (Disciplina delle attività agrituristiche), nella parte in cui prevede che possono essere utilizzate per l’attività agrituristica soltanto le strutture esistenti nell’azienda prima dell’entrata in vigore della legge medesima.
1.1. – Il rimettente è chiamato a decidere sul ricorso, presentato dalla ditta Conforti Carlo (rectius: Aldo), nei confronti della Comunità montana Orvietano-Narnese-Amerino-Tuderte, della Regione Umbria e del Comune di San Venanzo, per ottenere l’annullamento di due provvedimenti emessi dal dirigente del Servizio promozione, agricoltura, lavori e patrimonio della indicata Comunità montana, nonché delle note con le quali i predetti provvedimenti sono stati comunicati, e di ogni altro atto presupposto, connesso o collegato.
Le determinazioni dirigenziali impugnate (n. 62 e n. 63 del 17 febbraio 2010) hanno ad oggetto, rispettivamente, il «parere negativo alla richiesta di estensione dell’autorizzazione per l’esercizio dell’agriturismo alla ditta Conforti Aldo relativamente al fabbricato costituente ampliamento di una preesistenza», e la mancata estensione della iscrizione della medesima ditta nell’albo degli operatori agrituristici per il servizio di alloggio in riferimento al suddetto fabbricato.
1.2. – Il giudice a quo evidenzia che i provvedimenti di diniego sono stati adottati in applicazione dell’art. 3, comma 3, della legge reg. Umbria n. 28 del 1997, giacché l’immobile da utilizzare a scopo agrituristico, «ancorché assentito […] con permessi di costruire del Comune di San Venanzo n. 167 dell’8 ottobre 2003 e del 10 maggio 2005», non era esistente alla data del 4 settembre 1997, quando è entrata in vigore la legge reg. Umbria n. 28 del 1997.
Il rimettente riferisce inoltre che la parte ricorrente ha formulato censure di eccesso di potere e violazione di legge, ed ha eccepito, in subordine, l’illegittimità costituzionale della disposizione regionale citata, per l’asserito contrasto con gli artt. 3, 41 e 97 Cost.
1.3. – Il Tribunale amministrativo dell’Umbria, dopo aver affermato che «oggetto del contendere sono provvedimenti di natura per così dire “commerciale”», in quanto non sono in contestazione i permessi di costruire, espone le ragioni per le quali reputa il ricorso infondato.
Osserva il rimettente che l’art. 3, comma 3, della legge reg. Umbria n. 28 del 1997 ha limitato, senza equivoci, l’utilizzo a fini agrituristici alle sole strutture esistenti nell’azienda prima del 4 settembre 1997. Non sarebbe perciò condivisibile la tesi della parte ricorrente, secondo cui anche il nuovo edificio, risultante dall’ampliamento di una costruzione preesistente al 4 settembre 1997, dovrebbe ritenersi utilizzabile per l’agriturismo. Oltretutto, sempre secondo il rimettente, la circostanza dell’intervento su di una struttura antecedente sarebbe priva di adeguata documentazione.
Ad avviso del giudice a quo, il testo della disposizione regionale non lascerebbe spazio ad interpretazioni estensive: il riferimento alle “strutture esistenti” alla data indicata varrebbe a identificare unicamente «gli edifici già fisicamente presenti nel territorio a quella data, quale pacificamente non è il fabbricato in questione».
Non emergerebbe, peraltro, la denunciata disarmonia tra questa interpretazione e la normativa regionale in materia di edilizia: per un verso, infatti, l’art. 35, comma 1, della legge della Regione Umbria 22 febbraio 2005, n. 11 (Norme in materia di governo del territorio: pianificazione urbanistica comunale) consente l’ampliamento degli edifici rurali soltanto se esistenti alla data del 13 novembre 1997 e, per altro verso, l’art. 32, comma 2, lettera c), della medesima legge precisa che possono considerarsi esistenti gli edifici legittimamente presenti nelle zone agricole «purché siano stati ultimati i lavori relativi alle strutture alla data del 13 novembre 1997». Ciò dimostrerebbe che, anche ai fini edilizi, l’esistenza dell’immobile è collegata al completamento delle opere strutturali.
Infine, secondo il rimettente, nemmeno sussisterebbe l’asserito deficit motivazionale dei provvedimenti di diniego oggetto di impugnazione, essendo sufficiente il richiamo alla disciplina prevista dall’art. 3, comma 3, della legge reg. Umbria n. 28 del 1997, per effetto della quale «i provvedimenti in questione si connotano come vincolati».
Il rimettente ritiene invece condivisibili, «seppur per considerazioni in larga parte diverse», e in riferimento a parametri parzialmente differenti, i dubbi di costituzionalità prospettati dalla parte ricorrente.
1.4. – Secondo il Tribunale amministrativo dell’Umbria la disposizione regionale violerebbe l’art. 3 Cost. per «irrazionalità intrinseca». Essa avrebbe infatti «congelato» l’esercizio dell’attività di agriturismo nel territorio regionale alla data del 4 settembre 1997, così impedendo «il flessibile utilizzo delle aziende agricole in relazione all’andamento del mercato ed alla necessità di favorire la permanenza sul territorio degli operatori agricoli, con i correlati benefici per l’economia e, segnatamente, per l’ambiente». Ciò si porrebbe in aperto conflitto con le finalità dichiarate dall’art. 1 della medesima legge reg. Umbria n. 28 del 1997, tra le quali, in particolare, quelle di agevolare la permanenza dei produttori agricoli nelle zone rurali; di permettere il miglioramento delle condizioni sociali ed economiche degli operatori del settore, secondo il principio della multifunzionalità dell’impresa agricola; di contribuire allo sviluppo ed al riequilibrio tra le diverse realtà del territorio.
1.5. – La disposizione regionale violerebbe inoltre l’art. 41, primo comma, Cost., avendo introdotto un impedimento ingiustificato all’iniziativa economica.
A parere del rimettente il limite all’ampliamento dell’attività agrituristica avrebbe creato, di fatto, «una sorta di oligopolio a favore degli agriturismi esistenti alla data del 4 settembre 1997», in palese contrasto con i principi in materia di libertà economica, i quali implicano, nell’attuale contesto comunitario, lo sviluppo dell’attività economica e della concorrenza.
1.6. – Sono illustrate, infine, le ragioni dell’asserito contrasto della norma censurata con l’art. 9, secondo comma, Cost.
Il rimettente muove dalla considerazione che l’attività agricola non sia oggi sufficientemente redditizia, soprattutto nelle zone collinari e montane, che sono anche, di regola, le zone di maggiore interesse turistico ed ambientale.
In tale prospettiva sarebbe evidente come la norma regionale censurata, che impedisce alle imprese agricole l’utilizzo agrituristico delle strutture realizzate dopo il 1997, finisca per agevolare il fenomeno della «marginalizzazione» ed il conseguente, progressivo abbandono delle campagne, vale a dire l’effetto che l’art. 1 della stessa legge reg. Umbria n. 28 del 1997 si propone di contrastare, nella parte in cui individua le finalità della disciplina dell’agriturismo.
All’abbandono delle campagne, assume ancora il rimettente, seguirà necessariamente il deterioramento del territorio e degli edifici agricoli, ciò che contrasta con la tutela del paesaggio e del patrimonio edilizio rurale, valori entrambi garantiti dall’art. 9, secondo comma, Cost.
1.7. – In punto di rilevanza delle questioni, il giudice a quo afferma che i provvedimenti oggetto di impugnazione risultano immuni da vizi, essendo meramente applicativi della norma regionale censurata.
2. – Con atto depositato il 17 maggio 2011, si è costituita la ditta Conforti Aldo, ricorrente nel giudizio principale, per chiedere l’accoglimento delle questioni di legittimità costituzionale.
2.1. – La parte privata svolge argomenti a sostegno delle prospettate questioni a partire dalla ricostruzione del quadro normativo nel quale si colloca la disposizione censurata, avuto riguardo sia al riparto di competenze Stato-Regioni sia alla ratio della disciplina statale e di quella regionale in materia di agriturismo.
La definizione dell’attività agrituristica è dettata dall’art. 2 della legge 20 febbraio 2006, n. 96 (Disciplina dell’agriturismo), secondo il quale per attività agrituristiche si devono intendere quelle di ricezione e di ospitalità esercitate dagli imprenditori agricoli «attraverso l’utilizzazione della propria azienda in rapporto di connessione rispetto all’attività di coltivazione del fondo, di silvicoltura e di allevamento di animali».
Sul piano del riparto di competenze, la Corte costituzionale, nella sentenza n. 339 del 2007, ha affermato che l’attività agrituristica è riconducibile in via immediata alle materie dell’agricoltura e del turismo le quali, a seguito della riforma del Titolo V della Parte seconda della Costituzione, sono attribuite alla competenza residuale delle Regioni. La Corte ha peraltro precisato come le Regioni debbano altresì uniformare la disciplina dell’agriturismo ai principi fondamentali dettati dal legislatore statale in relazione agli ambiti materiali di potestà legislativa concorrente.
Ciò posto, la disciplina statale e regionale della materia in esame, secondo la parte privata, sarebbe volta principalmente a favorire l’attività di agriturismo, «in quanto funzionale alla prevenzione dell’abbandono delle campagne».
La legge 5 dicembre 1985, n. 730 (Disciplina dell’agriturismo), indicava tra le finalità anche la tutela ambientale, la salvaguardia del territorio e del paesaggio rurale, attraverso una migliore utilizzazione del patrimonio naturale.
La successiva e vigente legge n. 96 del 2006 non si sarebbe discostata nei contenuti dalla legge n. 730 del 1985, rafforzando la promozione di forme di turismo rurale, finalizzate a valorizzare le risorse di ciascun territorio, il mantenimento di attività remunerative nelle aree rurali, il recupero e la valorizzazione del patrimonio edilizio rurale.
La legge della Regione Umbria n. 28 del 1997, di cui è censurato l’art. 3, comma 3, sarebbe a sua volta in linea con la normativa statale, come si ricaverebbe dall’art. 1 della medesima legge, che indica le finalità generali, ponendo accanto all’obiettivo economico, quello ambientale e quello socio-culturale.
2.2. – Procedendo all’esame delle singole questioni, la parte privata ne rileva la pertinenza al dato della soglia temporale introdotta dalla norma censurata, in forza della quale l’attività agrituristica è consentita esclusivamente mediante gli immobili esistenti nell’azienda prima della data di entrata in vigore della legge regionale n. 28 del 1997.
Tale limite temporale, non rinvenibile né nella legislazione statale né in quella di altre Regioni, comporterebbe che soltanto in Umbria sia vietato l’esercizio di attività agrituristica sugli immobili edificati successivamente alla predetta data.
Sarebbe dunque di tutta evidenza l’irragionevolezza della norma censurata, la quale, «di fatto, cristallizza l’esercizio dell’attività agrituristica su fabbricati esistenti, non già al momento dell’istanza autorizzatoria, quanto piuttosto ad una data arbitrariamente definita». È richiamata giurisprudenza costituzionale che, secondo la parte, avrebbe rilevato lo sviamento strumentale della funzione legislativa, con violazione dell’art. 3 Cost., nei casi di contrasto tra il fine perseguito dal legislatore ed il mezzo utilizzato (sentenze n. 102 del 1991 e n. 198 del 1986). Sul tema del sindacato di ragionevolezza, quale «apprezzamento di conformità tra la regola introdotta e la “causa” normativa che la deve assistere», sono richiamate le sentenze n. 245 del 2007 e n. 89 del 1996.
La difesa della parte privata sottolinea anche l’effetto discriminatorio che discenderebbe della censurata soglia temporale: il trattamento riservato agli operatori del settore nella Regione Umbria risulterebbe significativamente deteriore rispetto a quello degli omologhi che svolgono la propria attività nel resto del territorio nazionale.
2.3. – La disposizione regionale censurata, sempre secondo la parte costituita, contrasterebbe con gli artt. 3 e 41, primo comma, Cost. in quanto precluderebbe l’iniziativa economica ai privati i quali intendano esercitare l’attività agrituristica utilizzando edifici legittimamente realizzati sul fondo in epoca successiva al 4 settembre 1997, creando, inoltre, una evidente disparità di trattamento tra gli operatori interessati.
Come evidenziato anche dal giudice a quo, si sarebbe creato un oligopolio a favore delle imprese di agriturismo già esistenti nel 1997, giacché solo ad esse è consentito, di fatto, l’esercizio della predetta attività. Tale situazione si porrebbe in aperto contrasto con il principio della libera concorrenza, a sua volta espressione del principio della libertà d’iniziativa economica che è declinato dalla giurisprudenza costituzionale come «principio di non discriminazione tra imprese che agiscono sullo stesso mercato in rapporto di concorrenza» (sono citate le sentenze n. 64 del 2007 e n. 443 del 1997).
2.4. – A sostegno della censura prospettata in riferimento all’art. 9, secondo comma, Cost., la parte privata propone argomenti sostanzialmente coincidenti con quelli svolti dal rimettente.
3. – Con atto depositato il 17 maggio 2011, si è costituita nel giudizio incidentale la Comunità montana Orvietano-Narnese-Amerino-Tuderte, ed ha chiesto che le questioni siano dichiarate inammissibili o, comunque, infondate.
3.1. – La difesa della Comunità montana osserva innanzitutto che la disciplina dell’agriturismo rientra pacificamente tra quelle attribuite alla competenza concorrente dall’art. 117, terzo comma, Cost., in relazione alle quali spetta alle Regioni legiferare nel quadro dei principi fondamentali fissati dallo Stato.
La normativa statale vigente al momento dell’emanazione della norma regionale censurata, e cioè la legge n. 730 del 1985, indicava tra le proprie finalità il migliore utilizzo del patrimonio rurale naturale ed edilizio (art. 1). La stessa legge prevedeva: all’art. 3, primo comma, l’utilizzabilità per l’attività agrituristica dei «locali siti nell’abitazione dell’imprenditore agricolo ubicata nel fondo, nonché gli edifici o parte di essi esistenti nel fondo e non più necessari alla conduzione dello stesso»; all’art. 3, terzo comma, che «le leggi regionali disciplinano gli interventi per il recupero del patrimonio edilizio esistente ad uso dell’imprenditore agricolo ai fini dell’esercizio di attività agrituristiche»; all’art. 3, quarto comma, che «il restauro deve essere eseguito nel rispetto delle caratteristiche tipologiche ed architettoniche degli edifici esistenti e nel rispetto delle caratteristiche ambientali delle zone interessate». Infine, ai sensi dell’art. 10, quarto comma, lettera c), della medesima legge n. 730 del 1985, spettava alle Regioni «la sintetica indicazione del patrimonio di edilizia rurale esistente suscettibile di utilizzazione agrituristica».
In sostanza, prosegue la Comunità montana, è lo stesso legislatore statale ad avere previsto che l’attività agrituristica possa essere esercitata utilizzando esclusivamente il patrimonio edilizio esistente, e non anche ricorrendo a nuove edificazioni. Ciò emergerebbe sia dalle disposizioni che direttamente fanno riferimento al patrimonio edilizio esistente ad un dato momento, sia da quelle che circoscrivono al solo recupero gli interventi attuabili sugli immobili da destinare all’attività in oggetto.
Sarebbe stato fissato così, fin dal 1985, un principio fondamentale della materia, in base al quale occorre evitare che siano realizzate ex novo strutture destinate all’esercizio dell’attività agrituristica, dovendo quest’ultima rappresentare uno dei modi di riqualificazione del patrimonio di edilizia rurale esistente.
La disciplina statale attualmente vigente è contenuta nella legge n. 96 del 2006, che ha abrogato la legge n. 730 del 1985, senza peraltro discostarsi, per quanto qui interessa, dall’impostazione di quest’ultima.
Tra le finalità dichiarate all’art. 1 della nuova legge vi è quella di recuperare il patrimonio edilizio rurale, tutelando le peculiarità paesaggistiche; all’art. 3, comma 1, è previsto che «possono essere utilizzati per le attività agrituristiche gli edifici o parti di essi già esistenti nel fondo»; ancora all’art. 3, comma 2, è previsto che «le regioni disciplinano gli interventi per il recupero del patrimonio edilizio esistente ad uso dell’imprenditore agricolo ai fini dell’esercizio di attività agrituristiche, nel rispetto delle specifiche caratteristiche tipologiche e architettoniche nonché delle caratteristiche paesaggistico-ambientali dei luoghi».
Risulterebbe così confermato il principio fondamentale, vincolante per la legislazione regionale, secondo cui le attività agrituristiche possono e devono essere esercitate utilizzando il patrimonio di edilizia rurale esistente – ciò che non esclude gli edifici aventi diversa destinazione, come gli annessi, né la stessa abitazione dell’imprenditore agricolo –, mentre non può farsi ricorso a nuove edificazioni.
Secondo la parte, la sintonia tra la disciplina regionale ed i principi fondamentali dettati dallo Stato avrebbe dovuto indurre il rimettente a censurare anche le fonti di rango statale. Mancando tali censure, le questioni sollevate sarebbero inammissibili.
3.2. – Nel merito, la difesa della Comunità montana osserva come il limite, posto dalla norma regionale censurata, alla indiscriminata utilizzabilità di edifici rurali a fini agrituristici trovi ragione e giustificazione nella pluralità di interessi pubblici coinvolti dalla materia in esame.
Attraverso la «moratoria temporale» si intenderebbe, innanzitutto, riqualificare il patrimonio edilizio esistente in ambito rurale, riutilizzando, previe ristrutturazioni e restauri conservativi, i manufatti esistenti in condizioni di abbandono, o inutilizzati o, comunque, con destinazione non residenziale.
Ciò non toglie che in futuro, una volta che si sia attinto al patrimonio rurale esistente, il legislatore regionale possa nuovamente intervenire per fissare un diverso e più ravvicinato limite temporale entro il quale dovranno essere stati realizzati i manufatti agricoli da impiegare a fini agrituristici, con la conseguenza di una necessaria ridefinizione del concetto di «patrimonio edilizio esistente», utilizzabile per lo svolgimento dell’attività agrituristica.
In ogni caso, e diversamente da quanto sottinteso dal rimettente, l’attività agrituristica non sarebbe configurata nell’ordinamento come indiscriminatamente libera: l’art. 4, comma 1, della legge n. 96 del 2006 dispone che «le regioni, tenuto conto delle caratteristiche del territorio regionale o di parti di esso, dettano criteri, limiti ed obblighi amministrativi per lo svolgimento dell’attività agrituristica». Tra i limiti in questione, possono figurare anche quelli diretti a circoscrivere l’utilizzazione del patrimonio edilizio, ai fini agrituristici, agli immobili già esistenti e funzionalmente connessi all’esercizio dell’attività agricola in un dato momento. Quest’ultima limitazione, nella specie, troverebbe giustificazione nelle peculiari caratteristiche del territorio regionale, allo scopo sia di evitare l’eccessiva edificazione di ambiti rurali che sovente presentano caratteristiche di notevole pregio ambientale, sia di recuperare il patrimonio rurale esistente.
3.3. – Quanto alla infondatezza della censura condotta in riferimento all’art. 3 Cost., per l’irragionevolezza intrinseca della disposizione censurata a fronte delle finalità della legge regionale, la Comunità montana richiama le argomentazioni svolte in merito alla ratio della disciplina statale e di quella regionale in materia di agriturismo.
Sarebbe del resto erronea la considerazione del rimettente, secondo cui il limite temporale fissato dalla norma censurata «congelerebbe l’esercizio dell’agriturismo al 4 settembre 1997». L’asserito congelamento, invero, non sarebbe riferibile all’attività agrituristica in sé, essendo possibile iniziare tale attività o ampliare quella preesistente destinando allo scopo immobili già presenti nell’azienda agricola.
Analogamente, risulterebbero erronei i rilievi svolti dal rimettente a proposito del contrasto tra la disposizione regionale e l’art. 41, primo comma, Cost., giacché la limitazione temporale non riguarderebbe le imprese agrituristiche esistenti alla data del 4 settembre 1997, bensì gli edifici esistenti a quella data, sicché non si sarebbe creato alcun oligopolio.
Quanto, infine, al prospettato contrasto con l’art. 9 Cost., la difesa della Comunità montana ribadisce come il legislatore regionale sia stato indotto a contingentare – quanto meno fino ad oggi – l’edificazione del territorio agricolo a fini agrituristici, e a privilegiare il restauro di manufatti già esistenti, proprio allo scopo di preservare al meglio i valori che il territorio rurale può esprimere.
4. – Con atto depositato il 16 maggio 2011, è intervenuta nel giudizio incidentale la Regione Umbria ed ha chiesto che le questioni siano dichiarate inammissibili o, comunque, infondate.
4.1. – La difesa regionale osserva come le questioni non possano essere affrontate senza il previo esame del contenuto della legislazione statale in materia di agriturismo, in particolare dell’art. 3 della legge n. 96 del 2006, riguardante i «locali per attività agrituristiche». La disposizione citata costituisce infatti, per le Regioni, principio fondamentale ai sensi dell’art. 117, terzo comma, Cost., in quanto attinente al governo del territorio (è richiamata la sentenza n. 339 del 2007 della Corte costituzionale).
La difesa regionale osserva come, dal raffronto tra la disciplina statale previgente e quella attuale, emerga che anche in base alla normativa vigente l’abitazione dell’imprenditore agricolo, o meglio parte di essa, può essere utilizzata per l’attività agrituristica.
La mancanza di qualsiasi riferimento all’abitazione rurale dell’imprenditore agricolo dimostra che l’offerta agrituristica si è affrancata dalla originaria dimensione familiare della casa rurale, in linea con lo sviluppo che il settore ha conosciuto negli ultimi anni, e tuttavia la formula utilizzata dal legislatore statale del 2006 nell’art. 3, comma 1, è comprensiva di ogni fabbricato sito nel fondo, e dunque anche dell’abitazione dell’imprenditore agricolo.
Ancora, prosegue la difesa regionale, dall’esame congiunto delle disposizioni statali succedutesi nel tempo risulta chiaro che sono utilizzabili per attività agrituristiche gli edifici o parti di essi «già esistenti nel fondo». Peraltro, ai fini del presente giudizio, rileva solo il dato per cui gli immobili da destinare all’attività agrituristica devono trovarsi nell’azienda agricola, essendo escluso che l’imprenditore possa edificare nuovi fabbricati ad hoc.
Tale interpretazione coincide del resto con uno degli scopi perseguiti da entrambe le citate leggi statali in materia di agriturismo, e cioè il miglior utilizzo del patrimonio rurale naturale ed edilizio (art. 1 della legge n. 730 del 1985), ovvero il recupero di tale patrimonio, tutelando le peculiarità paesaggistiche (art. 1, comma 1, lettera e, della legge n. 96 del 2006).
4.2. – La Regione Umbria prosegue l’esame del quadro normativo sottolineando che la legge regionale n. 28 del 1997, pure emanata nella vigenza della legge n. 730 del 1985, non è stata modificata dopo l’entrata in vigore della legge n. 96 del 2006, in quanto ritenuta conforme ai principi fondamentali contenuti in quest’ultima, anche con riferimento all’art. 3, comma 3, oggetto di censura.
La disposizione appena citata, infatti, sarebbe perfettamente adeguata ai principi sopra indicati, nella parte in cui stabilisce che possono essere utilizzate per attività agrituristiche «le strutture di cui ai precedenti commi», se esistenti nell’azienda «prima dell’entrata in vigore della presente legge».
Con riferimento specifico alla fattispecie oggetto del giudizio principale, la difesa regionale segnala che è lo stesso rimettente a definire «nuovo» l’immobile della cui utilizzabilità a fini di agriturismo si discute (punto 5 dell’ordinanza), ciò che del resto emergerebbe dai documenti in atti. Il primo permesso di costruire risale all’ottobre del 2003, e nel corso dei lavori è stato richiesto il permesso di costruire in variante «prima che vi fosse stata una qualsiasi utilizzazione della porzione di edificio allo scopo inizialmente ipotizzato».
La situazione contrasterebbe, quindi, non solo con la norma regionale ma anche con il principio fondamentale posto dall’art. 3 della legge n. 96 del 2006, con la conseguenza che, non avendo il giudice a quo censurato anche la norma statale, le questioni aventi ad oggetto soltanto la norma regionale sarebbero inammissibili.
4.3. – Nel merito, la difesa regionale si sofferma nuovamente sulla disciplina statale dell’attività agrituristica, la cui finalità primaria, secondo quanto indicato all’art. 1 della legge n. 96 del 2006, è di assicurare sostegno all’agricoltura mediante la promozione di molteplici misure. Tra queste ultime vi è anche quella, già evidenziata, di recuperare il patrimonio edilizio rurale, tutelando le peculiarità paesaggistiche (art. 1, comma 1, lettera e).
Avuto riguardo poi alla natura dell’attività agrituristica, la Regione Umbria sottolinea la necessaria connessione con l’attività agricola, che deve rimanere «prevalente», come sancito sia all’art. 2135, ultimo comma, del codice civile, sia dagli artt. 2, comma 1, e 4, comma 2, della legge n. 96 del 2006. Il regime speciale che assiste l’attività agrituristica, comprensivo di benefici di natura fiscale, non può prescindere dalla presenza di requisiti oggettivi e soggettivi, tra i quali l’esistenza di un’azienda condotta da un imprenditore agricolo, l’esercizio dell’attività attraverso l’utilizzazione della stessa azienda, e la prevalenza dell’attività primaria rispetto a quella di gestione dell’agriturismo.
In realtà, prosegue la difesa regionale, l’agriturismo viene considerato come una delle forme più significative di gestione alternativa del territorio, che assicura il rispetto dell’ambiente e, al contempo, favorisce la crescita economica del settore agricolo. Ma la presenza nell’attività in esame di interessi diversi, di rilievo costituzionale, tra i quali è necessario trovare un bilanciamento, non può non riguardare anche l’individuazione degli immobili da utilizzare per l’esercizio della attività stessa. Ecco quindi che se, da un lato, l’edilizia rurale riceve dall’agriturismo una importante opportunità di recupero e di riqualificazione, dall’altro lato occorre impedire che lo svolgimento di tale attività comporti una eccessiva edificazione nelle campagne. Inoltre, la disciplina dell’agriturismo deve essere conciliata con le problematiche legate al tema della concorrenza con altre imprese del settore turistico, in particolare con quelle che svolgono la loro attività in ambito rurale, e che non godono delle stesse agevolazioni di cui beneficia l’attività agrituristica.
4.4. – Procedendo all’esame delle censure prospettate dal rimettente, la Regione Umbria, dopo averne denunciato la genericità, rileva l’erroneità dell’affermazione secondo cui «la norma in rassegna congela l’esercizio dell’agriturismo al 4 settembre 1997». Si tratterebbe solo, ed in effetti, di un vincolo, nell’esercizio dell’impresa, all’utilizzo di immobili esistenti alla data indicata, che sarebbe poi tutt’altro che irragionevole, in quanto costituisce attuazione dell’obiettivo già richiamato di «recuperare il patrimonio edilizio rurale tutelando le peculiarità paesaggistiche», e realizza un giusto contemperamento con gli altri scopi previsti dalla normativa in materia. Al riguardo la difesa regionale richiama l’attenzione sulla specificità del paesaggio rurale umbro, che è disseminato di edifici rurali, i quali ne costituiscono una componente essenziale da salvaguardare e recuperare.
Anche la prospettata lesione del principio di libertà di iniziativa economica risulterebbe basata su una erronea interpretazione della norma regionale censurata. Per un verso, infatti, gli immobili costruiti ex novo in zona rurale dopo il 1997 possono essere utilizzati per l’esercizio di attività turistica diversa da quella agrituristica; per altro verso, quest’ultima non può essere considerata completamente libera, dovendo sottostare ai limiti derivanti sia dalla sua particolare natura, sia dai fini di utilità sociale di cui al secondo comma dell’art. 41 Cost., tra i quali la tutela del paesaggio e la valorizzazione dei beni culturali ed ambientali di cui esso si compone.
Infine, secondo la Regione Umbria, sarebbe da escludere la violazione dell’art. 9 Cost., tenuto conto che la limitazione degli immobili da destinare all’esercizio dell’attività agrituristica contribuisce a realizzare il giusto equilibrio tra tutti gli interessi sopra indicati, e quindi, contrariamente all’assunto del rimettente, anche alla tutela e alla valorizzazione del paesaggio agricolo rurale.
5. – In prossimità dell’udienza, tutte le parti hanno depositato memorie, nelle quali sono richiamati gli argomenti svolti nei rispettivi atti di costituzione, con osservazioni aggiuntive.
5.1. – Con memoria depositata il 28 febbraio 2012 la ricorrente ditta Conforti Aldo controdeduce sull’eccezione di inammissibilità delle questioni, formulata dalle difese della Comunità montana e della Regione Umbria, in relazione alla pretesa necessità che le censure si estendessero anche alla norma statale di riferimento.
Invero, secondo la parte privata, la normativa statale e quella regionale sull’agriturismo conterrebbero una disciplina del tutto differente in relazione agli immobili ad uso agrituristico: in particolare, nell’art. 3 della legge n. 96 del 2006 la nozione di esistenza degli edifici non sarebbe collegata ad un riferimento temporale specifico, potendosi intendere che siano utilizzabili a fini agrituristici tutti gli immobili che “già” insistono sul fondo, purché legittimamente realizzati in base alle norme urbanistiche ed edilizie vigenti.
A nulla rileverebbe, dunque, la data di edificazione degli edifici ma solo il diverso rilievo per cui «la presenza di un edificio sul fondo non possa essere ab origine giustificata esclusivamente da finalità “agrituristiche” (titolo abilitativo non esistente) ma, evidentemente, per gli scopi connessi all’esercizio e alla conduzione dell’attività agricola».
Del resto, osserva la difesa della parte privata, se lo Stato avesse voluto impedire l’utilizzo a fini agrituristici di edifici realizzati successivamente ad una certa data, lo avrebbe disposto, mentre così non è, dovendosi escludere che la locuzione contenuta nell’art. 3, comma 1, della legge n. 96 del 2006 possa essere interpretata come se l’esistenza degli edifici nel fondo sia riferita alla data di entrata in vigore della medesima legge statale.
6. – Nella memoria depositata il 28 febbraio 2012, la Comunità montana Orvietano-Narnese-Amerino-Tuderte si riporta alle argomentazioni svolte nell’atto di costituzione, ed ulteriormente osserva come la disposizione censurata «concerna propriamente l’assetto del territorio […], più che quella particolare attività recettiva che va sotto la definizione di “attività agrituristica”».
Sarebbe dunque la pianificazione dell’uso del territorio agricolo ad essere oggetto della indicata norma, con la finalità del «recupero funzionale del patrimonio edilizio rurale esistente», evitando che il territorio agricolo venga sovraccaricato di nuove volumetrie. In questa prospettiva risulterebbe fuori luogo il richiamo alla legislazione delle altre Regioni in materia di agriturismo, atteso il pregio ambientale e paesaggistico del contesto agricolo del territorio dell’Umbria.
7. – Nella memoria depositata il 28 febbraio 2012, la Regione Umbria ribadisce le eccezioni di inammissibilità delle questioni per irrilevanza, oltre che per genericità delle censure, e prospetta altresì l’inammissibilità delle questioni per violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, posto che il rimettente avrebbe sottoposto alla Corte costituzionale questioni diverse, per contenuto e parametri evocati, da quelle prospettate dalla parte ricorrente in via di eccezione nel giudizio principale.
Avuto riguardo al profilo di inammissibilità delle questioni per irrilevanza, la difesa regionale osserva come, se l’immobile che la parte ricorrente vorrebbe utilizzare a fini agrituristici costituisce una «nuova costruzione», realizzata tra il 2003 e il 2005, secondo quanto affermato dallo stesso rimettente, ne deriva che, pur dopo l’eventuale declaratoria di illegittimità costituzionale della norma regionale, l’immobile rimarrebbe non utilizzabile a tale scopo, stante il disposto dell’art. 3 della legge statale n. 96 del 2006, che prevede l’utilizzo a fini agrituristici di immobili «preesistenti», nel senso di «già destinati al servizio dell’attività agricola».
Come affermato più volte dalla giurisprudenza costituzionale, la questione è irrilevante quando la fattispecie oggetto del giudizio principale, pur a seguito della declaratoria di illegittimità costituzionale della norma censurata, rimanga comunque disciplinata alla stessa maniera, per effetto di altra disposizione legislativa (sono richiamate le sentenze della Corte costituzionale n. 199 del 1985, n. 1 del 1977 e n. 122 del 1976).
7. 1. – Nel merito, la difesa regionale richiama nuovamente la disciplina statale dell’agriturismo e quindi esamina le disposizioni dettate in materia dalle altre Regioni, osservando come, in riferimento agli immobili da destinare all’attività agrituristica, le discipline regionali vigenti risultino diversificate, in coerenza con le peculiarità di ciascun territorio.
Il territorio della Regione Umbria, priva di sbocchi al mare e di grandi montagne, si caratterizza proprio per il paesaggio rurale, «ricco di edifici rurali in disuso».
In questo contesto, la «moratoria temporale» introdotta dalla norma censurata sarebbe finalizzata a riqualificare il patrimonio edilizio esistente e ad evitare speculazioni e «travisamenti delle stesse finalità proprie delle leggi sull’agriturismo, attraverso un eccessivo sfruttamento delle capacità edificatorie del fondo utilizzato, favorito dalle agevolazioni di cui gode l’esercizio dell’attività agrituristica».
La difesa regionale ribadisce che, in futuro, la scelta potrà essere rivista nel senso di consentire l’esercizio dell’attività agrituristica in immobili di più recente costruzione, pur sempre edificati a fini di conduzione dell’azienda agricola. Peraltro, e conclusivamente, la Regione Umbria sottolinea come tale scelta si sia rivelata non irragionevole, in considerazione del significativo sviluppo dell’attività agrituristica regionale negli anni successivi all’entrata in vigore della legge regionale n. 28 del 1997.

Considerato in diritto

1. – Il Tribunale amministrativo regionale dell’Umbria dubita, in riferimento agli articoli 3, 9, secondo comma, e 41, primo comma, della Costituzione, della legittimità costituzionale dell’articolo 3, comma 3, della legge della Regione Umbria 14 agosto 1997, n. 28 (Disciplina delle attività agrituristiche), nella parte in cui prevede che possono essere utilizzate per l’attività agrituristica soltanto le strutture esistenti nell’azienda prima dell’entrata in vigore della legge medesima.
2. – Preliminarmente, devono essere esaminate le eccezioni di inammissibilità delle questioni, sollevate dalla Regione Umbria e dalla Comunità montana Orvietano-Narnese-Amerino-Tuderte.
La Regione Umbria ha eccepito, sin dall’atto di intervento, l’inammissibilità delle questioni per la genericità delle censure formulate dal rimettente.
2.1. – L’eccezione è priva di fondamento in quanto il rimettente ha svolto argomenti specifici a sostegno dell’asserito contrasto tra la norma regionale censurata ed i parametri evocati.
2.2. – Ancora, la Regione Umbria e la Comunità montana assumono che il rimettente avrebbe dovuto censurare anche la norma statale contenuta nell’art. 3, comma 1, della legge 20 febbraio 2006, n. 96 (Disciplina dell’agriturismo), ove è previsto che «possono essere utilizzati per attività agrituristiche gli edifici o parte di essi già esistenti nel fondo». La disposizione citata, in quanto espressione di un principio fondamentale della materia del governo del territorio, di competenza legislativa concorrente ai sensi dell’art. 117, terzo comma, Cost., troverebbe applicazione anche nella Regione Umbria, con la conseguenza che l’eventuale declaratoria di illegittimità costituzionale della norma regionale non varrebbe a rendere utilizzabile, a fini di agriturismo, l’immobile di nuova costruzione, oggetto dei provvedimenti impugnati nel giudizio principale.
2.3 – L’eccezione non è fondata.
La norma regionale censurata e la norma statale citata al paragrafo precedente dettano prescrizioni diverse, anche se non contrastanti, ma anzi dirette ad un unico fine. La norma statale, che contiene, come sarà specificato in seguito, un principio fondamentale nella materia «governo del territorio» – attribuita dal terzo comma dell’art. 117 Cost. alla competenza legislativa concorrente dello Stato e delle Regioni – limita l’utilizzabilità degli edifici per attività agrituristiche a quelli «già esistenti» sul fondo, mentre nella norma regionale è fissato un preciso limite temporale (la data di entrata in vigore della legge reg. n. 28 del 1997). Il giudice rimettente ritiene, con motivazione non implausibile, che l’eventuale accoglimento della questione sollevata inciderebbe, con l’eliminazione del limite temporale, sulla decisione che lo stesso rimettente è chiamato ad assumere nel giudizio a quo, in relazione al ricorso presentato da un privato avverso due provvedimenti della Comunità montana Orvietano-Narnense-Amerino-Tuderte. È evidente come il Tribunale amministrativo regionale dell’Umbria debba applicare nel processo principale la norma regionale censurata, mentre resterebbe comunque a lui affidata la valutazione circa l’applicabilità e la portata della norma statale di principio, non censurata nel presente giudizio di costituzionalità, nell’ipotesi che la questione fosse accolta da questa Corte.
2.4. – Infine, nella memoria illustrativa, la Regione Umbria ha ulteriormente eccepito l’inammissibilità delle questioni per violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, e dunque dell’art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale). Secondo la difesa regionale il giudice a quo, dopo avere dichiarato, nell’ordinanza di rimessione, di condividere i dubbi di costituzionalità prospettati dalla parte ricorrente, avrebbe dovuto sottoporre alla Corte la questione nei termini in cui era stata formulata dalla parte stessa, in applicazione della regola contenuta nell’art. 23, secondo comma, della legge n. 87 del 1953.
L’eccezione è destituita di fondamento, in quanto il giudice a quo, dopo aver dato atto che la parte ricorrente aveva eccepito l’illegittimità costituzionale della norma regionale, ha sollevato d’ufficio le questioni, precisando che le ragioni del dubbio di costituzionalità si fondano su «considerazioni in larga parte diverse» da quelle svolte dalla parte a sostegno dell’eccezione, come confermato dall’evocazione di parametri solo in parte coincidenti.
3. – La questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 3, della legge reg. Umbria n. 28 del 1997, sollevata in riferimento all’art. 3 Cost., non è fondata.
3.1. – Questa Corte ha affermato che l’attività agrituristica, pur rientrando, in via immediata, nelle materie agricoltura e turismo, di competenza regionale residuale, «interferisce con altre materie attribuite alla competenza, o esclusiva o concorrente, dello Stato». Di conseguenza, le Regioni «devono uniformarsi unicamente ai princìpi, contenuti nella legge n. 96 del 2006, i quali siano espressione della potestà legislativa esclusiva o concorrente dello Stato» (sentenza n. 339 del 2007).
Come già accennato nel paragrafo 2.3, la disposizione censurata nel presente giudizio è compresa, in modo prevalente, nella materia «governo del territorio», di competenza legislativa concorrente. I limiti alla utilizzabilità per fini agrituristici dei fabbricati rurali sono infatti posti dalla legge per regolare in modo razionale l’inserimento nei territori agricoli di attività connesse, esercitate dal medesimo imprenditore agricolo, destinate alla ricezione ed all’ospitalità, «mediante l’utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse dell’azienda normalmente impiegate nell’attività agricola esercitata» (art. 2135 del codice civile). L’art. 3, comma 1, della legge n. 96 del 2006 – come pure l’art. 3, primo comma, della precedente legge 5 dicembre 1985, n. 730 (Disciplina dell’agriturismo) – contiene un principio fondamentale, la cui ratio è quella di promuovere l’attività agrituristica, senza tuttavia consentire edificazioni nuove ed estranee allo svolgimento delle attività agricole in senso stretto, allo scopo di garantire il mantenimento della natura peculiare del territorio e preservarlo così dalla proliferazione di fabbricati sorti in vista soltanto dell’esercizio di attività ricettive in immobili non facenti parte, ab origine, dell’azienda agricola.
3.2. – La norma statale sopra citata si limita all’enunciazione di un principio, destinato a trovare specifiche attuazioni nelle legislazioni delle diverse Regioni, in conformità alle caratteristiche morfologiche, storiche e culturali di ciascuna di esse. Tale principio pone un limite rigoroso, escludendo che possano essere destinati ad attività agrituristiche edifici costruiti ad hoc, non «già esistenti sul fondo» prima dell’inizio delle attività medesime. Si vuole in sostanza prevenire il sorgere ed il moltiplicarsi di attività puramente turistiche, che finiscano con il prevalere su quelle agricole, in violazione della norma codicistica prima citata e con l’effetto pratico di uno snaturamento del territorio, usufruendo peraltro delle agevolazioni fiscali previste per le vere e proprie attività ricettive connesse al prevalente esercizio dell’impresa agricola.
3.3. – Le Regioni hanno variamente attuato il principio fondamentale posto dalla legge statale, che, come già evidenziato, lascia alle stesse la determinazione delle modalità concrete – da inserire, come prescrizioni, nelle proprie leggi – volte ad individuare con precisione il limite temporale imposto, in via generale, dall’art. 3, comma 1, della legge n. 96 del 2006.
La modalità attuativa scelta dalla Regione Umbria consiste nella fissazione di un limite cronologico certo (la data di entrata in vigore della legge reg. n. 28 del 1997), allo scopo di consentire e promuovere l’utilizzazione per attività agrituristiche dell’ingente patrimonio edilizio esistente nelle campagne umbre, in parte fatiscente e in rovina, il cui recupero viene incentivato in diversi modi. Il senso dell’indicazione di una data precisa è quello di bloccare nuove costruzioni, destinate sin dall’inizio a fini agrituristici, negli stessi territori ove sorgono quelle storiche e già impiegate nelle attività agricole in senso stretto. La norma è particolarmente rigorosa, in quanto tende a neutralizzare la costruzione di complessi edilizi destinati, in tempi relativamente brevi, alla prestazione prevalente di servizi turistici, che si inserirebbero pertanto in modo forzato nel contesto territoriale storico delle campagne umbre.
Alla luce di quanto detto sopra, la norma censurata non è manifestamente irragionevole, in quanto obbedisce ad una scelta di politica legislativa di particolare rigidità, compatibile tuttavia con la finalità di una razionale disciplina del territorio agricolo. Né si può dire che la stessa norma produca un “congelamento” delle attività agrituristiche, giacché il limite temporale in essa indicato non si riferisce all’ingresso nel mercato di nuovi soggetti o all’avvio di nuove iniziative in questo campo. La norma in esame prescrive, piuttosto, che ogni attività di agriturismo, vecchia o nuova, si avvalga di fabbricati esistenti sui fondi rustici in data anteriore all’entrata in vigore della legge regionale. Non è impedito in tal modo che nuovi soggetti possano avviare attività agrituristiche, avvalendosi degli edifici di cui sopra, purché sia rispettato il criterio di prevalenza dell’attività agricola, ex art. 2135 cod. civ., al quale è strettamente legato il divieto di adibire ad agriturismo edifici costruiti appositamente per tale scopo.
3.4. – Il trascorrere del tempo può determinare, ad un certo punto, come segnalato dal rimettente, la necessità di rivedere il limite, spostandolo eventualmente in avanti. Tale intervento può essere effettuato però soltanto dallo stesso legislatore regionale, giacché per stabilire una nuova data, superando quella oggi fissata, sarebbe necessaria comunque una valutazione concreta del grado di utilizzazione delle strutture anteriori e delle condizioni in cui si trovano i territori agricoli dell’Umbria dopo l’avvio e lo sviluppo delle numerose iniziative in campo agrituristico registratesi negli ultimi decenni. Se questa valutazione concreta non fosse necessaria, sarebbe sufficiente la fissazione di un limite temporale unico su scala nazionale. L’indirizzo del legislatore statale è stato invece diverso, in considerazione del fatto che le scelte politiche in questo settore sono strettamente legate alle caratteristiche delle diverse parti del territorio nazionale e non possono quindi obbedire a decisioni centralizzate e forzosamente uniformi.
Se l’uniformità forzata del limite temporale non può essere frutto di una scelta legislativa nazionale, valida per tutte le Regioni, a fortiori essa non può discendere da una decisione di questa Corte, in quanto estranea alla funzione di controllo di legittimità costituzionale.
4. – La questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 3, della legge reg. Umbria n. 28 del 1997, proposta con riferimento all’art. 41, primo comma, Cost., non è fondata.
4.1. – Gli stessi motivi che portano ad escludere la manifesta irragionevolezza della norma censurata valgono a ritenerla immune dal denunciato vizio di legittimità costituzionale derivante dalla violazione dell’art. 41, primo comma, Cost.
L’iniziativa economica privata in campo agrituristico è libera, in quanto a nessuno è inibito l’accesso a questo settore di attività imprenditoriale, purché segua determinate modalità, uguali per tutti, ritenute dal legislatore nazionale e da quello regionale indispensabili a mantenere le attività agrituristiche nel proprio alveo, senza sovrapposizioni prevaricanti sull’attività agricola o aggiramenti della prescrizione fondamentale contenuta nell’art. 2135 cod. civ. È ben possibile, ad esempio, acquisire in proprietà edifici già esistenti nei fondi agricoli prima della data indicata nella legge regionale, così come è possibile utilizzare per la prima volta, a fini agrituristici, fabbricati già posseduti dall’imprenditore agricolo, che voglia avviare, ex novo, l’attività di cui sopra. Non v’è quindi un limite all’avvio di nuove iniziative, né alla concorrenza tra gli imprenditori del settore, ma solo una restrizione nell’uso di beni immobili, allo scopo di preservare razionalmente il territorio e di valorizzarne le caratteristiche specifiche, in coerenza con le finalità perseguite da tutte le leggi in materia di urbanistica.
5. – La questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 3, della legge reg. Umbria n. 28 del 1997, proposta con riferimento all’art. 9 Cost., non è fondata.
5.1. – Il rimettente segnala l’ipotetico pericolo che un’eccessiva restrizione all’uso di fabbricati situati in fondi rustici – anche costruiti dopo la data indicata dalla norma censurata – possa determinare l’abbandono degli stessi fondi ed il progressivo spopolamento delle zone collinari dell’Umbria, che costituiscono gran parte del territorio di questa Regione, con conseguente compromissione del suo paesaggio.
Tale preoccupazione non solo è legata ad incerte previsioni economico-sociali, non verificabili nella sede di un giudizio di legittimità costituzionale, ma contrappone un rischio futuro ipotizzato ad una necessità di tutela del paesaggio attuale e concreta, giustificata dalla comune esperienza. Emerge infatti in modo evidente l’interesse primario, sia della comunità nazionale, sia di quella regionale, a che le campagne non diventino luoghi di edificazioni massicce, che facciano ad esse perdere la loro intrinseca natura, per trasformarle in parchi turistici, nei quali l’attività agricola non sarebbe più reale e operante, ma solo fittizia e subalterna ad attività alberghiere. Ciò determinerebbe l’alterazione del paesaggio, che deve essere invece tutelato e mantenuto, pur nella cura e nel rinnovamento delle strutture esistenti, nella sua essenziale natura agreste.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 3, comma 3, della legge della Regione Umbria 14 agosto 1997 n. 28 (Disciplina delle attività agrituristiche), sollevate, in riferimento agli artt. 3, 9, secondo comma, e 41, primo comma, della Costituzione, con l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 aprile 2012.
F.to:
Alfonso QUARANTA, Presidente
Gaetano SILVESTRI, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 18 aprile 2012.