Tribunale di Genova - Sezione Lavoro
Sentenza 27 settembre 2011, n. 1401
Svolgimento del processo - Motivi della decisione
Sentenza 27 settembre 2011, n. 1401
Svolgimento del processo - Motivi della decisione
Il Giudice monocratico, in persona dello dott.ssa Francesca Maria Parodi, pronuncia la seguente sentenza definitiva, dando lettura della motivazione e del dispositivo ai sensi dell'art. 429 c.p.c.
Lu.D'A., Fr.Co., Ma.Ca. convenivano in giudizio l'Il. S.p.A. per sentir
accertare il loro diritto a vedersi computare nel normale orario di
lavoro, con la maggiorazione per il lavoro straordinario, il tempo da
loro impiegato per indossare tuta di lavoro e dpi presso lo spogliatoio
assegnato, quindi recarsi all'orologio marcatempo del relativo reparto e
compiere l'operazione inversa a fine servizio.
Richiamavano a tal fine la normativa nazionale e comunitaria in materia
di orario di lavoro, nonché la giurisprudenza di legittimità e di
merito in ordine alla riconducibilità all'orario di lavoro di ogni
attività, anche preparatoria, purché etero - diretta dal datore di
lavoro.
Poiché Il. S.p.A. aveva stabilito il numero e la dislocazione dei
reparti, il numero e la dislocazione degli spogliatoi, l'organizzazione
degli stessi e del servizio di trasporto all'interno dello stabilimento,
nonché aveva imposto a tutti i lavoratori l'obbligo di vestizione e
vestizione in Azienda della tuta e dei dpi e l'obbligo di conservazione
degli stessi all'interno di uno specifico armadietto, personalmente
assegnato ad ogni lavoratore, non poteva che concludersi per la
riconducibilità del c.d. tempo tuta e del tempo impiegati dai lavoratori
per recarsi dallo spogliatoio all'orologio di reparto riconducibile
nell'ambito dell'orario di lavoro retribuibile.
Chiedevano che questo maggior orario lavorato venisse remunerato con la
maggiorazione prevista per il lavoro straordinario e fosse computato
anche ai fini della retribuzione di ferie, 13esima mensilità secondo la
disciplina del ccnl applicabile.
Si costituiva Il. S.p.A., chiedendo il rigetto del ricorso, contestando
che i lavoratori, sia nel tempo per recarsi allo spogliatoio (e
viceversa) sia per il tempo di vestizione/vestizione dei i dpi, siano a
disposizione del datore di lavoro, non essendo in alcun modo
assoggettati al suo potere gerarchico e direttivo, con la conseguenza
che tali attività non potevano essere considerate tempo di lavoro
effettivo ai sensi dell'art. 5 n. 2 de r.d.l. n. 1955/23 e quindi
remunerate per come invece richiesto.
E ciò in conformità alla la stessa contrattazione collettiva
applicabile (sia l'art. 5 comma 9 del ccnl 9.7.1994 sia l'art. 5 CCNL
industria metalmeccanica privata applicata a decorrere dall'1.7.1999)
che considerano ore di lavoro solo quelle di effettiva prestazione.
Sulla base di tali difese la causa è stata decisa, senza necessità di
istruttoria, previa acquisizione dei verbali di interrogatorio delle
parti reso in altre cause omologhe (Mi.Fr./Il. rg. 2444/2008 e Ro./Il.
S.p.A. rg. 2799/2006, Uv./Ma. rg. 9313/2004 Tribunale Milano
acquisizione di copia delle CTU effettuate nell'ambito delle cause Am. +
15 e Ca.Gi. + 13 circa la quantificazione dei tempi di maggior lavoro
oggetto di ricorso.
Veniva depositato conteggio concordato circa i tempi di lavoro oggetto
di ricorso secondo i parametri individuati con ordinanza 22.3.2011,
nonché quantificazione concordata degli importi spettanti ai ricorrenti.
Il ricorso è fondato e merita accoglimento nei limiti che seguono.
I ricorrenti chiedono il pagamento a titolo di straordinario (in quanto
tempo eccedente le 40 ore lavorative), incidenza su ferie e XIII del
tempo di lavoro impiegato per indossare la tuta ed i dispositivi di
protezione individuale presso lo spogliatoio loro assegnato e per i
tempi necessari a compiere, a fine turno, le operazioni inverse, nonché
per il tempo impiegato per recarsi dallo spogliatoio di competenza sino
all'orologio marcatempo di reparto, orologio ove gli stessi timbravano
in entrata ed in uscita dal reparto di assegnazione.
Oggetto della causa è verificare se detti tempi siano o meno considerabili tempi di lavoro e quindi da retribuire.
La disciplina legislativa in materia è costituita innanzitutto dal
R.D.L. 629/1923, il quale all'art. 3 precisa che "E' considerato lavoro
effettivo ai sensi del presente decreto ogni lavoro che richieda
un'applicazione assidua e continuativa".
Prevede poi l'art. 5 del R.D. n. 1955/1923 (regolamento per
l'applicazione del RDL 629/1923) che "non si considerano come lavoro
effettivo: ... 2) il tempo impiegato per recarsi sul posto di lavoro".
Rientrano nell'ambito del lavoro effettivo ex art. 6 RDL 692/23 anche
"i lavori preparatori e complementari che debbano eseguirsi al di fuori
dell'orario normale delle aziende". "Costituiscono lavori preparatori e
complementari rientranti nell'orario di servizio, quelli che siano
strettamente necessari per predisporre il funzionamento degli impianti e
dei mezzi di lavoro, per apprestare materie prime, per la pulizia, per
l'ultimazione e lo sgombro dei prodotti ed in genere tutti gli altri
servizi indispensabili ad assicurare la regolare ripresa e cessazione
del lavoro nelle industrie a funzionamento non continuativo,
limitatamente al personale addetto a tali lavori".
Ai sensi dell'art. 2 punto 1 della Direttiva 23 novembre 1993 n. 93/104
del Consiglio dell'Unione Europea rientra nell'orario di lavoro"
qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al disposizione del datore di
lavoro e nell'esercizio della sua attività o delle sue funzioni".
Il legislatore nazionale ha recepito tale direttiva con il D.Lgs. 8
aprile 2003 n. 66, il quale all'art. 1 co. 2 lett. a) prevede omologa
disposizione e all'art. 8 conferma che il tempo impiegato dal lavoratore
per recarsi sul luogo di lavoro deve ritenersi escluso dal concetto di
orario di lavoro.
Statuisce la Cassazione: "L'art. 3 del R.D.L. 15 marzo 1923 n. 692
definisce come lavoro effettivo ogni lavoro che richieda un'applicazione
assidua e continuativa; tale definizione, apparentemente rigorosa ed
inflessibile; va interpretata sistematicamente con le restanti norme
della stessa legge e del suo regolamento attuativo del R.D. 10 settembre
1923, n. 1955. Costituiscono lavoro effettivo, a norma dell'art. 5, n.
3, del R.D. n. 1955 del 1923, le pause interne alla prestazione (diverse
dalle pause intermedie tra archi temporali della prestazione, previste
da alcuni contratti collettivi, su cui "infra") inferiori a dieci
minuti, ed anche le soste superiori a; quindici minuti, nei lavori molto
faticosi, in quanto necessarie per ristorare le energie fisiche per
riprendere il lavoro.
Pertanto, come precisato anche dalla dottrina, l'espressione "lavoro
effettivo" deve essere inteso come sinonimo di prestazione lavorativa,
comprendendovi anche i periodi di mera attesa o quelli nei quali non sia
richiesta al lavoratore una attività assorbente, bensì soltanto un
tenersi costantemente a disposizione del datore di lavoro; restano
pertanto esclusi dal "lavoro effettivo" soltanto gli intervalli di tempo
dei quali il lavoratore abbia la piena disponibilità. Così intesa la
nozione di lavoro effettivo, l'art. 3 del R.D.L. 15 marzo 1923 n. 692
non preclude che il tempo impiegato per indossare la divisa sia
considerato lavoro effettivo. Vero è che l'atto di indossare la divisa,
in quanto antecedente all'inizio della prestazione lavorativa e
funzionale alla sua corretta esecuzione, va inquadrato non tra le pause
lavorative, bensì tra le attività preparatorie.
Queste vanno distinte tra remote e dirette.
Certamente costituisce attività preparatoria il tragitto necessario per
recarsi sul posto di lavoro ed iniziare l'attività lavorativa, ma il
tempo richiesto per tale operazione non costituisce lavoro effettivo, a
norma dell'art. 5, n. 2, del R.D. 10 settembre 1923, n. 1955, la cui
espressa previsione testimonia l'esistenza del dilemma. Per le attività
preparatorie dirette il discrimine è costituito dalla disciplina
contrattuale del caso concreto. Vi è una serie di obblighi di
preparazione all'esecuzione del contratto, i quali rappresentano
l'emersione a livello giuridico di obblighi comportamentali di nutrice
culturale e sociale. La partecipazione della persona a qualsiasi evento
sociale richiede una preparazione e presentazione appropriata alla
natura dell'evento. Diverso, ad es., è l'abbigliamento che si richiede
per la partecipazione ad una cerimonia, a un matrimonio, ad un funerale,
ad un pubblica riconoscimento, ad una premiazione, ad una cena sociale,
ad una festa da ballo, ad uno stabilimento balneare, etc., tanto che in
alcune circostanze l'invito contiene anche, tra gli altri dati
necessari per la partecipazione, anche la prescrizione
dell'abbigliamento ammesso. Tale dato di costume assume un rilievo
giuridico nel momento in cui attiene all'esecuzione di un contratto di
lavoro. Un adeguato riposo prima della prestazione lavorativa, la cura
dell'igiene e della presentazione della persona, l'abbigliamento
appropriato alle mansioni da svolgere, sono tutti obblighi che attengono
alla esecuzione della prestazione (ed alla sua accettazione da parte
del creditore) ma che, come correttamente statuito dalla sentenza
impugnata, non costituiscono di per sé prestazione, ma vanno qualificati
come atti di diligenza preparatoria, che non richiedono apposita
retribuzione finché si mantengono nei limiti della normalità socio -
culturale. E benché la nozione di normalità non sia un concetto
giuridico molto rigoroso, sicuramente è tale l'obbligo contrattuale
motivato di indossare un vestito piuttosto che un altro. Nel caso di
specie il ricorrente non contesta le circostanze di fatto accertate
dalla sentenza impugnata: l'uso della divisa da sorvegliante Fiat era
obbligatoria, ma il lavoratore aveva facoltà, prima di uscire di casa,
di indossare, in luogo dell'abito borghese, la divisa, alla pari di A
una guardia giurata, di un agente delle forze dell'ordine, etc. L'atto
di vestizione in tali condizioni non costituisce lavoro effettivo e non
dà diritto a retribuzione".
Da tale situazione vanno distinti due gruppi di situazioni: a)
l'obbligo di vestizione di particolari protezioni tecniche, o di
particolare ed impegnativa cura dell'immagine; b) l'obbligo di
vestizione di normali divise, ma con pregnanti disposizioni del datore
di lavoro circa il tempo ed il luogo di esecuzione (Cass. 3763/1998 cit.
"infra"), sicché l'esecuzione dell'obbligo di vestizione diventa
eterodiretta. Il tempo occorrente per indossare la divisa aziendale deve
essere retribuito, o non deve essere retribuito, a seconda della
disciplina contrattuale specifica: ove vi sia facoltà del lavoratore
circa il tempo ed il luogo (anche a casa) in cui indossarlo, fa parte
degli atti di diligenza preparatoria e non deve essere retribuito: ove
tale operazione sia eterodiretta dal datore di lavoro, che ne disciplina
il tempo ed il luogo di esecuzione, rientra nel lavoro effettivo e come
tale il tempo necessario deve essere retribuito" Cass. n. 15734 del
2003).
Applicati tali principi al caso di specie può invero osservarsi quanto segue.
Non sono contestate le circostanze in fatto relative all'indicazione
dei turni di lavoro, dei percorsi eseguiti, di individuazione degli
spogliatoi assegnati, degli orologi marcatempo utilizzati per timbrare e
dei reparti di assegnazione come indicati in ricorso.
E' quindi pacifico che:
- Lu.D'A. per il periodo oggetto di causa (...) abbia lavorato la
reparto zincatura a freddo, sia stato assegnato al secondo piano dello
spogliatoio "Oc." e abbia timbrato all'orologio marcatempo b/50;
- Fr.Co. per il periodo oggetto di causa (...) abbia lavorato la
reparto zincatura a freddo, sia stato assegnato al secondo piano dello
spogliatoio "Oc." e abbia timbrato all'orologio marcatempo b/50;
- Ma.Ca. per il periodo oggetto di causa (...) (...) abbia lavorato la
reparto Co. a caldo, sia stato assegnato al primo piano dello
spogliatoio "Ca." e abbia timbrato all'orologio marcatempo 13.
E' pacifico ancora che i dipendenti debbano presentarsi alla timbratura all'orologio marcatempo con divisa e dpi indossati.
E' pacifico che sia il datore di lavoro ad assegnare a ciascun
dipendente uno stipetto all'interno dello spogliatoio di riferimento.
E' invece contestato che i lavoratori debbano lasciare in azienda i
dispositivi di protezione, che i lavoratori siano obbligati ad indossare
in azienda gli abiti da lavoro o che abbiano obbligo di dismetterli
alla fine dell'orario, lasciandoli in azienda.
La tesi sostenuta dall'azienda circa la libertà di vestirsi/svestirsi
degli abiti a da lavoro e di indossare/dismettere i dpi anche a casa
risulta smentita dalle risultanze degli atti acquisiti da procedimenti
omologhi al presente.
Emerge infatti dagli atti del procedimento Ro./Il. e del procedimento
Mi./Il. (ed in particolare dal verbale di libero interrogatorio del
procuratore speciale di Il. acquisito in copia) come tale eventualità
sia solo un'eccezione al dato oggettivo che tuta e dpi vengano
normalmente indossati all'interno dello spogliatoio, prima di andare al
reparto e vengano normalmente dismessi nel medesimo spogliatoio dopo
aver finito il turno.
Non a caso per far uscire tali beni dall'azienda è necessaria avere una specifica autorizzazione da parte dell'azienda.
Risulta ammesso dal procuratore speciale della convenuta che senza tuta
e dpi non si può entrare in reparto ed iniziare le lavorazioni (cfr
verbali cause Mi.Fr./Il. e Ro.An., acquisiti in copia)
E' stato in particolare ammesso dal rappresentante dell'azienda che:
- la tuta non può essere portata a casa se non previa autorizzazione
del capo turno o comunque, in assenza del capoturno previa espletamento
di un apposita procedura, - nessuno dei dipendenti esce dallo
stabilimento indossando gli scarponi antinfortunistici che, per essere
conformi alle prescrizione di legge, non possono che essere rigidi,
pesanti e certamente non indicati per camminare per le strade della
città;
- gli scarponi, in ogni caso, non possono essere portati fuori se non previa autorizzazione;
- caschi guanti e occhiali non possono essere portati al di fuori dello stabilimento (cfr verbale di udienza della causa Mi.).
Deve quindi giungersi alla conclusione che gli indumenti debbano per
disposizione aziendale essere indossati all'interno dello stabilimento
nel luogo e nel momento individuato dal datore di lavoro a seconda della
proprie esigenze organizzative.
Se così non fosse, non si vede perché sarebbe necessaria
un'autorizzazione in senso contrario. Non può poi accogliersi la tesi
dell'azienda secondo la quale l'utilizzo dei dpi è imposto dalla legge e
non dal datore di lavoro, poiché, in realtà, l'imposizione di legge è
conseguenza della tipologia di attività produttiva scelta ed organizzata
dal datore di lavoro che la impone con l'assoggettamento a precisi
obblighi legislativi e non.
Il tempo necessario per indossare e dismettere la tuta e i dpi deve
quindi essere retribuito, trattandosi di attività etero diretta dal
datore di lavoro che ne ha disciplinato tempi e luoghi.
Non ostano in tal senso le previsioni contrattual - collettive citate
in ricorso e che prevedono che l'orario di lavoro sia solo quello
rilevato dagli orologi marcatempo nell'ambito del tetto massimo
ordinario di 40 ore.
La Cassazione, intervenuta a pronunciarsi ex art. 420 bis c.p.c. sulla
legittimità di tali clausole, ha statuito che: "L'art. 5 del contratto
collettivo nazionale per i lavoratori delle industrie meccaniche private
in data 8 giugno 1999 e del contratto collettivo nazionale delle
aziende meccaniche pubbliche aderenti all'In., nella parte in cui
prevede che "sono considerate ore di lavoro quelle di effettiva
prestazione", deve essere interpretato nel senso che siano da
ricomprendere nelle ore di lavoro effettivo, come tali da retribuire,
anche le attività preparatorie o successive allo svolgimento
dell'attività lavorativa, purché eterodirette dal datore di lavoro, fra
le quali deve ricomprendersi anche il tempo necessario ad indossare la
divisa aziendale, qualora il datore di lavoro ne disciplini il tempo ed
il luogo di esecuzione. Né può ritenersi incompatibile con tale
interpretazione la disposizione contenuta nell'art. 5 citato secondo la
quale "le ore di lavoro sono contate con l'orologio dello stabilimento o
reparto", posto che tale clausola non ha una funzione prescrittiva, ma
ha natura meramente ordinatoria e regolativa, ed è destinata a cedere a
fronte dell'eventuale ricomprensione nell'orario di lavoro di operazioni
preparatorie e/o integrative della prestazione lavorativa che siano,
rispettivamente, anteriori o posteriori alla timbratura dell'orologio
marcatempo" (Cassazione 2.7.2009 n. 15492).
Quindi la pattuizione collettiva secondo la quale le ore di lavoro sono
contate con l'orologio dello stabilimento o del reparto non incide
sulla disciplina dell'orario di lavoro.
Ai fini della quantificazione del tempo di vestizione pare necessario
prendere in considerazione, ai fini di obiettività di giudizio, un tempo
medio utilizzato dalla normalità dei lavoratori.
Non avendo allegato l'esistenza di particolare complessità
dell'operazione, ritiene questo Giudice che tale tempo debba essere
quantificato in via equitativa in 5 minuti per la vestizione e 5 per la
vestizione per ogni giorno di effettiva attività lavorativa.
Ritiene inoltre questo Giudice che anche il tempo impiegato per recarsi
dallo spogliatoio all'orologio marcatempo e viceversa debba essere
retribuito.
E' vero che per principio generale il tempo per recarsi sul luogo di
lavoro non costituisce l tempo di lavoro e non deve essere retribuito.
Vi sono però delle eccezioni: in primo luogo il lavoro nelle miniere o
nelle cave, in cui l'orario di lavoro si computa dall'ingresso al pozzo;
secondariamente quando il viaggio sia connaturato alla prestazione
lavorativa - come nel caso dell'attività di trasporto -; oppure nel caso
in cui il viaggio sia funzionale rispetto alla prestazione, come nel
caso in cui il lavoratore si di volta in volta dislocato in diverse
località per svolgervi la sua attività lavorativa (Cass. 22.3.2004 n.
5701); o infine quando sussista una diversa disposizione collettiva
(Cass. 8 marzo 190 n. 1878).
Come osservato da altro Giudice di questa Sezione "Nella specie la
predisposizione da parte dell'Il. di spogliatoi lontani dai reparti e
dagli orologi di reparto presso i quali si effettua la timbratura
costringe i lavoratori ad un ulteriore tempo di percorrenza funzionale
esclusivamente alle esigenze organizzative del'azienda (che lo si
rammenta non consente ai lavoratori di portare fuori dallo stabilimento
gli indumenti di lavoro se non previa autorizzazione del capo turno).
L'accentramento degli spogliatoi obbliga i lavoratori a percorrere un
ulteriore tratto di strada dallo spogliatoio fino agli orologi
marcatempo di reparto, non sempre (o meglio quasi mai) collocati in
prossimità dello spogliatoio.
La dislocazione degli orologi marcatempo nei punti sopra indicati (non
coincidenti con lo spogliatoio) è, come già detto, pacifica tra le
parti.
Ritiene il giudicante che questo tempo di percorrenza - reso necessario
dalla particolare organizzazione logistica che l'azienda ha inteso
darsi - debba essere retribuito" (Tribunale di Genova sent. n. 271/2010
est. Dott.ssa Sc.).
Per la quantificazione di tale maggior tempo di lavoro, sulla base di
precedenti CTU acquisite in atti, le parti hanno elaborato un conteggio
concordato circa i tempi impiegati nel compiere il tragitto spogliatoio -
orologio assegnato dai singoli ricorrenti.
Secondo tale conteggio, che deve essere fatto proprio dal questo
Giudice, il tempo di percorrenza di detto tragitto deve essere
quantificato in:
- Quanto a D'A.Lu. in 7 minuti e 16 secondi per l'andata e altrettanto
per il ritorno e ciò tenuto conto della seconda ipotesi, meritevole di
considerazione in quanto elaborata alla luce di criteri omogenei
(distanza fra spogliatoio ed orologio calcolato sulla cartografia in
atti secondo un percorso medio) a quelli utilizzati nella CTU;
- Quanto a Fr.Co. in 7 minuti e 11 secondi per l'andata e altrettanto
per il ritorno e ciò tenuto conto della seconda ipotesi, meritevole di
considerazione in quanto elaborata alla luce di criteri omogenei
(distanza fra spogliatoio ed orologio calcolato sulla cartografia in
atti secondo un percorso medio) a quelli utilizzati nella CTU;
- Quanto a Ma.Ca. in 2 minuti e 10 secondi per l'andata e altrettanto
per il ritorno; Ne deriva che in capo ai ricorrenti va riconosciuto il
diritto alla maggiorazione a titolo di lavoro straordinario di 20 minuti
giornalieri (considerati 10 minuti per la vestizione e 10 per il
percorso spogliatoio orologio e viceversa).
Ne consegue che il lavoro prestato dai ricorrenti oltre il normale
orario di lavoro in ogni giorno di effettiva presenza deve essere
quantificato in:
- Quanto a D'A.Lu. 24 minuti e 32 secondi (10 minuti + 7 minuti e 16
secondo + 7 minuti e 16 secondi) da arrotondarsi per eccesso a 25 minuti
complessivi;
- Quanto a Fr.Co. e così per un tempo complessivo di 24 minuti e 22
secondi (10 minuti + 7 minuti e 11 secondo + 7 minuti e 11 secondi) da
arrotondarsi per difetto in 24 minuti complessivi;
- Quanto a Ma.Ca. e così per un tempo complessivo di 14 minuti e 20
secondi (10 minuti + 2 minuti e 10 secondi + 2 minuti e 10 secondi) da
arrotondarsi per difetto in 14 minuti complessivi.
I tempi riconosciuti vanno considerati unicamente per i giorni di
effettiva attività e devono essere retribuiti, tenendo conto della
maggiorazione per lavoro straordinario prevista dal CCNL applicabile.
Quanto all'incidenza del compenso per lavoro straordinario e sulla
retribuzione spettante per ferie e tredicesima mensilità, viene in
rilievo la disciplina stabilita dagli artt. 12 e 13 disciplina speciale
Parte III CCNL - Metalmeccanici di Settore Privato dell'8 giugno 1999
applicato da ILVA a decorrere dall'1 luglio 1999 ed avente efficacia per
la parte normativa sino al 31.12.2002 - e quindi ratione temporis
applicabile alle domande in causa - secondo i quali "durante il periodo
di ferie decorre la retribuzione globale di fatto".
Inoltre "l'azienda è tenuta a corrispondere per ciascun anno al
lavoratore di cui alla presente Parte Terza, in occasione della
ricorrente natalizia, un tredicesima mensilità di importo ragguagliato
all'intera retribuzione di fatto percepita" (art. 13).
Poiché dunque la contrattazione collettiva del settore per il calcolo
della retribuzione spettante per le ferie e per la tredicesima mensilità
fa riferimento alla retribuzione globale di fatto e poiché nella specie
il lavoro straordinario è fisso e continuativo, i compensi per il 1
lavoro straordinario risultano utili ai fini del calcolo dei due
istituti in questione.
Per la quantificazione dei crediti così riconosciuti ai ricorrenti
sulla base dei criteri che precedono deve farsi riferimento ai conteggi
concordati depositati in atti e riportati nel totale rispettivo di
ciascuna deposizione in dispositivo.
Sui crediti dei ricorrenti spettano ex art. 429 c.p.c. la rivalutazione
monetaria ed interessi legali sul capitale annualmente rivalutato dalle
singole maturazioni al saldo. Le spese di lite seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Il Giudice, definitivamente pronunciando:
1) dichiara il diritto dei ricorrenti ad essere compensati, con
applicazione della maggiorazione contrattualmente prevista per il lavoro
straordinario, con incidenza di tali maggiori compensi sulla
retribuzione dovuta per le ferie e la tredicesima, quantificati in 25
minuti per Lu.D'A., 24 minuti per Fr.Co. e 14 minuti per Ma.Ca. per ogni
giorno di effettiva presenza al lavoro;
2) condanna Il. S.p.A. in persona del legale rappresentante pro -
tempore al pagamento in favore dei ricorrenti a titolo di lavoro
straordinario, differenze sui ratei ai XIII mensilità e ferie, oltre
interessi e rivalutazione monetaria dal giorno della presente sentenza
sino al saldo, dei seguenti importi:
- quanto a Lu.D'A. Euro 6.429,59 di cui Euro 4.202,96 a titolo di
capitale e Euro 986,95 a titolo di rivalutazione monetaria e Euro
1.239,68 a titolo di interessi legali maturati sino al 27.9.2011;
- quanto a Fr.Co. Euro 6.094,61 di cui Euro 4.029,41 a titolo di
capitale e Euro 914,27 a titolo di rivalutazione monetaria e Euro
1.150,93 a titolo di interessi legali maturati sino al 27.9.2011;
- quanto a Ma.Ca. Euro 749,18 di cui Euro 466,10 a titolo di
capitale e Euro 126.07 A titolo di rivalutazione monetaria e Euro 157,01
a titolo di interessi legali.
3) condanna altresì Il. S.p.A. in persona del legale rappresentante
pro - tempore al pagamento in favore dei ricorrenti delle spese di lite
quantificate in Euro 2.200,00 per diritti, Euro 3.300,00 per onorari,
oltre spese generali, oltre IVA e CPA, con distrazione in favore degli
avv.ti, antistatari, S. e F.Fo. limitatamente alla posizione di Lu.D'A.
per l'importo di Euro 700,00 per diritti e Euro 1.100,00 per onorari.