lunedì 30 gennaio 2012

Il tempo necessario per indossare la divisa deve essere retribuito

Tribunale di Genova - Sezione Lavoro
Sentenza 27 settembre 2011, n. 1401

Svolgimento del processo - Motivi della decisione
Il Giudice monocratico, in persona dello dott.ssa Francesca Maria Parodi, pronuncia la seguente sentenza definitiva, dando lettura della motivazione e del dispositivo ai sensi dell'art. 429 c.p.c.
Lu.D'A., Fr.Co., Ma.Ca. convenivano in giudizio l'Il. S.p.A. per sentir accertare il loro diritto a vedersi computare nel normale orario di lavoro, con la maggiorazione per il lavoro straordinario, il tempo da loro impiegato per indossare tuta di lavoro e dpi presso lo spogliatoio assegnato, quindi recarsi all'orologio marcatempo del relativo reparto e compiere l'operazione inversa a fine servizio.
Richiamavano a tal fine la normativa nazionale e comunitaria in materia di orario di lavoro, nonché la giurisprudenza di legittimità e di merito in ordine alla riconducibilità all'orario di lavoro di ogni attività, anche preparatoria, purché etero - diretta dal datore di lavoro.
Poiché Il. S.p.A. aveva stabilito il numero e la dislocazione dei reparti, il numero e la dislocazione degli spogliatoi, l'organizzazione degli stessi e del servizio di trasporto all'interno dello stabilimento, nonché aveva imposto a tutti i lavoratori l'obbligo di vestizione e vestizione in Azienda della tuta e dei dpi e l'obbligo di conservazione degli stessi all'interno di uno specifico armadietto, personalmente assegnato ad ogni lavoratore, non poteva che concludersi per la riconducibilità del c.d. tempo tuta e del tempo impiegati dai lavoratori per recarsi dallo spogliatoio all'orologio di reparto riconducibile nell'ambito dell'orario di lavoro retribuibile.
Chiedevano che questo maggior orario lavorato venisse remunerato con la maggiorazione prevista per il lavoro straordinario e fosse computato anche ai fini della retribuzione di ferie, 13esima mensilità secondo la disciplina del ccnl applicabile.
Si costituiva Il. S.p.A., chiedendo il rigetto del ricorso, contestando che i lavoratori, sia nel tempo per recarsi allo spogliatoio (e viceversa) sia per il tempo di vestizione/vestizione dei i dpi, siano a disposizione del datore di lavoro, non essendo in alcun modo assoggettati al suo potere gerarchico e direttivo, con la conseguenza che tali attività non potevano essere considerate tempo di lavoro effettivo ai sensi dell'art. 5 n. 2 de r.d.l. n. 1955/23 e quindi remunerate per come invece richiesto.
E ciò in conformità alla la stessa contrattazione collettiva applicabile (sia l'art. 5 comma 9 del ccnl 9.7.1994 sia l'art. 5 CCNL industria metalmeccanica privata applicata a decorrere dall'1.7.1999) che considerano ore di lavoro solo quelle di effettiva prestazione.
Sulla base di tali difese la causa è stata decisa, senza necessità di istruttoria, previa acquisizione dei verbali di interrogatorio delle parti reso in altre cause omologhe (Mi.Fr./Il. rg. 2444/2008 e Ro./Il. S.p.A. rg. 2799/2006, Uv./Ma. rg. 9313/2004 Tribunale Milano acquisizione di copia delle CTU effettuate nell'ambito delle cause Am. + 15 e Ca.Gi. + 13 circa la quantificazione dei tempi di maggior lavoro oggetto di ricorso.
Veniva depositato conteggio concordato circa i tempi di lavoro oggetto di ricorso secondo i parametri individuati con ordinanza 22.3.2011, nonché quantificazione concordata degli importi spettanti ai ricorrenti.
Il ricorso è fondato e merita accoglimento nei limiti che seguono.
I ricorrenti chiedono il pagamento a titolo di straordinario (in quanto tempo eccedente le 40 ore lavorative), incidenza su ferie e XIII del tempo di lavoro impiegato per indossare la tuta ed i dispositivi di protezione individuale presso lo spogliatoio loro assegnato e per i tempi necessari a compiere, a fine turno, le operazioni inverse, nonché per il tempo impiegato per recarsi dallo spogliatoio di competenza sino all'orologio marcatempo di reparto, orologio ove gli stessi timbravano in entrata ed in uscita dal reparto di assegnazione.
Oggetto della causa è verificare se detti tempi siano o meno considerabili tempi di lavoro e quindi da retribuire.
La disciplina legislativa in materia è costituita innanzitutto dal R.D.L. 629/1923, il quale all'art. 3 precisa che "E' considerato lavoro effettivo ai sensi del presente decreto ogni lavoro che richieda un'applicazione assidua e continuativa".
Prevede poi l'art. 5 del R.D. n. 1955/1923 (regolamento per l'applicazione del RDL 629/1923) che "non si considerano come lavoro effettivo: ... 2) il tempo impiegato per recarsi sul posto di lavoro".
Rientrano nell'ambito del lavoro effettivo ex art. 6 RDL 692/23 anche "i lavori preparatori e complementari che debbano eseguirsi al di fuori dell'orario normale delle aziende". "Costituiscono lavori preparatori e complementari rientranti nell'orario di servizio, quelli che siano strettamente necessari per predisporre il funzionamento degli impianti e dei mezzi di lavoro, per apprestare materie prime, per la pulizia, per l'ultimazione e lo sgombro dei prodotti ed in genere tutti gli altri servizi indispensabili ad assicurare la regolare ripresa e cessazione del lavoro nelle industrie a funzionamento non continuativo, limitatamente al personale addetto a tali lavori".
Ai sensi dell'art. 2 punto 1 della Direttiva 23 novembre 1993 n. 93/104 del Consiglio dell'Unione Europea rientra nell'orario di lavoro" qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al disposizione del datore di lavoro e nell'esercizio della sua attività o delle sue funzioni".
Il legislatore nazionale ha recepito tale direttiva con il D.Lgs. 8 aprile 2003 n. 66, il quale all'art. 1 co. 2 lett. a) prevede omologa disposizione e all'art. 8 conferma che il tempo impiegato dal lavoratore per recarsi sul luogo di lavoro deve ritenersi escluso dal concetto di orario di lavoro.
Statuisce la Cassazione: "L'art. 3 del R.D.L. 15 marzo 1923 n. 692 definisce come lavoro effettivo ogni lavoro che richieda un'applicazione assidua e continuativa; tale definizione, apparentemente rigorosa ed inflessibile; va interpretata sistematicamente con le restanti norme della stessa legge e del suo regolamento attuativo del R.D. 10 settembre 1923, n. 1955. Costituiscono lavoro effettivo, a norma dell'art. 5, n. 3, del R.D. n. 1955 del 1923, le pause interne alla prestazione (diverse dalle pause intermedie tra archi temporali della prestazione, previste da alcuni contratti collettivi, su cui "infra") inferiori a dieci minuti, ed anche le soste superiori a; quindici minuti, nei lavori molto faticosi, in quanto necessarie per ristorare le energie fisiche per riprendere il lavoro.
Pertanto, come precisato anche dalla dottrina, l'espressione "lavoro effettivo" deve essere inteso come sinonimo di prestazione lavorativa, comprendendovi anche i periodi di mera attesa o quelli nei quali non sia richiesta al lavoratore una attività assorbente, bensì soltanto un tenersi costantemente a disposizione del datore di lavoro; restano pertanto esclusi dal "lavoro effettivo" soltanto gli intervalli di tempo dei quali il lavoratore abbia la piena disponibilità. Così intesa la nozione di lavoro effettivo, l'art. 3 del R.D.L. 15 marzo 1923 n. 692 non preclude che il tempo impiegato per indossare la divisa sia considerato lavoro effettivo. Vero è che l'atto di indossare la divisa, in quanto antecedente all'inizio della prestazione lavorativa e funzionale alla sua corretta esecuzione, va inquadrato non tra le pause lavorative, bensì tra le attività preparatorie.
Queste vanno distinte tra remote e dirette.
Certamente costituisce attività preparatoria il tragitto necessario per recarsi sul posto di lavoro ed iniziare l'attività lavorativa, ma il tempo richiesto per tale operazione non costituisce lavoro effettivo, a norma dell'art. 5, n. 2, del R.D. 10 settembre 1923, n. 1955, la cui espressa previsione testimonia l'esistenza del dilemma. Per le attività preparatorie dirette il discrimine è costituito dalla disciplina contrattuale del caso concreto. Vi è una serie di obblighi di preparazione all'esecuzione del contratto, i quali rappresentano l'emersione a livello giuridico di obblighi comportamentali di nutrice culturale e sociale. La partecipazione della persona a qualsiasi evento sociale richiede una preparazione e presentazione appropriata alla natura dell'evento. Diverso, ad es., è l'abbigliamento che si richiede per la partecipazione ad una cerimonia, a un matrimonio, ad un funerale, ad un pubblica riconoscimento, ad una premiazione, ad una cena sociale, ad una festa da ballo, ad uno stabilimento balneare, etc., tanto che in alcune circostanze l'invito contiene anche, tra gli altri dati necessari per la partecipazione, anche la prescrizione dell'abbigliamento ammesso. Tale dato di costume assume un rilievo giuridico nel momento in cui attiene all'esecuzione di un contratto di lavoro. Un adeguato riposo prima della prestazione lavorativa, la cura dell'igiene e della presentazione della persona, l'abbigliamento appropriato alle mansioni da svolgere, sono tutti obblighi che attengono alla esecuzione della prestazione (ed alla sua accettazione da parte del creditore) ma che, come correttamente statuito dalla sentenza impugnata, non costituiscono di per sé prestazione, ma vanno qualificati come atti di diligenza preparatoria, che non richiedono apposita retribuzione finché si mantengono nei limiti della normalità socio - culturale. E benché la nozione di normalità non sia un concetto giuridico molto rigoroso, sicuramente è tale l'obbligo contrattuale motivato di indossare un vestito piuttosto che un altro. Nel caso di specie il ricorrente non contesta le circostanze di fatto accertate dalla sentenza impugnata: l'uso della divisa da sorvegliante Fiat era obbligatoria, ma il lavoratore aveva facoltà, prima di uscire di casa, di indossare, in luogo dell'abito borghese, la divisa, alla pari di A una guardia giurata, di un agente delle forze dell'ordine, etc. L'atto di vestizione in tali condizioni non costituisce lavoro effettivo e non dà diritto a retribuzione".
Da tale situazione vanno distinti due gruppi di situazioni: a) l'obbligo di vestizione di particolari protezioni tecniche, o di particolare ed impegnativa cura dell'immagine; b) l'obbligo di vestizione di normali divise, ma con pregnanti disposizioni del datore di lavoro circa il tempo ed il luogo di esecuzione (Cass. 3763/1998 cit. "infra"), sicché l'esecuzione dell'obbligo di vestizione diventa eterodiretta. Il tempo occorrente per indossare la divisa aziendale deve essere retribuito, o non deve essere retribuito, a seconda della disciplina contrattuale specifica: ove vi sia facoltà del lavoratore circa il tempo ed il luogo (anche a casa) in cui indossarlo, fa parte degli atti di diligenza preparatoria e non deve essere retribuito: ove tale operazione sia eterodiretta dal datore di lavoro, che ne disciplina il tempo ed il luogo di esecuzione, rientra nel lavoro effettivo e come tale il tempo necessario deve essere retribuito" Cass. n. 15734 del 2003).
Applicati tali principi al caso di specie può invero osservarsi quanto segue.
Non sono contestate le circostanze in fatto relative all'indicazione dei turni di lavoro, dei percorsi eseguiti, di individuazione degli spogliatoi assegnati, degli orologi marcatempo utilizzati per timbrare e dei reparti di assegnazione come indicati in ricorso.
E' quindi pacifico che:
- Lu.D'A. per il periodo oggetto di causa (...) abbia lavorato la reparto zincatura a freddo, sia stato assegnato al secondo piano dello spogliatoio "Oc." e abbia timbrato all'orologio marcatempo b/50;
- Fr.Co. per il periodo oggetto di causa (...) abbia lavorato la reparto zincatura a freddo, sia stato assegnato al secondo piano dello spogliatoio "Oc." e abbia timbrato all'orologio marcatempo b/50;
- Ma.Ca. per il periodo oggetto di causa (...) (...) abbia lavorato la reparto Co. a caldo, sia stato assegnato al primo piano dello spogliatoio "Ca." e abbia timbrato all'orologio marcatempo 13.
E' pacifico ancora che i dipendenti debbano presentarsi alla timbratura all'orologio marcatempo con divisa e dpi indossati.
E' pacifico che sia il datore di lavoro ad assegnare a ciascun dipendente uno stipetto all'interno dello spogliatoio di riferimento.
E' invece contestato che i lavoratori debbano lasciare in azienda i dispositivi di protezione, che i lavoratori siano obbligati ad indossare in azienda gli abiti da lavoro o che abbiano obbligo di dismetterli alla fine dell'orario, lasciandoli in azienda.
La tesi sostenuta dall'azienda circa la libertà di vestirsi/svestirsi degli abiti a da lavoro e di indossare/dismettere i dpi anche a casa risulta smentita dalle risultanze degli atti acquisiti da procedimenti omologhi al presente.
Emerge infatti dagli atti del procedimento Ro./Il. e del procedimento Mi./Il. (ed in particolare dal verbale di libero interrogatorio del procuratore speciale di Il. acquisito in copia) come tale eventualità sia solo un'eccezione al dato oggettivo che tuta e dpi vengano normalmente indossati all'interno dello spogliatoio, prima di andare al reparto e vengano normalmente dismessi nel medesimo spogliatoio dopo aver finito il turno.
Non a caso per far uscire tali beni dall'azienda è necessaria avere una specifica autorizzazione da parte dell'azienda.
Risulta ammesso dal procuratore speciale della convenuta che senza tuta e dpi non si può entrare in reparto ed iniziare le lavorazioni (cfr verbali cause Mi.Fr./Il. e Ro.An., acquisiti in copia)
E' stato in particolare ammesso dal rappresentante dell'azienda che:
- la tuta non può essere portata a casa se non previa autorizzazione del capo turno o comunque, in assenza del capoturno previa espletamento di un apposita procedura, - nessuno dei dipendenti esce dallo stabilimento indossando gli scarponi antinfortunistici che, per essere conformi alle prescrizione di legge, non possono che essere rigidi, pesanti e certamente non indicati per camminare per le strade della città;
- gli scarponi, in ogni caso, non possono essere portati fuori se non previa autorizzazione;
- caschi guanti e occhiali non possono essere portati al di fuori dello stabilimento (cfr verbale di udienza della causa Mi.).
Deve quindi giungersi alla conclusione che gli indumenti debbano per disposizione aziendale essere indossati all'interno dello stabilimento nel luogo e nel momento individuato dal datore di lavoro a seconda della proprie esigenze organizzative.
Se così non fosse, non si vede perché sarebbe necessaria un'autorizzazione in senso contrario. Non può poi accogliersi la tesi dell'azienda secondo la quale l'utilizzo dei dpi è imposto dalla legge e non dal datore di lavoro, poiché, in realtà, l'imposizione di legge è conseguenza della tipologia di attività produttiva scelta ed organizzata dal datore di lavoro che la impone con l'assoggettamento a precisi obblighi legislativi e non.
Il tempo necessario per indossare e dismettere la tuta e i dpi deve quindi essere retribuito, trattandosi di attività etero diretta dal datore di lavoro che ne ha disciplinato tempi e luoghi.
Non ostano in tal senso le previsioni contrattual - collettive citate in ricorso e che prevedono che l'orario di lavoro sia solo quello rilevato dagli orologi marcatempo nell'ambito del tetto massimo ordinario di 40 ore.
La Cassazione, intervenuta a pronunciarsi ex art. 420 bis c.p.c. sulla legittimità di tali clausole, ha statuito che: "L'art. 5 del contratto collettivo nazionale per i lavoratori delle industrie meccaniche private in data 8 giugno 1999 e del contratto collettivo nazionale delle aziende meccaniche pubbliche aderenti all'In., nella parte in cui prevede che "sono considerate ore di lavoro quelle di effettiva prestazione", deve essere interpretato nel senso che siano da ricomprendere nelle ore di lavoro effettivo, come tali da retribuire, anche le attività preparatorie o successive allo svolgimento dell'attività lavorativa, purché eterodirette dal datore di lavoro, fra le quali deve ricomprendersi anche il tempo necessario ad indossare la divisa aziendale, qualora il datore di lavoro ne disciplini il tempo ed il luogo di esecuzione. Né può ritenersi incompatibile con tale interpretazione la disposizione contenuta nell'art. 5 citato secondo la quale "le ore di lavoro sono contate con l'orologio dello stabilimento o reparto", posto che tale clausola non ha una funzione prescrittiva, ma ha natura meramente ordinatoria e regolativa, ed è destinata a cedere a fronte dell'eventuale ricomprensione nell'orario di lavoro di operazioni preparatorie e/o integrative della prestazione lavorativa che siano, rispettivamente, anteriori o posteriori alla timbratura dell'orologio marcatempo" (Cassazione 2.7.2009 n. 15492).
Quindi la pattuizione collettiva secondo la quale le ore di lavoro sono contate con l'orologio dello stabilimento o del reparto non incide sulla disciplina dell'orario di lavoro.
Ai fini della quantificazione del tempo di vestizione pare necessario prendere in considerazione, ai fini di obiettività di giudizio, un tempo medio utilizzato dalla normalità dei lavoratori.
Non avendo allegato l'esistenza di particolare complessità dell'operazione, ritiene questo Giudice che tale tempo debba essere quantificato in via equitativa in 5 minuti per la vestizione e 5 per la vestizione per ogni giorno di effettiva attività lavorativa.
Ritiene inoltre questo Giudice che anche il tempo impiegato per recarsi dallo spogliatoio all'orologio marcatempo e viceversa debba essere retribuito.
E' vero che per principio generale il tempo per recarsi sul luogo di lavoro non costituisce l tempo di lavoro e non deve essere retribuito.
Vi sono però delle eccezioni: in primo luogo il lavoro nelle miniere o nelle cave, in cui l'orario di lavoro si computa dall'ingresso al pozzo; secondariamente quando il viaggio sia connaturato alla prestazione lavorativa - come nel caso dell'attività di trasporto -; oppure nel caso in cui il viaggio sia funzionale rispetto alla prestazione, come nel caso in cui il lavoratore si di volta in volta dislocato in diverse località per svolgervi la sua attività lavorativa (Cass. 22.3.2004 n. 5701); o infine quando sussista una diversa disposizione collettiva (Cass. 8 marzo 190 n. 1878).
Come osservato da altro Giudice di questa Sezione "Nella specie la predisposizione da parte dell'Il. di spogliatoi lontani dai reparti e dagli orologi di reparto presso i quali si effettua la timbratura costringe i lavoratori ad un ulteriore tempo di percorrenza funzionale esclusivamente alle esigenze organizzative del'azienda (che lo si rammenta non consente ai lavoratori di portare fuori dallo stabilimento gli indumenti di lavoro se non previa autorizzazione del capo turno).
L'accentramento degli spogliatoi obbliga i lavoratori a percorrere un ulteriore tratto di strada dallo spogliatoio fino agli orologi marcatempo di reparto, non sempre (o meglio quasi mai) collocati in prossimità dello spogliatoio.
La dislocazione degli orologi marcatempo nei punti sopra indicati (non coincidenti con lo spogliatoio) è, come già detto, pacifica tra le parti.
Ritiene il giudicante che questo tempo di percorrenza - reso necessario dalla particolare organizzazione logistica che l'azienda ha inteso darsi - debba essere retribuito" (Tribunale di Genova sent. n. 271/2010 est. Dott.ssa Sc.).
Per la quantificazione di tale maggior tempo di lavoro, sulla base di precedenti CTU acquisite in atti, le parti hanno elaborato un conteggio concordato circa i tempi impiegati nel compiere il tragitto spogliatoio - orologio assegnato dai singoli ricorrenti.
Secondo tale conteggio, che deve essere fatto proprio dal questo Giudice, il tempo di percorrenza di detto tragitto deve essere quantificato in:
- Quanto a D'A.Lu. in 7 minuti e 16 secondi per l'andata e altrettanto per il ritorno e ciò tenuto conto della seconda ipotesi, meritevole di considerazione in quanto elaborata alla luce di criteri omogenei (distanza fra spogliatoio ed orologio calcolato sulla cartografia in atti secondo un percorso medio) a quelli utilizzati nella CTU;
- Quanto a Fr.Co. in 7 minuti e 11 secondi per l'andata e altrettanto per il ritorno e ciò tenuto conto della seconda ipotesi, meritevole di considerazione in quanto elaborata alla luce di criteri omogenei (distanza fra spogliatoio ed orologio calcolato sulla cartografia in atti secondo un percorso medio) a quelli utilizzati nella CTU;
- Quanto a Ma.Ca. in 2 minuti e 10 secondi per l'andata e altrettanto per il ritorno; Ne deriva che in capo ai ricorrenti va riconosciuto il diritto alla maggiorazione a titolo di lavoro straordinario di 20 minuti giornalieri (considerati 10 minuti per la vestizione e 10 per il percorso spogliatoio orologio e viceversa).
Ne consegue che il lavoro prestato dai ricorrenti oltre il normale orario di lavoro in ogni giorno di effettiva presenza deve essere quantificato in:
- Quanto a D'A.Lu. 24 minuti e 32 secondi (10 minuti + 7 minuti e 16 secondo + 7 minuti e 16 secondi) da arrotondarsi per eccesso a 25 minuti complessivi;
- Quanto a Fr.Co. e così per un tempo complessivo di 24 minuti e 22 secondi (10 minuti + 7 minuti e 11 secondo + 7 minuti e 11 secondi) da arrotondarsi per difetto in 24 minuti complessivi;
- Quanto a Ma.Ca. e così per un tempo complessivo di 14 minuti e 20 secondi (10 minuti + 2 minuti e 10 secondi + 2 minuti e 10 secondi) da arrotondarsi per difetto in 14 minuti complessivi.
I tempi riconosciuti vanno considerati unicamente per i giorni di effettiva attività e devono essere retribuiti, tenendo conto della maggiorazione per lavoro straordinario prevista dal CCNL applicabile.
Quanto all'incidenza del compenso per lavoro straordinario e sulla retribuzione spettante per ferie e tredicesima mensilità, viene in rilievo la disciplina stabilita dagli artt. 12 e 13 disciplina speciale Parte III CCNL - Metalmeccanici di Settore Privato dell'8 giugno 1999 applicato da ILVA a decorrere dall'1 luglio 1999 ed avente efficacia per la parte normativa sino al 31.12.2002 - e quindi ratione temporis applicabile alle domande in causa - secondo i quali "durante il periodo di ferie decorre la retribuzione globale di fatto".
Inoltre "l'azienda è tenuta a corrispondere per ciascun anno al lavoratore di cui alla presente Parte Terza, in occasione della ricorrente natalizia, un tredicesima mensilità di importo ragguagliato all'intera retribuzione di fatto percepita" (art. 13).
Poiché dunque la contrattazione collettiva del settore per il calcolo della retribuzione spettante per le ferie e per la tredicesima mensilità fa riferimento alla retribuzione globale di fatto e poiché nella specie il lavoro straordinario è fisso e continuativo, i compensi per il 1 lavoro straordinario risultano utili ai fini del calcolo dei due istituti in questione.
Per la quantificazione dei crediti così riconosciuti ai ricorrenti sulla base dei criteri che precedono deve farsi riferimento ai conteggi concordati depositati in atti e riportati nel totale rispettivo di ciascuna deposizione in dispositivo.
Sui crediti dei ricorrenti spettano ex art. 429 c.p.c. la rivalutazione monetaria ed interessi legali sul capitale annualmente rivalutato dalle singole maturazioni al saldo. Le spese di lite seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Il Giudice, definitivamente pronunciando:
1) dichiara il diritto dei ricorrenti ad essere compensati, con applicazione della maggiorazione contrattualmente prevista per il lavoro straordinario, con incidenza di tali maggiori compensi sulla retribuzione dovuta per le ferie e la tredicesima, quantificati in 25 minuti per Lu.D'A., 24 minuti per Fr.Co. e 14 minuti per Ma.Ca. per ogni giorno di effettiva presenza al lavoro;
2) condanna Il. S.p.A. in persona del legale rappresentante pro - tempore al pagamento in favore dei ricorrenti a titolo di lavoro straordinario, differenze sui ratei ai XIII mensilità e ferie, oltre interessi e rivalutazione monetaria dal giorno della presente sentenza sino al saldo, dei seguenti importi:
- quanto a Lu.D'A. Euro 6.429,59 di cui Euro 4.202,96 a titolo di capitale e Euro 986,95 a titolo di rivalutazione monetaria e Euro 1.239,68 a titolo di interessi legali maturati sino al 27.9.2011;
- quanto a Fr.Co. Euro 6.094,61 di cui Euro 4.029,41 a titolo di capitale e Euro 914,27 a titolo di rivalutazione monetaria e Euro 1.150,93 a titolo di interessi legali maturati sino al 27.9.2011;
- quanto a Ma.Ca. Euro 749,18 di cui Euro 466,10 a titolo di capitale e Euro 126.07 A titolo di rivalutazione monetaria e Euro 157,01 a titolo di interessi legali.
3) condanna altresì Il. S.p.A. in persona del legale rappresentante pro - tempore al pagamento in favore dei ricorrenti delle spese di lite quantificate in Euro 2.200,00 per diritti, Euro 3.300,00 per onorari, oltre spese generali, oltre IVA e CPA, con distrazione in favore degli avv.ti, antistatari, S. e F.Fo. limitatamente alla posizione di Lu.D'A. per l'importo di Euro 700,00 per diritti e Euro 1.100,00 per onorari.