Con l'entrata in vigore del contributo unificato è stato previsto che in caso di controversia avente valore indeterminabile si corrisponde il contributo per l'importo di euro 120. È il caso, chiarito in passato dal ministero dell'Economia, delle operazioni catastali (intestazioni, classamenti eccetera) e del ricorso contro il diniego di iscrizione o la cancellazione dal l'anagrafe delle Onlus.
Fermi e ipoteche
Tuttavia, fino ad ora, nulla era stato detto in merito ad altre frequenti controversie quali, ad esempio, i ricorsi contro fermi amministrativi e le ipoteche, per i quali era sorto il dubbio se dovessero scontare il contributo in misura fissa ovvero osservando altri parametri.
Rispondendo nel corso del Telefisco il Ministero ha precisato che, in ipotesi di impugnazione dell'avviso di fermo amministrativo e di ipoteca, occorre fare riferimento al valore dei crediti tributari elencati nella comunicazione del fermo o dell'ipoteca. In particolare, il Dipartimento delle Finanze, dopo aver premesso che l'avviso di fermo e l'iscrizione di ipoteca sono atti prodromici alla riscossione coattiva dei crediti tributari, e che detti atti sono impugnabili innanzi alle Commissioni tributarie, ha chiarito che ai fini della quantificazione del contributo unificato occorre tener conto del valore dei soli crediti tributari elencati nella comunicazione del fermo o dell'ipoteca.
Pertanto, nel valore della controversia non devono essere inclusi i crediti di altra natura, quali, ad esempio, quelli previdenziali e quelli derivanti dalle violazioni del Codice della strada, ancorché detti crediti concorrano a formare il valore complessivo posto a base della misura cautelare.
Qualora il fermo e l'ipoteca siano stati, invece, iscritti con riguardo a più cartelle di pagamento, ma impugnati per presunti vizi afferenti solo ad alcune di esse, il valore della controversia sarà quello correlato ai "crediti tributari" elencati nelle sole cartelle che il ricorrente ritiene viziate.
L'appello
Il Ministero ha poi fornito un altro interessante chiarimento che concerne i casi in cui, in sede di appello, la somma del valore dell'appello principale e di quello incidentale rientrano nel medesimo scaglione
Più in particolare è stato posto il seguente esempio: valore controversia 200mila euro (contributo unificato di 500 euro, scaglione da 75mila euro a 200mila euro), l'amministrazione appella la sentenza di primo grado per un valore di 120mila euro "prenotando" a debito 500 euro di contributo unificato, il contribuente presenta appello incidentale per 80mila euro.
È stato quindi chiesto se il contribuente debba versare o meno il contributo di 500 euro per la sua parte, atteso che rientra nel medesimo scaglione per il quale già ha prenotato a debito il contributo l'amministrazione appellante
La risposta del Mef chiarisce che il contribuente è comunque tenuto (per un valore di 80mila euro), a versare il contributo unificato commisurato alla parte del valore della sentenza di primo grado (80mila euro) oggetto dell'impugnativa.
Secondo il Dipartimento tale soluzione è conforme alla ratio della norma che obbliga anche l'appellante incidentale al pagamento del contributo unificato, in quanto risulta ampliato il thema decidendum (ndr: il materiale sul quale il giudice si troverà a decidere) della controversia.
Sul punto occorre sottolineare che certamente il thema decidendum è ampliato ma esso rientra sempre in uno scaglione per il quale il contributo unificato è stato già corrisposto. In sostanza, sotto il profilo del valore della controversia, non vi è un ampliamento in quanto l'appello incidentale, proposto dal contribuente, concerne un importo che comunque rientra nello stesso scaglione.
Alla luce di tale interpretazione, benché il valore complessivo della causa sia di 200mila euro, alla fine l'erario incassa non il contributo previsto dallo scaglione (500 euro) ma esattamente il doppio (mille euro) solo perché l'appello ha riguardato due parti differenti. La soluzione appare obiettivamente opinabile: basti pensare che se l'appello fosse stato proposto soltanto da una parte ma per l'importo complessivo (nell'esempio 200mila euro) avrebbe pagato 500 euro e non mille.
FONTE: http://www.ilsole24ore.com
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La Commissione tributaria di Bari impone a Equitalia di evitare gli eccessi di cautela
Il fermo e l'ipoteca mai insieme
Sullo stesso bene non possono coesistere le due misure
In realtà, la legge non prevede che una misura esecutiva escluda l'altra. Tuttavia, in un periodo di crisi sarebbe meglio non calcare la mano sui contribuenti inadempienti. Del resto, è questo il motivo per cui il legislatore con il dl sviluppo (70/2011) ha ampliato le garanzie per i debitori del Fisco. In particolare, viene posto un freno ai provvedimenti invasivi come il fermo amministrativo e le iscrizioni ipotecarie. Gli esattori, infatti, sono tenuti a inviare preventivamente due solleciti di pagamento prima di adottare azioni esecutive e cautelari nel caso in cui i crediti da riscuotere non siano superiori a 2 mila euro. Quindi, essendo il fermo dei beni mobili (autoveicoli, barche, aeromobili e così via) una misura cautelare non è possibile adottarla qualora non venga preceduta dall'invio, mediante posta ordinaria, di due solleciti di pagamento, il secondo dei quali decorsi almeno sei mesi dalla spedizione del primo. Inoltre, per il fermo amministrativo iscritto su beni mobili registrati il contribuente non è più tenuto ex lege a pagare nulla né a Equitalia né all'Aci/Pra per la cancellazione del provvedimento dai pubblici registri. Questa regola vale sia quando la cancellazione viene disposta in seguito a un'attività di riesame del provvedimento e di conseguente annullamento, sia quando i giudici dichiarano illegittimo il provvedimento.
Il concessionario, poi, non può iscrivere ipoteca sugli immobili del debitore e, per l'effetto, procedere a esecuzione forzata nel caso in cui l'importo complessivo del credito sia inferiore complessivamente a: 20 mila euro, se la pretesa iscritta a ruolo sia contestata in giudizio o sia ancora contestabile in sede processuale e il debitore sia proprietario dell'unità immobiliare adibita ad abitazione principale; 8 mila euro in tutti gli altri casi.
FONTE:Italia Oggi