di Edoardo Nicola Fragale e Alessandra Stalteri |
Sabato 31 Dicembre 2011 13:53 |
1. Cenni introduttivi.
Come reso evidente dal titolo della sua rubrica (“Riduzioni delle spese non rimodulabili dei Ministeri”), l’art. 4 della legge di stabilità per l’anno 2012 (l. 12 novembre 2011, n. 183, pubblicata in Gazzetta Ufficiale 14 novembre 2011, n. 265) reca con sé un ventaglio di disposizioni normative riferite a settori di intervento assai disparati e nient’affatto omogenei, ma comunque accomunate dal fine unitario del contenimento della dinamica della spesa pubblica.
Tra i capitoli di spesa oggetto di espresso intervento correttivo compaiono anche le voci relative al personale.
In coerenza con le scelte operate in analoghi, precedenti, interventi (cfr. art. 9, D.L. 31 maggio 2010, n. 78, convertito in Legge 30 luglio 2010, n. 122), il legislatore ha ritenuto che l’obiettivo della stabilizzazione della finanza pubblica potesse conseguirsi solo comprimendo gli spazi rimessi all'autonomia negoziale o correggendone, con introduzione di trattamenti peggiorativi, le relative scelte.
Vero è che nei precedenti interventi normativi, il legislatore aveva inteso conseguire l’obiettivo della stabilizzazione della finanza pubblica, incidendo sulla dinamica retributiva complessiva riferita ad ampie categorie di personale, tramite la cristallizzazione della retribuzione complessiva all’importo ordinariamente spettante ad una determinata data (cfr. comma 1 del citato art. 9, D.L. 31 maggio 2010, n. 78, convertito in Legge 30 luglio 2010, n. 122, nonché D.L. 6 luglio 2011, n. 98, convertito in Legge 15 luglio 2011, n. 111), ovvero mediante il congelamento delle procedure negoziali di rinnovo dei contratti collettivi (cfr. comma 17), la fissazione di limiti inderogabili in melius agli aumenti retributivi disposti dai contratti collettivi già stipulati (comma 4), la decurtazione degli importi economici eccedenti determinate soglie (comma 2) e la sterilizzazione degli effetti economici conseguenti alle progressioni in carriera ed ai passaggi tra le aree (comma 21).
Con la legge di stabilità, il legislatore si spinge, se possibile, anche oltre, impiegando tecniche, quasi chirurgiche, di modellamento di singoli istituti retributivi di derivazione contrattuale, sortendo l'effetto di una parziale rilegificazione della disciplina del trattamento economico di determinate categorie di lavoratori contrattualizzati.
Un simile risultato si è prodotto, per esempio, in riferimento all’istituto del c.d. allineamento retributivo dei segretari comunali e provinciali.
Per effetto della innovativa disposizione contenuta nell’art. 4, comma 22, della Legge 12 novembre 2011, n. 183, l’allineamento viene ora, diversamente dal passato, calcolato a partire da una diversa, e più elevata, base retributiva, ciò che dovrebbe consentire nelle intenzioni del legislatore di ridurre il differenziale monetario necessario per pareggiare la retribuzione dei segretari a quella dei dipendenti apicali dell’ente.
Peraltro - ed è questo un ulteriore profilo di interesse della disposizione in esame – la norma sembrerebbe non essersi limitata a disporre per il solo futuro: il dato letterale parrebbe, infatti, avvalorare la tesi che le assegna un vero e proprio carattere di retroattività (ma su tali aspetti infra).
Peraltro non è da escludersi, ed anzi è assai probabile, che le nuove norme abbiano sostanzialmente inciso su vicende giuridiche oramai consolidate in capo ai dipendenti, ciò che potrebbe sollevare, come vedremo, rilevanti dubbi in merito tenuta costituzionale della disposizione.
Per comprendere appieno la tematica, occorre, però, esaminare più da vicino l’istituto dell’allineamento, allo scopo di verificare la ratio delle scelte operate dalle parti negoziali e di analizzare poi gli scopi, neppure troppo celati, perseguiti dal legislatore della riforma del 2011.
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2. Retribuzione di posizione dei segretari: allineamento e maggiorazione nella disciplina contrattuale e nella giurisprudenza.
La disciplina dell'allineamento si rinviene nell’art. 41, comma 5, del CCNL dei segretari provinciali e comunali del 16 maggio 2001 (quadriennio normativo 1998/2001), laddove si prevede che “gli enti assicurano, altresì, nell’ambito delle risorse disponibili e nel rispetto della capacità di spesa, che la retribuzione di posizione del segretario non sia inferiore a quella stabilita per la funzione dirigenziale più elevata nell’ente in base al contratto collettivo dell’area della dirigenza o, in assenza di dirigenti, a quella del personale incaricato della più elevata posizione organizzativa”.
Non pare errato sostenere che la disposizione in esame costituisca un logico corollario dell’art. 97, D.Lgs. n. 267/2000, ai sensi del quale il segretario comunale e provinciale sovrintende allo svolgimento delle funzioni dei dirigenti e ne coordina l'attività.
È plausibile sostenere che le parti negoziali abbiano inteso introdurre una sorta di trattamento minimo ed inderogabile, sulla considerazione che la funzione di coordinamento espletata dal segretario non possa essere remunerata in modo deteriore rispetto alla funzione “coordinata”.
Questo in coerenza col più generale principio, più volte enunciato in giurisprudenza, per cui la retribuzione di posizione deve riflettere "il livello di responsabilità attribuito con l'incarico di funzione" (cfr. Cass., Sez. Lav., 2 febbraio 2011, n. 2459, in Giust. civ. Mass. 2011, 2, 172).
La soluzione di individuare nel trattamento riconosciuto alla dirigenza un minimo non derogabile è plausibilmente apparsa alle parti negoziali tanto più necessaria in considerazione della circostanza che segretari e dirigenti ricadono sotto aree di contrattazione separate e distinte, ciò che impedisce di operare una valutazione unitaria dei valori economici connessi alle diverse responsabilità corrispondenti alle posizioni di lavoro presenti nell’organigramma dell’ente.
Alla luce di quanto sopra esposto, appare fin troppo agevole osservare che quella determinata per effetto del “galleggiamento” sia la retribuzione di posizione normalmente spettante al segretario a fronte delle responsabilità assegnate ex art. 97 TUEL.
Poiché tali funzioni sono state giudicate, con valutazione normativa ex ante, di peso e responsabilità non inferiore rispetto a quelle assegnate alla dirigenza di vertice, il CCNL ne ha tratto la debita conseguenza anche sul piano della pesatura economica della retribuzione di posizione.
Ciò considerato, l’art. 41, comma 4, del CCNL del 16 maggio 2001 prevede, però, che, nell’ambito delle risorse disponibili e nel rispetto delle capacità di spesa, gli enti possano corrispondere al segretario anche una maggiorazione della retribuzione di posizione, rimettendo alla contrattazione decentrata nazionale il compito di determinare le condizioni, i criteri ed i parametri di riferimento per il loro riconoscimento.
In attuazione di tale delega, il contratto collettivo decentrato del 22 dicembre 2003 ha subordinato il riconoscimento della maggiorazione all’affidamento in capo al segretario di attività gestionali, di incarichi o progetti speciali, prevedendo che l’importo della maggiorazione sia compreso tra il 10% ed il 50% della “retribuzione di posizione in godimento”.
Sull’interpretazione di tale complessa disciplina originata dall’intreccio di regolamentazioni discendenti da due diversi livelli di contrattazione, sono andati formandosi, almeno inizialmente, due contrapposti orientamenti.
Un primo, sostanzialmente sostenuto dalla sola ARAN, ritiene che la retribuzione di posizione da parificare sia quella comprensiva delle eventuali maggiorazioni corrisposte dall’ente.
Convincerebbe di ciò la ratio dell’istituto, il cui scopo sarebbe di assicurare una retribuzione di posizione non inferiore a quella percepita dal dirigente apicale dell’ente, e non anche di garantire una retribuzione di importo superiore, ciò che si avrebbe, invece, dando luogo prima all’allineamento e solo dopo alla maggiorazione.
Tale interpretazione è divenuta, però, ben presto recessiva, tanto da essere sostenuta da un numero minoritario di enti e da venire, comunque, decisamente smentita dalla giurisprudenza di merito (cfr. Tribunale di Pistoia, 30 dicembre 2009, n. 459; Tribunale di La Spezia 21 ottobre 2010, n. 654; Tribunale dell’Aquila n. 164/2011; Tribunale di Mantova 3 maggio 2011, n. 96; Tribunale di Rimini, 2 agosto 2010, n. 246; Tribunale di Pistoia, 8 febbraio 2010, n. 98).
Come correttamente evidenziato dalla citata giurisprudenza, l'interpretazione proposta dall'ARAN conduce ad esiti regolatori del tutto irragionevoli.
Il contratto collettivo riconnette, infatti, il riconoscimento della maggiorazione allo svolgimento di determinati incarichi aggiuntivi.
Infatti, mentre il c.d. “galleggiamento” ha funzione perequativa, in quanto volto ad assicurare al segretario comunale una retribuzione di posizione non inferiore a quella percepita dalla posizione dirigenziale apicale dell’ente, la “maggiorazione” di cui al comma 4 del medesimo articolo ha funzione retributiva, andando a remunerare le funzioni aggiuntive che il segretario esercita in virtù di specifici incarichi conferiti dal Sindaco o dal Presidente della Provincia.
Peraltro, mentre il galleggiamento opera a prescindere dalla maggiorazione, e in via pressoché automatica, non essendo necessario un formale provvedimento di attribuzione da parte dell’Amministrazione, la maggiorazione è riconosciuta solo previa determinazione dell’organo di vertice del Comune o della Provincia e comunque nei limiti e in presenza dei presupposti previsti dalla disposizione contrattuale, e cioè nella misura compresa tra il 10% e il 50% dell’indennità di posizione e in caso di svolgimento del parte del segretario di funzioni aggiuntive.
Ove perciò si accogliesse la tesi propugnata dall'ARAN, secondo cui la maggiorazione dovrebbe comunque rimanere assorbita dal successivo allineamento, si avrebbe una sicura mortificazione dell'istituto ed una frustrazione della finalità perseguita dalle parti negoziali di valorizzare l'assegnazione delle funzioni aggiuntive: l’importo complessivo della retribuzione di posizione diverrebbe, infatti, insensibile allo svolgimento delle funzioni aggiuntive.
Questo risultato si porrebbe in contrasto sia col principio di corrispettività, atteso che le funzioni aggiuntive non sarebbero remunerate, sia con quello di parità di trattamento, dal momento che la retribuzione di posizione verrebbe ad attestarsi sul medesimo livello, sia per chi assuma le più gravose funzioni aggiuntive sia per chi le declini.
L'insieme di tali considerazioni ha perciò indotto la prevalente giurisprudenza a ritenere che la maggiorazione trovi applicazione sulla retribuzione di posizione già allineata.
Convincerebbe di ciò non solo la manifesta irragionevolezza di ogni altra e diversa soluzione, ma anche l'interpretazione letterale del contratto decentrato.
Il contratto stabilisce in modo sufficientemente chiaro che la maggiorazione debba applicarsi sulla retribuzione di posizione in “godimento”.
Orbene, non pare in dubbio che per retribuzione in godimento debba intendersi proprio quella determinata per effetto del “galleggiamento”.
Ove il contratto collettivo avesse inteso adottare meccanismi di calcolo diversi, avrebbe certamente impiegato espressioni diverse, prevedendo per esempio il riassorbimento della maggiorazione per effetto dell'allineamento retributivo.
In realtà le parti negoziali hanno scientemente evitato di prevedere un riassorbimento della maggiorazione, consapevoli essendo che un meccanismo di tal fatta avrebbe inesorabilmente frustrato la ratio della maggiorazione, con lesione dei sopra evidenziati principi di corrispettività e di parità di trattamento.
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3. Legge di stabilità e trattamento economici dei segretari: possibili profili di incostituzionalità.
In questo contesto si inseriscono le disposizioni contenute nella legge di stabilità che così dispongono: “Il meccanismo di allineamento stipendiale previsto dall’articolo 41, comma 5, del Contratto collettivo nazionale di lavoro dei Segretari comunali e provinciali del 16 maggio 2001, per il quadriennio normativo 1998-2001 e per il biennio economico 1998-1999 si applica alla retribuzione di posizione complessivamente intesa, ivi inclusa l’eventuale maggiorazione di cui al comma 4 del medesimo articolo 41. A decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge è fatto divieto di corrispondere somme in applicazione dell’articolo 41, comma 5, del citato Contratto collettivo nazionale di lavoro del 16 maggio 2001 diversamente conteggiate, anche se riferite a periodi già trascorsi. È fatta salva l’esecuzione dei giudicati formatisi alla data di entrata in vigore della presente legge”.
In opposizione rispetto a quanto previsto dai contratti collettivi, il legislatore è intervenuto a modificare la disciplina della maggiorazione prevedendo, diversamente dal passato, che gli enti provvedano prima ad applicare la maggiorazione riconosciuta a fronte degli incarichi aggiuntivi e solo dopo ad applicare la clausola di garanzia.
È lecito, però, dubitare della legittimità costituzionale della norma.
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a) Anzitutto, la disposizione pare violare i canoni di ragionevolezza e di parità di trattamento, con riferimento all’art. 3 Cost., laddove introduce disposizioni che tendono, in spregio al principio di corrispettività, ad appiattire il trattamento economico dei segretari comunali.
Sotto il vigore della precedente normativa, la giurisprudenza aveva ben colto il nesso di corrispettività tra il riconoscimento della maggiorazione e lo svolgimento di determinati incarichi aggiuntivi.
Da questo presupposto interpretativo la giurisprudenza aveva coerentemente tratto la soluzione di ancorare il calcolo della maggiorazione alla retribuzione di posizione già “allineata”.
Ogni altra e diversa soluzione sarebbe apparsa irragionevole in quanto contraddittoria rispetto alla ratio dell’istituto consistente nella valorizzazione delle funzioni aggiuntive.
Questa ragione giustificativa viene, però, oggi frustrata dalle nuove disposizioni, atteso che la maggiorazione retributiva connessa alle funzioni aggiuntive rimane ora assorbita, per effetto del nuovo sistema di calcolo, dalla successiva operazione di “allineamento”.
Quest’ultimo dato di fatto pone poi all'attenzione dell'interprete ulteriori profili di illegittimità della nuova regolamentazione, con riferimento ai principi di parità di trattamento e di proporzionalità, ai sensi dell'art. 36 Cost.
Ben potrebbe darsi il caso in cui la maggiorazione sia per intero assorbita dal successivo riallineamento.
In tale eventualità, funzioni aggiuntive, pur concretamente disimpegnate, verrebbero tenute in non cale ai fini della determinazione del trattamento economico, con la conseguenza, del tutto irragionevole, che uguale retribuzione sarebbe accordata pur in presenza di funzioni lavorative quantitativamente e qualitativamente diverse tra loro: nei casi sopra prospettati l'importo della retribuzione di posizione sarebbe il medesimo sia per chi decida di assumere le più gravose funzioni aggiuntive sia per chi decida, invece, di non espletarle.
L’irragionevolezza della novella legislativa emerge in maniera ancor più evidente, arrivando ai limiti del paradosso, ove si considerino gli effetti della norma sul trattamento pensionistico dei segretari comunali e provinciali.
Come noto, le voci della retribuzione che concorrono a formare la base pensionistica sono classificate in quota “A” o in quota “B”: le prime concorrono a costituire il trattamento pensionistico per l’intero importo, le seconde in misura pressoché insignificante
In particolare, nella c.d. quota A sono da considerare, ai sensi del primo comma dell'art. 15 della l. n. 1077/59 gli “…emolumenti fissi e continuativi o ricorrenti ogni anno che costituiscono la parte fondamentale della retribuzione corrisposta, ai sensi delle vigenti disposizioni legislative o regolamentari ovvero dei contratti collettivi di lavoro come remunerazione per la normale attività lavorativa richiesta per il posto ricoperto”.
Ebbene, mentre la retribuzione di posizione - “allineata” attraverso il c.d. galleggiamento - rientra in quota A, l’Inpdap attualmente, nonostante pronunce giurisprudenziali di segno contrario, riconduce la maggiorazione di cui al c. 4 dell’art. 41 in quota B.
Ne consegue che, per effetto della novella legislativa, al segretario comunale titolare di funzioni aggiuntive spetterà, con ogni probabilità, un trattamento pensionistico deteriore rispetto a chi dette funzioni aggiuntive non le svolga; infatti, mentre il primo, percependo la maggiorazione, che assorbe di fatto l’allineamento, vedrà ricadere in quota B la parte dell’indennità di posizione risultante dalla maggiorazione, il secondo invece potrà beneficiare dell’intera indennità allineata in quota A.
La novella legislativa potrebbe, quindi, essere soggetta a censure di legittimità costituzionale per contrasto con il principio della giusta ed adeguata retribuzione ex art. 36 della Costituzione, confermato dall’art. 52 del d.lgs. n. 165/2001 che impone l’adibizione del lavoratore alle mansioni per le quali è stato assunto, con conseguente doveroso pagamento di quelle ulteriori alle quali venga formalmente adibito.
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b) Le disposizioni esaminate sono contenute in un articolato normativo volto al contenimento della spesa pubblica (cfr. la rubrica dell’art. 4 che recita “Riduzioni delle spese non rimodulabili dei Ministeri”).
Si è consapevoli che, secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale, esigenze di natura economica-finanziaria possono giustificare anche onerosi sacrifici a carico della collettività.
Tuttavia, per essere legittimi e conformi alla Costituzione, detti sacrifici debbono essere eccezionali, transeunti e non arbitrari.
È, però, lecito dubitare che le disposizioni qui all’esame rispettino i canoni testé illustrati.
Quanto all’arbitrarietà dell’intervento, valga quanto sopra osservato in riferimento alla lesione degli artt. 3 e 36 Cost.
Qui è sufficiente solo soggiungere che la categoria dei segretari comunali e provinciali già contribuisce, al pari di altre categorie di lavoratori pubblici, allo sforzo collettivo per il risanamento della finanza pubblica.
Sulla scorta delle disposizioni contenute nel D.L. 31 maggio 2010, n. 78, convertito in Legge 30 luglio 2010, n. 122, nonché nel D.L. 6 luglio 2011, n. 98, convertito in Legge 15 luglio 2011, n. 111, la retribuzione complessiva dei segretari è corrisposta oggi nella misura ordinariamente spettante nell’anno 2010, previa decurtazione degli aumenti economici disposti dai contratti collettivi stipulati nel periodo anteriore all’intervento correttivo di finanza pubblica.
Non solo.
Il trattamento economico non potrà ricevere fino al 2014 alcun aumento retributivo, stante il congelamento di ogni procedura negoziale di rinnovo.
Infine, anche per i segretari comunali e provinciali opera una decurtazione stipendiale pari al 5% ed al 10% sugli importi eccedenti, rispettivamente, la soglia dei novanta mila e dei centocinquanta mila euro.
In conclusione, ed in disparte le considerazioni prima espresse in merito alla loro irragionevolezza ed illogicità intrinseca, le disposizioni contenute nell’art. 4, comma 26, della l. 12 novembre 2011, n. 183 paiono espressione di scelte arbitrarie ed ingiustamente discriminatorie in danno della categoria dei segretari comunali e provinciali, atteso che su questa vengono posti carichi aggiuntivi rispetto a quelli richiesti alla generalità dei pubblici dipendenti.
Non solo.
Lungi dall’avere realizzato un intervento eccezionale, transeunte e limitato nel tempo, il legislatore ha legificato, e con carattere di stabilità, su di una materia riservata ex art. 39 Cost. alle parti negoziali, ledendo in tal modo l’autonomia della contrattazione collettiva, unica abilitata nel nostro ordinamento a determinare il valore delle tariffe salariali.
Effetto tanto più dirompente in considerazione dell'avvenuta riformulazione, ad opera della l. 15/2009, del testo dell'art. 2, D.Lgs. n. 165/2001, per effetto del quale risulta oggi precluso alle parti negoziali di introdurre clausole derogatorie alle disposizioni di legge.
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c) Non è in dubbio che il legislatore ha introdotto una regolamentazione innovativa e retroattiva.
Tanto emerge anzitutto dalla previsione sul divieto di corresponsione di somme diversamente conteggiate ”anche se riferite a periodi già trascorsi”.
Ulteriore conferma si rinviene nella clausola di salvezza dei giudicati formatisi alla data di entrata in vigore della legge di stabilità.
La clausola in esame pone, infatti, uno sbarramento temporale agli effetti retroattivi delle nuove disposizioni.
Tuttavia, neppure tale scelta legislativa appare immune da sospetti di illegittimità costituzionale, con riferimento agli artt. 2, 36, 39 e 117, co. 1, Cost.
Nell'estendere l'applicazione delle nuove norme alle situazioni pregresse, prima ricadenti sotto una diversa regolamentazione sostanziale, il legislatore ha di fatto sacrificato, vulnerandoli irrimediabilmente, diritti quesiti già entrati a far parte del patrimonio dei pubblici dipendenti, compromettendo in tal modo anche il principio di certezza delle situazioni giuridiche.
Meritevoli di considerazione ex art. 117, co. 1, Cost. appaiono le Convenzioni internazionali ed in particolare l’art. 1 (“Protezione della proprietà”) del Protocollo n. 1 addizionale alla Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell'Uomo e delle Libertà fondamentali, laddove si prevede che: “Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di pubblica utilità e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale. Le disposizioni precedenti non portano pregiudizio al diritto degli Stati di porre in vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l’uso dei beni in modo conforme all’interesse generale o per assicurare il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle ammende”.
Per pacifica giurisprudenza della Corte EDU, ad onta del riferimento letterale al solo diritto di proprietà, la disposizione appare invocabile per tutelare qualunque diritto di natura patrimoniale, sia esso reale o di credito.
Secondo la Corte di Strasburgo per dimostrare l’avvenuta lesione del Protocollo addizionale è sufficiente che la parte dimostri di essere titolare del credito in base al diritto interno.
Nel caso che ci occupa, la titolarità del diritto alla maggiorazione pare agevolmente dimostrabile sulla scorta della piana interpretazione delle disposizioni contrattuali previgenti e del diritto vivente costituito dalla consolidata giurisprudenza formatasi sul tema (cfr. Tribunale di Pistoia, 30 dicembre 2009, n. 459; Tribunale di La Spezia 21 ottobre 2010, n. 654; Tribunale dell’Aquila n. 164/2011; Tribunale di Mantova 3 maggio 2011, n. 96; Tribunale di Rimini, 2 agosto 2010, n. 246; Tribunale di Pistoia, 8 febbraio 2010, n. 98).
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d) La circostanza che lo Stato sia appositamente intervenuto per ribaltare, con lo strumento della norma astratta e generale, un contenzioso che lo vedeva soccombere sistematicamente mette a nudo un ulteriore profilo di illegittimità, in relazione questa volta agli artt. 24 e 117, co. 1, Cost, quest’ultimo con riferimento all’art. 6 CEDU.
È stato, anche di recente, affermato che “se, in linea di principio, il legislatore può regolamentare in materia civile, mediante nuove disposizioni retroattive, i diritti derivanti da leggi già vigenti, il principio della preminenza del diritto e la nozione di equo processo sancito dall'articolo 6 (nda della Convenzione EDU) ostano, salvo che per ragioni imperative di interesse generale, all'ingerenza del legislatore nell'amministrazione della giustizia allo scopo di influenzare la risoluzione di una controversia” (Cfr. Agrati e altri c. Italia, n. 43549/08, 6107/09 e 5087/09)
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4. In conclusione, le scelte di recente compiute dal legislatore in materia di trattamento economico dei segretari comunali e provinciali paiono censurabili sotto molteplici profili.
È plausibile ritenere che, similmente a quanto già avvenuto per altre categorie di personale (cfr. il personale appartenente alla magistratura ordinaria), anche i segretari si attiveranno allo scopo di promuovere un contenzioso finalizzato a sollecitare la remissione alla Consulta delle questioni di legittimità delle disposizioni lesive contenute nella legge di stabilità.
Bologna dicembre 2011 Studio Legale Fragale, Foro di Bologna.
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