SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE V PENALE
Svolgimento del processo - Motivi della decisione
Propone ricorso per cassazione P.G. avverso la sentenza della Corte di appello di Firenze 14 giugno 2010 con la quale è stata confermata quella di primo grado, di condanna per il reato di falsità del contrassegno per l'accesso alla zona ZTL, fatto accertato il 15 settembre 2004.Il prevenuto aveva esposto, sul parabrezza dell'auto, una fotocopia del permesso rilasciato per l'accesso alla zona di traffico limitato:
fotocopia descritta dal giudice di primo grado come assai ben fatta, avendo le dimensioni identiche a quelle del permesso originale, gli stessi colori, ovviamente lo stesso contenuto e presentando altresì la tipica plastificazione con la quale il permesso in originale viene rilasciato. Il prevenuto si era difeso sostenendo che si trattava della fotocopia dell'originale che egli aveva realmente conseguito e che teneva a casa temendo che gli venisse sottratto.
Era altresì emerso che il permesso era stato rilasciato al P. per le due vetture di cui egli era proprietario.
Deduce il ricorrente che la esibizione della copia fotostatica di una autorizzazione non integra il reato in contestazione, mancando la relativa autenticazione.
In tal senso si era già espressa la giurisprudenza di legittimità la quale, laddove aveva invece affermato la sussistenza del reato di falso, si era trovata a giudicare un caso in concreto diverso, ossia quello in cui il responsabile aveva fatto contemporaneo uso del permesso originale e della sua fotocopia.
Nel caso in esame invece la contestuale circolazione dei due veicoli del P. non era stata accertata.
Cita infine il difensore, a sostegno della propria tesi, la sentenza della Corte costituzionale n. 280 del 2010.
Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.
Diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente, la giurisprudenza assolutamente prevalente della Corte di cassazione, in tema di duplicazione fotostatica del permesso di accesso alla zona a traffico limitato, è nel senso contrario a quello da esso auspicato.
Essa ha infatti osservato che hanno rilevanza penale le condotte di falsificazione di copie che tengono luogo degli originali, qualora il relativo documento abbia l'apparenza dell'originale e sia utilizzato come tale, non presentandosi come mera riproduzione fotostatica.
(Fattispecie concernente condanna per il reato di cui agli artt. 477 e 482 cod. pen. in relazione alla contraffazione di un permesso di trasporto per invalidi) (Rv. 247981).
Si è del resto affermato che integra il reato di falsità materiale del privato in autorizzazioni amministrative (artt. 477 e 482 cod. pen.) la riproduzione fotostatica del permesso di parcheggio riservato agli invalidi, a nulla rilevando l'assenza del timbro a secco e, comunque, dell'attestazione di autenticità, la quale non incide sulla rilevanza penale del falso allorchè, come nella specie, il documento abbia l'apparenza e sia utilizzato come originale, considerata anche la notevole sofisticazione raggiunta dai macchinari utilizzati, capaci di formare copie fedeli all'originale, come tali idonee a consentire un uso atto a trarre in inganno la pubblica fede (Rv. 239490; conformi rv. 233766; rv. 231171).
Invero, la fotocopia di un documento autorizzativo legittimamente detenuto, realizzata con caratteristiche e dimensioni tali da avere l'apparenza dell'originale, costituisce reato perchè neppure al titolare del documento stesso (certificato o autorizzazione) è consentita la riproduzione in maniera da creare un secondo documento che si presenti e sia utilizzato come l'originale (Rv. 203526). La regola fin qui esposta ovviamente non è applicabile quando la fotocopia sia esibita come tale, sia pure dopo la contraffazione, atteso che in tale caso si presenta priva dei requisiti, di forma e di sostanza, capaci di farla sembrare un provvedimento originale o la copia conforme di esso (Rv. 239112).
Per tale ragione si è affermato in principio secondo cui non sussiste il reato di falso documentale per inesistenza dell'oggetto ex art. 49 cod. pen., quando la falsificazione ha ad oggetto una copia fotostatica, presentata come tale, atteso che quest'ultima non ha, di per se, valore di documento, e può essere produttiva di effetti giuridici solo se autenticata o non espressamente disconosciuta, secondo quanto previsto dagli artt. 477 cod. pen. e art. 2719 cod. civ (Rv. 212130). In conclusione , la materia appare uniformemente trattata dalla giurisprudenza di legittimità, salva la eccezione rappresentata dal precedente citato nel ricorso e rimasto isolato (vedi rv. 232320), Si è inteso cioè affermare che la riproduzione in fotocopia di una autorizzazione amministrativa integra il reato di falso quando la fotocopia sia formata con modalità di imitazione tali da rendere il documento confondibile con l'originale sicchè la fotocopia possa dirsi, per modalità attuative, una forma di contraffazione del documento; viceversa quando la fotocopia è predisposta senza alcuno dei detti accorgimenti e non è destinata a perdere la tipica valenza di mera documentazione della esistenza di un originale, non può dirsi realizzata la messa in pericolo della fede pubblica nè la commissione della condotta tipica penalmente rilevante.
Tale tesi non può certo dirsi inficiata dalla sentenza della Corte costituzionale evocata nel ricorso.
A prescindere invero dalla assoluta genericità della citazione, può rimarcarsi che il giudice delle leggi, nella sentenza n. 280 del 2010 ha esteso a tutti i veicoli delle aziende fornitrici di servizi pubblici essenziali, la facoltà di tenere a bordo dei veicoli, in luogo dell'originale, una fotocopia della carta di circolazione senza incorrere nelle previste sanzioni.
Ebbene, il particolare che rende la sentenza della Corte Costituzionale non influente sul caso di specie è - a parte il rilievo che la pronuncia riguarda la sola circolazione dei veicoli che rendono servizi pubblici essenziali il fatto che in essa si afferma che il documento in fotocopia è legittimo in quanto rechi la autentica del proprietario del veicolo, con sottoscrizione del medesimo, si da denunciare esattamente la sua valenza sostitutiva dell'originale, così come consentita dallo stesso legislatore.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.