lunedì 18 gennaio 2021

Soste a pagamento: niente peculato per il mancato versamento al comune dei parcometri


Soste a pagamento: niente reato per il concessionario che non versa le somme dei parcometri al Comune

tratto da ilquotidinaodellapa.it - autore Paolo Romani

La Corte di Cassazione con sentenza n. 37674/2020 esclude il delitto di peculato.

Era stato condannato alla pena di anni due e mesi otto di reclusione per il reato di cui all'art. 314 del codice penale, perché nella qualità di amministratore unico della Società aggiudicataria della concessione per la gestione delle aree di sosta a pagamento di un Comune - perciò incaricato di pubblico servizio -, si appropriava della somma di euro 8.972,24 che deteneva per ragioni del suo ufficio, atteso che in virtù del del capitolato speciale doveva versare all'ente le somme riscosse dai parcometri in rate trimestrali nella misura del 30%.

Per i giudice di primo e secondo grado - essendo incontroverso probatoriamente l'omesso versamento della somma indicata - doveva ritenersi integrata la fattispecie di cui all'art. 314 del codice penale che punisce il resto di peculato; ad avviso dei giudici di merito non si verserebbe nella ipotesi di mero inadempimento contrattuale ma di violazione di obblighi che il concessionario assume in forza del capitolato d'oneri, sottoscrivendo il relativo contratto, e la cui violazione giustifica da parte della PA il potere di autotutela.

La Suprema Corte con sentenza del 29 dicembre 2020 (Presidente: FIDELBO G. - Relatore: GIORGI M.S - Data Udienza: 13/10/2020) ha ritenuto non corretta la conclusione dei giudici di merito in quanto in virtù dell’orientamento giurisprudenziale consolidato non configura il delitto di peculato, bensì un mero inadempimento contrattuale, il mancato versamento al Comune appaltante, da parte della società incaricata di un servizio di gestione - nel caso in esame quello dei parcheggi a pagamento -, della quota pattuita in relazione alle somme riscosse dai privati a titolo di corrispettivo del servizio prestato dalla società, in quanto il denaro non corrisposto all'ente pubblico non è qualificabile come "altrui" ab origine rispetto al soggetto obbligato.

L'oggetto materiale della condotta di peculato, costituito dal denaro o altra cosa mobile, è connotato dalla "altruità", sanzionandosi l'appropriazione di detti beni da parte di colui che, pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio, ne abbia il possesso o la disponibilità in ragione dell'ufficio o servizio espletato.

Dunque, ad avviso della Cassazione, deve ritenersi esclusa l'altruità del denaro se questo sia il corrispettivo pagato dal privato destinatario del pubblico servizio prestato. Non potranno qualificarsi "altrui" tali somme di denaro, remunerative del servizio - ancorché a tariffa vincolata -, solo in virtù della natura pubblica del servizio per la prestazione del quale sono dovute, potendone il gestore che le riceve, nel cui patrimonio entrano a far parte, disporne liberamente.

Nel caso in esame, sul presupposto che il denaro versato dagli utenti del servizio di parcheggio comunale nei parcometri installati e di proprietà della concessionaria era di diretta pertinenza della società e non del Comune, cui spettava solo una percentuale del 30% sulle somme incassate con cadenza trimestrale, l'omesso versamento nelle casse comunali della quota degli introiti pattuita non manifesta l'appropriazione, da parte del soggetto obbligato, di denaro appartenente fin dall'origine alla P.A. appaltante. Infatti, tali somme non sono originariamente dovute alla P.A. dal soggetto obbligato (come, invece, avviene per i tributi riscossi dal concessionario per conto della P.A.), ma trovano la propria causa nella prestazione resa dal gestore del pubblico servizio di parcheggio a pagamento, della quale costituiscono corrispettivo.

Sicché il mancato versamento da parte dell’amministratore unico della aggiudicataria, della quota stabilita sui complessivi introiti del servizio integra solo un inadempimento del relativo obbligo contrattuale nei confronti della P.A. affidataria.

In conclusione, nelle condotte ipotizzate dall'accusa non può ravvisarsi il delitto di peculato e, pertanto, la sentenza impugnata é stata annullata senza rinvio perché il fatto non sussiste.

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